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La fuga di Pertini e Saragat da Regina Coeli

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La mattina del 26 luglio 1943 Pertini mentre stava passeggiando lungo i cameroni dei confinati notò la costernazione dei militi in camicia nera. "Erano le otto, udimmo scandire il segnale orario, un breve silenzio e poi la lettura di un comunicato: "Sua maestà il re e imperatore ha accettato le dimissioni di dalla carica di capo del governo, primo ministro, segretario di Stato, presentato da S.E. il cavalier Benito Mussolini..." Applaudimmo e ritornammo verso i cameroni. Strano quello che accadeva in noi: erano 20 anni in esilio, in carcere, al confino, che attendevamo la caduta del fascismo e adesso l’accoglievamo senza alcuna manifestazione di esultanza.

Pensavamo alla responsabilità che sarebbe pesata sulla classe dirigente, , su di noi, all’eredità fallimentare lasciata dal fascismo. Costituimmo un comitato che prendesse in mano la colonia dei confinati composta da circa ottocentocinquanta persone, ci recammo dal commissario Guida, pallido in volto. Notai che il ritratto di Mussolini era sparito, c’era ancora quello del re. Pensò che fossimo andati per arrestarlo ma ci limitammo a presentare alcune richieste fra le quali la gestione della colonia da parte del Comitato, la cessazione del pedinamento, l’eliminazione della camicia nera da parte delle milizia. Il direttore della colonia doveva intervenire presso il Ministero degli Interni perché si provvedesse al più presto alla liberazione di tutti i confinati politici.

Successivamente dall’isola di Ventotene Pertini scrive a Badoglio un telegramma chiedendo l’immediata liberazione dei confinati.

Un mattino d’agosto il commissario Guida informa Pertini che era finalmente libero. Solo lui. A quel punto Pertini rifiuta di lasciare l’isola finché vi sarà un solo altro confinato liberato. Ma molti compagni del comitato insistono affinché Pertini si rechi a Roma a sollecitare Badoglio per far liberare anche gli altri.

"A Roma - scrive Pertini nelle sue memorie  - insieme con Bruno Buozzi, andiamo tutti i giorni dal capo della polizia, Carmine Senise, e infine riusciamo a ottenere la liberazione dei confinati. Poi parto per Stella a salutare mia madre. Mi fermai a casa sua tre giorni e poi tornai a Roma. Fu quella l’ultima volta che la vidi".

Con Saragat, appena arrivato dalla Francia, Nenni e Pertini danno vita al primo esecutivo del Partito Socialista. Il 30 agosto del 43 si crea un comitato interpartitico composto da Riccardo Bauer (Partito D’Azione), Luigi Longo (Partito Comunista), Sandro Pertini (Partito Socialista ). Pertini progetta la costituzione di una forza armata antitedesca. Il 10 settembre 1943 Pertini guida i gruppi di resistenza che porta a Porta San Paolo tentando di contrastare l’ingresso nella capitale delle truppe tedesche, combattendo a fianco di granatieri e usando come proiettili anche cubetti di porfido. Si guadagna in questi giorni la medaglia d’oro al valor militare . L’8 settembre 1943 si poneva alla testa degli ardimentosi civili che a fianco con i soldati dell’esercito regolare contrastarono tenacemente l’ingresso delle truppe tedesche nella capitale.

Conduce vita clandestina come gli altri militanti delle organizzazioni della resistenza, assume i nomi di Nicola Durano e Mario Clerici. Quando Togliatti, sbarcato a Napoli proveniente dall’URSS, aderisce alla formazione di un governo di unità nazionale formato da tutti i partiti antifascisti compreso il Monarchico ed escluso il partito d’Azione, Pertini si ribella. Non accetta quella scelta che considera traditrice degli ideali per i quali avevano tanto sofferto centinaia di patrioti nelle carceri e al confino. La Collaborazione con la Monarchia voleva dire rifare la verginità alla Monarchia. Gli avvenimenti incalzano e l’occupazione tedesca ripropone un clima di terrore. Pertini e Saragat sono arrestati .

Pertini viene interrogato in questura dal capo della polizia Bernasconi che gli chiede l’indirizzo di Nenni e degli altri compagni, ma, a costo di farsi fucilare non dice nulla.

Pertini viene fatto rinchiudere a Regina Coeli. Rimarrà con Saragat nel sesto braccio, quello dei politici, fino al 15 novembre, poi entrambi saranno condannati a morte e trasferiti al terzo braccio in una cella con quattro ufficiali badogliani. Intanto il comitato interpartitico decide di sottrarli ai tedeschi lasciando operare l’organizzazione militare clandestina del Partito Socialista. Le SS li detengono in attesa di fucilarli con altri cinque detenuti a disposizione della giustizia italiana. Si muovono in clandestinità Vassalli, Giannini, Lupis, Gracceva, Maiorca, i coniugi Alfredo e Marcella Monaco. I primi due sono stati giudici al tribunale militare di Roma fino all’8 settembre. Dispongono di carta intestata e di timbri sottratti al tribunale prima di darsi alla macchia. Lupis è un giovane avvocato che, grazie alla professione, può frequentare il carcere.

Gracceva e Vassalli sono comandanti di formazioni combattenti partigiane. Maiorca, socialista, è tenente presso l’ufficio di polizia dove i detenuti debbono passare per legge dopo la scarcerazione per un controllo dei documenti . Alfredo Monaco è medico a Regina Coeli e sua moglie può predisporre il nascondiglio in cui alloggiare i fuggiaschi. Il 24 gennaio del '44, allorché arriva l’ordine di scarcerazione, falso ma perfetto nella forma. I tedeschi si apprestano a liberare i detenuti ma il direttore del carcere, poiché sono le 18.30 e mancano pochi minuti al coprifuoco, vorrebbe scarcerarli l’indomani.

Il complotto potrebbe essere scoperto e allora Lupis esce dal carcere, corre in una vicina caserma di polizia, a Trastevere, e fingendosi funzionario della questura sollecita il rilascio e così, poco dopo, insieme a Saragat, lascia il carcere di Regina Coeli.

 

(Ricerca e riflessioni di Mario Oppedisano, Presidente del Centro Culturale "Sandro Pertini" di Genova)

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