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Dossier: Porzus e le Foibe

Pasolini e Porzus

Il fratello di PierPaolo Pasolini, Guido, fu uno dei partigiani della Brigata Osoppo ucciso a Porzus. Proponiamo qui di seguito un articolo sui due fratelli, una lettera di Pasolini sulla tragica vicenda e una sua poesia.


1. Ritratto dei due Pasolini da giovani

"L’Espresso" (n. 35 del 4 settembre 1997) contiene un lungo articolo intitolato "Ritratto dei due Pasolini da giovani", tratto da un colloquio-intervista di Enzo Golino con Nico Naldini, cugino dei fratelli Pasolini: 

Era il 12 febbraio 1945. Guidalberto Pasolini, detto Guido, fratello minore di Pier Paolo, cadde ucciso "da mano fraterna nemica "nell’eccidio di Porzûs, un episodio fra i più orrendi della lotta partigiana. Accertata ufficialmente la notizia della morte un terribile giorno del maggio di quell’anno, Pier Paolo e Susanna, la madre, "rimasero abbracciati per ore e ore, a lungo, piangendo, in quel letto di sfollati, a Versuta. I figli dei contadini, come usa dalle nostre parti, portavano dei doni funebri, chi uova, chi farina. Fu la loro unica consolazione", ricorda Nico Naldini, cugino dei due ragazzi Pasolini.
Mesi dopo, il 21 agosto 1945, Pier Paolo scrisse all’amico Luciano Serra parole inequivocabili sul dolore che gli aveva schiacciato l’anima e sul senso di colpa che l’opprimeva: "Quel ragazzo è stato di una generosità, di un coraggio, di una innocenza che non si possono credere. E quanto è stato migliore di tutti noi: io adesso vedo la sua immagine viva, coi suoi capelli, il suo viso, la sua giacca, e mi sento afferrare da un’angoscia così indicibile, così disumana". Un trauma mai estinto.
La figura di Guido, sia per la tragica morte in giovane età, sia perché oscurata dalla prorompente personalità di Pier Paolo, oggi viene ricordata quasi soltanto per la strage di Porzûs, a cui il regista Renzo Martinelli ha dedicato un film, presentato il 31 agosto 1977 alla Mostra del cinema di Venezia […]
Fra quei patrioti uccisi [nell’eccidio di Porzûs] vi era l’appena diciannovenne Guido Pasolini, iscritto al Partito d’azione, arruolatosi nella brigata Osoppo, nome di battaglia Ermes, nato a Belluno il 4 ottobre 1925 da Carlo Alberto Pasolini, di professione militare, e da Susanna Colussi, insegnante. Abbiamo chiesto a Nico Naldini, figlio di Enrichetta, sorella di Susanna, di raccontare il rapporto che legava i due fratelli e altri particolari della breve vita di Guido (tracce se ne trovano in pagine di Enzo Siciliano e di Dacia Maraini, in lettere di Guido e Pier Paolo e in altre testimonianze). […]
Naldini, con suo cugino Pier Paolo lei ha avuto un felice e dialettico rapporto dl fratellanza edipica: il futuro poeta corsaro, nato il 5 marzo 1922 a Bologna, esercitò con lei, di sette anni più giovane, anche il ruolo dl maestro di vita e di cultura. Accadde lo stesso anche fra Pier Paolo e il fratello Guido, di tre anni più giovane?
Alcuni miei amici e io siamo stati allievi della scuoletta privata di Pasolini nel 1944-1945. Il suo grande ascendente pedagogico, ma anche le sue tecniche didattiche che si erano imposte quasi spontaneamente, formavano già allora un’idea sublime della scuola. Scuola socratica, se mai ce ne fu
una nella nostra epoca. Per prima cosa Pier Paolo ci fornì gli strumenti della critica stilistica, […] la lettura delle "Georgiche" divenne, sotto la sua guida, un evento memorabile. Guido invece non frequentava la scuoletta di Pier Paolo, e non solo per ragioni di età: aveva scelto le severe matematiche, quasi a ristabilire l’equilibrio in una famiglia dove prevalevano le inclinazioni umanistiche di Susanna e di Pier Paolo. Per di più, terminato il liceo scientifico, negli ultimi giorni del maggio 1944 Guido decise di andare in montagna a combattere la guerra di liberazione, abbandonando il rifugio di
