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L'8 Settembre 1943

pallanimred.gif (323 byte) Il diario del generale Giuseppe Castellano

Gli inediti
L'altra faccia della storia d'Italia
Giuseppe Casarrubea   

Pubblichiamo a partire da oggi il diario segreto del generale Giuseppe Castellano, l'uomo che, per conto del capo del governo Badoglio, firmò l'armistizio di Cassibile del 3 settembre 1943. Un documento unico e inedito recuperato, assieme a molti altri, grazie ad un progetto di ricerca della Scuola Media «G.B.Grassi Privitera» di Partinico.
Le centinaia di carte, acquisite presso gli Archivi Nazionali degli Stati Uniti di College Park (Maryland), sono sorprendenti e si prestano bene ad essere utilizzate dagli storici (ma anche dagli insegnanti di storia nelle loro classi) per una rivisitazione della storia siciliana e italiana tra il 1943 e il 1948.
Il documento si divide in tre parti: la prima tratta dell'inizio degli eventi, dal 25 luglio all'11 agosto 1943; la seconda di incontri e discussioni, dal 12 al 26 agosto; la terza dell'epilogo di quei tragici avvenimenti.
Il diario, inviato da Castellano all'americano Whitney Shepardson, capo del Secret Intelligence nel teatro di guerra mediterraneo, è al contempo un documento giustificativo e di inconsapevole autoaccusa. Dimostra, infatti, tutta la debolezza e la doppiezza dell'Italia in quel difficile momento di transizione. Castellano vuole mostrare il lato buono dell'Italia agli Alleati, la disponibilità dei suoi rappresentanti a rompere col fascismo e con le truppe tedesche. Non si rende conto, però, che i suoi sforzi diplomatici condotti per dare dignità e spazio politico-militare a un paese annientato dal fascismo e dalla sconfitta militare, non giocano alcuna partita nello scenario europeo.
Interessanti appaiono a questo proposito gli incontri con gli ambasciatori britannici Samuel Hoare a Madrid e Ronald Campbell a Lisbona e, in particolare, l'incontro a casa del diplomatico inglese con i rappresentanti angloamericani Smith e Strong.
Si dà un gran da fare il generale, pensa di dire la sua e, quando tenta di fare qualcosa, si trova davanti, già pronta, la soluzione preparata da Roosevelt e Churchill subito dopo la caduta del governo Mussolini.
La soluzione consiste nel testo dell'armistizio che Eisenhower ha in tasca già da un mese. Discussione chiusa. Non vi sono altre scelte perché Castellano e gli italiani al potere da poche settimane, hanno tutti una doppia faccia. Il generale, ad esempio, si mostra benevolo con i tedeschi ma, al contempo, trama sottobanco con gli Alleati. Ciò che emerge dal diario è soprattutto la constatazione che, in quella transizione da Mussolini a Badoglio, il popolo italiano sembra non esistere. Esiste solo l'apparato, la ricerca del vantaggio personale derivante dai circuiti elitari e logori di un potere incapace di governare i processi storici, e sempre attento al giro delle amicizie altolocate in grado di assicurare agli amici degli amici posti e poltrone. Con tutta evidenza, attraverso le sofferte pagine del suo diario, Castellano sembra voler tracciare la via maestra a tutta la classe politica italiana del sessantennio successivo.

Il diario

25 luglio 1943
In seguito al primo colloquio avuto con Galeazzo Ciano, gli eventi portano alla nomina del generale Vittorio Ambrosio a capo di Stato Maggiore e a quella di Sorice a sottosegretario del Ministero della Guerra. Tali nomine, soprattutto la prima, avranno una importanza fondamentale per gli eventi futuri. Le discussioni mi permettono di conoscere Ciano, guadagnarmi la sua simpatia e iniziare a sostenere la candidatura di Ambrosio. Il generale Carboni mi aiuta in maniera eccezionale. Fin dal primo incontro, Ciano cambia lentamente la sua opinione su Ambrosio e, alla fine, si decide a parlarne con Mussolini.
