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la Resistenza romana

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       Roma ’44, un nome per l’eroe inglese della Storta

 di Marco Patucchi

 (da La Repubblica del 31 marzo 2007)

Si chiamava John Armstrong, era del controspionaggio: sui cippi che ricordano l’eccidio della Storta risultava “sconosciuto”. Fu trucidato con Buozzi dai nazisti, per 60 anni l’identità è stata un mistero.

Il suo nome sarà onorato da un picchetto dell'esercito britannico il prossimo 4 giugno sulla via Cassia, alla periferia nord di Roma. L'Union Jack sventolerà accanto al tricolore e le note dell'inno inglese risuoneranno tra i palazzi costruiti dove un tempo era campagna. Lui è il capitano John Armstrong, un fantasma riemerso da un oblio lungo 63 anni.

Ha finalmente un'identità il quattordicesimo "Martire della Storta", quell’«inglese sconosciuto» indicato nei libri di storia e sulla lapide che ricorda l'eccidio compiuto il 4 giugno del 1944 dai nazisti in fuga da Roma  mentre gli americani, nelle stesse ore, entravano nella città da sud: un gruppo di prigionieri prelevati dalla prigione di via Tasso, caricati su un camion e poi trucidati in un boschetto al quattordicesimo chilometro della Cassia.

Erano tutti uomini della Resistenza: dodici italiani, tra i quali il sindacalista ed ex deputato socialista Bruno Buozzi, un ebreo polacco e, appunto, quello che fino a podi: giorni fa era soltanto l'inglese sconosciuto. «Ma adesso finalmente sappiamo il suo nome — racconta il colonnello Thomas Huggan, classe 1920, ex carrista e consigliere dell'ambasciata in­glese a Roma —.

Dopo anni di ricerche, possiamo affermare con ragionevole certezza che si tratta del capitano John Armstrong, inquadrato nei servizi segreti dell'esercito britannico e collaboratore della Resistenza italiana. L'ultima conferma — spiega ancora Huggan, che ha avviato le ricerche dodici anni fa dopo una richiesta dell'Associazione culturale della Giustiniana e della rivista "Il periodico"—è arrivata dallo storico Malcom Tudor ed è stato decisivo risolvere un problema di omonimia, visto che nel giugno del '44 un altro John Armstrong morì a Roma. Ma era un soldato saltato su una mina, poi seppellito nel cimitero dei caduti inglesi». 

Un sereno riposo negato, invece, alle spoglie del capitano Armstrong: se infatti dopo tanti anni è stato possibile scoprire la sua identità, resta a tutt'oggi sconosciuto il destino del corpo: «Quello che sappiamo — dice Huggan — è che dopo l'esecuzione le vittime furono ritrovate dagli americani su segnalazione di alcuni contadini, trasportate all'Ospedale Santo Spirito e poi nella chiesa per i funerali. Ma del corpo di Armstrong si è persa ogni traccia, anche perché negli archivi dell'ospedale non c'è documentazione anteriore al 1950». L'analisi dei documenti e della memorialistica italiana (non molto abbondante, per la verità) fornisce un quasi casuale riscontro alle ricerche inglesi: se tutti i testi storici dedicati ai “Martiri della Storta” parlano dell'inglese sconosciuto (cosi come la lapide posta nell'immediato dopoguerra  nel boschetto  dell'eccidio, mentre quella più moderna lungo la Cassia elenca solo i 13 iden­tificati), esiste un libro scritto alla fine del '44 da Fulvia Ripa di Meana — "Roma clandestina", diario di Roma sotto l'occupazione tedesca – che nelle poche righe dedicate all'eccidio della Storta accenna ad «un inglese, probabilmente un certo Armstrong». Traccia mai seguita in 63 anni, ma che ora si ricongiunge al lavoro di Via Tasso: M. Philipps e M. J. Lloyd.

