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Dossier: La strage di Marzabotto

I responsabili della strage

di Renato Giorgi

La divisione corazzata SS "Reichsfuhrer", a cui apparteneva il 16° battaglione del maggiore Walter Reder, autore della strage di Marzabotto, era comandata dal generale Max Simon. Reder lodò le SS che si erano mostrate particolarmente feroci nella truce opera.

Mentre ancora sull'acrocoro i nazifascisti infieriscono spietati, il Segretario Comunale di Marzabotto, a nome Grava, invia al
Prefetto della Provincia, Fantozzi, un rapporto sulla strage, il quale anche se incompleto e parziale, e tuttavia una denuncia
chiara e tremenda. Vi si parla infatti di "spettacolo terrificante" "tutte le case dei poderi di Sperticano, S. Martino, Casaglia,
Pioppe di Salvaro erano in fiamme. Oltre una cinquantina di donne, uomini e bambini erano stati fucilati a Sperticano. Nei tre
poderi di Colulla di Sopra, di Sotto e Abelle erano state fucilate trentatré persone; dei morti insepolti erano lungo la via che
conduce a Sibano, gettati nella 'botte' dello stabilimento di Pioppe di Salvaro, in un numero imprecisato a S. Martino, Casaglia,
Pioppe di Salvaro e Salvaro ."
II Prefetto Fantozzi non concede alcun credito al rapporto del Grava; questi allora si reca a Bologna e a voce conferma, con
aggiunta di nuovi orribili particolari, quanto ha visto e sa. Si esige da lui un secondo rapporto scritto, ch'egli si affretta a
presentare al Vice Prefetto De Vita: anche costui non vuole prestargli fede, e anzi il Grava viene minacciato di arresto.
Radio Londra, nelle numerose trasmissioni giornalmente dedicate all'Italia, parla a lungo della strage di Marzabotto e denuncia
con prove irrefutabili la ferocia e lo zelo dei nazifascisti.
Nel frattempo, i primi fuggiaschi hanno raggiunto Bologna, e raccontano inorriditi quanto è avvenuto. Raccapriccio,
costernazione e sdegno riempiono la città, lo sgomento si fa condanna, esecrazione, odio. Che dell'orrendo crimine debbano
portare la colpa non solo i nazisti ma anche i fascisti, è ampiamente noto e provato. Militi della cosiddetta Repubblica Sociale
furono guide e spie al servizio dei nazisti e pur essi massacratori nei giorni della grande strage; anche se camuffati sotto le divise
delle SS, vengono riconosciuti da molti di Marzabotto e i sopravvissuti raccontano e testimoniano. La gente di Marzabotto sa
che i fascisti locali, i piccoli gerarchi rintanati nei fortilizi delle caserme, tremanti di fronte alle selve, i calanchi e i prati
dell'acrocoro (da cui par loro di veder calare i partigiani della Stella Rossa ad ogni stormire di frasca), hanno più volte
sollecitato, invocato l'intervento dei "camerati" per sterminare la gente di là dal Reno e dal Setta ("tutti banditi", essi dicono). Di
ciò sono rimaste tracce anche in documenti letti da alcuni scampati di Marzabotto. Ma Fantozzi Prefetto Politico, De Vita Vice Prefetto di carriera, il Segretario federale del Fascio, Tebaldi, i gerarchi tutti,
vorrebbero soffocare anche i lamenti dei superstiti. Quando non è più possibile mantenere il silenzio di fronte alla pubblica
accusa, si affida al quotidiano bolognese "Il Resto del Carlino", fedele portavoce dei fascisti, l'incarico di smentire tutto, di
cancellare ogni cosa con poche ciniche righe. Ed ecco quanto pubblica il n. 243 de "Il Resto del Carlino" di mercoledì 11
ottobre 1944, anno XXII dell'Era Fascista nella "Cronaca di Bologna": "Le solite voci incontrollate, prodotto tipico di
galoppanti fantasie in tempo di guerra, assicuravano fino a ieri che nel corso di una operazione di polizia contro una banda di
fuorilegge, ben centocinquanta fra donne, vecchi e bambini, erano stati fucilati da truppe germaniche di rastrellamento nel
Comune di Marzabotto. Siamo in grado di smentire queste macabre voci e il fatto da esse propalato. Alla smentita ufficiale si
aggiunge la constatazione Compiuta durante un apposito sopralluogo. E' vero che nella zona di Marzabotto è stata eseguita una
operazione di polizia contro un nucleo di ribelli, il quale ha subìto forti perdite anche nelle persone di pericolosi capibanda, ma
fortunatamente non e affatto vero che il rastrellamento abbia prodotto la decimazione e il sacrificio nientemeno che di
centocinquanta elementi civili. Siamo dunque di fronte a una manovra dei soliti incoscienti, destinata a cadere nel ridicolo
perché, chiunque avesse voluto interpellare un qualsiasi onesto abitante di Marzabotto o, quanto meno, qualche persona reduce
da quei luoghi, avrebbe appreso l'autentica versione dei fatti".