Versuta. Portava con sé un tascapane pieno di bombe a mano ricoperte da uno strato di panini imbottiti preparati dalla madre, i Canti orfici di Dino Campana, e una rivoltella nascosta in una nicchia scavata nelle pagine di un dizionario.
Com’era Guido fisicamente? Assomigliava a Pier Paolo, al padre, alla madre?
Guido aveva la testa grossa di suo padre, Pier Paolo gli zigomi alti di sua madre: un tratto, questo degli zigomi alti, molto amato nelle donne che sono state sue amiche (Elsa Morante, per esempio, o SilvanaMangano), che evidentemente gli ricordavano la madre. Ma anche Guido aveva nel viso richiami materni. Nei due figli si erano scontrate e mescolatele forti eredità della linea genetica di entrambi i genitori.
E il carattere, gli interessi culturali?
Mentre Pier Paolo a 18 anni leggeva un libro al giorno, pubblicava poesie, dipingeva, suonava il violino, suscitando l’ammirazione di tutta la famiglia, Guido andava a caccia e a pesca. Gli piaceva frequentare le baracche del tiro a segno. Era un ragazzo molto coraggioso, votato all’azione, senza per questo rinunciare a una sua vita intellettuale, non ritagliata però su quella di Pier Paolo. Amava la musica classica, stava per ore accanto alla radio ad ascoltare i concerti dell’Eiar.
Naldini, la sua amicizia con Pier Paolo, tra affetto e complicità, si estendeva ben oltre i legami di parentela. Guido ne era geloso? Partecipava alla vostra intesa?
No, anche perché la sua dignità di diciottenne non gli consentiva di aggregarsi a me (e a i ragazzini miei coetanei) nell’assidua frequentazione di Pier Paolo. Credo anzi che osservasse con un certo distacco quel fanatismo letterario che Pier Paolo mi aveva trasmesso. Mentre io recitavo i versi di Giuseppe Ungaretti con un tono sicuramente petulante, andando su e giù per le scale di casa, Guido leggeva dei libri quasi di nascosto. Un austero riserbo gli impediva di misurarsi con Pier Paolo, di accodarsi a noi nella dipendenza dal maestro e dalle sue grandi capacità maieutiche.
Lei era amico di Guido?
Non ho avuto il tempo di diventarlo. Credo che lui mi vedesse, nell’ambito familiare, solo come un segmento del tessuto parentale. Mi pare di ricordare che a volte fosse indispettito dal fatto di avere un cuginetto campagnolo un po’ sdolcinato.
Pier Paolo e Guido, accomunati da una morte violenta: sappiamo, da fonti orali e scritte, che si volevano un gran bene, e che litigavano anche, come accade nelle migliori famiglie. Ma quali erano i rapporti più segreti fra di loro?
Si distinguevano, questi rapporti, per pudore e sobrietà. Guido, a Casarsa, viveva un’esistenza che incrociava raramente quella del fratello. Aveva i suoi amici, la sua bicicletta, i pattini a rotelle, il flobert a pallini e, dopo, anche un vero fucile da caccia. Era sempre in giro per la campagna con il suo amico Renato Lena. In un laboratorio da falegname costruivano velieri in miniatura con tanto di vele e cordami, alianti, e pistole a tamburo, quelle di Tom Mix, un eroe dei fumetti di quegli anni, una delle quali fu regalata anche a me. Nello scambio di gesti e di parole, di pensieri e di sentimenti, Pier Paolo e Guido avevano ereditato le caratteristiche del mondo contadino a cui apparteneva la madre. In quel tipo di civiltà due fratelli potevano passare una vita intera senza mai rivolgersi la parola se non per
qualche lavoro campestre. Così i ragazzi Pasolini, frutto antropologico di un mondo dominato dalla figura materna.
Quando si accorse che fra Pier Paolo e Guido, sia pure con questi limiti, cominciava a stabilirsi con maggiore consapevolezza il senso dell’essere fratelli?