Il Duce non ha una gran opinione di Ambrosio. Tuttavia, l'odio di Ciano per il generale Cavallero (capo di Stato Maggiore fino all'inizio del 1943, ndr), la persistente malafede di quest'ultimo e la perdita della Libia obbligano Mussolini a rimuoverlo. Ciano, che ha una sua lista di candidati, prende in considerazione per qualche tempo il nome di Ambrosio. Quest'ultimo, su mia insistenza, va a trovarlo ogni tanto e, con la sua solita franchezza, sparla del Duce. Anche Ciano odia il suocero. Forse aspira già a succedergli e ascolta volentieri le parole di Ambrosio. Conoscendo la rettitudine e la modestia di Ambrosio, Ciano pensa di potersi fidare del generale. Per questo motivo egli sostiene la nomina di Ambrosio a capo di Stato Maggiore. In sintonia con me, dietro le quinte, Sorice si lavora la cerchia di Claretta Petacci. Tuttavia, ritengo che non riscuota molto successo, giacché altri elementi hanno più possibilità di persuaderla.
In Italia, tutti sono contrari a Cavallero, soprattutto le alte sfere vicine a Mussolini: Buffarini e Ciano. Buffarini è collegato alla Petacci ed ha un suo candidato alla successione di Cavallero. Mussolini finisce per scegliere Ambrosio. La scelta viene fortemente influenzata da Ciano, come capisco dalle numerose discussioni avute con il genero del duce. Ormai è chiaro che pensa sempre più al nome di Ambrosio dal momento che ha giurato di silurare Cavallero. Io mi sono già guadagnato la fiducia di Ciano. Le mie insistenze, assieme al lavoro di D'Ayeta e Carboni, hanno portato Ciano a fare le sue scelte, certo com'è che Ambrosio sarà un docile strumento per i suoi futuri piani politici. […]
Assunto l'incarico, il principale obiettivo di Ambrosio è quello di liberare l'Italia da Mussolini. Egli agisce con lealtà e da vero soldato. Nella sua ingenuità, ritiene che la soluzione più logica sia quella di convincere Mussolini che la guerra non può più essere vinta, che l'Italia deve rompere i rapporti con l'alleato tedesco e che tale decisione spetta al duce. Tuttavia, commette un errore di valutazione. Non capisce che il dittatore non avrà mai il coraggio di abbandonare il suo collega Hitler e l'onestà di abbandonare il potere. Di conseguenza, inizio a scrivere una serie di rapporti a Mussolini che battono sempre alla medesima questione: le nostre deficienze in tutti i campi e la nostra impossibilità morale e materiale a continuare la guerra. I rapporti vengono inviati anche al re. Ambrosio gli illustra sempre la serietà della situazione interna e militare. Vittorio Emanuele ascolta in silenzio. La perdita della Tunisia aggrava la situazione e provoca ulteriore confusione, ma nulla di concreto ne emerge.
I miei colloqui con Ciano continuano, ma con me non è così esplicito come con D'Ayeta. Siamo soliti discutere su vari argomenti ma non concludiamo nulla. Nel frattempo, Ambrosio subisce pressioni da ogni parte. I più si preoccupano solo di salvare la pelle. Altri cercano di capire le intenzioni di Ambrosio. Questi non nasconde le sue idee, parla apertamente del suo odio per Mussolini e del suo desiderio di vederlo deposto. Non capisco come riesca ad evitare una denuncia.
La caduta di Pantelleria non fa che aumentare il malumore e convince Ambrosio, e forse il re stesso, che è necessario arrivare ad una decisione. I miei rapporti continuano a circolare e insistono sempre sullo stesso punto. Accarezzo l'idea di liquidare Mussolini, un progetto concreto già abbozzato a febbraio e rivisto in seguito. La condizione fondamentale è quella di ordire un colpo di Stato interno, preparandoci al contempo a respingere un'eventuale reazione dei tedeschi. Il duca Acquarone (ministro della Real Casa, ndr) non è della stessa idea. Afferma addirittura che non bisogna parlarne, a meno che la decisione non venga dal re in persona. Ciò basta a classificare Acquarone! Con tristezza, va detto che Ambrosio non gli presta attenzione e che non prende alcuna precauzione riguardo ai tedeschi. Mi dice che la divisione «M» è composta da «un branco di imbecilli» e che la cosa non lo preoccupa. Ambrosio non crea un Corpo d'Armata da dislocare nei pressi di Roma, non ordina al Sim (il servizio segreto militare, ndr) di seguire i movimenti delle truppe delle SS dentro e fuori Roma, non si preoccupa di sostituire i comandanti della GU (Guardia dell'Urbe, ndr), alcuni dei quali sono notoriamente inaffidabili. Ambrosio è convinto che gli eventi seguiranno un corso più favorevole di quel che appare in superficie.
