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Saggi sul fascismo

       L’EPURAZIONE MANCATA

di Claudio Simbolotti

Il 25 luglio 1943 cade il fascismo. Le strade si riempiono di folle esultanti e piene di entusiasmo convinte che la guerra e una dittatura sempre più odiata siano ormai giunte alla fine. La gente può esprimersi, impreca contro la guerra e il fascismo, mostra tutto il suo disprezzo ed odio per il regime assaltando e distruggendo sedi e simboli del potere appena caduto, vuole fortemente la pace. L’arresto di Mussolini  e il nuovo governo presieduto dal maresciallo Badoglio, coinvolto col vecchio regime e formato da uomini con un non meno discutibile passato politico, non cambieranno le sorti dell’Italia, «la guerra continua» dichiarerà immediatamente Badoglio.

La fine del fascismo è solo una triste illusione, molte saranno ancora le vittime di questo lungo conflitto.

 

L’8 settembre l’Italia firma l’armistizio con le forze alleate e ancora una volta si pensa alla fine delle ostilità e invece è il caos più completo. Mentre il re e il governo abbandonano la capitale per riparare a Brindisi, sotto la protezione degli alleati appena sbarcati in  Puglia, i tedeschi occupano tutta la parte centro-settentrionale della penisola. Si opposero all’occupazione solo alcuni reparti militari isolati e gruppi di cittadini armati, specialmente a Roma dove gli scontri si prolungarono fino al 10 settembre, è questo il primo episodio di resistenza.

L’Italia si ritrova così divisa in due, sia dal fronte di guerra   che da due entità statali distinte, infatti mentre nel sud liberato risiedeva il vecchio Stato monarchico con il governo Badoglio, nelle zone sotto l’occupazione nazista risorgeva il fascismo con la Repubblica Sociale Italiana, vero e proprio stato fantoccio alle dipendenze tedesche.

Gli anni del conflitto, hanno mostrato soprattutto fra i soldati l’incapacità delle classi dirigenti sia militare che politica e l’inadeguatezza organizzativa e tecnica dell’Italia, l’esperienza tragica della guerra fa aprire a molti uomini gli occhi sulla natura del regime.

L’incontro fra gruppi di militanti antifascisti già attivi nel paese e questa folla di reduci darà il via alle prime formazioni partigiane che troveranno rifugio fra i monti e a cui presto si uniranno gruppi di soldati sbandati e giovani renitenti alla leva repubblichina.

La guerra prosegue ed il popolo italiano avrà davanti a sé ancora due anni di devastazioni e morti. L’occupazione nazista e il regime collaborazionista della repubblica sociale lasceranno alle loro spalle una lunga scia di sangue, questo periodo sarà segnato da numerose stragi compiute nei confronti dei civili che causeranno più di 10.000 vittime fra cui tante donne e bambini. Fosse Ardeatine, Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema sono solo alcune di esse tra le più tristemente note. Torture, violenze, soprusi ed omicidi indiscriminati saranno all’ordine del giorno fra le truppe nazifasciste.

 

Il 25 aprile 1945 scoppia nel nord l’insurrezione. Le forze partigiane, gli operai in armi delle fabbriche ed altri cittadini insorgono per liberare le città dalle ultime formazioni nazifasciste ormai in fuga. Il governo repubblichino è in rotta, scappa da Milano e si dirige a Como da dove spera di raggiungere il confine e poter così scappare. E’ il “si salvi chi può”, il crollo del regime, molti capi hanno abbandonato gli uomini e travestiti in mille maniere cercano un qualsiasi luogo gli dia una possibilità di scampo.

Nel frattempo si aprono strane trattative fra le più alte autorità della RSI presenti a Como e agenti dei servizi segreti americani e italiani, tema dell’incontro la creazione di una zona neutra dove le forze fasciste si sarebbero dovute ritirare in attesa dell’arrivo degli alleati a cui arrendersi, tutto ciò per impedirgli di cadere in mano ai partigiani.

Mentre vengono stabiliti questi oscuri accordi, gruppi di resistenti perlustrano le zone alla ricerca degli ex gerarchi e degli ex comandanti delle formazioni repubblichine per ostacolargli la fuga, verranno così arrestati e successivamente condannati a morte Mussolini, Pavolini, Mezzasoma, Zerbino, Farinacci. Altri alti esponenti del regime e centinaia e centinaia di fascisti, tra cui molti responsabili di crimini efferati, avranno una sorte migliore e riusciranno a sfuggire alla giustizia popolare grazie all’intervento degli esponenti democristiani e liberali e dei servizi americani, tra   di loro spiccano i due capi militari repubblichini Junio Valerio Borghese e Graziani che verrà sottratto più volte ai partigiani dal capitano americano Daddario uomo dei servizi e dal generale Cadorna.

