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La deposizione di Ferruccio Parri al processo sulla fuga di Turati

La deposizione resa il 9 novembre 1927 da Ferruccio Parri davanti al tribunale di Savona che lo stava giudicando per avere aiutato ad espatriare il vecchio leader socialista Filippo Turati:

"Signor giudice, la mia volontaria e meditata partecipazione all'espatrio clandestino dell'on. Turati è stata determinata, come già le dichiarai, da moventi strettamente politici. I quali tuttavia dalla deposizione che ho già resa in sue mani - su questo punto necessariamente sommaria - non risultano con quella assoluta chiarezza che deve essere attributo e privilegio di un atto di così piena consapevolezza. Mi consenta, pertanto, signor giudice, di completare per questa parte le mie dichiarazioni. Non mi hanno guidato ragioni di personale rancore verso il regime; non ambizioni o delusioni o vendette insoddisfatte; insisto nel definire moventi strettamente secondari lo stesso sdegno del momento e la sollecitudine per l'Uomo nobilissimo minacciato. Mi onoro di aver servito in pace e in guerra lo Stato italiano con fedeltà e abnegazione... - cui non sono mancati riconoscimenti ed elogi; - non ho mai seguito, come le dissi, movimenti di estrema; alieno in genere alla vita politica e per questo rimasto estraneo ai partiti, nessuna responsabilità ho certo da rimproverarmi rispetto agli anni torbidi del dopoguerra. Contro il fascismo non ho che una ragione di avversione: ma quest'ultima perentoria ed irriducibile, perché è avversione morale; è, meglio, integrale negazione del clima fascista. Né sono solo: il mio antifascismo non è fermentazione di solitaria acidità. Le mie idee sono di altri mille giovani, generosi combattenti ieri, nemici oggi, del traffico di benemerenze e del baccanale di retorica che contrassegnano e colorano l'ora fascista. Indenni di responsabilità recenti, intransigenti perché disinteressati, intransigenti verso il fascismo perché intransigenti con la loro coscienza, sono questi giovani i più veri antagonisti del regime, come quelli che hanno immacolato diritto di erigersene a giudici. Ad essi il fascismo deve, e dovrà, rendere strettamente conto delle lacrime e dell'odio di cui gronda la sua storia, dei beni morali devastati, della nazione lacerata. Il regime li può colpire, perseguitare, disperdere, ma non potrà mai aver ragione della loro opposizione, perché non si può estirpare un istinto morale. Consapevoli custodi, essi sanno che alla loro coscienza è affidata, per le speranze dell'avvenire, la tradizione del passato. Questa tradizione è nell'aspirazione, perenne nella nostra storia migliore, alla libertà e alla giustizia, ragione ideale del nostro Risorgimento, ragione domani ancora della nostra storia nella storia del mondo. Chi, come il fascismo ha fatto, oblia e - cieco - rinnega questa eredità ideale, perduti insieme freno e timone, fatalmente degrada il suo dominio politico a sopraffazione; menzogna e ipocrisia si fanno strumenti di governo e ragioni di corruzione e di corrosione; cade ogni norma e limite di moralità pubblica: è consentita ogni offesa alla dignità personale; si disfrena, serva e padrona dei potenti, la bestialità umana. Perché questa buia parentesi sia chiusa ed espiata, occorre che l'esperimento fascista, percorso tutto l'arco del suo sviluppo secondo la logica del suo impulso e del suo peso, abbia maturato nella coscienza del popolo tutti i suoi frutti amari e salutari, restituendogli ansiosa sete dei beni perduti, ferma volontà di riconquista e ferma volontà di difesa. Secondo Risorgimento di popolo - non più di sole avanguardie - che solo potrà riallacciare il passato all'avvenire. È di noi la certezza che libertà e giustizia, idee inintelligibili e mute solo in tempi di supina virtù, ma non periture e non corruttibili perché radicate nel più intimo spirito dell'uomo, che questi due valori civili primi debbano immutabilmente sostanziare ogni forza di liberazione e di ascensioni di classi e di popolo. Nella fede in queste idee noi ci riconosciamo; nel dispregio di queste idee riconosciamo il fascismo. Contro le nostre persone esso ha bastone e manette, contro la nostra fede è inane. Non ha invero che i sofismi dei suoi retori e servi. Esso ci bestemmia, ebro, antinazione. Ma io, signor giudice, che ho creduto nel valore civile della storia nazionale che insegnavo in iscuola, io che nel 1916 ho inteso combattere per la grandezza morale della patria, e per una idea augusta di libertà e di giustizia, io non potevo non sentire che l'esempio del Risorgimento e il dovere del 1915 erano ancora il dovere di oggi. Ho anche sentito, come in guerra, che ai più consapevoli spetta ineluttabilmente l'onore dell'esempio. Mi lasci accennare alle tre medaglie d'argento da me guadagnate che sono la più bella testimonianza della mia fede di cittadino - e di italiano. Voglio ricordarvi che io - se avessi voluto far commercio di chincaglierie - avrei potuto convertirle in una medaglia d'oro che oggi vorrei avere soltanto per poterla scagliare contro chi... (a questo punto il presidente interrompe l'imputato per evitare che completi la sua allusione a Mussolini. Parri, quindi, riprende) Quando il novembre ha portato la totale sommersione di traccia e modo di resistenza, ed anzi di vita pubblica, nello sconforto e nell'accasciamento generale ho sentito degno e doveroso dar opera ad una protesta non sterile ed effimera, che, rompendo il silenzio plumbeo, fosse una riaffermazione, di fronte all'avvenire, di una Italia migliore. Protesta e riaffermazione che ormai potevano vivere solo oltre confine, mentre la paura del regime, con la minaccia delle sue leggi, pretendeva vietare ciò che la sua stessa violenza rendeva necessario. Leggi nate dalla paura e dalla violenza, senza radici perciò nella coscienza civile, senza diritto quindi al rispetto, persuadenti anzi alla ribellione. È da questa posizione, signor giudice, che deriva il mio atto, è questa diretta e consapevole coerenza con il mio passato che gli conferisce - io credo - una significazione particolare. Ho invero con l'on. Turati un legame che vince ogni diversità di origine ed ogni possibile discordanza del passato: un legame per oggi e domani essenziale, qual è quello della devozione a quelle idee, della avversione a questo clima. L'on. Turati, per l'altezza del suo animo e per l'onoranda dignità della sua vita, poteva a buon diritto rappresentare, sopra ogni divisione e tendenza, di fronte alla civiltà europea, la condanna dell'ottenebramento italiano, la riaffermazione di quei princìpi ideali nei quali la storia moderna si riconosce, la riaffermazione anche di una Italia che sia patria libera ed equa a tutti gli italiani. Nessuna iattanza e nessuna libidine di falso martirio da parte nostra. Ma, poiché ora la legge fascista ci chiama a rispondere del nostro atto, con orgoglio ne rivendichiamo la prima e più diretta responsabilità con tanto più orgogliosa coscienza oggi che nulla si oppone ai trionfatori, che è pregio delle coscienze più diritte percuotere l'accidia e l'ipocrisia della vita pubblica con l'esempio del sacrificio, oggi che è più veemente in noi, di fronte all'orizzonte più chiuso, la certezza dell'avvenire. Signor giudice, la condanna della fazione, colpendoci, ci onorerà".

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