Tale apatico comportamento avrà una forte influenza sugli avvenimenti futuri, giacché contribuirà ad accentuare l'impreparazione e il disorientamento di fronte alla cruda realtà dei fatti. Nessuno si occupa degli affari interni del Paese. Io vengo solo autorizzato a prendere contatto con i comandi di difesa territoriale di Torino, Milano e Trieste, nel tentativo di anticipare un possibile conflitto interno.
Informati del mio progetto, Ciano e D'Ayeta (due civili!) insistono sulla necessità di adeguate misure militari, come io sottolineo nei miei rapporti. Tuttavia, mi scontro sempre con l'inspiegabile incomprensione di Ambrosio su questo punto.
Lo sbarco nemico in Sicilia sconvolge l'opinione pubblica italiana, ma ancor più gli uomini al potere, poiché capiscono che è l'inizio della catastrofe. Si muovono solo per salvarsi. Naturalmente, costoro contano sull'Esercito. Vi è infatti un continuo pellegrinaggio di funzionari e gerarchi che cercano di me o di Ambrosio. Le loro idee sono confuse e cercano di strapparci qualche ammissione. Per quanto mi riguarda, non pronuncio una parola che possa svelare i miei pensieri.
Acquarone si reca da Ambrosio per dirgli che il re si è quasi deciso. Ambrosio mi convoca per dirmi che Vittorio Emanuele vuole un piano d'azione. Tuttavia, io insisto sulla necessità di avere a disposizione un po' di tempo per metterlo in atto. Altrimenti, il rischio di insuccesso sarà alto. Ripeto la stessa cosa ad Acquarone, il quale non comprende. Ha paura!
Gli eventi si svolgono in rapida successione e arriviamo così alla vigilia dell'assemblea del Gran Consiglio. Mussolini e Hitler si sono incontrati qualche giorno prima a Feltre. In quell'occasione, con molto coraggio, Ambrosio comunica alcune evidenti verità a Mussolini, facendogli capire che non rimane altra scelta che sganciarsi dalla Germania.
Prima di partire per Feltre, Ambrosio mi prende da parte e mi dice in maniera succinta ciò che intende dire a Mussolini per forzarlo a prendere una decisione. Io gli faccio notare che la questione si può risolvere in un unico modo: sbarazzandosi di Mussolini. È interessante osservare l'evoluzione del pensiero di Ambrosio da ora alla caduta di Mussolini. A Feltre, e anche prima, egli non vede altra soluzione che quella di rompere con la Germania. In seguito, parlerà con meno convinzione di tale idea, anche se ogni tanto ne accennerà. È il pericoloso declino di una personalità instabile!
Ambrosio dà prova di innegabile coraggio dinanzi a Mussolini. Ma gli manca poi la fermezza necessaria ad agire, per timore di mettere la Nazione a ferro e fuoco. E mette da parte i suoi piani precedenti. Ma la colpa non è solo sua. Ora che ogni sforzo mira ad abbattere Mussolini, il mio capo confida solo in me ed io lo invito a percorrere la strada della sfida. Appare sulla scena Rossi. Dubbioso e con poche idee in testa, egli dissuade Ambrosio dall'agire. Tale debolezza finirà per rivelarsi disastrosa per l'Italia.
