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Le stragi di civili in Toscana (aprile-settembre 1944)

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pallanimred.gif (323 byte) 13 aprile 1944

Partina (frazione di Bibbiena)

Badia Prataglia (frazione di Poppi)

Vallucciole ( frazione di Stia)

In questa giornata, tutta la zona dell’Appennino e pre Appennino venne sottoposta a rastrellamento da parte di unità tedesche. Anche per questo episodio, esistono versioni differenti, che confronteremo. Fermo restando che, nella zona erano presenti, già dall’armistizio, formazioni partigiane, l’azione venne decisa allo scopo di dare un esempio e di liberare la zona, diventata strategicamente importante per alcune vie di comunicazione, dai "ribelli". Secondo Ugo Jona, a Partina, Moscaio, Badia Prataglia e Vallucciole, operarono la "divisione Goering, rinforzata da contingenti di SS e della guardia nazionale repubblicana" . In realtà, l’azione fu opera di elementi della divisione paracadutisti corazzati "H. Göring", che, secondo Enzo Droandi , "operò dalle Marche al Falterona, dalle Apuane alla Liguria." Unità della Guardia Nazionale Repubblicana appoggiarono l’azione che, a detta di Droandi, fu "un attacco preordinato e studiato da tempo", e non una rappresaglia. L’uccisione di due tedeschi a Molin di Bucchio, causò, infatti, la vera rappresaglia con l’incendio di alcune case. Ugo Jona descrive il momento delle uccisioni a Vallucciole:" Sparando con ogni arma, urlando e distruggendo, gli unni di Hitler, affiancati dai traditori nostrani repubblichini, penetrano nelle case, nelle stalle e nei fienili di Vallucciole, strappano all’aperto quanti vengono trovati e sui gruppi di rastrellati viene subito aperto il fuoco e poi, con bombe incendiarie e con lanciafiamme, si appicca il fuoco ai casolari ed ai poveri corpi straziati." I caduti furono, secondo Droandi, 108 a Vallucciole e 289 in tutta la zona del Falterona. Anche Jona concorda con questa prima cifra, e aggiunge 29 nomi per Partina, 8 per Moscaio, 4 per Badia a Prataglia. Nei tre paesi ultimi citati, l’età delle vittime, pur non essendo alta, fa pensare a giovani uomini, mentre a Vallucciole, in cui furono sterminate intere famiglie, si hanno anche morti di bambini di età dai 4 anni ai 12 anni in numero di dieci, un neonato di 3 mesi e 5 giovanetti dai 14 ai 17 anni. La stessa Guardia Nazionale Repubblicana, in cui erano confluiti la Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, La Polizia Africa Italiana e gli ex Regi Carabinieri, segnalava:" G.N.R., Comando Provinciale – Ufficio 2°. Situazione politica, stralcio. Dopo il recente rastrellamento effettuato dalla G.N.R. di Firenze, Forlì e Arezzo in unione colla Divisione "Goering" e dei Nuclei della P.A. di Modena, Bologna ed Arezzo, nella zona del Casentino e della Valle Tiberina, se la situazione politica ha accennato ad un leggero miglioramento per quanto riguarda l’attività dei partigiani, si è d’altra parte aggravata per gli atti commessi dalla Divisione "Goering" contro la popolazione civile; nella zona dell’alto Casentino (Stia, Soci, Correna e Serravalle). Lo stesso Comando Tedesco della piazza di Arezzo è a conoscenza degli atti terroristici commessi i quali hanno creato un accanito risentimento contro gli alleati germanici. Interi casolari sono stati bruciati (Vallucciole, Molin di Bucchio, Partina ); donne e bambini sono stati fucilati, intere famiglie sono oggi senza tetto, senza che le autorità comunali possano adeguatamente provvedere per una loro sistemazione. " C’è da segnalare che, da metà giugno, per combattere i partigiani in Pratomagno, arrivarono i militi del III battaglione, 2° reggimento fanteria della Waffen SS italiane, e il II battaglione del 3° reggimento della divisione "Brandemburg", una unità speciale nata come formazione di commandos alle dipendenze del servizio segreto tedesco.

 

pallanimred.gif (323 byte) 13 giugno 1944

Forno (Comune di Massa)

Forno, uno dei paesi delle Apuane, venne occupato il 7 giugno 1944 dalla brigata partigiana "Aldo Mulargia", al comando di Marcello Garosi, detto "Tito". I militi della caserma della G.N.R. del posto, si arrendevano e i partigiani potevano occupare posizioni tatticamente importanti. Alcune azioni vennero portate avanti, nei giorni successivi, come la posa di mine su alcuni ponti e l’attacco a militi fascisti. Il 12 giugno, la brigata partigiana contava 450 uomini armati e altri 200 da armare. Nella notte tra il 12 e il 13, il comando della X MAS alla Spezia, inviava il battaglione San Marco a sbarramento della valle del Frigido, mentre altre unità tedesche ed italiane iniziavano un vasto rastrellamento. All’alba del 13, la cittadina di Forno venne circondata ed iniziava un violento combattimento tra fascisti e partigiani che, alla fine dovettero ritirarsi perdendo anche il comandante Garosi. Le unità tedesche, pare del reparto esplorante della 16a SS Panzergrenadierdivision del maggiore Walter Reder, bruciarono il paese e incolonnarono molti abitanti, mentre altri venivano rinchiusi nella ex stazione dei Carabinieri. I partigiani, nei combattimenti, lamentavano 70 morti e 15 prigionieri. Poi l'eccidio, che così viene descritto da Emidio Mosti:" prima del tramonto, furono prelevati settantadue giovani e trasportati a piedi, fuori del paese, in località Sant’Anna, nei pressi di una chiesetta sul pendio lungo il fiume Frigido. In paese, intanto, venti persone ferite finirono miseramente in un rogo ardente ancora dentro la caserma dei carabinieri. Fu questo l’inizio di una vera ecatombe: infatti, quasi contemporaneamente, sul ciglione del fiume, a Sant’Anna, i nazifascisti consumavano uno dei più efferati crimini. A gruppi di otto o nove alla volta, quei settantadue giovani venivano falciati da scariche ravvicinate ( circa da quattro metri) dei mitragliatori. I loro corpi straziati rotolavano sanguinanti sul greto del Frigido, da un’altezza di poco più di tre metri, in una fossa comune." Alcuni riuscirono a fuggire nascondendosi sotto i morti. Venne ammazzato anche il maresciallo dei Carabinieri di Forno, Ciro Siciliani, reo di aver fraternizzato con i "ribelli". Poi, sul cumulo dei caduti, furono gettate bombe a mano. Ad un certo punto, i tedeschi chiesero chi era vivo dentro il mucchio dei morti: uscisse fuori, lo avrebbero curato. Alcuni dei poveri innocenti alzarono la mano, e furono finiti a colpi di mitra. Il giorno dopo, il parroco don Vittorio Tonarelli, medaglia d’argento al valor militare, con grave rischio seppelliva i corpi che vennero esumati nel dopoguerra. I caduti furono 65 sul greto del fiume e 10 nella caserma.

 

pallanimred.gif (323 byte) 13 giugno 1944

Miniera di Niccioleta ( Massa Marittima)