Nelle città gli scontri proseguono per alcuni giorni, finché tutto il nord non è sotto il controllo del Clnai, è l’inizio di una nuova stagione, è il concretizzarsi delle speranze popolari e il seme per la realizzazione dei cambiamenti futuri. Infatti « nel movimento partigiano e in larghi strati popolari ed antifascisti c’era l’aspettativa di una profonda trasformazione sociale e di una democrazia che tenesse conto del ruolo preminente che operai e contadini avevano avuto nella guerra di liberazione. Fu questa la spinta che [...] percorse dal primo all’ultimo giorno tutta la guerra di liberazione.»[1] Erano queste le motivazioni che avevano spinto centinaia di migliaia di uomini a dedicare la loro esistenza e per tanti la loro vita alla Resistenza, la guerra di liberazione non era altro che un momento della guerra di classe. Sotto il governo ciellenistico, seppur per un breve periodo, vengono emessi una serie di decreti   che portano una ventata purificatrice e che appagano i bisogni di giustizia sociale e di democrazia delle masse popolari come quelli riguardanti la ricostruzione, l’epurazione, la nascita dei consigli di gestione nelle fabbriche e il blocco dei licenziamenti.

Ma sarà ancora una volta un’illusione effimera e già il 29 il governo militare alleato esautorerà gli uomini della resistenza dall’amministrazione del nord, abrogherà tutti gli ordini del Clnai e ordinerà più volte il disarmo dei partigiani temendo la loro potenzialità rivoluzionaria.  E’ la restaurazione, il ritorno del vecchio stato prefascista.  Così «mentre un insurrezione di popolo si leva a spazzar via uomini e strutture del fascismo, gruppi e gerarchie che di questo popolo hanno paura tentano di fermagli la mano e di impedirgli di farsi protagonista della propria storia. Istituzioni che hanno utilizzato il fascismo [...] e classi e caste che non voglio perdere gli antichi privilegi manovrano accanitamente per uscire senza guasti dalla bufera. E’ importante che la liquidazione del fascismo non avvenga per un’azione di popolo [...]. Quel che avviene attorno e dentro la Resistenza negli ultimi giorni del fascismo è già sintomatico di quel che si prepara nei mesi e negli anni futuri [...]. In sostanza già nei giorni dell’insurrezione vediamo DC, Chiesa, monarchia, gerarchie militari, servizi segreti americani e inglesi, liberali e “socialdemocratici” trafficare ed agire alle spalle di azionisti, socialisti e comunisti, in un largo fronte d’ordine perché la fine del fascismo non significhi la distruzione dell’assetto della conservazione.»[2]

 

A dare il via ufficialmente all’epurazione è il governo Badoglio. Da subito alti esponenti del regime, capi militari e prefetti si mettono al servizio del maresciallo e la stessa Milizia entra a far parte del nuovo esercito. L’obiettivo del nuovo governo non è quello di distruggere le strutture e le organizzazioni del fascismo ma di assumerne il controllo, e gli stessi istituti di repressione vengono semplicemente sostituiti con altri ancor più drastici. Molti personaggi con un passato compromesso entrano addirittura fra i nuovi quadri dirigenti e lo stesso governo comprende tre uomini che erano stati ministri o sottosegretari nel regime mussoliniano. «I legami tra il vecchio governo Mussolini e il nuovo governo Badoglio affondano più in profondità della semplice compagine ministeriale [...] quasi tutti i più importanti tirapiedi di Badoglio hanno mantenuto le posizioni già ricoperte nei precedenti governi fascisti.»[3] e lo stesso primo ministro ha rivestito le cariche di ambasciatore in Brasile, di capo di stato maggiore dell’esercito, di governatore della Cirenaica e della Tripolitania, fino alla conquista dell’Etiopia e alla sua nomina di vicerè e duca di Addis Abeba.

Contemporaneamente viene dato con l’editto OP 44 l’ordine alle truppe di stroncare tutti i disordini di piazza e di marciare contro i dimostranti «come se si procedesse contro il nemico» e «non si tiri mai in aria, ma a colpire come in combattimento», il compito di eseguire tali ordini viene affidato al generale Roatta, già generale nell’esercito fascista. E’ questo il clima che si respira, da una parte l’assenza di qualsiasi provvedimento contro i  fascisti dall’altra una spietata repressione nei confronti delle folle scese in piazza a gridare «viva la pace».