L'incontro di Feltre ha luogo il 19 luglio, lo stesso giorno in cui gli americani bombardano Roma. Il generale Hazon, comandante dei Carabinieri, trova la morte durante il raid. Sorice mi suggerisce di sostituirlo con Cerica. Io concordo, giacché qualche mese prima ha offerto i suoi servigi e quelli dei Carabinieri per qualsiasi emergenza. Senza indugiare, Ambrosio accetta e fa il nome di Cerica a Mussolini, che finisce per approvarlo. La mattina del 22 chiamo Cerica e gli dico: «A mezzogiorno sarai comandante in capo dell'Arma dei Carabinieri. Ti meriti tale nomina, grazie anche al discorso che hai pronunciato a mio favore qualche tempo fa. Sei sempre della stessa opinione? Te lo chiedo a nome di Ambrosio». Cerica mi fornisce ampie assicurazioni.
Acquarone continua ad affermare che il re si è finalmente deciso. Intende mettere in atto il colpo di Stato il 25, al più tardi il 26. Ancora una volta, io gli faccio notare che è necessario procedere a piccoli passi e, al contempo, entrare in azione. Ambrosio ha un colloquio con Cerica e gli lascia capire cosa bolle in pentola. Anch'io sono presente assieme ad Acquarone, Cerica e Frignani. Si accende la discussione su come procedere alla cattura di Mussolini. Suggerisco che il piano deve essere messo in atto la mattina di lunedì 26 luglio al Quirinale, dopo l'udienza con il re. Dico anche che, in alternativa, si può invitare Mussolini ad assistere ad alcune manovre militari, per poi catturarlo sulla via del ritorno. I Carabinieri ammutoliscono. Sono terrorizzati. Bisogna anche prendere provvedimenti per catturare i principali collaboratori di Mussolini. Mentre sono nell'ufficio di Cerica, entra Senise (ex capo della polizia, ndr) il quale, vedendomi, cerca di nascondersi il volto con un fazzoletto. Viene poi stilata la lista dei collaboratori del duce. Cerica chiede tempo per cercare i loro indirizzi. Le discussioni avvengono a bassa voce in un angolo della stanza, lontani dal telefono. Senise infatti teme che le nostre conversazioni possano essere ascoltate sebbene la cornetta sia abbassata. Una scena piuttosto ridicola!
Nel frattempo, corre la voce che il 24 vi sarà l'assemblea del Gran Consiglio del Fascismo. Una premessa: giorni prima, gli oratori vengono ricevuti da Mussolini per dire la loro su vari argomenti. Per la prima volta, osano criticare Mussolini. Come fascisti, chiedono ora una partecipazione più diretta alla gestione del potere. All'inizio Mussolini rimane in silenzio ma poi li zittisce con i soliti argomenti. Il giorno dopo fa sapere a quei galantuomini di essere uomini piccoli e ridicoli. Per loro, potrebbe essere l'inizio della fine. Di conseguenza, su suggerimento di Scorza e di Dino Grandi (gerarchi fascisti, ndr), chiedono la convocazione del Gran Consiglio.
Dinanzi a tali notizie Acquarone rimane perplesso. Teme che il Gran Consiglio possa coinvolgere il re, che lo stesso Mussolini scarichi sul monarca ogni decisione tramite il Gran Consiglio o attraverso un comitato politico. Diversi membri del Gran Consiglio parlano con Acquarone e percepiscono che Sua Maestà si sta schierando contro il duce. Ciò li incoraggia e iniziano a preparare il famoso ordine del giorno. I membri del Gran Consiglio promettono anche che non abbandoneranno Palazzo Venezia finché Mussolini non si piegherà ai loro voleri. Alcuni, soprattutto Grandi, ritengono possibile che uno di loro prenda il posto del duce. Prima dell'assemblea, Acquarone si procura l'ordine del giorno, di cui Mussolini è ancora all'oscuro. Io ne faccio una copia e lo consegno ad Ambrosio.
Il re suggerisce i nomi di varie persone da arrestare e stila l'elenco dei vari edifici da occupare. Prepara poi il suo proclama e quello di Badoglio, il quale, fino a quel momento, è stato tenuto all'oscuro di tutto. Badoglio, infatti, parla sempre troppo. Io ho delle riserve sulla scelta del vecchio Maresciallo. Non ho mai avuto molta simpatia per lui.