In quei primi giorni del mese di giugno 1944, la liberazione di Roma aveva illuso molti italiani, specie i toscani, che la guerra fosse sull’orlo della fine. La miniera di pirite che la società Montecatini aveva in Val di Cecina, dava lavoro, nel momento di massima espansione, a circa 1000 operai. Diversi erano pendolari dai paesi vicini, ma la gran parte viveva nel villaggio di Niccioleta, costruito dalla società per i suoi operai. Diversi minatori avevano già collegamenti con l’antifascismo e con gli uomini della 23a brigata Garibaldi, operante nella zona. In paese, vivevano anche famiglie di minatori fascisti, che non venivano visti di buon occhio dagli altri. Il 9 giugno 1944, un drappello di partigiani entrava nel villaggio e perquisiva le case dei fascisti locali. Sull’onda di questo episodio, i minatori credettero, anche dalle notizie sulla marcia degli alleati che avevano, che fosse il momento per prendere possesso della miniera. Essi formarono una guardia civica armata, mentre i partigiani ritornavano alla macchia. Anche le dirigenze della miniera collaborarono a questa fase dell’azione, anche fornendo esplosivo ai "ribelli" della 23a brigata. Con il villaggio in mano dei minatori antifascisti, i fascisti rimasti in un primo momento, decisero di andarsene a chiedere aiuti. Pare che giunti in località Pian dei Mucini, dove era stanziato un reparto tedesco, abbiano avuto modo di avvertire le autorità che la miniera era presidiata dalle forze della Resistenza. A Niccioleta, intanto, i minatori compivano una grossa ingenuità che sarebbe costata loro molto cara. I nomi di coloro che dovevano andare a formare la guardia civica, e i turni di guardia, furono messi per iscritto in una lista conservata in uno degli uffici. I tedeschi, avuta la comunicazione, misero in movimento il III Polizei- Freiwillingen – Bataillon Italien, formato da militari italiani con ufficiali e sottufficiali tedeschi della Schutzpolizei. Il reparto era alle dipendenze del SS-und Polizeiführer Mittelitalien Karl-Heinz Bürger, e si trovava a Sansepolcro. Il battaglione, meno una compagnia, arrivò a Castelnuovo Val di Cecina il 10 giugno 1944. Dopo aver effettuato una serie di rastrellamenti nella zona, la notte del 12 giugno due plotoni della terza compagnia e soldati della quarta, guidati dal tenente Block, si diressero verso Massa Marittima. Verso le 5 e mezzo del 13 giugno, a Niccioleta, una delle guardie armate si accorse che macchine tedesche salivano verso il villaggio, e dette l’allarme. Giunti in paese, i militari italo-tedeschi cominciarono a catturare gli uomini, rinvenendo subito la nota delle guardie che nessuno aveva provveduto a distruggere. Dopo poche ore, le prime fucilazioni. Sei uomini tra i più compromessi furono uccisi a Niccioleta stessa. Verso le 21, poi, tutti i catturati, erano stati liberati solo il parroco, il dottore e tutti gli uomini con più di 55 anni, vennero portati verso Castelnuovo Val di Cecina. Lungo il tragitto, riuscirono a scappare il maresciallo dei carabinieri e un minatore. Giunti a Castelnuovo, gli ostaggi furono rinchiusi nel teatro.

 

pallanimred.gif (323 byte) 14 giugno 1944

Castelnuovo Val di Cecina (Pisa)

Per molti minatori della Niccioleta, catturati e trasportati a Castelnuovo, la giornata del 14 giugno 1944 sarebbe stata l’ultima della loro vita. Rinchiusi nel teatro, furono tirati fuori e contati alcune volte, poi rinchiusi di nuovo. Alle 17, il tenente Block, con la lista presa alla miniera, entrava nel locale e cominciava a chiamare i nomi. Venne notato che non chiamava solo quelli inseriti nella lista, ma anche altri che non c’erano. Alla fine, 79 uomini vennero portati fuori. Furono formati tre gruppi: il primo dei 79 chiamati, il secondo dei giovani delle classi dal 1914 al 1927 e il terzo dei non chiamati, circa una cinquantina. Qui si inserì un episodio sconcertante. Il tenente tedesco dette facoltà ad un fascista di Niccioleta di scegliere sei uomini che poi lui avrebbe graziato. Dei tre gruppi, i 21 giovani furono trasportati nel palazzo comunale, i circa 50 non chiamati rimasero nel teatro e i 77 chiamati , con la braccia alzate, verso le 18 vennero fatti camminare verso la campagna. Alle 19 circa, un testimone li vide transitare presso il suo podere. Fatti passare sotto una grossa tubatura dei soffioni, furono uccisi da raffiche di mitra quattro a quattro. Ritornati a Castelnuovo, i militari italo-tedeschi liberarono i cinquanta scartati e inviarono in deportazione i giovani rinchiusi nel comune, che non erano tra i fucilati. Nel dopoguerra, uno dei militari italiani che partecipò alla strage, catturato, venne processato assieme a due fascisti di Niccioleta. Ebbero trent’anni per collaborazionismo militare, ma col tempo essi usufruirono di un condono di pena

Non sono mai stati trovati, né processati, gli ufficiali e i sottufficiali tedeschi che comandarono l’operazione.

 

Il 17 giugno 1944, il comandante del Gruppo armate C in Italia, feldmaresciallo Albert Kesselring, emavana un ordine per la lotta alle bande, che non faceva che ribadire altri suoi comandi su questo argomento, con il quale in pratica assolveva da ogni responsabilità ogni ufficiale tedesco che, nella lotta contro i partigiani, avesse assunto metodi anche non conformi all’onore militare. Dopo questo documento, che venne ulteriormente ampliato e confermato dai comandanti della 14a armata Lemelsen e del I Corpo Fallschirmjäger Schlemm, ogni remora che ancora poteva sussistere in alcuni soldati ed ufficiali germanici contro i civili cadde.

 

pallanimred.gif (323 byte) 29 giugno 1944

Bucine, frazione San Pancrazio (Arezzo)

Reparti tedeschi circondano il palazzo Pierangeli dove sono rifugiate diverse persone. Fatti uscire all’aperto, mentre donne e bambini vengono radunati nella piazza del paese, gli uomini sono rinchiusi nella fattoria. Alcuni di essi rimangono nascosti nel palazzo, ma i tedeschi incendiano l’edificio e essi, per non cadere preda delle fiamme, tentano la fuga. Come in un tragico tiro a segno, i soldati germanici li centrano ad uno a d uno. 12 saranno i morti in questa prima fase. Nella cantina del palazzo, sono invece rinchiusi 62 uomini. I tedeschi li uccidono uno per volta, poi li cospargono di benzina e li bruciano. Tra di essi don Giuseppe Torelli, il parroco, Medaglia d’Oro al Valor Civile alla memoria.

 

pallanimred.gif (323 byte) 29 giugno 1944

Civitella della Chiana (Arezzo)

Si tratta di uno degli episodi più gravi avvenuto in quel giugno 1944. Esso viene ricordato anche come esempio di quella "memoria divisa" abbastanza comune in alcuni casi di strage. La sera del 18 giugno 1944, domenica, nove soldati tedeschi, forse paracadutisti della divisione "H" Göring", si avvicinano ad una casa colonica in località Madonna presso Civitella. Con fare affabile, chiedono alla padrona di cucinare per loro poi, pare che uno o due si facciano vedere in paese dove danno anche caramelle ai bambini. Dopo cena, era stata una giornata piovosa, i soldati tedeschi si diressero verso il Dopolavoro del paese, sedendosi ad un tavolo, le armi appoggiate a terra. Un gruppo di partigiani, saputo che nel paese giravano questi tedeschi, decise di tentarne il disarmo. Verso le 21, essi entrano nel locale armati. Qui le versioni divergono: chi dice che i partigiani aprirono subito il fuoco, chi invece propende per una intimazione di resa, a cui i tedeschi avrebbero reagito. In ogni caso, ci fu un conflitto a fuoco e tre tedeschi cadono a terra. Uno di essi, illeso, invece riusciva a fuggire. Nel Dopolavoro la confusione era al massimo, i civili scappavano da ogni parte e qualcuno era stato anche ferito. Dei tedeschi, due sono morti e uno e ferito. La pioggia, intanto, aveva ripreso a scrosciare terribile, mentre nel paese la paura si faceva palpabile.

Verso le 23 della notte, alla casa colonica della Madonna, arriva un tedesco che porta sulle spalle un compagno ferito. E’ lo stesso del Dopolavoro, che viene lavato e curato, poi i suoi compagni lo portano via su un camion. Al paese, intanto, quando l’alba rischiara il cielo, la popolazione scappa terrorizzata dalla rappresaglia. Nel frattempo, l’arciprete don Alcide Lazzeri, saputo dell’accaduto, decide di far lavare i due morti tedeschi rimasti nel Dopolavoro, ed organizza loro il funerale con le poche donne che è riuscito a trovare. Ma dei tedeschi ancora nessuna traccia. Il 20 giugno arriva un militare germanico, forse un medico, ad esaminare i due cadaveri che ancora giacciono nel locale di ritrovo. Assieme ad una interprete, egli ascolta don Lazzeri che rammenta le fasi dell’attacco e dichiara che i civili sono estranei a quanto accaduto. L’ufficiale accetta, come sengo di buona volontà, che i due soldati siano sepolti nel locale cimitero, e così avviene, con la partecipazione di un picchetto militare tedesco. Ma ancora le intenzioni dei soldati non sono chiare, e i paesani hanno paura a tornare. Dopo una serie di indagini, i tedeschi vanno via. Anzi, qualcuno dice ai civitellini di stare tranquilli, perché non ci saranno rappresaglie. Ma invece, la mattina del 29 giugno 1944, quando anche per la festa di San Pietro e Paolo, molti sono rientrati, unità della divisione paracadutisti corazzati "H.Göring", a cui si affiancano altri militari, pare ci siano stati anche degli italiani, circonda il paese all’alba. Tutti gli uomini vengono strappati alle case e portati sulla piazza del paese, tra essi anche don Lazzeri che offre la sua vita in cambio di quella dei civili. Non viene ascoltato: sarà ucciso con un colpo alla nuca come tutti gli altri 149 i morti, tra cui due sacerdoti. Poi, i corpi vengono gettati nelle case a cui i tedeschi hanno dato fuoco. Non contenti di questo, a causa di altri scontri con i partigiani, i tedeschi uccidono ancora in località La Cornia.