Le iniziative prese da Badoglio e dai i suoi prefetti furono poche, molti dei politici e degli intellettuali fascisti più in vista e molti pesci piccoli o si erano resi irreperibili o erano fuggiti al nord o erano semplicemente scomparsi. Alla fine ad essere allontanati furono solo i pochissimi su cui non si poteva fare affidamento ed alcuni gerarchi che si temeva complottassero con i tedeschi per rovesciare il governo. Il primo tentativo di epurazione non fu niente più che un’operazione di facciata.

Con la liberazione di Roma e la formazione del governo Bonomi che vede la partecipazione dei partiti del Cln, si inaugura una nuova fase nelle sanzioni contro i fascisti. Il 27 luglio 1944 viene emesso il decreto legislativo 159 con il quale viene creato l’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo con il compito di svolgere le indagini e stabilire le punizioni. Viene nominato Alto Commissario il liberale Carlo Sforza, e gli vengono affiancati quattro Vice Alti Commissari ognuno con un compito specifico. Alla liquidazione dei beni fascisti viene nominato P.F Stangoni amico personale di Bonomi, per la confisca dei profitti del regime il democristiano M. Cingolani,   per le punizioni dei fascisti l’azionista M. Berlinguer e per l’epurazione dell’apparato statale e governativo il comunista Scoccimarro. Il tentativo di epurazione messo in atto, soprattutto quando colpisce alti funzionari del Tesoro ed ufficiali della Marina, provoca una forte opposizione fra la corona, l’esercito, il grande capitale e la chiesa che con l’appoggio dei liberali, monarchici e democristiani iniziano una forte campagna di boicottaggio alla legge delle sanzioni. Questa situazione porta alla crisi di governo che si risolve con una vittoria delle forze conservatrice, la nomina di un secondo governo Bonomi e l’estromissione di Sforza e Scoccimarro dall’Alto Commissariato. Prefetti, banchieri e direttori d’azienda compromessi col fascismo riprendono i loro posti, ex segretari del fascio conservano cariche pubbliche, fascisti incriminati ottengono la restituzione dei loro beni, tutto questo provoca nelle masse un senso sempre più profondo di ingiustizia che li spinge ad esigere con determinazione provvedimenti energici. Caso esemplare dell’assurdità di un’epurazione che utilizza uomini e strutture legate agli interessi degli epurati è quello del generale Roatta che evade dalla sua prigione grazie alla collaborazione e protezione delle autorità.

Poi arriva l’insurrezione del nord. E questa sarà un’epurazione differente e non potrà che essere così, realizzata da tutti coloro che hanno visto di quali delitti si è macchiato il fascismo, che hanno dedicato la propria vita a questa battaglia, vedendo sevizie e uccisioni, il carcere, la distruzione di villaggi e il massacro della popolazione, fucilazioni sommarie ed impiccagioni ad alberi e pali della luce. Saranno molti i capi repubblichini e i loro scagnozzi che verranno condannati a morte dai Tribunali Popolari. In tutto il nord i partigiani e la popolazione realizzeranno quella richiesta di giustizia che nessuno fin d’ora ha messo in pratica. Per dare un freno all’azione popolare vengono istituite le Corti Straordinarie di Assise con il compito di giudicare i crimini fascisti restituendo tale mansione agli organi giudiziari. Questo sbocco legale evidenzierà ancora una volta come sia impossibile ottenere giustizia da organi legali come polizia e magistratura composti per la maggior parte da elementi del vecchio stato quando non addirittura da fascisti. In giugno il vento del nord arriva a Roma, con la nomina a capo del governo di Ferruccio Parri, uomo e leader della Resistenza, nomina che sembra rappresentare lo sbocco naturale dopo i fatti dell’aprile. Questo rappresenterà il governo della speranza, speranza che sarà breve come lo stesso governo, che fin da subito subirà il boicottaggio delle forze conservatrici e la non adesione di quelle di sinistra. Con l’estromissione di Parri il vento del Nord che avrebbe dovuto portare il rinnovamento cade e si spegne, è il trionfo della reazione.

