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         | Dibattito Resistenza e revisionismo "LUtopia
        nel gulag. Si condanna lorrore nazista e si minimizza quello sovietico"  di
        Pierluigi Battista Ancor oggi (anzi: forse più oggi che in passato) lapproccio
        "comparativista" non solo non gode di buona reputazione, ma appare moralmente
        gravato da un atroce sospetto. Si teme da più parti lincontinente uso
        "revisionista" di un comparativismo aggressivo e pretestuoso il cui scopo
        neanche tanto recondito sarebbe quello non già di capire ma di minimizzare, se non
        addirittura di banalizzare, lorrore assoluto dellOlocausto. Ci si allarma per
        linevitabile effetto di ridimensionamento del Male nazista che lequiparazione
        di nazismo e comunismo comporterebbe, vale a dire un inizio di relativizzazione che
        gradualmente farebbe scivolare lo sterminio degli ebrei nel magma dellindistinzione,
        nellinclusione di un delitto di inimmaginabile portata nellinfinito elenco
        delle tante piccole grandi nefandezze che hanno insanguinato la storia dellumanità:
        Auschwitz come un episodio tra gli altri di ordinaria efferatezza, la Shoah come una delle
        tante contingenze sanguinose che punteggiano la lunga e miserabile vicenda umana. Se le
        cose stessero così, sarebbe davvero arduo dar torto agli anti-comparativisti. Tuttavia si
        impone un contro-sospetto, speculare ma non meno preoccupante di quello avanzato
        dallanti-comparativismo: che siano piuttosto i crimini del comunismo ad essere
        considerati un ordinario incidente cruento della storia il cui proditorio accostamento con
        altri e più gravi crimini costituirebbe linizio di una impropria banalizzazione di
        questi ultimi. "Banali" i milioni e milioni di morti nelle carneficine
        comuniste? Una delle tante, insignificanti atrocità della storia umana il sistematico
        annientamento di interi gruppi umani, di classi sociali, di popoli integralmente
        trasportati nellinferno dei "nemici oggettivi" e perciò meritevoli di
        scomparire nel nulla? Latroce contro-sospetto è insomma che sia proprio
        lanti-comparativismo ad aver preventivamente banalizzato, ridimensionato,
        relativizzato, minimizzato la portata apocalittica dei massacri compiuti nel nome del
        comunismo tanto da renderli "imparagonabilmente" meno gravi di quelli compiuti
        dal nazismo.
 E poi: chi lha detto che gli stermini abbiano il potere di
        elidersi reciprocamente nella memoria collettiva, e che le morti, anziché sommarsi e
        tragicamente aggiungersi, debbano addirittura annullarsi vicendevolmente? Perché disturba
        così tanto lidea che alla fine del "secolo breve" gli orrori
        "sterminazionisti" siano addirittura due e non uno soltanto (non
        "zero", come dicono senza pudore i negazionisti di Auschwitz, ma ben
        "due": esattamente il contrario del ridimensionamento)? E che bislacca idea si
        ha mai della "memoria" comune se si suppone, con unimperdonabile e
        grottesca dilatazione del già trito luogo comune secondo cui "chiodo scaccia
        chiodo", che il ricordo delle vittime di una delle due ideologie
        "sterminazioniste" avrebbe come ovvio effetto lo sbiadirsi e laffievolirsi
        del ricordo delle vittime cadute sotto i colpi dellaltra e opposta ideologia
        "sterminazionista"? Perché dovrebbe assurdamente applicarsi alla memoria un uso
        stravagante della teoria dei vasi comunicanti per cui a un aumento di indignazione per le
        vittime del Gulag dovrebbe inesorabilmente corrispondere un rarefarsi
        dellindignazione per le vittime del nazismo? Perché mai la dimenticanza del Gulag
        dovrebbe essere il terribile prezzo per conservare vivida la memoria di Auschwitz? Perché
        linvocazione sinora non udita "mai più Gulag" dovrebbe obbligatoriamente
        indebolire il grande messaggio morale contenuto nel solenne impegno "mai più
        Auschwitz"? Che cosa si teme, forse che il nome di Shalamov possa trascinare
        nelloblio quello di Primo Levi? E se mai fosse possibile una simile, terrificante
        concorrenzialità mnemonica, come mai non ci si preoccupa delleventualità che
        sinora possa essere accaduto il contrario, anche, beninteso, sulla base delle migliori
        intenzioni e nellassoluta buona fede? Perché il negazionismo sulla Shoah suscita
        sacrosanta e acuta indignazione e il negazionismo sul Gulag è tollerato se non
        addirittura apprezzato come segno di un frizzante snobismo intellettuale? E stato scritto da Antonio Moscato sul "Manifesto" che la "campagna
        sui crimini del comunismo riaffiora periodicamente ed è molto sgradevole; ma
        bisogna essere consapevoli che è lesistenza di una mentalità
        negazionista in consistenti settori della sinistra a renderla possibile".