La strage di Civitella della Chiana,apre una stagione di efferatezze senza eguali. L’esercito tedesco è in ripiegamento e è ancor di più sensibile ad ogni ostacolo alla sua azione.

 

pallanimred.gif (323 byte) 29 giugno 1944

Guardistallo (Pisa)

Guardistallo, una località posta in posizione centrale, nella zona a cavallo di Monterotondo-Volterra, era strategicamente importante e per questo motivo, già da mesi, nelle sue vicinanze operava un distaccamento della 3a Brigata Garibaldi. Quel 29 giugno, la situazione militare vedeva i tedeschi in ripiegamento verso nord e gli americani della V armata che, dopo aver preso Piombino, stavano velocemente avanzando verso Cecina.Il settore di Guardistallo era di competenza di unità della 19a divisione da campo della Luftwaffe, una formazione gemella della 20a divisione che, a Pitigliano, a causa degli attacchi partigiani, aveva perduto la cittadina e una grossa fetta di fronte. Quel giorno, il distaccamento "Otello Gattoli" era in marcia dalla sua base verso Casale Marittimo. Giunti in prossimità della strada Guardistallo-Cecina, i partigiani si accinsero al passaggio, mentre erano in transito diversi mezzi tedeschi. Mentre una squadra già era passata, sulla strada arrivava una colonna del 19° reggimento artiglieria, 19a divisione Luftwaffe.Pare che i partigiani siano stati scoperti per caso da un tedesco che si era avvicinato al ciglio. Ci fu uno scontro a fuoco, che causava, per la posizione sfavorevole in cui i partigiani si trovavano, diverse perdite al distaccamento "Gattoli",che si sbandava in fuga. I tedeschi iniziavano un rastrellamento nei poderi vicini, catturando diverse persone tra i coloni. In 63 vennero fucilati presso i poderi "Brucia" e "Brucia II". Nelle carte del diario di guerra della 14a armata tedesca, a riprova dell’accaduto, viene riportata questa annotazione: 29.6.44. III/Lw. Art. Rgt. 19 vernichtete bei 42/29 82 Mann einer Bandengruppe und erbentete 1 ital. S. MG, 1 l. MG und zahlreiche Munition. ( In località 42/29, sub data Guardistallo, la III batteria del 19° reggimento artiglieria della Luftwaffe ha ucciso 82 uomini, catturando una mitragliatrice pesante italiana e una leggera e diverse munizioni). Ai caduti partigiani, i documenti tedeschi, come accadrà spesso, hanno cumulato i fucilati civili, tra cui alcune donne che non vengono citate, onde giustificare le uccisioni come "scontro con elementi di bande."

 

In totale, i caduti repertati da Ugo Jona per il mese di giugno sono 686, che vanno ad aggiungersi ai 28 di marzo, ai 52 di aprile e ai 28 di maggio. In quattro mesi, i soldati tedeschi, a cui si aggiunsero a volte i militi della Repubblica Sociale, in "Operazioni antipartigiane", avevano ucciso 794 civili italiani. E la stagione dei grandi massacri era appena all’inizio.

 

pallanimred.gif (323 byte) 4 luglio 1944

Castelnuovo dei Sabbioni, Cavriglia ( Arezzo)

Oggi, la località di Castelnuovo dei Sabbioni, proprietà privata, è chiusa al pubblico. Abbandonata dagli abitanti, ebbe un sussulto di notorietà grazie al film di Francesco Benvenuti "Ivo il Tardivo", di cui restano tracce sui muri delle case. Cinquantasei anni fa, Castelnuovo era abitato da numerose persone, diverse delle quali lavoravano alle vicine miniere.

La mattina del 4 luglio 1944, intorno alle 6,30-7,30, gruppi di militari presumibilmente della divisione paracadutisti corazzati " H. Göring", circondavano il paese e ne bloccavano le uscite. Contemporaneamente, anche il villaggio minerario in località "Dispensa" veniva rastrellato e gli uomini concentrati presso il paese. Donne e bambini ricevettero l’ordine di abbandonare il paese, cosa che fecero. Alle 9,00, circa 40 uomini, tra cui il parroco don Ferrante Bagiardi, erano concentrati ai piedi del muro della piazza IV Novembre, sulla cui sommità sorge la chiesa. Gli uomini, credendo di non avere niente da temere, erano abbastanza tranquilli, mentre ad un certo punto i tedeschi autorizzarono anche alcune donne che erano andate via, a rientrare per prendere qualche cosa di vestiario. Ma al sacerdote erano note le intenzioni dei militari, tanto che egli decide di offrire in cambio di quella degli ostaggi, la propria vita. Niente da fare. Ottenne solamente di poter dare la Comunione ai morituri. Quando tutto parve chiaro, ci furono dei tentativi di fuga di cui alcuni riuscirono. Verso le ore 9,30, da una mitragliatrice MG 42 piazzata su una pietra, partono raffiche che uccidono tutti i poveri ostaggi. Pare che alcuni testimoni, al momento delle uccisioni, abbiano udito un solo, agghiacciante, urlo di terrore scaturito dalle gole degli uccisi. Non paghi, i militari tedeschi bruciarono i corpi con benzina e legna. Oltre ai soldati della "H.G.", pare probabile l’ipotesi che a compiere l’eccidio, a cui scamparono i minatori della Dispensa, siano stati anche militai del III/ Brandeburg o della Feldgendarmerie. Settantaquattro in totale le perdite civili. Non abbiamo notizie di processi, nel dopoguerra, a responsabili della strage.

 

pallanimred.gif (323 byte) 4 luglio 1944

Meleto, Cavriglia (Arezzo)

Lo stesso mattino, altre truppe ancora, secondo alcune indagini delle forze alleate, appartenenti alla divisione corazzata paracadutisti "H. Göring", circondavano il piccolo paese di Meleto, con le stesse modalità di Castelnuovo dei Sabbioni. Allontanati donne e bambini, radunarono la popolazione maschile, con il parroco don Giovanni Fondelli., il quale, come il suo confratello, appena capite le intenzioni dei tedeschi offriva, inutilmente, la propria vita al posto di quella dei rastrellati. I militari divisero gli uomini in quattro gruppi che avviarono, a piedi, verso la zona Barberino, "Aia del Melani", Aia del Benini", "Aia del Pasquini" e "Aia del Rossini". In queste aie coloniche, e nelle capanne vicine, iniziarono le stragi. Due i superstiti. Novantatré i morti, che furono bruciati con lanciafiamme, benzina e paglia.

 

pallanimred.gif (323 byte) 4 luglio 1944

Massa dei Sabbioni, Cavriglia (Arezzo)

Continua la saga dell’orrore. Circa 15 soldati tedeschi, guidati da un giovane ufficiale che parlava italiano, arrivarono a mezzogiorno in paese. Tutto pareva tranquillo, essi consumarono il loro rancio e poi si dettero ad incendiare le case, concentrando gli uomini nella piazza della chiesa, da dove prelevano anche il parroco don Ernesto Morini e due giovani. Tutti vennero rinchiusi nella barbieria del paese. Ad un tratto, il parroco venne trascinato fuori ed ucciso in altra casa, pare a colpi di pugnale. Stessa sorte toccava ad uno dei giovani, Fortuna volle che due caccia alleati, il fronte era vicino, visti i tedeschi attaccarono con bombe e mitragliatrici, favorendo la fuga degli altri. Lo stesso giorno, a San Martino in Pianfranzese, i tedeschi uccidono altri quattro uomini.