 

Il 22 giugno del 1946, dopo la proclamazione della Repubblica, viene emesso il decreto riguardante l’amnistia e l’indulto che darà l’ennesimo durò colpo all’epurazione. Nato come atto di clemenza e di pacificazione diviene da subito strumento nelle mani della conservazione. «Il compromesso di Togliatti prevede la riduzione delle pene e l'annullamento solamente per quelle inferiori ai cinque anni. La non punibilità è prevista per i reati politici commessi dopo la fine della guerra. […] Tuttavia, le poche indecisioni o imperfezioni della normativa divengono subito l'espediente per assolvere indiscriminatamente quasi tutti i fascisti. [...] La magistratura applica l'amnistia nella maggior parte dei casi; la Cassazione si dimostra di manica larga attraverso due procedure: l'annullamento immediato con la relativa scarcerazione oppure l'annullamento delle sentenze e il rinvio in sedi diverse e più magnanime. Anche le Corti d'Assise seguono la stessa tendenza. Molti fascisti tornano a piede libero, altri ripuliscono la propria fedina penale, altri ancora rimpatriano perché amnistiati anche se in contumacia. L'amnistia tocca anche i fascisti maggiormente compromessi.».[4] Nei giorni immediatamente successivi alla promulgazione del decreto sono centinaia i fascisti che escono dalle prigioni. Sdegno, malcontento e incredulità serpeggia fra la popolazione che non è disposta a vedere liberi ed impuniti i loro antichi aguzzini, artefici di massacri e sevizie. Così quella che sarebbe dovuta essere una benigna amnistia diviene uno strumento di persecuzione antipartigiana e nonostante il provvedimento prevedeva la tutela dei resistenti iniziano incredibili processi contro di essi. D’altronde non poteva essere differentemente, visto che il compito di intervenire è affidato ad una magistratura «composta pressoché esclusivamente da gente che aveva svolto la sua carriera sotto il fascismo, conservatrice per ragioni storiche, strutture burocratiche, estrazione sociale e vocazione personale.»[5]

 

Ma facciamo un passo indietro. Il 27 dicembre 1944 nasce “L’Uomo Qualunque”, settimanale creato dal giornalista commediografo Giannini e finanziato dal miliardario fascista Scalera. Da subito lancia una violenta campagna contro l’antifascismo attaccando politici e partiti del Cln e facendo leva sul malcontento e sull’ignoranza di una folla di sfruttati. Il giornale riscuote un enorme successo e all’inizio del 1945 sorgono i primi nuclei come movimento politico organizzato che nell’agosto dello stesso anno, grazie all’appoggio e al sostegno di alcuni grandi industriali, si trasformano in partito; aderiscono alla nuova formazione tutta una massa di scontenti che hanno ancora velleità di rinascita fascista. Sedi del partito nascono in tutta Italia ma si estendono soprattutto nel sud dove sono spesso gli agrari ad aprirle e dove immediatamente si trasformano in squadre armate al servizio della reazione e contro la richiesta dei contadini di avere la terra. Sono centinaia gli assalti condotti da qualunquisti e monarchici nei confronti delle sedi dei partiti di sinistra e dei contadini. Nel febbraio del 1946 si tiene il primo congresso dell’Uomo Qualunque, il pubblico dei delegati è principalmente composto da militi delle Brigate Nere e da altri reduci, appare sempre più evidente che il partito si fonda su una base che ha radici nel disfatto regime. Dopo il notevole successo nelle elezioni per la Costituente e in quelle amministrative, Giannini, entrato in parlamento, inizia senza più remore una battaglia filofascista. Ora tutto è pronto affinché il fascismo possa abbandonare quella quinta colonna che aveva formato all’interno del partito qualunquista e rientrare pubblicamente nella vita politica del paese.

Passato il pericolo dell’insurrezione e dei tribunali popolari, cominciano a formarsi i primi gruppi clandestini fascisti. La loro azione è rivolta a compiere celebrazioni in onore del Duce e attentati terroristici mettendo bombe e assaltando sedi ed uomini della sinistra. Questi gruppi sono formati da ex militi repubblichini, da prigionieri di guerra tornati dai campi di prigionia in Africa e da giovani studenti infarciti dalla propaganda del regime. Al fianco di queste formazioni nascono tutta una serie di partitucoli che hanno spesso vita breve. Questo doppio binario fra organizzazione legale e clandestina terroristica sarà una caratterista fin dalla nascita del neofascismo, «i due fenomeni sono proprio la fotografia della situazione in cui si viene a trovare chi, non accettando il nuovo stato di cose, intende combatterlo, in tutte le maniere, con tutte le armi che la situazione mette a disposizione.»[6]

