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Chi
vuole cancellare il 25 aprile
di Giorgio Bocca
MI è tornato fra le mani un libro, il primo, che scrissi nel maggio del
'45, a memoria freschissima. Si intitolava "Partigiani della montagna", era la
storia delle divisioni di Giustizia e libertà del Cuneese e sfogliandolo ho pensato:
sarà un libro ingenuo, in un italiano un po' tradotto dal piemontese ma qui, quanto a
storia, non c'è proprio niente da rivedere, le cose sono andate davvero così, sulle
montagne di casa mia e su quelle di tutto il resto di Italia.
Con quella guerra, più o meno civile, più o meno decisiva nel conflitto mondiale, è
finito il regime fascista, durato ventidue anni. Dunque non si può mescolarla,
commemorarla, parificarla a quella di chi quel regime ha difeso fino all'ultimo giorno. Il
partito dei combattenti, delle medaglie d'oro, del siamo tutti italiani allora non
esisteva e ciò che non è esistito non fa parte della storia, fa parte del revisionismo
che manipola la storia a fini politici. Esso può piacere a quanti tengono presente ai
loro fini e comodi che oggi i neofascisti stanno al governo in ministeri importanti e che
al Polo delle libertà fa comodo confondere la Resistenza italiana con il sanguinario
comunismo stalinista, ma non piace a noi che c'eravamo e che ricordiamo molto bene che il
denominatore comune dei partigiani era la guerra ai nazisti e ai fascisti.
NON la guerra della propaganda politica che poi seguì per il comunismo, o il liberalismo,
o l'azionismo di cui sapevamo poco o niente. Nelle discussioni che ebbi con Montanelli e
altri dissacratori della Resistenza, ripetevo inutilmente: senti, un giorno del '44 in una
mattina limpida stavo su una collina delle Langhe da cui si vedeva l'intero arco alpino. E
mi dicevo in ogni valle c'è una formazione partigiana, in ogni città o villaggio c'è un
comitato di liberazione, qualcosa di importante partendo da niente lo abbiamo pur fatto in
questi mesi. Quella Italia grigia di cui ora parlano i revisionisti era pure dalla parte
nostra, ci sfamava, ci ospitava, ci aiutava. Ci danno perciò un grande fastidio i
faccendieri della politica che starnazzano e si agitano per mettere assieme partigiani e
camicie nere, morti di Marzabotto e morti nelle foibe, la commemorazione di sinistra alla
Risiera di San Sabba e quella alla Foiba di Basovizza che mette assieme fascisti e vittime
dei titini che non sono sempre la stessa cosa. Il sindaco di Bologna Guazzaloca lasci
perdere le commemorazioni dei caduti "tutti uguali". Siamo stati molto diseguali
da vivi, e lì ci fermiamo. La vicenda politica che ne è seguita non è esaltante è la
solita vicenda del trasformismo italiano, dei comunisti o dei socialisti che passano al
polo della libertà, dei fascisti che fanno i democratici, dei tira a campare che cercano
di servire i due padroni.
Mi è tornato fra le mani quel piccolo libro: le confusioni allora non erano possibili,
chi sorpassava la linea di divisione ci lasciava la pelle. E chi ha dei ricordi veri li
custodisca senza guastarli con i pastrocchi commemorativi.
(la Repubblica, 23 aprile 2003)
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