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Francesco Ruffini, LE ORIGINI, da "La Rivoluzione Liberale", a. IV, n.5 , 1 febbraio 1925, "Commemorazione della proporzionale", p.22.

 

Piero Gobetti
Luigi Sturzo
Guido Dorso
Stuart Mill

 

Nel febbraio del 1925 il fascismo aveva già vinto, avendo superato la crisi del delitto Matteotti (estate 1924) che era seguita alla denuncia svolta dal deputato socialdemocratico in merito alle truffaldine elezioni dell’aprile 1924, le prime in applicazione della nuova legge elettorale maggioritaria, voluta dal fascismo, la "legge Acerbo", che aveva soppresso la proporzionale.

Piero Gobetti, che di lì a poco avrebbe subito il pestaggio dei fascisti che, in esilio, lo avrebbe condotto alla morte, lavora ancora ostinatamente alla sua rivista , la "Rivoluzione Liberale" ed alla sua casa editrice che, in quello stesso 1925, pubblicava gli Ossi di seppia di Montale; Sturzo è già in esilio a Londra, il PSI è distrutto, il PCd’I è praticamente fuorilegge e il suo Congresso di Lione (quello che porterà Gramsci alla segreteria) si dovrà svolgere, non per caso, all’estero. In questa situazione così tragica e compromessa appare straordinariamente significativa la decisione di Gobetti di "voltarsi indietro", di capire il punto cruciale della sconfitta storica subita dalla democrazia italiana.

Vede così la luce un numero speciale, quasi monografico, della "Rivoluzione Liberale", che Gobetti stesso intitola "Commemorazione della proporzionale", con scritti di Sturzo, Salvemini, Dorso, Ruffini e dello stesso Gobetti, che argomentano (da posizioni e punti di vista diversi) il carattere centrale della lotta democratica per la proporzionale e, d’altra parte, la profonda necessità politica che condusse il fascismo a sopprimerla. Riviveva nella situazione diversa la storica contrapposizione fra vecchie classi reazionarie italiane, da sempre schierate per il maggioritario, e la spinta della masse verso la partecipazione alla politica e l’autogoverno, che doveva comportare un sistema elettorale proporzionale. Anche in questa vicenda Gobetti ed i suoi ricercavano le radici storiche, profonde e durature, del fascismo, la sua intrinseca continuità con la politica dei ceti reazionari italiani: insomma, per dirla con una frase gobettiana, leggevano il fascismo come "autobiografia della nazione".

Oggi, settantaquattro anni dopo quel numero speciale, le ragioni politiche e culturali della rivista di Gobetti risuonano sinistramente attuali; forse anche oggi, come nel 1925, è già troppo tardi, ed un nuovo fascismo, una falsa democrazia autoritaria e plebiscitaria, forse, ha già vinto. Sul carro dei nuovi Acerbo del 2000 sventolano irresponsabili bandierine di consenso tanti "democratici", magari "di sinistra", che naturalmente si definiscono tutti "gobettiani", senza aver letto una sola riga di Gobetti e contraddicendo vergognosamente nei loro comportamenti il suo pensiero.

 

Piero Gobetti:

p.g.(Piero Gobetti), DIFESA STORICA, da "La Rivoluzione Liberale", a. IV, n.5 , 1 febbraio 1925, "Commemorazione della proporzionale", p.22.

«In Italia le questioni costituzionali continuano ad essere considerate come questioni di forma, come se tutti i popoli non avessero fatto la prova delle loro attitudini all’autogoverno e delle qualità diplomatiche nella creazione dei congegni elettorali più adatti a condizioni storiche specifiche e nella coordinazione degli istituti statali e delle iniziative libere.

Il collegio uninominale fu il sistema ideale in un paese (l’Inghilterra) che aveva rinunciato al feudalismo per garantirsi contro un sovrano statolatra; è ancora economicamente e politicamente una forma feudale, presuppone il voto limitato e l’esistenza di una classe aristocratica, si adatta ad un tipo di vita tradizionale e sedentaria esente dallo spirito d’avventura; riesce l’ideale più accessibile ai contadini, alieni dal partecipare alla vita dello Stato, paghi di eleggere il deputato, incapaci di controllarlo.