 Il referendum istituzionale offre la possibilità al fascismo di riemergere offrendo i suoi servigi alle forze monarchiche che si preparano ad un eventuale colpo di stato, e contemporaneamente alla Democrazia Cristiana e al Vaticano per annientare un potenziale tentativo rivoluzionario comunista. A questo punto non resta altro che unificare tutti i gruppi clandestini e uscire allo scoperto dando vita al partito ufficiale dei fascisti. Il 26 dicembre 1946 nasce il Movimento Sociale Italiano con la benedizione del Vaticano e il beneplacito del Ministro degli Interni. Promotori del nuovo partito sono alcuni dirigenti dei molti giornali filofascisti e alcuni ex gerarchi. Spiccano fra tali personaggi uomini come Romualdi, Michelini, Tonelli, Mieville, Pini ed Almirante che sarà nominato segretario. Mentre il ministero degli interni in mano alla DC permette la crescita dell’MSI, la popolazione, che non dimentica il passato, non può accettare il riemergere del fascismo. Sono numerosi gli scontri che scoppiano durante i comizi missini, che continuano ad essere autorizzati dalle forze dell’ordine e che la popolazione continua a non voler vedere sulle piazze. Nonostante il sostegno e l’aiuto della polizia, le masse antifasciste riescono puntualmente a ricacciare i fascisti nell’oblio in cui li ha condannati la storia. Sconfitto dalla storia, il fascismo può rinascere sotto la protezione cattolica venendo non solo riconosciuto, ma anche corteggiato dal partito clericale.

 

Già con il primo governo De Gasperi, la democrazia cristiana inizia la sua opera di restaurazione arrestando le richieste di riforma promosse dalla Resistenza ed eliminando i suoi stessi istituti.

I provvedimenti presi per la tutela dell’ordine pubblico si indirizzano contro i partigiani che vengono allontanati dalla pubblica amministrazione e contemporaneamente alla guida delle grandi aziende tornano i dirigenti rimossi. Ma sarà solo con le elezioni del 18 aprile 1948 che le speranze di cambiamento della sinistra cadranno definitivamente. La campagna elettorale è tutta incentrata all’insegna del pericolo rosso e basata su una violenta crociata anticomunista. Il Vaticano e la stessa CIA svolgono un ruolo importante fornendo aiuti materiali e finanziari. Le  forze armate statunitensi si organizzano in attesa del voto  preparandosi per un eventuale intervento, gli americani avevano deciso di impedire in qualunque modo la partecipazione del PCI al governo. Il 18 aprile la DC vince le elezioni, è la vittoria della reazione. E’ la fine definitiva di ogni illusione di trasformazione, la fine di quel sogno che ha percorso centinaia di migliaia di uomini e di donne e che li ha fatti diventare protagonisti della storia. Invece ormai «senza più remore, l’Italia della restaurazione sfoga tutto il suo livore contro gli uomini che hanno combattuto per il riscatto del paese intero: dopo averli derubati della vittoria, accantonati e imbalsamati nel museo dei ferrivecchi ora li vuole degradare e distruggere perché il risveglio non sia più possibile. Il regime ha bisogno di liquidare la Resistenza che è anche l’incubo della sua cattiva coscienza, prima di poter regnare senza paura.»[7] e si può concludere che «l’epurazione fu una burletta [...] Non si vollero o non si poterono colpire gli uomini veramente colpevoli e le vecchie strutture dello Stato e della società. E anche oggi ne stiamo pagando il fio.»[8] 



[1] C.BERMANI Il nemico interno. Guerra civile e lotte di classe in Italia (1943-1976) Roma, Odradek 1997

[2] P.G.MURGIA Il vento del nord. Storia e cronaca del fascismo dopo la Resistenza (1945-1950) Milano, SugarCo Edizioni 1975

[3] R.P.DOMENICO Processo ai fascisti. 1943-1948: Storia di un’epurazione che non c’è stata. Milano, Rizzoli 1996

[4] M.DOMINIONI Epurazione e continuità delle classi dirigenti dal 1943 al 1953: una prima ricostruzione in Intermarx rivista virtuale di analisi e critica materialista

[5] R.CANOSA-P.FEDERICO La magistratura in Italia dal 1945 ad oggi Bologna, Il Mulino, 1974

[6] M.TEDESCHI Fascisti dopo Mussolini Roma, Casa editrice L’Arnia, 1950

[7]P.G.MURGIA Il vento del nord. Op. cit.

[8] A.GARRANTE GARRONE Il fallimento dell’epurazione. Perché?  in R.P.DOMENICO Processo ai fascisti. Op.cit.

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