D'altro canto, è sempre la me­morialistica italiana a lasciarci l'ultimo riferimento alle spoglie di quello che solo ora possiamo chiamare capitano Armstrong: è l'allora sedicenne Carlo Castella­ni, figlio di una delle vittime, a raccontare l'atmosfera dei fune­rali dei "martiri", l'il giugno del '44 nella Chiesa del Gesù, con tre­dici feretri allineate davanti all'al­tare e circondate dai parenti di­sperati e con «la solitudine della bara che conteneva i resti dell'i­gnoto soldato britannico».

Risolto il mistero dell'inglese sconosciuto, resta ancora da ricostruire l'esatta dinamica dell'eccidio. Nonostante il lavoro degli storici, non è stato mai chiarito perché i tedeschi decisero prima di instradare i 14 prigionieri nella caotica fuga verso il Nord e poi, appena fuori Roma, di giustiziarli. E, soprattutto, di chi fu l'ordine d'esecuzione. Il camion Spa38, inserito in un'autocolonna, parte da via Tasso la notte tra il 3 e il 4 giugno, nelle ore concitate della smobilitazione tedesca; all'alba del 4 — dopo un viaggio rallentato dall'intasamento delle strade per la ritirata di uomini e mezzi—si ferma al km 14,200 della Cassia, in piena campagna (la località più vicina era, qualche chilometro più avanti, La Storta che darà, appunto, il nome all'ec­cidio): i 14 prigionieri vengono portati in una rimessa della tenuta Grazioli e giustiziati il pomeriggio del 4 giugno.

Nelle stesse ore gli americani entrano a Roma. I contadini testimoni del massacro parlano della presenza delle Ss tedesche ma anche di alcuni italiani. Qualcuno ricorda l'arrivo di una motocicletta prima dell'esecuzione. Certi storici sostengono che il camion si fermò per un guasto o un sabotaggio e che la decisione di uccidere i prigionieri fu presa direttamente sul posto, magari per rendere più agevole la fuga verso il Nord; altri propendono per la tesi di un ordine prestabilito a Roma prima del viaggio o sopraggiunto dopo la partenza del camion. C’è addirittura chi si spinge ad ipotizzare che la scelta fu quella di sgomberare il veicolo per guadagnare posto da destinare al bottino di guerra (Paolo Monelli in " Roma 1943").Dubbi per i quali il trascorrere del tempo al­lontana sempre di più la possibile soluzione.

Intanto, il prossimo 4 giugno, quando come tradizione si cel­brerà l'anniversario dell’eccidio, al quattordicesimo chilometro della Cassia l'inno britannico e quello italiano interromperanno per un attimo la litania del traffico di una normale mattina di periferia.

 

Si chiamava Armstrong il 14° trucidato de La Storta?

di Antonio Parisella

Roma 5 aprile – Stupisce che con grande fretta due organi di stampa autorevoli e seri, come “La Repubblica” e “The Times”, si siano gettati sulla notizia che dopo 63 anni sarebbe stato finalmente svelato il mistero del nome del quattordicesimo uomo assassinato nella strage nazista comunemente detta de La Storta (in realtà de La Giustiniana) del 4 giugno 1944 e sempre indicato come “inglese sconosciuto”.

Avevo deciso di non entrare nel merito delle questioni, aspettando che venissero prodotti i documenti sui quali si baserebbe il riconoscimento. A tale proposito avevo scritto all’ufficio comunicazione dell’Ambasciata Britannica per sapere dove fosse stata presa la notizia. Stamattina ho avuto la sorpresa di ricevere due gentili telefonate, una da parte del col. Thomas Huggan e l’altra del signor Harry Shindler. Quello che mi ha stupito è stata la fragilità della base documentaria sulla quale si basano le ipotesi al riguardo.