Dove il deputato non può parlare in nome dei suoi interessi di feudatario la tendenza del collegio uninominale si esprime nella formazione di una classe di politici, facili a degenerare in una pratica di politicismo parassitario. Questo processo si ebbe, in forme alquanto demagogiche , in Italia, dove gli interessi agrari non riuscirono a stabilizzarsi, e l’istituto retorico trasformò il rappresentante nel tribuno.

Così stando le cose la rappresentanza proporzionale parve segnare giustamente in Italia il periodo in cui la vita unitaria si sarebbe imposta alfine, dopo il tormento della guerra e della ascensione socialista, con una fisionomia di serietà etica e politica. Se ne fece banditore il partito popolare che inaugurò appunto in Italia, nella misura concessa agli italiani, una rivoluzione di carattere protestante, sia per la sua etica cristiano-liberale, sia per lo spirito laico e cavouriano con cui considera il clericalismo (Sturzo e Donati).

L’utilità della proporzionale non fu quella di uno strumento di conservazione, come crede alcuno, ma si rivelò nel creare le condizioni della lotta politica e del normale svolgimento della opera dei partiti.

A questo concetto noi dobbiamo dare dei riferimenti alquanto diversi dai consueti. Il dopoguerra fu un fenomeno di dissolvimento dei costumi e di tormenti ideologici: le condizioni generali vi sono assai analoghe a quelle dell’Europa di Lutero, fortemente favorevoli a un movimento di carattere religioso nel senso di una riforma cristiana del cattolicesimo. Il sintomo più importante di queste esigenze non sono i varii episodi mistici e confessionali (Papini, Manacorda, Zanfrognini, Conscientia), ma il tentativo di Sturzo che ha appunto la serietà di un largo movimento sociale. La proporzionale diede a queste voci i mezzi per agire nel terreno nazionale; per presentarsi come programmi e proporre delle discipline. La democrazia trovava la sua atmosfera liberale: la proporzionale obbliga gli individui a battersi per un’idea, vuole che gli interessi si organizzino, che l’economia sia elaborata dalla politica.

Uno dei più forti segni di disgregamento del dopoguerra non fu la lotta di classe, ma il pericolo che le classi si spezzassero egoisticamente in categorie; che gli interessi vincessero le idee, che il corporativismo si sostituisse ai costumi di lotta sindacale rivoluzionaria insegnati da Marx e da Sorel. Il pericolo - anche se nessuno lo ha visto - stava nelle rappresentanze professionali, concetto che fu caro a tutti gli intellettuali disoccupati da Murri a Rossoni. Solo la proporzionale ebbe la virtù per qualche anno di utilizzare queste forze disgregatrici obbligandole a trasportare gli interessi nel campo politico, dove naturalmente sono tratti a coordinarsi rinunciando al loro esclusivismo proprio quanto più ciascuno lo afferma e lo difende.

Il fascismo dovette sconvolgere, per vincere, i risultati liberali conservatori di due esperimenti proporzionalisti e oppose all’esercito degli elettori gli ignari dei diritti politici.

Il loro istinto di padroni guida assai precisamente i fascisti nella lotta contro la proporzionale. Ora codesti padroni sono tanto più curiosi in quanto ci vogliono presentare i loro stratagemmi di vogare restaurazione come scoperte futuriste. La critica alla proporzionale perché non rende possibile un governo di maggioranza è futurista proprio come le scoperte marinettiane di forme d’arte alessandrine.

L’importanza dell’opera moralizzatrice della proporzionale si riconobbe negli esperimenti italiani, nella sua attitudine a liquidare i governi di maggioranza. Dove prevale senza incertezza una maggioranza si ha nient’ altro che una oligarchia larvata. La formazione elettorale della maggioranza di governo è poi sempre un risultato di transazioni e di equivoci (patto Gentiloni); l’arma del ricatto diventa il sistema con cui il tiranno può asservire ai suoi istinti gli eserciti delle democrazie votanti.