Dal racconto che mi fece Pier Paolo di un episodio doloroso. Abitavano ancora a Bologna. Alcuni ragazzi, non riesco a identificarli nel ricordo, una sera assente Pier Paolo, cominciarono a sghignazzare su di lui pronunciando più d’una volta una parola in dialetto: busone, che vuol dire omosessuale. Guido, che ascoltava, prese subito le difese del fratello. Ne nacque una rissa dalla quale uscì malconcio, con un taglio sulla fronte. In ospedale gli fu diagnosticata una commozione cerebrale. Pier Paolo andò a
trovarlo ogni giorno, riempiendo di riconoscenza il cuore di Guido, e gli fece diversi ritratti. Nei cataloghi delle mostre di Pasolini questi ritratti vengono scioccamente intitolati dai curatori, in modo anonimo, "Ragazzo a letto" e simili.
Lei si sentiva escluso, come cugino, dal più stretto vincolo di parentela che c’era tra Pier Paolo e Guido?
Per nulla. Anzi, mi sentivo in una posizione privilegiata. Avevo 14 anni, Pier Paolo leggeva le mie poesie e ne discuteva come se fossi stato un vero poeta. Era il segreto della sua pedagogia: considerare tutto allo stesso livello di importanza e degno di essere discusso. Anche le opinioni più arbitrarie e ostili, come quelle dei giovani fascisti degli anni Settanta.
Salvo poi scegliere secondo la propria scala di valori estetici, politici, culturali...
Certo, ma nei rapporti con Guido c’era quel riserbo di cui dicevo. Guido, però, stava già differenziando i suoi interessi culturali, forse per non incrociare troppo quelli del fratello ed evitare confronti. E amava Pier Paolo, lo ammirava con una intensità quasi nascosta, ne sentiva insomma la superiorità. […]
Enzo Siciliano, nella sua Vita di Pasolini, scrive: "Guido amava le ragazze". E cita frasi a effetto indirizzate a una certa Wilma su un cartoncino pieno di cancellature, mai spedito. Guido aveva avuto delle ragazze?
Fino al momento in cui vissuto con noi, non mi pare. Lui e Renato erano troppo presi dalle loro prodezze. […] Dopo l’8 settembre1943 il campo di aviazione e le caserme di Casarsa furono occupati dai tedeschi. Nel campo di aviazione erano parcheggiati diversi Junker 52, trimotori da trasporto che
eccitarono l’istinto avventuroso dei due ragazzi. Eludendo la sorveglianza delle sentinelle, Guido e Renato penetravano all’interno degli aerei prelevando ogni sorta di armi: un fucile Mauser, mitragliatrici, nastri di cartucce. Un poco alla volta trasportarono il piccolo arsenale fuori dal campo e lo nascosero in una boschina. Sono stato testimone dell’impresa perché li seguivo, tenendomi però al riparo di un fossato. Erano le res gestae di ragazzi coraggiosi fino all’incoscienza tanto che Renato, in una di
queste occasioni, perse un occhio e rimase mutilato a una mano […] un continuo girotondo di rischi. Dopo il campo di aviazione di Casarsa andarono in quello di Rivis. Alcune fotografie mostrano Guido e Renato, a turno, nei pressi di uno Stukas con tanto di svastica. Le armi dovevano servire per la guerra partigiana. Una notte Guido fu prelevato dalla nostra abitazione di Casarsa da una banda di fascisti. Prima di uscire, Guido sussurrò qualcosa a mia madre. Aveva nascosto alcune armi in un buco sotto le assi del pavimento. E così le ore successivele passammo a trasportare le armi fino alla più vicina vasca di letame, dove le facemmo sparire dentro i liquami. Tornato a casa dopo giorni di prigionia e di
bastonature, Guido incaricò me e alcuni miei amici di acquistare dei barattoli di vernice. Il giorno dopo i muri di Casarsa fiorirono di scritte: "Viva Mazzini, abbasso Mussolini", oppure "L’ora ò vicina". Nelle vecchie case del paese ci sono ancora le tracce di queste scritte.
