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Biografie fascisti

Edmondo Rossoni

Edmondo Rossoni nacque a Trisingallo nel 1884. Dopo aver frequentato il ginnasio s’iscrisse al Partito socialista e partecipò attivamente agli scioperi agrari del 1903-1904. Nel novembre del 1904 si trasferì a Milano dove, due anni dopo, fu eletto membro del gruppo di propaganda sindacalista della Federazione milanese, s'impegnò in battaglie antimilitariste e diventò corrispondente della "Gioventù socialista". Nel 1907, in linea con gli indirizzi del sindacalismo rivoluzionario, abbandonò la Federazione per impegnarsi a tempo pieno nelle organizzazioni della Camera del lavoro. Nel novembre sostituì a Piacenza il Commissario amministrativo della Camera del lavoro locale e nei mesi seguenti tenne una lunga serie di comizi che, a causa dei toni accesi e dei contenuti violenti, gli valsero, il 16 giugno 1908, una condanna a quattro anni di reclusione e a due di sorveglianza speciale. Per sfuggire alla pena Rossoni si trasferì prima a Nizza, dove fu diffidato, e poi in Brasile dove riuscì a trovare lavoro, grazie ad Alceste de Ambris, presso il giornale "Il Fanfulla". Partito dalla Francia nel marzo soggiornò in Brasile solo pochi mesi: espulso per attività sindacale si trasferì a Parigi e quindi, nel luglio del 1910, a New York dove aderì alla Federazione socialista italiana. Divenuto organizzatore della Federazione, collaborò come redattore al giornale "Il Proletario" e fu arrestato per istigazione allo sciopero. Tornato in Italia, nel gennaio del 1913 fu nominato segretario del sindacato provinciale Edile di Modena e diresse uno sciopero durato settanta giorni che terminò con la sconfitta delle maestranze. Il fallimento dello sciopero edile e il timore di un nuovo arresto lo indussero nuovamente alla fuga. Fece quindi ritorno a New York dove assunse la direzione de "Il Proletario". Allo scoppio della Grande guerra, come altri sindacalisti rivoluzionari, assunse posizioni interventiste; abbandonò quindi "Il Proletario", fedele alla linea neutralista, per andare a dirigere la "Tribuna", giornale d’ispirazione nazionalista. Richiamato alle armi rientrò in Italia e nel 1918 fondò e diresse il settimanale "L’Italia nostra", organo dell’Unione sindacale milanese. In seguito partecipò alla costituzione dell’Unione Italiana del Lavoro, della quale rimase segretario fino al marzo del 1919 quando lasciò l’incarico per prendere la direzione della Camera del lavoro di Roma. Nel giugno del 1921, fu chiamato a dirigere la Camera del lavoro di Ferrara e il 10 febbraio del 1922 fu nominato segretario generale della Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali, i nuovi sindacati fascisti costituitisi con il convegno di Bologna nel gennaio precedente. Assunse inoltre la direzione de "Il lavoro d’Italia", giornale della nuova Confederazione, e promosse l’idea di un sindacalismo integrale, vale a dire la fusione in un unico organismo sia dei sindacati operai sia di quelli padronali. Fallito tale obiettivo, cercò a tutti i costi di ottenere per le Corporazioni il monopolio della rappresentanza sindacale del mondo operaio; una posizione che lo portò a scontrarsi con la "Commissione dei diciotto", istituita dal regime con il compito di studiare le problematiche politiche e sociali. Dopo non poche difficoltà, il monopolio sindacale fu ad ogni modo realizzato il 2 ottobre del 1925, grazie agli accordi di Palazzo Vidoni. Da quel momento la posizione di Rossoni e delle Corporazioni, per via del potere che detenevano, fu guardata dai vertici del fascismo con sospetto. Questo indusse il regime, mosso anche dal progetto di realizzare un sistema corporativo, ad indebolire il movimento sindacale separando la Confederazione fascista in sei sindacati autonomi, cui corrispondevano altrettante organizzazioni padronali, e dando vita ad un’unica Confederazione per gli artisti e gli intellettuali. Dopo lo "sbloccamento" del 1928, accettato da Rossoni senza alcuna polemica, il leader sindacale si trovò sempre più isolato e ormai privo di qualsiasi potere reale. Nel settembre del 1930, ritornato nelle grazie del regime, fu nominato membro del Gran Consiglio e due anni dopo rivestì la carica di sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Nel marzo del 1935 fu nominato ministro dell’Agricoltura e foreste, carica che mantenne fino al 1939. Il 25 luglio del 1943 votò a favore dell’ordine Grandi, atto che gli costò la condanna a morte decretata dal Tribunale di Verona. Rifugiatosi dapprima in Vaticano, dopo la condanna all’ergastolo inflittagli nel maggio 1945, riparò in Canada dove rimase un solo anno. Amnistiato fece ritorno in Italia e si ritirò a vita privata. E’ morto a Roma l’8 giugno 1965. (a cura di Massimiliano Tenconi)

 

 


 

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