Inutile dire che nessuno presta fede alla smentita del giornale: da tempo la gente di Bologna sa di quale verità si fa banditore " Il
Resto del Carlino".
Intanto la pubblica esecrazione incalza, e la fine della guerra, che appare ormai prossima per l'aperta rivolta dell'Italia del Nord,
per il premere degli eserciti alleati già alle porte di Bologna, mentre le vittoriose armate sovietiche avanzano entro i confini della
Germania, atterrisce fascisti e nazisti. Una delegazione nazista si reca allora dal Prefetto. Ne fanno parte il generale Werchien, il
colonnello Dollmann, il console generale von Halsen, il dottor Sacht dell'Ambasciata nazista, e altri ufficiali, che vengono ad
annunciare la sostituzione del comandante nazista a Bologna, la nomina del nuovo comandante nella persona del generale von
Senger, assicurando nel contempo la costituzione di una commissione incaricata di fare luce sul fatto "increscioso". Dopo alcuni
giorni il dottor Sacht torna dal Prefetto per riferire sui risultati dell'inchiesta. La verità, egli sostiene, e che l'alleato fascista ha
dato eccessivo credito all'allarmismo di alcuni funzionari, che con molta leggerezza hanno contribuito a mettere in cattiva luce le
truppe naziste di fronte alla pubblica opinione.
Sacht consiglia di conseguenza di prendere severi provvedimenti contro i funzionari irresponsabili, e spiega i fatti nel modo
seguente: nuclei di truppe paracadutate dell'esercito nazista sono venuti a contatto di fuoco con bande partigiane nella zona di
Marzabotto; il caso ha voluto che proprio in quella circostanza alcuni civili si trovassero frammisti ai partigiani, e
"involontariamente" è stata causata la morte di qualche donna e bambino, asserragliati nei nidi dei "banditi" . Di tale spiegazione
la Prefettura e i gerarchi fascisti sono naturalmente paghi.
Più tardi, quando ufficiali e militi nazisti, quali il generale Simon (comandante la 16° Divisione SS Reichsfuhrer), il maggiore
Reder (comandante il 16° Battaglione), e altri ufficiali e soldati degli stessi reparti, verranno interrogati dai tribunali italiani e
alleati, allora le versioni tedesche cambieranno. Il tenente delle SS Max Saalfrank dirà, per esempio, agli inquirenti alleati: "In
uno degli ultimi giorni di settembre mi fu ordinato di presentarmi al Comando tattico del maggiore Reder, dove ebbe luogo un
rapporto. Lo scopo era di darci istruzioni per un'azione contro i partigiani, divenuta necessaria in quanto la Brigata partigiana
Stella Rossa, con una forza di circa 2000 elementi, si trovava dislocata nella zona di combattimento della Divisione, fra il
Comando tattico e la linea del fronte. Furono impartiti ordini che la resistenza partigiana dovesse venire infranta senza riguardo
ai civili. Il Saalfrank giudicò gli ordini particolarmente severi, anche se giustificati, considerata la situazione".
Il generale Max Simon dirà: "...durante questa azione certamente furono uccisi donne e bambini, ma era impossibile evitare che
tra i morti non ci fossero donne e bambini.. ".