 

pallanimred.gif (323 byte) 4 luglio 1944

Loc. Palazzaccio di Arceno, Comune di Castelnuovo Berardenga (Siena)

La zona in questione, in quei primi di luglio del 1944, vedeva le truppe della 6a divisione corazzata sudafricana prossime a raggiungerla. I tedeschi schieravano i reparti della Division Kampfschüle e del II reggimento, divisione corazzata paracadutisti " H. Göring" a cavallo del torrente Ambra, che segna il confine tra le province di Siena ed Arezzo. In quel tempo, esso segnava anche il limite territoriale tra la 14a e la 10a armata tedesca. La mattina del 4 luglio 1944, una pattuglia della Brigata partigiana "Monte Amiata" si scontrava, in modo fortuito, con due tedeschi. Nessuno dei militari ebbe ferite. L’attacco avvenne in provincia di Siena, in un podere della tenuta di Arceno. Ritornati al loro comando, sito in località in zona aretina di là d’Ambra, i due tedeschi dettero l’allarme. Subito una pattuglia di circa 15 militari si mosse, mentre venivano sparati colpi di mortaio. Incendiato un primo podere, i militari giunsero al podere Palazzaccio dove erano rifugiati diversi civili, tutti donne e bambini. Messi al muro, essi vennero uccisi a colpi di mitragliatrice. Nove furono i morti, due i superstiti. Nonostante l’ "esiguo" numero dei caduti, questo episodio è stato rubricato a parte perché si tratta dell'unica strage avvenuta in provincia di Siena, con le modalità tipiche dei massacri di civili. Anche in questa zona, una delle più belle del Chianti, nel dopoguerra si è sviluppata una memoria divisa tra chi vuole i partigiani responsabili e dell’eccidio e di non aver difeso la popolazione. In un nostro lavoro, al quale rimandiamo per ulteriori approfondimenti, ritenemmo, e lo riteniamo ancora oggi, prive di fondamento queste argomentazioni. Comunque, in provincia di Siena, sono ben 67 le persone uccise dai tedeschi che non appartenevano a raggruppamenti partigiani. In più, recenti ricerche hanno permesso di avere notizie su due altri episodi in Chianti, durante i quali si sfiorò la strage.

 

Le grandi stragi del luglio 1944 a cavallo delle province di Arezzo, la più colpita, e Siena portano alla ribalta una delle unità tedesche che più risultarono, agli occhi degli investigatori del S.I.B. inglese, coinvolte: la 1. Fallschirmjäger Panzer Division "H. Göring", guidata all’epoca dal colonnello, poi generale, Wihlelm Schmaltz. Unità di elité, la "H.G." era formata da soldati giovanissimi e politicamente ben inquadrati. Nata come corpo di polizia alle dirette dipendenze dei Reichmareschall, essa divenne via via più forte, tanto da raggiungere il Corpo d’armata nel 1945. Lasciava il fronte italiano dal 15 luglio 1944 per la Polonia, dove alcuni reparti si distinsero nei combattimenti di Varsavia nell’agosto 1944. Non risultano processi a militari di questa unità che, pare, abbiano iniziato la loro "carriera" di stragisti già in Sicilia nell’agosto 1943, quando l’Italia era ancora formalmente alleata al Reich. Terribile il loro modo di distruggere i cadaveri usando il fuoco. A questo proposito, vale la pena sottolineare come, almeno in un caso, siano stati usati lanciafiamme. Ne rivedremo alcuni nella strage di Sant’Anna di Stazzema, ma il loro impiego qui, secondo l’autore di uno dei libri più seri sull’argomento, non avvalorerebbe, anzi al contrario, la premeditazione degli uomini della 16a SS Panzergrenadierdivision che compirono la strage. A parere dello studioso, i lanciafiamme sarebbero serviti a altro scopo che non incendiare i cadaveri degli uccisi, come di fatto avvenne, in una zona in un primo momento destinata a solo allontanamento dei civili perché zona altamente strategica. Il caso di Meleto dimostra, invece, che l’impiego di tale arma era previsto in queste operazioni di sterminio.

 

pallanimred.gif (323 byte) 6 luglio 1944

Loc. "Orenaccio", comune di Loro Ciuffenna (Arezzo)

C’è un antefatto alla strage di "Orenaccio" del 6 luglio 1944. Tre giorni prima, in risposta all’attacco di un gruppo di partigiani ad un automezzo tedesco in località "Grotta", un distaccamento tedesco fucilava 9 persone innocenti. Per ordine del comando tedesco, i cadaveri vengono lasciati sul luogo della fucilazione. Quel 6 luglio, gli abitanti si accingevano a seppellirli, quando sopraggiungevano ancora i tedeschi con al seguito 10 ostaggi. Tutti i civili vennero massacrati a colpi di mitragliatrice. I morti assommarono a 31, più i nove precedenti.

 

pallanimred.gif (323 byte) 14 luglio 1944

San Polo (Arezzo)

Questa strage, benché abbia coinvolto anche dei partigiani, viene qui esaminata per le efferatezze che furono compiute sugli uccisi. La narriamo con le parole di Ugo Jona:" Nel pomeriggio del 14 luglio una lunga colonna di 48 infelici, con le vesti a brandelli o seminudi, partigiani per la massima parte, con le mai legate sul dorso con filo di ferro, lascia Molin dei Falchi e giunge a San Polo di Arezzo. I Partigiani sono rinchiusi in un locale della Villa Billi. Nel gruppo troviamo Eugenio Calò e Angelo Ricapito. Poi essi sono tradotti in un campo, costretti a scavare una profonda fossa, nella quale tutti devono scendere. Indosso a Calò, a Ricapito ed a qualche altro, vengono messi tubi di tritolo, poi i nazisti con le pale riempiono la buca e quegli sventurati sono seppelliti vivi, meno Calò, Ricapito ed altri, le cui teste affiorano dal terreno. Quindi un contatto elettrico provoca l’esplosione del tritolo e così ha termone la rappresaglia ad opera dei criminali del terzo reich! Nella mattinata del 15 luglio 1944, un ufficiale tedesco, d’ordine del proprio colonnello, comunica all’Arciprete di S. Polo che "47" (invece sono 48) uomini sono stati fucilati nel pomeriggio del giorno prima. L’Arciprete richiede le Loro Salme per la sepoltura. L’ufficiale risponde con le seguenti parole: "E’ gente morta senza onore. Quando arriveranno gli inglesi li seppellirete se li troverete: per ora no..." La rappresaglia era scaturita da una serie di operazioni militari contro i partigiani della zona di San Severo e Molino dei Falchi. La 6a divisione corazzata sudafricana, che raggiunse la zona, in una prima inchiesta dichiarava in data 21 luglio 1944:" I civili riportano che il comandante delle truppe responsabile della morte e delle mutilazioni di 48 italiani a San Polo fu Ewert. Egli è il comandante della 94a divisione fanteria. I suoi accoliti Manitz e Wog potrebbero sapere qualche cosa di questo affare." In realtà, Ewert era all’epoca comandante del 274° reggimento granatieri della 94a, inserito in un settore tenuto dalla 305a divisione fanteria. Il capitano Hans-Horst Manitz, che il giornale della divisione "Die Sachsenschwerter" del 25 ottobre 1944 ci fa sapere che ha ricevuto la "Ritterkreuz", comandava il I battaglione mentre al nome "Wog" corrisponde quello del maggiore Woock del III battaglione. I morti totali furono 58, infatti ai 48 di San Polo bisogna aggiungerne 10 di Pietramala. Prima di essere uccisi, i partigiani erano stati picchiati con tubi di gomma da irrigazione.

 

pallanimred.gif (323 byte) 17 luglio 1944

Crespino sul Lamone, comune di Marradi (Firenze)

Lunedì 17 luglio 1944, due militari tedeschi della guarnigione del posto, vengono attaccati ed uccisi da una squadra di partigiani. Subito scatta la reazione, e ha inizio un rastrellamento casa per casa della frazione di Crespino. Gli uomini sono catturati e trasportati altrove nella gran parte. Qualcuno, e anche qualche donna, viene ucciso sul posto. La chiesa

viene profanata. I prigionieri vengono massacrati a colpi di mitragliatrice, poi i tedeschi catturano l’anziano parroco, don Fortunato Trioschi, e altri due uomini già in là con gli anni. Li costringono a raggiungere il luogo dell’eccidio e gli ordinano di scavare una fossa. I tre malcapitati riescono a stento, causa l’età, a finire il lavoro. Poi i germanici fanno andar via uno dei tre e uccidono il prete e l’altro a colpi di fucile seppellendoli. Ma dal groviglio di corpi, esce un superstite coperto di sangue, e sarà lui a scrivere la testimonianza di quella atrocità. Morirà nel 1948 a causa delle tremende ferite inflittegli in quella circostanza. 42 le vittime, di cui sei non identificate. In questo elenco c’è compreso anche il superstite morto quattro anni dopo.