A questo punto, dico ad Ambrosio che bisogna fare qualcosa anche dal punto di visto militare. Viene convocato Carboni e Ambrosio lo mette al comando delle truppe che stazionano a Roma e dintorni. Tale mossa viene compiuta di nascosto, altrimenti sarebbe necessario informare il generale Roatta e il Comando militare. Si preferisce mettere Carboni in contatto solo con il comandante della Divisione Granatieri. Gli ordino di radunare le varie unità della sua divisione in vista di probabili, gravi avvenimenti. Lo informo inoltre che deve porsi agli ordini di Carboni. Quest'ultimo e il generale Ruggero mi raggiungono nel mio ufficio la mattina del 24 luglio. Ruggero dice che è in grado di radunare appena due battaglioni. Inoltre, per procurarsi più uomini, afferma che è necessario ridurre il personale della difesa costiera. Viene autorizzato il giorno successivo. Dinanzi a tale situazione, Ambrosio impallidisce. Forse si rammarica di non avermi prestato ascolto prima.
Cerica esita. Assieme a Carboni, quindi, decidiamo di affidare ai Carabinieri il solo compito di mettere in atto gli arresti. Carboni e Barbieri provvederanno al resto, cioè all'occupazione militare di Roma. Al momento opportuno, a Barbieri verrà ordinato di richiamare le truppe a guardia dei depositi d'armi.
La questione dell'arresto di Mussolini è ancora incerta. Tutti aspettano la decisione del Gran Consiglio per studiare le mosse da farsi. Tuttavia, nessuno sa esattamente quali passi compiere. L'ipotesi più plausibile è ancora quella che io ho suggerito in precedenza, e cioè arrestare Mussolini nel corso di una parata militare nei dintorni di Roma.
Il Gran Consiglio si riunisce nel pomeriggio del 24, alle ore 17. L'assemblea si protrae fino alle 3 del mattino. Durante la notte non trapela alcuna notizia. La mattina del 25 Acquarone mi telefona per dirmi ciò che è accaduto. Si attende ora che Mussolini chieda di essere ricevuto in udienza dal re. Sua Maestà comunicherà al duce che viene deposto dalla carica di capo del governo. Ma cosa si deve fare? Bisogna arrestarlo o lasciarlo andare? Il re non fornisce indicazioni in proposito. Ciò è lodevole, perché significa che Vittorio Emanuele non è contrario all'arresto di Mussolini.
Passano le prime ore del mattino e il Quirinale non riceve alcuna richiesta di udienza. Poco prima di mezzogiorno, Acquarone mi informa che Mussolini ha chiesto un'udienza per il pomeriggio, alle ore 17.00, a Villa Savoia. «E ora cosa facciamo?», mi chiede Acquarone. «Il re cosa dice?», replico. «Niente», dice Acquarone. «In tal caso agiremo», concludo.
Vado immediatamente a casa di Ambrosio. Questi suggerisce di lasciar andare Mussolini, nel caso questi accolga di buon grado la richiesta di dimissioni da capo del governo. In caso contrario, occorrerà arrestarlo. Torno da Acquarone, il quale avanza alcune perplessità: «Come facciamo a capire se si comporta bene o meno? Nessuno sarà presente all'incontro, ed il re non desidera che si origli dietro le porte». L'indecisione è totale. Il tempo passa. Vado da Cerica per ordinargli di mettere a punto l'arresto di Mussolini: 50 Carabinieri a Villa Savoia ed un'ambulanza per portarlo via attraverso un'uscita secondaria. Cerica mi chiede un ordine scritto. Gli rispondo che l'avrà al momento opportuno e che, nel frattempo, deve agire. Subito, Cerica ordina di predisporre il tutto. Nessuno sospetta di niente. Alle ore 15 mi telefona Poppi, il segretario di Chierici, per dirmi che il capo della polizia desidera vedermi con urgenza. Temo che possa trattarsi di una trappola e mi tengo sul vago. Alle ore 16 incontro Poppi a Palazzo Vidoni e gli comunico di non poter andare all'appuntamento.

(La Sicilia, 8 settembre 2003)

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