Wilhelm Kneisal, soldato della 2° Compagnia del 16 Battaglione, dice: "Come io appresi dai miei camerati, questi furono
impiegati in una azione contro i cosiddetti partigiani; fu loro ordinato di dare alle fiamme tutti i villaggi, di uccidere il bestiame e
tutti i civili, compresi donne e bambini. Il Meyer obbligò la popolazione di un villaggio, composta in massima parte di vecchi,
donne e bambini, a prendere rifugio in una chiesa. Allorché le porte della chiesa furono sbarrate, il Meyer scagliò una bomba a
mano all'interno attraverso la finestra, per far soffrire ancora di più queste persone, come egli più tardi si vantò. Il giorno dopo il
Meyer ritornò sul posto con la sua squadra e uccise a colpi di pistola le persone che avevano trovato rifugio nella chiesa, Il
caposquadra uccise di sua mano una vecchia. La sua squadra aveva incontrato questa povera donna che stava salendo verso la
collina vicina. Frach la raggiunse, le chiese se conosceva i rifugi dei partigiani. La donna rispose di no. Frach le ordinò di
continuare a camminare e poi, caricata la sua pistola mitragliatrice, da una distanza di circa 50 metri la uccise. Vorrei anche far
rilevare che gli uomini che presero parte all'azione fecero un ricco bottino. Ogni soldato stese un rapporto sul numero di
persone da lui uccise. Questi rapporti furono inviati ai rispettivi Comandi di compagnia". Particolarmente significativo l'accenno
del Kneisal ai rapporti inoltrati ai Comandi: essi spiegano perché, come riferiranno molti dei sopravvissuti, dopo i massacri di
grossi gruppi, i nazisti contavano i cadaveri: il Comando tedesco esigeva conoscere, con burocratica esattezza, il numero degli
uccisi dai singoli e dai reparti.
Si veda in proposito il compiacimento espresso dal maggiore Reder alla compagnia dell'Obersturmfuhrer Segebrecht, per
l'ottimo concorso dato nel massacro di ottocento civili, che egli definisce ipocritamente partigiani.
Julien Legoll riferisce: 'La notte dal 28 al 29 settembre 1944, la 1° Compagnia del 16° Battaglione della 16° Divisione SS
Reichsfuhrer Recce Unit, assieme al plotone mitraglieri di fanteria della 5° Compagnia, al quale appartenevo, furono adunati a
Montorio, dove noi eravamo stati accantonati per tre o quattro giorni. Il comandante della 1° Compagnia Obersturmfuhrer
Segebrecht ci indirizzò allora alcune parole dicendoci che stavamo per entrare in azione contro i partigiani e che avevamo
l'ordine di fare rappresaglia sparando indiscriminatamente su tutte le persone nelle vicinanze, qualora fossimo stati fatti segno a
fuoco mentre eravamo in marcia. Aggiunse che questi ordini erano pervenuti dal comandante del 'Recce Unit', maggiore Reder.
Furono distribuite le munizioni e poi ci mettemmo in marcia verso le ore sei del 29 settembre. La 1° Compagnia 'Recce Unit'
attaccò due case coloniche senza incontrare alcuna resistenza e tirò fuori gli inquilini: circa trenta civili in tutto, due dei quali
erano vecchi, gli altri donne e bambini. Questi civili furono allineati di fronte a un muro, su ordine dell'Obersturmfuhrer
Segebrecht. I cadaveri vennero lasciati dov'erano caduti e gli edifici dati alle fiamme. Io vidi fucilare questi civili e ciò accadde
verso le ore otto. Distavo circa 15 metri dall'ObersturmfQhrer quando lo udii dare l'ordine che fu: 'Fucilarli tutti
immediatamente'.
Dopo una marcia di circa mezz'ora, vedemmo tre donne e tre o quattro bambini che scappavano via di fronte a noi. Non
appena essi furono individuati, il sottufficiale incaricato del comando del plotone mitraglieri di fanteria, Unterscherfuhrer Wolf,
diede l'ordine di sparare su di loro. Due militari, di cui non so i nomi, corsero al loro inseguimento e li vidi sparare su di essi da
una distanza di 10-20 metri. Successivamente uno di questi militari fu incaricato di accertarsi del loro decesso, ma essi erano
tutti morti e i loro cadaveri furono lasciati a terra dove erano caduti. Ciò accadde verso le ore 8 e 30. Quindi iniziammo la
discesa sull'altro versante. Alle ore 9,30 circa, giungemmo ad una casa colonica solitaria, fuori della quale vidi due donne e tre
o quattro bambini. Senza alcun ordine, un militare della 1° Compagnia, che io non conosco, corse avanti e, dopo aver piazzato
la sua mitragliatrice a terra, aprì il fuoco e li uccise. I cadaveri vennero lasciati lì e la casa bruciata... Ritornammo sui nostri
passi. ci arrampicammo su un'altra collina e, verso le ore 15, ci imbattemmo in un piccolo gruppo di quattro civili (un vecchio di
circa settant'anni, una donna, una ragazza e un ragazzo dell'età di quattordici o quindici anni). Due militari del plotone mitraglieri
di fanteria, uno dei quali era lo Sturmann Pieltner, avanzarono senz'alcun ordine e spararono loro col fucile da una distanza di
50-60 metri. Essi furono lasciati dove erano caduti, di fronte a una casa. Nel corso della marcia il plotone mitraglieri di fanteria
aveva dato alle fiamme 15-20 edifici colonici...