 

pallanimred.gif (323 byte) 22 luglio 1944

San Miniato al Tedesco (Pisa)

Come abbiamo già detto, solo il rispetto per le vittime ci ha indotto a introdurre questa strage di civili nell’elenco. A tutt’oggi, gli storici sono ancora divisi sulle cause, e le modalità di quanto accadde. Noi, qui, ci limitiamo a dire quanto segue. Il fatto: La mattina del 22 luglio 1944, molti cittadini di San Miniato, su ordine del comando tedesco in città, si radunarono in Duomo. Ad un tratto, una esplosione all’interno ne uccise 56. Nel dopoguerra, una commissione d’inchiesta venne chiamata a decidere sulle ipotesi di questa esplosione. Esse erano 1) Mina precedentemente istallata in duomo dai tedeschi. 2) Granata di mortaio tedesco sparata in Duomo. 3) Proietto di obice americano sfortunatamente entrato nella chiesa. Mentre la commissione scartava subito la prima ipotesi, sulle altre due il dibattito è ancora aperto, ma a nostro parere il ritrovamento negli Stati Uniti, da parte dell’autore di queste note, di un documento importante, il Diario di Guerra del 337° Battaglione di artiglieria da campo statunitense, della 88a divisione di fanteria, comprova che ad uccidere i civili fu un colpo, assolutamente accidentale, di obice da 105 mm. che entrò sfortunatamente nel duomo durante un cannoneggiamento.Il 22 luglio 1944, alle ore 10,30, infatti, le batterie del 337° aprivano il fuoco su postazioni di mitragliatrici MG42 tedesche, posizionate praticamente sotto la chiesa, vicinissime in linea d’aria. Esse erano state segnalate da uno degli osservatori avanzati di uno dei battaglioni di fanteria operanti in zona. Il 23 luglio, alle 22,10, il diario del reparto di artiglieria riporta che "Partigiani riferiscono che ieri qualcuno sparando presso S.Miniato ha colpito una chiesa e ucciso 30 italiani, ferendone circa un centinaio. I feriti sono all’ospedale nel punto carta 4699/5998 (ospedale di San Miniato n:d.a.) non ci si deve sparare sopra." Ovviamente, questa annotazione sfata la leggenda che gli americani seppero della strage solo quando entrarono in città, il 24 Luglio, e l’ipotesi della mina o del colpo tedesco. E’ evidente a chiunque che, se i partigiani avessero detto che ad ammazzare i civili era stato un proietto tedesco, al posto di "someone shooting" sarebbe stato usato "German shooting", non potendo certo farsi sfuggire una simile notizia ai fini della propaganda.

 

pallanimred.gif (323 byte) 24 luglio 1944

Empoli (Firenze)

Il 23 luglio 1944, con il fronte di guerra molto vicino, una auto tedesca stava percorrendo una strada vicinale in località Pratovecchio, alle porte di Empoli. Per cause ancora non ben chiarite, durante uno scontro a fuoco con uomini armati, alcuni soldati caddero uccisi. Uno, ferito gravemente, riusciva a raggiungere il suo comando in località Terrafino dando l’allarme. Subito, il reparto tedesco imbastiva una azione di rastrellamento e catturava un gruppo di uomini, molti dei quali sfollati dalla città, presenti in zona. Una trentina di essi venne inviata sotto scorta, verso Empoli. Un primo tentativo di fucilazione nei pressi del posto dove c’era stato l’attacco, venne sventata dall’intervento della ricognizione aerea alleata che, vista questa lunga colonna di persone, chiese l’intervento dell’artiglieria. Durante il tragitto del viaggio, che era ripreso, alcuni uomini riuscirono a scappare. Giunti in centro Empoli, in piazza Francesco Ferrucci, i 30 superstiti furono fatti mettere tra alcuni alberi. Seguiva una concitata serie di eventi. Mentre i tedeschi aprivano il fuoco con armi automatiche, uno degli ostaggi riusciva fortunosamente a fuggire benché ferito. La città, in quel momento, era deserta perché gli abitanti erano, in gran parte, sfollati. Sulla piazza rimasero 29 corpi che furono pietosamente raccolti dal proposto don Ascanio Palloni. Si presume che autori di questa strage siano stati soldati della 3a Panzergrenadierdivision, probabilmente del Pionier Bataillon, che aveva la responsabilità del settore.

 

Nel solo luglio, le perdite tra i civili per mano di soldati tedeschi o della Repubblica di Salò, ammontano a 788 unità, di cui 341 sono gli uccisi nei grandi massacri e 447 in altri casi. Come si vede, la cifra sfiora quella dei quattro mesi precedenti, ma per un solo mese. La provincia martire è sicuramente quella di Arezzo. In totale, le perdite civili assommano a 1.582 persone. Cominciava agosto, ancor più apportatore di sciagure.

 

pallanimred.gif (323 byte) 1 agosto 1944

Pisa città

In questo primo giorno di un mese che vedrà altre grandi stragi in Toscana, nel centro di Pisa si verificava un episodio tra i più tragici della occupazione della città. In via S. Andrea, veniva ucciso, assieme a altri sei ebrei e cinque cristiani, Giuseppe Pardo-Roques, presidente della Comunità Israelitica di Pisa. Secondo recenti studi, egli venne ucciso da militari delle SS di stanza in zona. Grazie ad una carta della 16a SS Panzergrenadierdivision, oggi sappiamo che in quel periodo Pisa era sotto la giurisdizione del II battaglione del 36° reggimento SS Panzergrenadier. Alcuni militari, pare su indicazioni di un italiano, si recarono a casa del presidente, forse per estorcere le ricchezze di cui si favoleggiava fosse pieno l’appartamento. Rinchiuse le 12 persone in una stanza, li ammazzarono con bombe a mano e mitragliatori. Dopo la loro partenza, i frati di un vicino convento accorsero per portare aiuto, ma trovarono solo cadaveri e feriti gravi che morirono poco dopo. Secondo alcuni dati pubblicati dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano, gli ebrei uccisi in Italia dai tedeschi in varie circostanze assommano a 292.

 

3 –4 agosto 1944

Località varie comune di Zeri (Massa)

In seguito al ritrovamento, nella canonica della parrocchia della località " Adelano" di oggetti di vestiario e di soldati americani paracadutati sullo Zerasco, i tedeschi uccidevano il parroco. Iniziava subito una azione di rastrellamento del comune e in varie località venivano uccisi 19 uomini, tra questi due sacerdoti Don Eugenio Grigoletti, parroco di Adelano, e don Angelo Quiligotti, docente del Seminario Vescovile di Massa.

 

pallanimred.gif (323 byte) 5 agosto 1944

Quartiere Castello, Firenze

Da un giorno, nei quartieri d’Oltrarno, erano arrivati i soldati della 6a divisione corazzata sudafricana che, assieme ai partigiani, stavano ripulendo la zona da tedeschi e fascisti. I paracadutisti della 4a divisione del generale Heinz Trettner si erano ritirati di là d’Arno e tenevano i quartieri del centro. La sera del 5 agosto, sette militari germanici, forse appartenenti al reparto Genio della 4a divisione paracadutisti, entrarono in una casa di civile abitazione e tentarono di violentare una donna. La sua reazione faceva partire un colpo dalla pistola di uno dei soldati, che ne feriva un altro. Usciti dalla casa e raggiunto il loro comando, essi dichiararono di essere stati assaliti dai partigiani. Subito veniva imbastita la repressione. Circa alle 22,00, i civili che da tempo si erano rifugiati nel vicino Istituto Farmaceutico Militare, udirono delle esplosioni che facevano scardinare i cancelli. Entrati nel posto, dopo lancio di granate fumogene, i tedeschi prelevavano dieci uomini che venivano fucilati all’istante. Due erano morti in precedenza a causa dei colpi sparati dai paracadutisti tedeschi, portando a 12 il totale dei caduti.

 

pallanimred.gif (323 byte) 11 agosto 1944

Loc. "La Sassaia", comune di Massarosa (Lucca)

In questo luogo, dopo essere stati catturati in provincia di Pisa, vennero fucilati 59 uomini e una donna. Essi erano stati catturati dalle SS della 16a SS Panzergrenadierdivision e portati nella loro prigione a Nozzano Castello, sede del comando divisione, dove erano stati sottoposti a tortura. Vennero fucilati con l’accusa, infondata, di essere sostenitori dei partigiani o addirittura di aver sparato contro militari tedeschi.