In sostanza, la notizia sarebbe stata desunta dal recente (2000) volume di Malcolm Tudor sui prigionieri inglesi in Italia, che io non conosco e che non risulta presente nelle biblioteche pubbliche romane, sul libro di Raleigh Trevelyan, Roma 1944, pubblicato agli inizi degli anni ’80 e sul libro di Fulvia Ripa di Meana, Roma clandestina, edito nel 1946 e di recente ripubblicato. “Un inglese, probabilmente un certo Armstrong” è la frase originaria della Ripa di Meana (p. 276 della prima edizione), sulla quale si sarebbero basati gli altri.

Mi è stato anche citato un libro di Sam Derry del 1960 sull’assistenza ai prigionieri di guerra inglesi a Roma (nella quale egli ebbe gran parte insieme con l’irlandese mons. Hugh O’ Flaherty, la “primula rossa del Vaticano”): pur essendo presente in tre biblioteche pubbliche romane, non mi è stato finora possibile consultarlo.

Aspetto di vedere se i due libri che finora non ho potuto consultare riportino delle fonti d’archivio o delle testimonianze dirette di protagonisti, ma sento il dovere di invitare alla cautela. Infatti, la ricerca condotta recentemente sui prigionieri di Via Tasso dalle dott. Alessia Glielmi e Giovanna Montani, ci ha reso più chiara la posizione di altri due inglesi tra i quali, in un primo momento, era parso di poter identificare l’ignoto. Infatti, sia M. J. Lloyd sia Howard Philipps risultano usciti da Via Tasso a metà maggio: poi – dalle carte di un processo – saltò fuori una lettera di Lloyd, che – passato per un campo di concentramento (Mauthausen, se non ricordo male, citando a memoria) era vivo un anno dopo; probabilmente lo stesso Philipps aveva avuto la medesima destinazione, anche se non sappiamo se fosse sopravvissuto ad un anno di deportazione. Invece, risulta presente fino al 3 giugno 1944 Joseph Faber, inglese, appartenente allo Special Force 1, nomi di copertura Bobino, Fortress, du Faur, Pelgreti. Ma sarebbe da escludere anche che il caduto fosse questi, perché c’è un appunto manoscritto con i suoi dati, probabilmente autografo, che è redatto con penna a sfera e quindi risale a dopo il 1950. Nei registri – lacunosi ed incompleti – di via Tasso relativi all’ultimo periodo, di Armstrong sembra non esserci traccia. D’altra parte, il nome di Armstrong non mi è stato mai fatto da Arrigo Paladini – allora ufficiale detenuto a Via Tasso e che scampò per un caso all’avvio sullo stesso camion dei caduti de La Storta – né da Peter Tompkins, agente segreto dell’OSS americana, che dal dopoguerra aveva raccolto molta documentazione sugli agenti segreti presenti a Roma, anche da lui non conosciuti all’epoca.

Agli amici inglesi che mi hanno telefonato ho risposto che si dovrebbe cercare in una direzione da altri praticata positivamente. Le forze armate britanniche avevano una polizia militare e una magistratura militare particolarmente efficienti e professionalmente capaci, formate da uomini che spesso facevano gli investigatori e i magistrati anche nella vita civile. Quasi ovunque, in Italia, quando è stato necessario risolvere questioni fra le diverse versioni tedesche, italiane fasciste e italiane partigiane sulle origini di episodi di stragi di civili, si è fatto ricorso proficuamente ai documenti prodotti dagli inquirenti inglesi. Credo che, dopo l’arrivo alleato nella città di Roma, come per il caso delle Ardeatine e per i casi di altre stragi naziste compiute successivamente, la polizia e la magistratura militari alleate (inglesi, ma forse anche americane) abbiano condotto un’inchiesta anche per il caso de La Storta ed appurato qualcosa sull’inglese sconosciuto. In seguito non se n’è più parlato perché forse agli italiani non interessava e gli inglesi se ne erano dimenticati.