La vita moderna si nutre di antitesi e di contrasti non riducibili a schemi; i blocchi e le concentrazioni sono il sistema del semplicismo in cerca di unanimità; la logica della vita politica riposa nella varietà e nel dissenso, il governo ne sorge per un processo dialettico diversamente atteggiato a seconda delle diverse azioni di tutti i partiti. La proporzionale è riuscita a creare le condizioni di vita per un governo di coalizione (valorizzato dall’influenza di partiti che vi collaborano anche quando si contrastano), eliminando ogni possibilità di "patti Gentiloni". L’Italia di Nitti dovrà rimanere per questo aspetto a parte ogni critica ce si possa muovere alla figura del ministro, un ideale vanamente vagheggiato e risperato di educazione politica.

In quel periodo torbido e difficile mentre la proporzionale aiutò con chiarezza i governi a salvare il paese, ci fu dato il primo esempio della capacità degli italiani a vivere in un regime di democrazia moderna: fuori di quell’esperimento non ci rimase altra alternativa che il presente medioevo.»

p.g.

 

Luigi Sturzo:

Luigi Sturzo, LA PROPORZIONALE RISORGERA’, da "La Rivoluzione Liberale", a. IV, n.5 , 1 febbraio1925, "Commemorazione della proporzionale", p.21.

«Era necessaria una testa di turco, perché borghesia, reazione, avessero trovato su chi sfogare il loro malcontento per un reale intervento delle masse popolari nella vita politica e per una loro migliore partecipazione alla vita economica della nazione. E la testa di turco fu la proporzionale, dannata ad bestias, - prima che Mussolini passasse da proporzionalista a maggioritario, e da maggioritario a uninominalista, - dalla vecchia tradizione italiana liberaldemocratica. Questa in fondo era ed è in gran parte dei suoi superstiti, sia di destra che di sinistra, conservatrice ; e mal tollerò il suffragio universale dato da Giolitti in una giornata di malumore, e approvato da quella stessa Camera che poco prima aveva fatto il niffolo al divo Luzzatti, che voleva elargire un suffragio universale, ma a scartamento ridotto.

Veramente, in fondo in fondo, l’elemento reazionario nostrano (pentito del fallo) avrebbe voluto colpire il suffragio universale ; ma purtroppo si trovava di fronte ad un pericolo : - la sensibilità delle masse, che ormai hanno acquisito questo loro diritto ; - e allora la proporzionale, - la quale incanala le forze democratiche e valorizza il suffragio universale, - ne ha subito tutte le conseguenze, almeno per ora!

Quando manca la proporzionale, i partiti, per essere una adeguata espressione politica della coscienza delle masse, debbono ricorrere alla coalizione o alla semplificazione. Ma questi sono e non possono essere dei fatti arbitrari o improvvisati, sono invece un prodotto di lunghi processi e di sviluppi di vita costituzionale, che per altro non possono essere uguali in tutti i paesi.

In Inghilterra finché la lotta si imperniava su i due partiti storici tradizionali, messi sull’identico piano del regime monarchico costituzionale, senza futurismi o passatismi, era evidente che non potesse esistere una qualsiasi proporzionale, che si sarebbe risolta nella più o meno identica proporzione di seggi nella divisione dei due partiti : uno il vincente l’altro il soccombente.

Oggi che è penetrato in forma stabile un terzo partito (il laburista), fa capolino e si va affermando la tendenza proporzionalista, applicata di già nel Libero Stato d’Irlanda, e caldeggiata dalla Proportional Representation Society che ha per segretario e apostolo il noto Humphreys, proporzionalista puro.

Ancora non può dirsi che il proporzionalismo faccia molta strada in Inghilterra ; e ciò per una salda concezione del passato, e una quasi fatale convinzione che in Inghilterra non può farsi politica seria se non con due partiti soli : uno dei tre deve scomparire. Quale?