 

pallanimred.gif (323 byte) 12 agosto 1944

S. Anna, comune di Stazzema, (Lucca)

Si tratta della strage più grossa compiuta dai tedeschi in Toscana. Sant’Anna, con le località prossime, si trovava, in quella estate del 1944, a cavallo di una zona che, per il comando del Gruppo armate C tedesco, doveva divenire di una importanza strategica notevole. Una serie di linee di difesa, che si sarebbero unite con la famosa Gotica, con l’intento di bloccare l’avanzata alleata. In zona erano presenti distaccamenti partigiani, e per questo motivo i tedeschi imbastirono diverse azioni contro i "ribelli", in quella che essi denominavano "Sperr-Zone" ovvero zona di sicurezza. Ma, al momento della strage, i partigiani non erano più presenti in quella zona. Su Sant’Anna, per anni si sono avute informazioni inesatte e bisogna anche dire che, tra le stragi italiane, questa è stata una delle più "dimenticate" dalle istituzioni. Il massacro era stato preceduto dalla uccisione di don Fiore Menguzzo a Mulina di Stazzema, assieme ad altri 11 infelici, con l’accusa di aiuto ai partigiani. La mattina del 12 agosto, all’alba, reparti di SS, la zona era sotto la giurisdizione della 16a SS Panzergrenadierdivision dello SS Brigadeführer Max Simon, accerchiarono tutte le località attorno a Sant’Anna. Dopo alcune ore, iniziarono i massacri. Una gran parte di civili venne ammassata davanti alla chiesa e uccisa, tutti donne e bambini e il parroco don Innocenzo Lazzeri. Con i lanciafiamme, ammassati gli arredi della chiesa sui corpi, essi furono bruciati. In località "Coletti" una donna, Genny Marsili riuscirà a salvare il proprio figlio inserendolo nel camino di una cucina. Quando le SS stanno per ucciderla, assieme ad altri, essa lancia uno zoccolo sui soldati a mo’ di sfida. Poi cade morta e la casa incendiata. Alla fine del massacro, i paesetti vennero tutti incendiati. Nel dopoguerra, il maggiore Walter Reder, comandante della 16. SS Aufklarungs Abteilung, venne processato per questo ed altri fatti. Fu assolto, e questo ha sempre suscitato polemiche a non finire. In realtà, i giudici avevano ragione. Oggi sappiamo, grazie all’apertura di archivi, che ad ammazzare furono soldati della 5a compagnia, II battaglione, 35° reggimento Waffen SS, tra i quali c’erano alcuni italiani. Reder, almeno lì, non c’era. Si è avanzata una diversa ipotesi da parte dello storico Paolo Paoletti, sulle cause della strage. Egli propende per una azione tedesca che, inizialmente, avesse lo scopo di far sfollare dalla zona di sicurezza i civili. Un colpo di fucile, partito da una casa e che aveva ferito un tedesco, o due episodi simili, avrebbero innescato il massacro. Diverse, e molte valide, sono le cose che lo storico porta a sostegno della sua tesi. Anche l’impiego di lanciafiamme, secondo lo storico, dimostra che si era lì per far sfollare e bruciare le case. In realtà, questa è una delle poche cose della sua ricostruzione, che non ci convince. Abbiamo visto come già in un caso, i tedeschi abbiano bruciato corpi col lanciafiamme. C’è divergenza anche sul numero dei morti: 560 per chi avvalora la tesi della strage preordinata, e 362, più 13 di Capezzano, nell’elenco stilato, ma che giudica approssimativo, da Paoletti. Noi, che non abbiamo mai dato dei giudizi su quanto è stato scritto e detto sulle stragi fino a questa del 12 agosto, ci permettiamo di concordare, per il modo con cui ha condotto la ricerca, con lo storico fiorentino. Restano quei morti, il numero non conta, e la giustizia che da anni questo caso richiede. Nella stessa giornata, le SS che se ne andavano da Sant’Anna, scendendo verso Valdicastello , catturarono tutti gli uomini e uccisero 14 giovani. Il Comune di Stazzema ha avuto la Medaglia d’Oro al Valor Militare con questa motivazione:" Vittima degli orrori dell’occupazione nazista, insigne, per tributo di sofferenze, fra i Comuni della Regione, riassume, nella strage di 560 fra i suoi cittadini e rifugiati di Sant’Anna, il partigiano valor militare e il sacrificio di sangue della gente di Versilia che, in 20 mesi di asperrima resistenza all’oppressore, trasse alla guerra di Liberazione il fiore dei suoi figli, donando alle patrie libertà la generosa dedizione di 2.500 partigiani e patrioti, il sacrificio di 200 feriti ed invalidi, la vita di 118 caduti in armi, l’olocausto di 850 trucidati. Tanta virtù di popolo assurge a luminosa dignità di simbolo, nobile sintesi di valore e di martirio di tutta la Versilia, a perenne ricordo e monito. Versilia, settembre 1943 -–aprile 1945"Oggi, a Sant’Anna, le vittime del massacro sono ricordate dal Mausoleo- Ossario e da un museo.

 

pallanimred.gif (323 byte) 19 agosto 1944

Frazioni di Valla e San Terenzo Monti, comune di Fivizzano (Massa)

I due eccidi ebbero un precedente. Il giorno 17 agosto, un camion con 20 soldati delle SS della 2a compagnia , 16° SS Panzer Abteilung, e un geniere del 16° SS Pionier Battalion, tutti della 16a SS Panzergrenadierdivision, mentre si recava a far razzie nel paese di Bardine San Terenzo, veniva assalita da una squadra di partigiani. 16 SS restavano sul terreno, uno, ferito gravemente, decedeva in seguito. I superstiti avvertivano il loro comando. Subito, un distaccamento tedesco iniziava a rastrellare la frazione, uccidendo alcune persone. Nei giorni seguenti, molti paesani scappavano rifugiandosi nella vicina frazione di Valla, credendo di essere al sicuro. La mattina del 19 agosto 1944, la 16. Aufklarungs Abteilung del maggiore Walter Reder arrivava in zona, assieme ad un reparto della Feldgendarmerie della divisione. 53 ostaggi che erano stati rastrellati in Versilia e a Valdicastello, furono uccisi accanto al camion delle Waffen SS distrutto dalle fiamme il 17 agosto. I poveretti furono impiccati con filo di ferro. Mentre accadeva questo, Reder ed alcuni ufficiali mangiavano e bevevano nella osteria di Bardine. Nel frattempo, il suo reparto aveva circondato la frazione Valla e ne aveva tradotto gli abitanti, e quanti vi si erano rifugiati, in una casa colonica. Poi, a colpi di mitra li uccidono. Il più vecchio aveva 77 anni, il più giovane 12 mesi. I morti furono 109, si salvò una bimba di nove anni, ferita, rimasta sotto il mucchio dei cadaveri. Tra i fucilati, la moglie e i cinque figli dell’oste di Bardine che, nel mentre essi morivano, dava da mangiare e bere a Reder e i suoi ufficiali.. Anche il Comune di Fivizzano ha avuto la Medaglia d’Argento al Valor Militare, con le seguente motivazione: " Durante l’occupazione nemica, la città di Fivizzano opponeva al tedesco invasore la fiera resistenza dei suoi figli, accorsi in gran numero nelle formazioni partigiane. Assai dura e sanguinosa fu la lotta contro la barbarie. Sul campo dell’onore caddero 36 partigiani, numerose le case distrutte, gli incendi, i saccheggi di vastissime proporzioni, feroci le rappresaglie; 401 le vittime innocenti, durante i rastrellamenti. Il popolo di Fivizzano seppe offrire alla Patria, per la sua rinascita, per la sua indipendenza e la libertà un grande tributo di sacrificio e di sangue. Fivizzano, settembre 1943 – aprile 1945."