Certamente le autorità inglesi sapevano quali fossero le identità dei loro agenti che agivano a Roma sotto copertura e Armstrong doveva avere un certo rilievo, se è vero che, come ricorda Trevelyan, in precedenza – immaginandone una lunga detenzione a Regina Coeli – l’organizzazione di tutela e assistenza dei militari alleati del maggiore Sam Derry e di mons. Hugh O’Flaherty ne aveva richiesto uno scambio insieme ad un proprio collaboratore, il tenente Bill Simpson.

Non c’è che da restare in attesa che le autorità militari inglesi forniscano le notizie in loro possesso e, soprattutto, continuare a ricercare negli archivi e centri di documentazione già aperti alla consultazione.

Antonio Parisella

(Professore ordinario di storia contemporanea, Università di Parma - Presidente del Museo storico della Liberazione)

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Ancora sulla questione dell’inglese sconosciuto ucciso a La Storta

 NUOVE CONSIDERAZIONI SU JOHN ARMSTRONG

 Avviate ricerche dall’Ambasciata inglese

 Roma, 6 aprile - A seguito del mio intervento sulla questione del quattordicesimo caduto della strage de La Storta oppure dell’inglese sconosciuto della stage de La Storta, ho ricevuto due segnalazioni alle quali sento il bisogno di dare qui una risposta.

Qualcuno, forse ricorderà i termini del problema. Avevo invitato ad essere cauti nell’identificazione con l’agente dei servizi segreti inglesi John Armstrong, perché le fonti al riguardo sono incerte ed esili ed avevo auspicato che le autorità inglesi fornissero le informazioni in loro possesso sulla base di due considerazioni: la prima che i servizi segreti, comunque, sanno come e dove sono stati eventualmente eliminati i loro agenti; la seconda che, probabilmente, le autorità della polizia militare e della magistratura militare inglese, come in tutti gli altri casi, avrebbero condotto un’inchiesta anche sulla stage de La Storta.

Ora, Augusto Pompeo, archivista di Stato e studioso dell’attività poliziesca in Roma occupata, mi ha segnalato che anche Dan Kurzmann (nel volume Obiettivo Roma, Milano, Dall’Oglio 1977) parla di John Armstrong e della sua fine a La Storta. Ho controllato ciò che scrive questo autore. La sua fonte è il volume di memorie di Sam Derry (The Rome Escape Line. The Story of the British Organization in Rome for assisting Escaped Prisoners-of-war 1943-1944, Harrap, London 1960), agente segreto inglese a Roma e organizzatore con mons. Hugh Joseph O’Flaherthy della rete di salvataggio di militari soprattutto inglesi in collaborazione con ambienti aristocratici e religiosi romani. Di John Armstrong dice (pp. 366-368) che era capitano e che insieme all’altro agente “Bill”, William C. Simpson erano stati catturati e detenuti a Regina Coeli. Non era stato possibile ottenerne la liberazione in uno scambio perché se ne ignoravano i falsi nomi ed essi, per regola di servizio, erano tenuti a non rispondere se chiamati dal nemico con il nome vero. Poco prima della Liberazione erano entrambi ancora prigionieri, malgrado la promessa dello sgherro fascista Pietro Koch di liberare entrambi. Per far liberare Simpson gli fu comunicato il nome di copertura, mentre di Armstrong non lo si conosceva. Egli, pertanto, del quale si dice “prigioniero di guerra inglese”, sarebbe stato portato a Via Tasso solo negli ultimi giorni dell’occupazione e da lì avviato a La Storta il 3 giugno e ucciso nell’esecuzione dei quattordici il 4 giugno. La cosa che riduce valore alla testimonianza utilizzata da Kurzman e alla sua ricostruzione e che fa venire un dubbio è il fatto che egli elenca tra i caduti anche il radiotelegrafista che lavorava con l’agente americano dell’OSS Peter Tompkins conosciuto come Eugenio, cioè il sottotenente italiano Arrigo Paladini. Quest’ultimo era invece su un altro camion e con altri fu riportato in cella per far posto alle SS che erano su un terzo veicolo che si era guastato e non poteva essere riparato perché le truppe alleate ormai incalzavano. In seguito divenne anche direttore del Museo storico della Liberazione ed ha più volte narrato l’ultima fase di via Tasso, senza fare il minimo cenno – al pari di altri – alla presenza di Armstrong.