I laburisti sono sicuri (ed hanno larga adesione delle masse) che essi sono definitivamente entrati nel ruolo dei due primi partiti ; e che quindi entreranno costantemente nell’alternativa del potere. L’altro oggi è il Conservatore : ma molti ricordano il 1906, quando i liberali ottennero un trionfo maggiore di quello ottenuto dai conservatori nell’ottobre scorso. Ma quale esso sia il prossimo sviluppo dei partiti in Inghilterra, o la riduzione a due ovvero la stabilizzazione a tre con sfaldamenti alle ale ; è certo che nel primo caso la proporzionale è superflua e inapplicabile ; e nel secondo caso, si imporrà quando gl’ inglesi si persuaderanno ( ci vuole un po' di tempo data la mentalità inglese) che il vecchio giuoco dei due partiti è completamente esaurito.

L’altra forma di correggere il suffragio universale senza ricorrere alla proporzionale, è la coalizione elettorale : un tipo costante di ciò, attraverso le varie modifiche della legge elettorale, si è avuto in Francia sia prima che dopo la guerra. Non si può paragonare al tipo italiano che ebbe voga col suffragio ristretto quando si promossero le coalizioni dei così detti "partiti popolari" dopo le reazioni di Rudinì e di Pelloux.

La coalizione elettorale però ha un carattere transitorio e una formazione variabile : e, in confronto all’organizzazione dei partiti all’inglese, è una forma inferiore di vita politica, che obbliga i partiti ai compromessi, per i quali essi partiti restano inquinati di molti elementi marginali assai impuri. Comunque sia adempiono ad una funzione importante le coalizioni, quando rappresentano in sintesi il pro e contro di una determinata situazione politica ; e la possono esprimere in blocchi antitetici :- si arriva così, attraverso una temporanea formazione, alla caratteristica dei due partiti, base della vecchia concezione borghese-parlamentare. Ma come l’Inghilterra ha sentito tardivamente e in forma possibilista l’avvento del terzo partito di masse, il Lavoro, che ha fatto l’effetto del terzo incomodo ; così nella vita parlamentare continentale, prima o poi, dal poco al molto, con varie caratteristiche, si è introdotto il partito socialista (oggi anche diviso e frazionato) che presentatosi come anti-borghese, è finito in regime di coalizione, a divenire una (sic) elemento integrante nella lotta dei partiti costituzionali democratici contro i partiti reazionarii. Fino a che l’acclimatazione del socialismo nell’ambiente parlamentare non era avvenuto, la caratteristica rivoluzionaria era la prevalente e la pregiudiziale. Quando invece, non ostante la pregiudiziale rivoluzionaria, l’avvicinamento possibilista potè realizzarsi, questo è finito a dare anche una base alle coalizioni elettorali e parlamentari in quasi tutti gli Stati europei. Questo elemento( il socialista) e l’altro elemento di carattere pure generale e organizzativo (il democratico cristiano o cristiano sociale, o popolare) fecero precipitare la soluzione proporzionalista, perché moltiplicarono i partiti e diedero la maggiore spinta possibile all’intervento delle classi lavorartici nella politica.

Là dove la proporzionale non ebbe favore, come in Francia, si fu obbligati ad accentuare il tipo di coalizione elettorale. Però in questo caso il terreno politico viene notevolmente spostato e messo su due piani differenti : da un lato coloro (liberali, democratici, radicali, popolari, ecc.) che pur ammettendo il processo legislativo e istituzionale, si trovano concordi sul terreno dello Stato costituzionale rappresentativo ; - e coloro (socialisti delle varie gradazioni) che si trovano sul terreno costituzionale come sopra un terreno tattico di battaglia per un ulteriore sviluppo rivoluzionario.

Che dire se poi su questo terreno così alterato si affaccia un altro nuovo partito, per esempio il fascismo, che accetta il metodo rivoluzionario per attuare un piano reazionario e autocratico?

Le coalizioni fra questi elementi così disparati e discordi rappresentano un compromesso oltre che politico, morale, che fa ritornare la vita politica ad una precipua valutazione di forza e di correnti, e ad una lotta di capitani e di seguaci.

Anche la vita politica ha le sue leggi naturali, che non possono superarsi ; perché la vita politica è una delle faccie sintetiche della vita sociale dei popoli. Non è possibile, dato il suffragio universale, che la massa di un popolo non cerchi di affrancare la propria autonomia da soggezioni politiche ed economiche, e avere una propria personale espressione. Sia essa l’alternativa dei due partiti ; o la rappresentanza proporzionale dei molti partiti; risponde più o meno parzialmente alla necessità di organizzare del suffragio universale. Però è ben da notare che se è superato lo stadio dei due partiti, non è più possibile vi si possa ritornare a volontà o coattivamente; come è innaturale che trovata la via della proporzionale, vi si rinunzi per cadere in quella delle coalizioni.