Venne la sera. Alle ore 19 eravamo di ritorno a Montorio, dove ci accampammo per passare la notte. Il giorno dopo, verso le
tre e mezza o le quattro del mattino, riprendemmo il rastrellamento e per molte ore non incontrammo nessuno. Giunti di fronte a
un villaggio, aprimmo un violento fuoco contro le case. Dopo che fu dato l'ordine di 'cessate il fuoco', il plotone si avvicinò al
villaggio a normale passo di marcia allo scoperto, dato che non vi era stata risposta ai nostri colpi. Come ci avvicinammo ad
una delle case, udimmo le grida di una donna spaventata. Il sottufficiale comandante la 3° Sezione, 'Rottenfuhrer' Knappe, si
fece sotto a una finestra di questa casa e, senza guardare dentro, vi gettò una granata a mano. Quattro di noi entrarono
nell'edificio e vi trovarono una donna morta, dell'apparente età di cinquanta o sessant'anni. Senza dubbio era stata uccisa dalla
granata. Ero nel gruppo che la rinvenne.
L'intero villaggio fu poi dato alle fiamme, ma la chiesa non prendeva fuoco. Quando bruciammo queste case, i mobili furono
ammucchiati insieme, fieno e paglia stipati sotto e incendiati.
Nel caso della chiesa fu fatto un tentativo di bruciare le panche di legno, ma senza successo. Prima di provare a bruciare la
chiesa, il comandante del plotone Wolf, diede ordine di distruggere l'altare, e io, essendo cattolico, mi allontanai. Ritornai pero
in tempo per vedere che l'altare era stato spaccato e si erano fatti dei tentativi per distruggere la chiesa... Seguì un breve riposo,
che fu interrotto dall'arrivo di un gruppo di circa trenta o quaranta donne e bambini scortati da tre militari delle SS che credo
appartenessero alla 2° e 3° Compagnia del 'Recce Unit'. Essi condussero il gruppo dove noi eravamo seduti e chiesero a
Bochler che cosa si dovesse fare di loro. Bochler disse: 'Devono essere fucilati'. I tre SS se ne andarono.
Le donne e i bambini furono allineati contro il muro della casa colonica dove era stata uccisa la vecchia. Essi fecero un tentativo
di fuga, ma furono ripresi. Bochler ordinò allo Sturmann Pieltner di procedere all'esecuzione con la mitragliatrice. Udii Pieltner
mormorare, motivo per cui Bochler tirò fuori la sua pistola, sotto la minaccia della quale vidi allora Pieltner falciare col fuoco
della sua mitragliatrice le donne e i bambini. Ciò accadde fra le ore 11 e le 12. I cadaveri furono lasciati dove erano caduti e
quindi ci mettemmo in marcia per recarci al luogo di raduno, dove incontrammo la 1° Compagnia, con la quale ritornammo agli
accampamenti di Montorio. Arrivati lì, Segebrecht si rivolse alla Compagnia, plotone per plotone, dicendoci che l'azione era
riuscita benissimo e che aveva udito dal maggior Reder che ottocento partigiani erano stati uccisi e che egli, il maggiore, si
congratulava con la Compagnia per la nostra opera. Personalmente sono del parere che la maggioranza dei 'partigiani' uccisi
erano donne e bambini. Oltre ai civili fucilati, vidi cadaveri isolati e a gruppi, in numero da uno a dieci circa, disposti lungo la
linea di marcia durante i due giorni."