        Ora, anche apprezzando lammirevole franchezza nel denunciare la persistenza di una
        diffusa "mentalità negazionista" nella sinistra di matrice comunista, perché
        mai la "campagna sui crimini comunisti", avendo riconosciuto onestamente
        lesistenza di questi ultimi, dovrebbe risultare "sgradevole"? Ed è più
        "sgradevole" la campagna oppure i "crimini denunciati?". E perché non
        viene riconosciuta come una ferita nella memoria collettiva ciò che è stato denunciato
        da Vittorio Strada, e cioè che, incontestabilmente, "uno dei più tremendi crimini
        del XX secolo, lOlocausto, è stato oggetto di un numero assai alto di
        documentazioni e analisi, restando al centro dellattenzione, e della deprecazione,
        come lo era stato nei decenni precedenti. Invece il Gulag, un crimine analogo, per quanto
        dotato di una sua peculiarità, ma anche più grave del precedente in senso quantitativo,
        cioè per numero di vittime, per durata ed estensione, non occupa nellattenzione
        pubblica e nelle ricerche storiche un posto paragonabile a quello
        dellOlocausto".
 E perché, come ha fatto Gad Lerner, dovrebbe essere definita
        "nevrosi comparativa" e dunque qualcosa che somiglia a una patologia
        intellettuale, a unossessione psico-culturale vagamente torbida e maniacale
        chiedersi, con Alain Besançon, come sia possibile "che oggi la memoria storica
        tratti comunismo e nazismo in maniera così diversa da sembrar dimenticare il primo"?
        Perché dovrebbe essere scandaloso, di fronte allannientamento di "milioni di
        bambini figli di miserabili kulaki", esigere, come ha fatto Ernesto Galli della
        Loggia, rigore e onestà nel chiedersi "che cosa ha ucciso quei bambini, qual è il
        significato, anzi meglio la portata storica, il rango, diciamo
        così, della loro morte"? Perché limmaginazione collettiva nellOccidente
        liberale e democratico non viene stimolata a produrre film e romanzi, fumetti e strips ,
        sculture e creazioni grafiche, musiche e trasmissioni televisive, canzoni e poesie che
        permettano di non dimenticare lorrore della repressione comunista e la grandezza
        morale delle sue innumerevoli vittime? Perché a nessuno Spielberg viene in mente, a
        mo di parziale (molto parziale) risarcimento simbolico, di dedicare un kolossal
        avvincente e avventuroso su uno Schindler sovietico? Perché? Le risposte possono essere tante. Ma la principale può essere legittimamente riassunta
        così: perché lattaccamento allutopia assolve gli artefici dei
        "crimini" e condanna una seconda volta (e stavolta alloblio eterno) le
        vittime dei crimini compiuti nel nome di quella che ancor oggi viene considerata, malgrado
        il suo conclamato fallimento, una generosa utopia. Lautoinnocentizzazione ha bisogno
        di continue conferme, non tollera che utopia e Gulag vengano messe in una relazione troppo
        stretta, non può sopportare dubbi e smentite allautogratificante idea in base alla
        quale, sia pur a prezzo di indicibili orrori, chi ha creduto in una grande utopia sia
        comunque stato e continui ad essere, nonostante tutto, dalla parte del Giusto.
 Lautoinnocentizzazione ricavata dall"argomento utopistico" è
        incardinata sulla certezza che mentre il nazismo è il perfetto compimento di un progetto
        di morte e distruzione, che la sua fine sia contenuta nellinizio e che tra i suoi
        proclami e le sue realizzazioni ci sia coerenza e coincidenza assoluta, il comunismo
        storico, quello "cattivo" e condannabile, è invece la smentita delle sue
        premesse "universalistiche", che linferno della sua stravolta
        realizzazione è la contraffazione dei suoi proclami e della sua premessa paradisiaca.
        Mentre il nazismo è inveramento della propria natura maligna, caduta in un passato buio e
        primitivo, il comunismo "storico", promessa di giustizia e di eguaglianza,
        figlio radicale di uneresia che nasce pur sempre nel cuore della cultura
        illuministica altro non sarebbe invece che perversione e degenerazione ("una bella
        idea che ha preso una brutta piega", come ha scritto con icastico sarcasmo De
        Benoist). E dunque, se cè incontestabilmente un rapporto di consustanzialità tra
        nazismo e malvagità sterminatrice, ci sarebbe un rapporto di snaturamento tra la
        "bontà" liberatrice del progetto comunista e leffettuale manifestarsi di
        pratiche sterminatrici nella realizzazione "storica" del comunismo.
 Se cadesse questa pretesa di radicale differenza tra comunismo e
        nazismo (privando così il comunismo di quella fondamentale risorsa che Furet ha definito
        "il beneficio delle buone intenzioni"), se il comunismo venisse assimilato a un
        progetto per sua stessa natura incline a realizzarsi in pratiche
        "sterminazioniste" su vasta scala, non solo ne deriverebbe la perdita
        dellinnocenza per chi del comunismo si è fatto cantore e strenuo militante ma
        verrebbe inesorabilmente meno anche la pretesa di "superiorità etica" che il
        comunismo ha rivendicato e rivendica sul nazismo. ("La Stampa", 13 aprile
        2000)   |