La violentazione della coscienza collettiva, può avvenire, come ogni altro tormento morale : - ma una volta ottenuta una conquista, non è più possibile rinunciarvi.

Fornirà perciò nuovo argomento di lotta ; questa potrà durare più o meno a lungo e (cosa normale nella storia) coloro che oggi hanno voluto seppellire la proporzionale la invocheranno a loro salvezza.»

LUIGI STURZO

Londra, 18-01-25.

anniversario del P.P.I.

 

Guido Dorso:

Guido Dorso, LA PROPORZIONALE NEL MEZZOGIORNO, da "La Rivoluzione Liberale", a. IV, n.5 , 1 febbraio 1925, "Commemorazione della proporzionale", p.24.

«(...) Collegio uninominale tentativo di ritorno trasformistico

Questo notevole svolgimento antifascista meridionale, non frenato né dalla visita mussoliniana alla Fiera campionaria, che si ridusse ad una passeggiata solitaria, né dalla promessa di lavori pubblici (peraltro non mantenuta) espediente abusato ormai e divenuto di scarsa efficacia, minaccia di porre in serio pericolo il fascismo di fronte al riaffermarsi della lotta politica nel settentrione d’Italia, perché nessun Governo si è trovato dal 1860 ad oggi a dover fronteggiare l’azione dei partiti storici avendo il Mezzogiorno e le isole in subbuglio.

E’ naturale quindi che Mussolini, avvedendosi oggi per la prima volta dell’errore commesso, (felice errore!), abbia pensato di far macchina indietro per riprendere nelle sue mani il meccanismo infranto del personalismo meridionale, attraverso un’elezione a collegio uninominale, che rappresenti un sistema meno sovversivo, e gli assicuri oltre che i voti dei deputati meridionali anche l’adesione delle popolazioni.

Sotto questo profilo, perciò, il ritorno al Collegio uninominale costituisce un tentativo di reazione contro il sovvertimento prodotto, non dalla proporzionale - già adattata sufficientemente al clima storico-politico del paese - ma alla applicazione della legge Acerbo.

E tale tentativo meriterebbe di essere combattuto aspramente se i tempi e le circostanze fossero tali da farci prevedere l’applicazione della unica legge per opera di Mussolini e con criteri rigidamente giolittiani. (...)

Conclusioni

Tuttavia, lasciando per il momento sulle ginocchia di Giove gli avvenimenti futuri, non possiamo chiudere queste brevi note senza un saluto cavalleresco alla diffamata proporzionale che, apparsa come una meteora sul nostro cielo politico, è stata ritenuta responsabile di tutti i vizi e di tutte le deficienze italiane.

L’immaturità generale del paese (non soltanto del Mezzogiorno, ché si estende per lo meno fino in Brianza) non ha permesso di difendere e conservare tale conquista elettorale, ma i tempi sono così grossi che questa perdita non ci spaventa.

Fino a quando il Mezzogiorno continuerà a rimanere assente dalla lotta politica e sarà impossibile adoperare le sue forze per rompere il complesso giuoco dei partiti storici, tutti i sistemi elettorali saranno buoni a mantenere la dittatura del Nord, ed un eventuale ritorno della proporzionale non sarà che una nuova irrisione aggiunta alle precedenti.

Il problema fondamentale della vita italiana è ben più profondo e l’ironia della storia si è già servita delle forze più disparate per iniziarne lo svolgimento.

Speriamo che tale svolgimento prosegua ancora a lungo verso le sue ultime conseguenze, potenziando una per una, tutte le necessità dialettiche dell’unitarismo italiano.

Allora soltanto la proporzionale potrà costituire una conquista intangibile della rivoluzione italiana, giunta a maturazione mercè l’apporto di tutte le forze produttive del paese.»