Appare veramente difficile, dopo aver seguito la Compagnia Recce Unit nei due giorni di marcia, giudicarne l'operato quale
frutto di momentaneo furore, di disgraziata contingenza bellica o anche di rappresaglia contro le forze partigiane: solo uomini
addestrati, preparati, resi privi di ogni umanità, potevano per due giorni, disciplinatamente, marciare tra cadaveri di donne e
bambini da essi stessi trucidati.
Walter Reder invece, il maggiore monco, che più di un superstite vide percorrere le strade dell'acrocoro guidando e compiendo
di persona i crimini, negherà sempre con cinica indifferenza; o quanto meno, costretto dall'evidenza delle prove, ammettere di
avere agito da militare per ordini ricevuti dai superiori. Ciò che non impedirà al Tribunale Militare Territoriale di Bologna di
riconoscere nel Reder il responsabile diretto della strage di Marzabotto, condannandolo all'ergastolo e alla degradazione. Non
a caso l'ordine di condurre a termine l'orrenda missione era stato impartito al Reder e ai suoi uomini. Il comandante la 16°
Divisione Reichsfuhrer generale Simon e i generali dello Stato Maggiore nazista in Italia erano perfettamente a conoscenza delle
specifiche qualità del comandante il 16° Battaglione SS in materia di massacri, per essersi serviti di lui e per averlo visto
all'opera altre volte.
A S. Anna di Stazema, in provincia di Lucca, il 16 agosto 1944, 570 erano state le vittime del Reder donne, bambini, vecchi e
l'intero paese distrutto. In località Bardine S. Terenzio e Valla, in provincia di Massa Carrara, il 19 agosto 1944, in uno scontro
con i partigiani, i nazisti perdono 16 uomini: Reder, inviato a dare una lezione, assassina 160 civili, attuando la rappresaglia di
dieci contro uno. Il 24 agosto 1944 è la volta di Vina di Massa Carrara: si distrugge completamente il paese, 150 persone
vengono sterminate, donne seviziate, feti schiacciati, vecchi impalati, bimbi lanciati in aria a fare da bersaglio alle mitraglie, gente
arsa viva. In questa occasione prestano man forte agli uomini di Reder anche undici fascisti delle Brigate Nere, in seguito
condannati all'ergastolo dalla Corte di Assise Straordinaria di Perugia. Il 16 settembre 1944, pochi giorni prima dell'inizio della
strage di Marzabotto, alle Fosse di Frigido, sempre in provincia di Massa Carrara, gli sgherri del Reder massacrano 147
persone, e 72 a Bergiola, di cui 40 arse vive nell'edificio delle scuole.
S Lucia, Gragnola, Monzone in Toscana, Casteldebole in Emilia, sono altre tappe sanguinose del cammino di Reder. Non a
caso, dunque, era caduta la scelta per l'<operazione Marzabotto>; gli Alti Comandi nazisti sapevano bene di trovare in Reder il
fedele, esatto, sistematico esecutore di qualsiasi ordine e infamia. Il maggiore Walter Reder aveva allora ventinove anni, ma era
già anziano di carriera. Nato a Freiwaldal, in Cecoslovacchia, nel 1915, figlio di un industriale austriaco fallito, aveva tratto
dall'ambiente familiare il desiderio di rivincita e di un ritorno alla ricchezza. Nel tedioso ambiente provinciale di Salisburgo, dove
la famiglia si era in seguito stabilita, aveva maturato il sogno di vedere risorgere il grande Impero sotto l'insegna del nazismo, di
cui Hitler propagandava i principi da la vicina Baviera. Aveva diciotto anni quando venne sospettato, con altri giovani, di esser
e complice nell'assassinio del Cancelliere Dollfuss. Di uomini siffatti aveva bisogno il nazismo, e il diciannovenne Walter Reder,
studente svogliato e terrorista precoce, veniva accolto, nel 1934, nell'accademia berlinese delle SS. L'accademia completò e
consolidò le caratteristiche già manifestate dal giovane, e ne usci un rappresentante tipico della "razza eletta" il quale aveva
perfettamente assimilato il comandamento di Hitler: "Dobbiamo essere crudeli, dobbiamo esserlo con tranquilla coscienza,
dobbiamo distruggere tecnicamente, scientificamente, tutti i nostri nemici".