Guido sapeva che Pier Paolo era omosessuale?
Forse sì, ma non ne ha mai parlato dopo l’incidente di Bologna a cui accennavo. Credo che fosse disposto ad accettare la diversità del fratello, perché non si trattava di qualcosa di estraneo che piombava fra di loro all’improvviso. La vita di Pier Paolo, le sue amicizie, il legame con la madre, tutto predisponeva a questa rivelazione. Che non sarebbe stata una fastidiosa novità ma un dato del comportamento da mescolare con l’esistenza intima e artistica di Pier Paolo.  Il matrimonio di Carlo Alberto e Susanna non andava bene. Genitori che litigano, ragazzi che soffrono.
Un classico. Si sa che Pier Paolo aveva con il padre relazioni piuttosto conflittuali, mentre era legato alla madre in modo quasi morboso... così esclusivo da costituire una zona di luce dove tutte il resto
era confinato nell’ombra. Ombre e luci che si contrastavano fatalmente malgrado la volontà di Susanna che nel suo ruolo materno, mai avrebbe mostrato predilezioni o commesso ingiustizie verso l’uno o l’altro dei suoi figli. Ma le intenzioni non bastano. Quel che non era ammesso esplicitamente, cioè il rapporto esclusivo fra Susanna e Pier Paolo, si rivelava però con lampante evidenza agli occhi di Guido, che ne pativa. Ma anche lui obbediva, e senza lamentarsi, a quella fatalità. Da qui la sua scelta per una vita avventurosa, votata al rischio, forse desiderosa di provocarlo.
Una caratteristica che appartiene anche ad alcuni comportamenti di Pier Paolo negli ultimi anni... Ma quale considerazione avevano di Guido in famiglia, al confronto con un Pier Paolo dalla personalità così spiccata?
Il modo in cui Guido veniva considerato da vivo non ha alcuna relazione con il periodo successivo alla sua morte. Il coraggio, la sfida al pericolo, la ricerca di emozioni forti, non esclusi il patriottismo e l’anelito alla libertà, era ciò che rimaneva per spiegare la drammatica fine alla malga di Porzûs. E non è poco... Pier Paolo diceva che la morte di ciascuno di noi opera un fulmineo montaggio a ritroso della nostra vita. Guido si può definire così: un puro segno del coraggio.
Come mai fu Guido, il più giovane, a fare la Resistenza, e non Pier Paolo?
La tacita decisione che uno dei fratelli restasse a casa e l’altro partisse per la guerra partigiana fu come una somma di tutta la loro vita precedente. Spettava a Guido il rosso colore del coraggio: tutto ve lo aveva destinato, anche i conflitti intimi, il rapporto con la madre, con il fratello (che gli era stato maestro di antifascismo), con il padre, il quale, nonostante i difetti, era anche lui un uomo coraggioso. A Pier Paolo toccavano in sorte la tranquillità degli studi, la carriera letteraria e, soprattutto, la protezione dell’adorata madre. In quell’inferno che era la disperata vitalità di Pier Paolo l’azione non veniva contemplata... Una divisione di compiti così perfetta non lasciava spazio a ripensamenti, rimorsi, pentimenti. Ciascuno
dei due fratelli stava facendo la sua parte. Guido, dalla montagna, spediva lettere in cui si firmava Amelia e diceva che si era dato con molto divertimento agli sport invernali. A Pier Paolo chiedeva testi per canzoni che illustrassero il mondo partigiano, e libri di storia moderna e contemporanea, per esempio L’età del Risorgimento italiano di Adolfo Omodeo. Fra le lettere di Guido, una in particolare la dice lunga sul conto del fratello. Eccone un brano: "Il mio pensiero ritorna per una strana fissazione a Pier Paolo; anche nei giorni passati ho pensato a lui intensamente... Che cosa fa? Perché non mi scrive mai? Alle volte mi ossessiona l’idea che lui pensi a me con una certa amara ironia: ne rabbrividisco".
Sono parole che valgono più di un commento.
[…]