L’altra segnalazione era di Massimo Patucchi, giornalista de “la Repubblica” e autore del primo articolo del 24 aprile sulla vicenda, che peraltro sulle pagine del suo giornale non ha dato alcun cenno alle perplessità da me espresse e raccolte da “Storia del XXI secolo” e dalla “Newsletter della memoria”. Egli mi mette al corrente di aver rintracciato due testi inglesi che trattano di Armstrong. Il primo è quello William C. Simpson (A Vatican Lifeline ’44, Allied Fugitives, Aided by the Italian Resistance, Foil the Gestapo in Nazi-Occupied Rome, Sarpedon, New York 1996, ora anche in edizione italiana La guerra in casa, 1943-1944. La resistenza umanitaria dall'Abruzzo al Vaticano, presentazione di Roger Absalom, a cura del Liceo scientifico E. Fermi di Sulmona, ed. Qualevita, Torre dei Nolfi 2004), il quale – al pari di di Sam Derry (autore del secondo) – parla anch’egli delle cose riportate sopra. Ma Patucchi aggiunge di non aver trovato traccia nelle carte di Regina Coeli presso l’Archivio di Stato, la cui documentazione è peraltro incompleta per distruzioni e asportazioni degli stessi agenti e militari tedeschi.

Massimo Patucchi, poi, fornisce alcune altre informazioni interessanti. Sulla base di una citazione di un libro di Mimmo Franzinelli (Guerra di spie. I servizi segreti fascisti, nazisti e alleati. 1939-1943, Mondadori, Milano 2006)Guerra di spie,   ) e della documentazione raccolta da un certo avvocato Mannironi (che lui ha potuto consultare), John Armstrong andrebbe identificato con il marconista inglese catturato come spia dai carabinieri nel gennaio 1943 in Sardegna, quindi prima dell’occupazione nazista, dove era sbarcato insieme all’italiano Salvatore Serra, e detenuto a Regina Coeli.  

Ma queste cose non aggiungono nulla di utile alla risoluzione del problema, che resta al punto di partenza. Mentre si ha più chiara la fisionomia di John Armstrong, non ci sono oggi ulteriori elementi certi per identificarlo con il quattordicesimo caduto de La Storta.  

Tuttavia, dall’intera questione emergono alcune cose che arricchiscono il quadro e indicano altre fonti possibili.

Anzitutto, John Armstrong venne catturato come spia dagli italiani. Quindi, le autorità militari italiane, i Carabinieri in primis e lo Stato Maggiore, ma anche la magistratura militare e il Tribunale speciale per la difesa dello Stato dovrebbero essersene occupati. In secondo luogo, occorre chiedersi come mai, quando pera di chi fosse finito nelle mani dei tedeschi. In terzo luogo, occorrerebbe domandarsi per quale ragione fosse stato consegnato alla polizia di sicurezza tedesca e non al controspionaggio militare, cui competeva occuparsene, e del quale si era probabilmente occupato.

Tuttavia, anche questi interrogativi riguardano più il caso Armstrong in generale che il suo eventuale tragico destino. Lo stesso Patucchi – riprendendo il mio suggerimento – dice che “solo l’eventuale documentazione inglese ... potrà chiarire [il] dubbio” e aggiunge una notizia incoraggiante: “spero possa essere trovata dall’ambasciata britannica che già si è attivata da qualche giorno”.

Se le cose stanno in questo modo, c’è da dire che il mio primo intervento – mettendo in crisi le primitive quasi certezze – può essere servito a qualcosa.

Antonio Parisella (Presidente del Museo storico della Liberazione)

 

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