Dirà il Pubblico Ministero maggiore Stellacci nella requisitoria al processo: Reder é un esemplare inconfondibile di quella
sottospecie umana, prodotta in serie dal nazismo hitleriano: freddo, insensibile, fanatico, pieno di ottusa alterigia, educato al
cinismo e all'odio di razza. Eppure quest'uomo, che, considerandosi esponente di una razza eletta anzi, come SS, un eletto tra
gli eletti, ha sempre guardato con tanto disprezzo i piccoli cenciosi italiani passati avanti a lui, quest'uomo che ha sempre
mostrato tanto disprezzo per la vita degli altri, quando sente che qualcosa può soffocare la sua vita, si agita, si dimena, mette
avanti altre persone, inventando centinaia di bugie... Il soldato si distingue dagli assassini perché ha il senso limite della propria
azione. La verità è questa: Reder, come altri suoi simili, appartiene a una casta militare senza scrupoli e senza morale... Questa infatti non è guerra, forse nemmeno assassinio, è qualcosa di più che non ha un nome!"
E sempre nella stessa requisitoria: "Reder è anche un traditore, avendo abbandonato l'Austria per mettersi al servizio di Hitler
prima ancora che la Germania annettesse la sua patria; è uno stupratore, per aver violato a Cerpiano delle donne, tra cui una
religiosa, è un grassatore per aver saccheggiato l'osteria di S. Terenzio; é un bugiardo per aver mentito spudoratamente al
Tribunale; infine è un SS e non un soldato. Reder, prima ancora di offendere il nostro Paese con i suoi crimini, ha offeso e
infangato il suo Paese. Non si pensi che noi oggi chiediamo la condanna del Reder perché il suo Paese ha perduto la guerra.
Noi lo giudichiamo perché l'ha condotta in un certo modo. Il fatto che il nazismo abbia perduto la guerra e semplicemente
l'occasione che ci permette di giudicare Reder e che ci si offre per punirlo.
E sarà condannato non perché è un vinto ma perché è un delinquente, perché egli ha condotto la guerra con metodi e con
spirito da delinquente, con la certezza di non dover mai rendere conto a nessuno delle sue colpe".
Il Pubblico Ministero chiederà per Reder la pena di morte. Il Tribunale lo condannerà all'ergastolo. Anche il maresciallo Albert
von Kesselring, comandante le truppe naziste in Italia, verrà condannato a morte, a Venezia, da un Tribunale militare inglese,
quale criminale di guerra. Ma la pena verrà poi commutata nell'ergastolo e in terzo tempo il maresciallo, previa richiesta di
grazia di un giudice istruttore inglese e dichiarazione di non colpevolezza da parte di un Tribunale di "denazificazione" bavarese,
verrà scarcerato. "Quello che temo" egli dichiarerà "è che la storia mi possa
rimproverare di non aver saputo utilizzare pienamente, per eccesso
di spirito umanitario, possibili tattiche che sarebbero state
vantaggiose per l'esercito tedesco". E affermerà che gli italiani gli
sono debitori di un monumento per i suoi meriti e per i servizi resi da
buon alleato. Nelle sue Memorie di guerra Kesselring scrive: "Fino al
mese di maggio 1944 la lotta contro le bande all'infuori della zona di
operazioni era riservata al comandante supremo delle SS, il quale
aveva il dominio incontrastato sulle zone dichiarate ufficialmente
infestate dalle bande. Secondo me, la lotta contro le forze armate
nemiche regolari e quella contro i partigiani costituiscono un tutto
inscindibile. La mia opinione, fortemente avversata dal Comando
Supremo delle SS, venne accolta invece dal Comando Supremo
delle Forze Armate, il che ebbe per conseguenza che al primo del
mese di maggio 1944 la lotta contro le bande nel teatro di operazioni
italiano venne affidata a me. Il comandante supremo delle SS e della
polizia fu sottoposto direttamente a me a questo riguardo; egli
doveva condurre la lotta nella sua sfera d'azione secondo le mie
direttive e sotto la sua responsabilità. Questa soluzione aveva un
leggero sapore politico, e quindi non soddisfaceva interamente dal
punto di vista militare; una collaborazione era però possibile, perché
presso il comandante supremo delle SS e della polizia venne creato un apposito Comando per la lotta delle bande che si
dimostrò adatto allo scopo".

(da "Marzabotto parla", Ed. Avanti!, 1955)













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