2. Da Pier Paolo Pasolini, Le belle bandiere. Dialoghi 1960-1965, a cura di Giancarlo Ferretti (Editori Riuniti, Roma 1977) viene proposto il brano "Mio fratello"

La lettera alla quale Pasolini rispondeva su "VieNuove", n. 28, a. XVI –15 luglio 1961 – è la seguente: 

"Caro Pasolini, mi rivolgo a lei non già per un dialogo o per esporre le mie idee e sentire poi la sua opinione: le scrivo per chiederle di illuminarmi su un avvenimento, cosa che nessuno può fare meglio di lei. La prego quindi di rispondere a questa lettera un po’ fuor del comune, anche se ciò che sto per chiederle potrà arrecarle dispiacere. Nella ricorrenza del 25 aprile, sui muri di Roma sono apparsi dei manifesti fascisti i quali, con l’evidente scopo di gettar fango sulla Resistenza, si chiedevano perché mai non si
commemorassero anche quei partigiani (e facevano alcuni nomi di quei partigiani) trucidati per ordine dell’Internazionale comunista. A questo manifesto come a tutti i manifesti ed altre notizie fasciste, avrei dato poca importanza se non fosse stato nominato fra gli altri "trucidati per ordine dell’Internazionale comunista", suo fratello. Ciò mi ha stupito e mi ha indotto a scriverle affinché voglia far conoscere a me e a tutti gli altri, la storia di suo fratello ed onorare cosi la sua memoria che hanno cercato di
infangare. Distinti saluti". Giovanni Venenzani, Roma