 

pallanimred.gif (323 byte) 23 agosto 1944

Territorio del Padule di Fucecchio (Firenze)

Dal luglio 1944, lungo la linea dell’Arno, nel settore che andava da Santa Maria a Monte (Pisa) a Fucecchio (Firenze) si erano istallati i reparti della 26a divisione corazzata, agli ordini del generale Peter Eduard Crasemann. Con i tedeschi, i rapporti erano da subito difficili. Nella vasta zona denominata "padule di Fucecchio", posta a cavallo delle province di Firenze e Pistoia, si era riversata una gran massa di popolo, per cercare di sfuggire alla guerra. In questa zona, erano presenti anche circa 40 partigiani della "Silvano Fedi" con sede a Ponte Buggianese. Le azioni di questi combattenti, pur non essendo di grossa rilevanza militare, tenevano in allarme i tedeschi. Il 21 agosto 1944, alcuni partigiani assalivano e ferivano un tedesco in una zona interna della palude. Egli, con altri tre, era venuto a razziare con un camioncino. Il 23 agosto, nel diario della 14a armata tedesca, si legge: " Situazione bande. Nell’area 136/37 (Banditelle, fra Tobbiana e Vaiano) dovrebbe trovarsi, secondo l’informazione di un confidente, un raggruppamento di bande di forza di circa 2-300 uomini, in attesa di ordini da parte inglese per riunirsi ancora nella zona collinare a nord di 138/53 (Empoli) e 124/38 (Signa) e piombare alle spalle delle truppe tedesche in concomitanza con l’avvicinamento del nemico." Un soldato della 26. Panzer, ha scritto recentemente che la stessa notizia venne captata alla radio, in italiano, da un sottufficiale tedesco che parlava bene la nostra lingua. Fatto si è che il comando divisione dette ordine di imbastire una operazione antipartigiana, alla quale avrebbe partecipato la 26. Aufklarungs Abteilung del capitano di cavalleria Josef Strauch, ed altre unità. La mattina del 24 agosto iniziava l’azione, che secondo alcuni terminò al pomeriggio inoltrato, mentre i tedeschi propendono per mezzogiorno. I morti furono 175, tra cui un solo partigiano. I reparti tedeschi si resero subito conto di uccidere civili, ma continuarono lo stesso. Il comando 14a armata dichiarava, in un primo rapporto in data 24 agosto :" Situazione bande: Il 23 agosto, a seguito di operazione contro bande partigiane nell’area 138/24 (padule) circa un centinaio di civili sospetti sono stati uccisi. Ad un nostro gruppo è stato sparato da una casa ad opera di donne." Quest’ultimo episodio venne portato a discolpa dell’accaduto dal tenente Tillmann, uno degli ufficiali più tristemente noti tra quelli del 26° reparto esplorante di Strauch, per giustificare le sue malefatte. Tillmann non è mai stato processato. Il comandante Crasemann, al suo processo dopo la guerra, dichiarava di aver messo su una corte marziale militare per stabilire i fatti. Ma la divisione, dopo un giorno, partiva per il fronte dell’Adriatico e nessuno, ammesso che si intendesse farlo, fu punito. Anzi, in una dichiarazione spontanea rilasciata dopo la guerra, Kesselring disse di considerare il fatto di Fucecchio niente più delle" chiacchere da caserma". Crasemann e Strauch, processati nel dopoguerra, furono condannati a pochi anni di prigione. Pare, così dice il reduce tedesco, che il primo sia morto il 29 aprile 1950 nel penitenziario di Werl.

 

pallanimred.gif (323 byte) 24 agosto 1944

Fraz. Vinca, Comune di Fivizzano (Massa)

Dopo l’azione di Valla, il comando della 16a Waffen SS Panzergrenadier, unito a militi della Brigata Nera di Massa, organizzava una operazione antipartigiana nella zona di Vinca, ritenuta una base partigiana. Alla azione, avrebbe partecipato, secondo la ricostruzione che lo stesso Reder fece al suo processo, l’intero 16° reparto esplorante da lui comandato, più altre unità della 16a SS e soldati dell’esercito. La Manovra di accerchiamento di Vinca, e delle piccole località attorno, iniziava la mattina del 24 agosto. Da subito, numerose furono le atrocità delle Waffen SS. Il giorno dopo, il comando della 14a armata scriveva:" In operazione anti – bande in corso in zona 143/50-51-52-64 circa 200 morti nemici e oltre 1.000 prigionieri. Bruciati numerosi centri abitati e molti casolari isolati. Distrutti numerosi magazzini di munizioni più consistenti e altri più piccoli. Nostre perdite:8 feriti." Già questo numero di "perdite" tedesche, a fronte di quelle dei "nemici" dovrebbe far riflettere: non di "partigiani" si trattava, ma di civili inermi, considerati, tuttavia, nemici dai tedeschi. I fatti orrendi continuarono per tutto il 25 agosto 1944. Il 26, la 14a armata segnalava:" Conclusa operazione anti-bande nella zona 143/50-51-52-64 (zona Vinca n.d.a.). Fino a ora si sono presi 1.480 appartenenti a bande, aiutanti o sospetti di complicità.332 banditi ammazzati in combattimento. Fatti saltare 5 magazzini munizioni grossi e 37 piccoli. Catturata una quantità di mitragliatori americani, fucili e munizioni. Distrutti due quartieri generali delle bande e sequestrato qui abbondante materiale cartografico e documenti. Distrutti 600 casolari isolati e alloggi per bande, come anche 17 villaggi nella zona di Monte Sangro, tra i quali il campo principale di Vinca." In questo "campo principale" e negli altri, trovarono la morte 26 bambini da 0 a 14 anni, 37 giovani tra i 15 e i 30 anni, tra cui il parroco don Luigi Janni, 57 donne oltre i 30 anni e 54 uomini oltre i 30 anni. In tutto 174 martiri innocenti.

 

pallanimred.gif (323 byte) 29 agosto 1944

Ponte di Ripafratta, comune di San Giuliano Terme (Pisa)

24 uomini, tra cui il parroco di Bargecchia don Giuseppe del Fiorentino, e una donna che erano stati catturati in precedenza dai tedeschi, furono uccise e gettate in una fossa che si trovava presso questa località. Con questo eccidio, l’ultimo con un cospicuo numero di caduti, concludiamo il mese di agosto del 1944.

 

Il mese di agosto, uno dei più tragici di quella lunga estate, contava 471 cadaveri in uccisioni sparse o in gruppo, e ben 1.012 nelle grandi stragi, per un totale di 1.483 morti. Se si aggiungono i 198 di chi vuole, per Sant’Anna di Stazzema, la cifra di 560 caduti, si raggiungono i 1.671 deceduti per mano tedesca o di soldati della Repubblica di Salò. Questo numero(1.483) supera di ben 695 unità la cifra di luglio, a dimostrare come questo mese sia stato uno dei più duri. Si era solo spostato l’epicentro del dramma: da Arezzo a Massa e Carrara. In totale, i tedeschi avevano ucciso 3.065 persone.

 

pallanimred.gif (323 byte) 2-4 settembre 1944

Loc. "Pioppeti", comune di Camaiore (Lucca)

Il secondo giorno del mese di settembre, mentre su tutta la linea dell’Arno i reparti alleati riprendevano la loro marcia in avanti, un distaccamento partigiano assaliva un camion di tedeschi, di cui alcuni rimanevano uccisi. Scattava la rappresaglia e, il 4 settembre, 35 uomini fino ad allora reclusi nel "Capannone di Nocchi", venivano condotti in località "Pioppeti" ed uccisi con raffiche di mitra e, alcuni , mediante impiccagione con filo di ferro spinato.

 

pallanimred.gif (323 byte) 2- 10 settembre 1944

Certosa dello Spirito Santo, comune di Farneta (Lucca)

Si tratta di uno dei più spaventosi eccidi compiuti dalle truppe tedesche in danno di Ecclesiastici. La Certosa, fondata nella metà del Trecento da Gardo di Bartolomeo Aldibrandi, ricco mercante di Lucca, era, dall’inizio della guerra, stata raggiunta dai monaci di molte nazioni. In vero spirito cristiano, tutti gli abitanti, laici o religiosi, della Comunità, dopo l’8 settembre 1943, si dettero ad aiutare chi più ne aveva bisogno. Fin dall’estate 1942, anche i capolavori della Pinacoteca Comunale e della Scuola d’Arte erano stati rifugiati in Certosa. Addirittura, il Padre Procuratore Generale dell’Ordine, Dom Anatolio Maubon, aveva conservato in casa sua a Roma, uno schedario intero di ebrei nascosti in varie parti della capitale. Anche con le autorità tedesche, visto che diversi padri erano tedeschi o svizzeri, non c’erano mai stati problemi, almeno fino all’arrivo delle Waffen SS della 16a Panzergrenadierdivision. Addirittura, nei mesi del grande ripiegamento, i monaci aiutarono diversi miloitari tedeschi stanchi ed affamati. Con l’avanzare del fronte, le cose peggiorarono. Diversi sfollati di altre città, tra cui il podestà di Lucca e il questore di Livorno, vennero a stabilirsi tra le antiche mura. Ma, come dice il Carducci " Fuori stridea per monti e piani il verno de la barbarie": alle 11 e un quarto, con l’inganno diverse SS entrano in Certosa e, con la scusa di cercare armi, che i monaci non avevano, si danno a perquisire i locali. Poi, al mattino, tutti deportati verso ignota destinazione. Furono trasportati al Capannone di Nocchi, civili e religiosi, alcuni di questi senza l’abito dell’Ordine: Tutti accusati di connivenze con vari enti o persone contrari ai tedeschi. Dopo il primo eccidio ai Pioppeti, il 6 settembre 1944 e nei giorni successivi, in diverse località della zona di Lucca, vengono fucilati i prigionieri, tra cui i Monaci della Certosa, prelevati dal Castello Malaspina di Massa dove, dopo il 6 erano stati reclusi. !6 certosini si erano dichiarati disposti al lavoro, e 10 di essi partirono per la Germania mentre 6, più anziani, furono liberati grazie al Vescovo di Carpi perché, dopo Massa, erano stati portati al campo di transito di Fossoli. Il 12 settembre, altri sei Padri, grazie al Vescovo di Massa, poterono essere liberati. I morti, in totale, furono 35 tra questi molti i religiosi. Il comando della 14a armata tedesca, nel rapporto giornaliero del 3 settembre 1944, dichiarava: "Situazione delle bande. Nel periodo fino al 30.8., la 16a divisione granatieri corazzati delle SS ha procurato all'impiego di manodopera 10.190 uomini. Il priore del monastero certosino a Nord-Ovest di Lucca è stato trovato colpevole di contrabbando di armi, concorso in diserzione e favoreggiamento dei partigiani. Durante il superamento del monastero nella notte tra il 1 e il 2 . 9. Vi si sono rifugiati oltre 50 banditi. 35 monaci sono stati arrestati come complici."