Non so cosa sia questa Internazionale comunista: solo la fantasia infantile e provinciale dei fascisti può immaginare siffatte entità, nebulose e nemiche, veri e propri mostri del sonno della ragione.
Non fosse che per questa orrenda genericità, il manifesto di cui lei mi parla non dovrebbe nemmeno essere preso in considerazione. Non rispondo a quel manifesto, dunque, ma a lei che mi chiede notizie del mio povero fratello con animo così amico.
La cosa si racconta in due parole: mia madre, mio fratello ed io eravamo sfollati da Bologna in Friuli, a Casarsa. Mio fratello continuava i suoi studi a Pordenone: faceva il liceo scientifico, aveva diciannove anni. Egli è subito entrato nella Resistenza. Io, poco più grande di lui, l’avevo convinto all’antifascismo più acceso, con la passione dei catecumeni, perché anch’io, ragazzo, ero soltanto da due anni venuto alla conoscenza che il mondo in cui ero cresciuto senza nessuna prospettiva era un mondo ridicolo e assurdo. Degli amici comunisti di Pordenone (io allora non avevo ancora letto Marx, ed ero liberale, con tendenza al Partito d’Azione) hanno portato con sé Guido ad una lotta attiva. Dopo pochi mesi, egli è partito per la montagna, dove si combatteva. Un editto di Graziani, che lo chiamava alle armi, era stata la causa occasionale della sua partenza, la scusa davanti a mia madre. L’ho accompagnato al treno, con la sua valigetta, dov’era nascosta la rivoltella dentro un libro di poesia. Ci siamo
abbracciati: era l’ultima volta che lo vedevo. 
Sulle montagne, tra il Friuli e la Jugoslavia, Guido combatté a lungo, valorosamente, per alcuni mesi: egli si era arruolato nella divisione Osoppo, che operava nella zona della Venezia Giulia insieme alla divisione Garibaldi. Furono giorni terribili: mia madre sentiva che Guido non sarebbe tornato più. Cento volte egli avrebbe potuto cadere combattendo contro i fascisti e i tedeschi: perché era un ragazzo di una generosità che non ammetteva nessuna debolezza, nessun compromesso. Invece era destinato a morire in un modo più tragico ancora.
Lei sa che la Venezia Giulia è al confine tra l’Italia e la Jugoslavia: così, in quel periodo, la Jugoslavia tendeva ad annettersi l’intero territorio e non soltanto quello che, in realtà, le spettava. È sorta una lotta di nazionalismi, insomma. Mio fratello, pur iscritto al Partito d’Azione, pur intimamente socialista (è certo che oggi sarebbe stato al mio fianco), non poteva accettare che un territorio italiano, com’è il Friuli, potesse esser mira del nazionalismo jugoslavo. Si oppose, e lottò. Negli ultimi mesi, nei monti
della Venezia Giulia la situazione era disperata, perché ognuno era tra due fuochi. Come lei sa, la Resistenza jugoslava, ancor più che quella italiana, era comunista: sicché Guido, venne a trovarsi come nemici gli uomini di Tito, tra i quali c’erano anche degli italiani, naturalmente le cui idee politiche
egli in quel momento sostanzialmente condivideva, ma di cui non poteva condividere la politica immediata, nazionalistica.
Egli morì in un modo che non mi regge il cuore di raccontare: avrebbe potuto anche salvarsi, quel giorno: è morto per correre in aiuto del suo comandante e dei suoi compagni. Credo che non ci sia nessun comunista che possa disapprovare l’operato del partigiano Guido Pasolini. Io sono orgoglioso di lui, ed è il ricordo di lui, della sua generosità, della sua passione, che mi obbliga a seguire la strada che seguo. Che la sua morte sia avvenuta così, in una situazione complessa e apparentemente difficile da
giudicare, non mi dà nessuna esitazione. Mi conferma soltanto nella convinzione che nulla è semplice, nulla avviene senza complicazioni e sofferenze: e che quello che conta soprattutto è la lucidità critica che distrugge le parole e le convenzioni, e va a fondo nelle cose, dentro la loro segreta e inalienabile verità.

Pier Paolo Pasolini
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3. Pier Paolo Pasolini ricordò la tragedia del fratello ucciso  nella poesia "Vittoria", (in Poesia in forma di rosa,  ora in Bestemmia, Garzanti, Milano1993)

Dove sono le armi? Io non conosco
che quelle della mia ragione:
e nella mia violenza non c'è posto
.
NEANCHE PER UN'OMBRA DI AZIONE
NON INTELLETTUALE. Faccio ridere
ora, se, suggerite dal sogno,
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in un grigio mattino che videro
morti, e altri morti vedranno, ma per noi
non è che un ennesimo mattino, grido
.
parole di lotta?
[…]
.
Se ne vanno… Aiuto, ci voltano le schiene,
le loro schiene sotto le eroiche giacche
di mendicanti, di disertori… Sono così serene
.
le montagne verso cui ritornano, batte
così leggero il mitra sul loro fianco, al passo
ch'è quello di quando cala il sole, sulle intatte
.
forme della vita - tornata uguale nel basso
e nel profondo! Aiuto, se ne vanno! Tornano ai loro
silenti giorni di Marzabotto o di Via Tasso…
.
Con la testa spaccata, la nostra testa, tesoro
umile della famiglia, grossa testa di secondogenito,
mio fratello riprende il sanguinoso sonno, solo
.
tra le foglie secche, i caldi fieni
di un bosco delle prealpi - nel dolore
e la pace d'una interminabile domenica…
.
Eppure, questo è un giorno di vittoria!

 
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