 

pallanimred.gif (323 byte) 3-4-5 settembre 1944

Pescia (Pistoia)

Il pomeriggio del 3 settembre 1944, presso Pescia venivano uccisi dai partigiani due soldati tedeschi. In risposta, a sera, 6 uomini detenuti nelle locali carceri venivano impiccati presso il ponte di San Francesco. Il 4 settembre, il comandante del reparto tedesco in città, avvertiva che alle ore 13 tutta Pescia, per rappresaglia, sarebbe stata data alle fiamme. Intervenne il Vescovo Mons. Simonetti che inviava una lettera all’ufficiale, in cui diceva:" Onorevole comando superiore tedesco, l’umile sottoscritto, ottantaquattrenne, da trentacinque anni vescovo di Pescia, ardisce fare appello alla pietà dell’animo vostro perché sia risparmiata alla città la minacciata distruzione. Attesto che tutta la cittadinanza protesta sinceramente contro gli atti consumati. Allego copia delle preghiere che si fanno concordemente perché sia risparmiata la vita umana che è sacra. Per quanto vi è caro, degnatevi di usare clemenza e risparmiare tante rovine e tanti lutti a una cittadina che ha sempre mantenuto un contegno irreprensibile e che detesta l'odiosa offesa alla vita umana fatta isolatamente senza legittima autorizzazione. Coi sensi di ossequio e di fiducia. Angelo Simonetti, vescovo di Pescia." Il nobilissimo gesto del vecchio Pastore, si scontrava ormai con la realtà della guerra: da una parte i partigiani, i quali erano legittimati al combattimento dal Governo Italiano del Re, dall’altra i tedeschi che si vedevano attaccati da quelli che erano civili, e che adopravano le regole di una conflitto spietato. Il testo tradotto della supplica, venne portato personalmente dal Vescovo al capitano tedesco che, chiamato il suo comando a Lucca, sospese la distruzione della città ma diede ordine di continuare la caccia all’uomo. Presso Collecchio furono fucilati i primi: 2 uomini, padre e figlio. Poi, i catturati, furono condotti nel carcere mandamentale. Alcuni furono rilasciati. Il giorno 5 settembre 1944, dopo che il Vescovo aveva tentato, inutilmente, di parlare col capitano tedesco, 9 di essi furono impiccati in Viale Garibaldi. In tutto, 17 morti inutili.

 

pallanimred.gif (323 byte) 10 settembre 1944

Loc. "Moggiona", comune di Poppi (Arezzo)

Su ordine delle truppe tedesche in ripiegamento, i civili dovevano sfollare verso Camaldoli o in paesi del versante romagnolo. Molte sono le persone che dovevano adempiere a quest’ordine, di varie età. Solo in quattordici chiedono, con vari pretesti, di rimanere nella frazione di Moggiona, e i germanici acconsentono. Poi, con una scusa, al momento di ripiegare, li concentrano in una cantina e ne ammazzano 11 a colpi di mitra. Altri 8 li uccidono in loc. Corniolino, mentre se ne stanno andando. Tra questi ultimi, tre bimbi di 10 mesi, 4 anni e 10 anni.

 

pallanimred.gif (323 byte) 16 settembre 1944

Fraz. Bergiola Foscalina, comune di Carrara (Massa)

Nel primo pomeriggio, un soldato tedesco venne ucciso e il comando militare di Carrara disponeva subito la rappresaglia in zona di Bergiola Foscalina, da dove pareva fosse partito il colpo. Questa strage ha le modalità che preannunciano quella del Monte Sole, comunemente nota coma di Marzabotto. I paesani, infatti, riuscirono a nascondersi nei boschi, ma vecchi, donne e bambini rimasero, non facendo in tempo a scappare. I tedeschi, a cui pare si aggreghino militi della Repubblica di Salò, rinchiusero circa 30 persone nelle scuole, le uccidono sparando dalle finestre e lanciano dentro delle bombe a mano. Poi, incendiano tutto. Un episodio simile avvenne in una vicina casa colonica. Alla fine si conteranno 28 salme di bimbi e giovanetti dai 3 mesi ai 17 anni, 43 tra donne ed uomini.

 

pallanimred.gif (323 byte) 16 settembre 1944

Fosse del Frigido, Comune di Massa

I tedeschi, dopo aver sostituito il personale italiano nella gestione del carcere di Massa nel Castello Malaspina, nell’imminenza del fronte, sgomberavano, con un pretesto, tutte le celle dove erano rinchiusi 162 carcerati, in parte per motivi politici in parte provenienti dal carcere penale sgombrato in precedenza. La mattina del 16 settembre, i militari, facendo credere a tutti che ci si doveva trasferire per l’imminenza della linea di battaglia, trasportarono 159 prigionieri presso Santa Chiara e poi, con camion, lungo l’Aurelia fino al Ponte sul Frigido. Qui, ordinavano a tutti di scendere e di entrare in tre crateri fatti dalle bombe in precedenti attacchi al ponte. Vennero tutti ammazzati e ricoperti con un poco di terra. Tra i cadaveri, persone di tutta Italia e di tutta Europa, nonché libici, detenuti.

 

pallanimred.gif (323 byte) 28 settembre 1944

Fraz. Pianosinatico, comune di Cutigliano, (Pistoia): 11 morti

 

Con questa strage di 11 ostaggi, tra cui un ebreo, si concludeva il mese di settembre, che aggiungeva alla tragica lista ben 557 nomi, raggiungendo uno spaventoso totale di 3.622 persone, numero ovviamente approssimativo, per i tanti ignoti e i tanti episodi di cui non siamo a conoscenza, nonché molte uccisioni individuali per futili motivi. Le province più colpite, in questo settembre, sono quelle a cavallo della linea difensiva Gotica, con qualche tragico colpo di coda nell’Aretino.

Si conclude qui il nostro lavoro, che ha ripercorso, grazie a documenti e a volumi, tra cui prezioso perché unico tentativo di dare una cronologia ai fatti, pur con qualche errore, quello di Ugo Jona, il tragico periodo delle stragi in Toscana durante l’ultima guerra. Molto ancora c’è da studiare e scrivere, ma il nostro intento era solo quello di dare a tutti una fonte di riflessione e di possibili approfondimenti. Nel numero del 9 novembre 2000, del settimanale "L’Espresso", è apparsa la notizia del ritrovamento in un armadio della Procura generale militare di Roma, di un armadio con 695 fascicoli di istruttorie iniziate per individuare i colpevoli delle stragi. Molti, all’epoca, erano stati trovati dagli investigatori inglesi ed americani. Nel registro del "Ruolo generale dei procedimenti contro criminali di guerra tedeschi", sono rubricate anche numerose stragi compiute nella nostra regione. Dai dati, e nomi, che emergono traspare ancora di più come la Wehrmacht risulti colpevole di assassini come e più, forse, delle Waffen SS. Divisioni finora insospettabili, come la 29a Panzergrenadier del generale Fritz Polack, risultano qui inquisite per strage. Auspichiamo, per la verità giuridica e soprattutto storica, che si proceda al più presto a rendere noti i contenuti di questi fascicoli, importantissimi per la comprensione di un periodo storico tra i più bui d’Italia.













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