GUIDO DORSO

 

Stuart Mill:

Francesco Ruffini, LE ORIGINI, da "La Rivoluzione Liberale", a. IV, n.5 , 1 febbraio 1925, "Commemorazione della proporzionale", p.22.

«La fortuna della rappresentanza proporzionale è stata fatta indubbiamente dall’entusiastico assenso, che al sistema di Hare diede un uomo della statura spirituale e morale di Stuart Mill.

Il suo caso merita un cenno particolare.

Il celebre filosofo della libertà e teorista del governo rappresentativo si trovava allora (1860) più assai che non in una crisi di pensiero, in una vera crisi d’anima. Egli stesso racconta nella Autobiografia, come fosse ormai ridotto a disperare della democrazia e della libertà, e a dubitare dell’insegnamento del suo grande maestro Geremia Bentham, chiedendosi "se fosse stato veramente un bene per l’umanità il trovarsi in tutti i luoghi e per tutti i tempi sotto la autorità assoluta della maggioranza", onde era condotto a temere che Bentham non avesse fatto l’uso migliore del suo genio, quando "non contento di avere insediata sovrana la maggioranza per mezzo del suffragio universale, esauriva tutte le risorse della sua ingegnosità a fissare sempre più sempre più saldamente il giogo della pubblica opinione". E volgeva gli occhi alla Francia, nella speranza che un nuovo Montesquieu, o forse anche solo di un Alexis de Tocqueville, recasse il rimedio a tanto male.

In quel punto critico della sua vita spirituale, gli giunse notizia della dottrina del suo compaesano Tommaso Hare. "Io riconobbi, dice Stuart Mill, in questa grande idea pratica e filosofica al tempo istesso, il più grande perfezionamento di cui il governo rappresentativo sia suscettibile". Infatti "a tali immensi mali non si credeva possibile opporre altra cosa che dei palliativi imperfetti. Il sistema di Hare apporta un rimedio radicale. Questa scoperta nuova nell’arte della politica - poiché il progetto di Hare non è niente di meno di una scoperta - mi ispirò, come credo che abbia ispirato a tutte le persone riflessive che l’hanno accolta, delle nuove speranze e una maggiore fede nell’avvenire dell’umana società".(...)

In quel medesimo torno di tempo qualcosa di molto somigliante, per non dire di affatto identico, succedeva in un altro paese di storica democrazia, a Ginevra. (...) Come per il Mill, per il Naville la salvezza, invocata dal di fuori, gli veniva offerta da una idea, che il suo concittadino Antoine Morin aveva svolto qualche anno innanzi, ispirandosi a Victor Considérant: la Proporzionale! I suoi familiari raccontano che egli ne fu immediatamente colpito, dominato, come fascinato. (...) Da allora in poi non ci fu più in Isvizzera e in Europa un propagandista più caloroso e più instancabile di lui. (...)

Posta così vale a dire come una suprema questione di giustizia e di coscienza, era naturale che le varie correnti favorevoli alla introduzione della rappresentanza proporzionale, per quanto scaturite da sorgenti opposte, si fondessero come in un gran fiume, che ha trascinati senza alcuna possibilità di discriminazione, uomini dei partiti politici più diversi. E’ significativo, ad esempio, che in uno dei paesi classici della proporzionale, il Belgio, la sua introduzione si debba a un lungo lavorìo della opinione pubblica, a cui hanno dato uguale alimento i tre storici partiti di quella nazione, il cattolico-conservatore, il liberale e il socialista; mentre per un altro verso non meno significativo è che i due soli avversari palesi ed irrinunciabili che essa conti ancora nel Parlamento belga, siano, da una parte, il capo della vecchia destra cattolica Woeste, e dall’altra il socialista Destrée. La quale osservazione potrebbe ripetersi anche per altri paesi. Così come sono diventate alfine una realtà vivente e universale le magnifiche parole di Stuart Mill alla Camera dei Comuni: "Il principio che io difendo non è né tory, né whig, né radicale, esso merita di figurare nel programma di tutti i partiti che preferiscono a una serie di successi fortuiti un trionfo sempre fondato sui principi della giustizia."»

FRANCESCO RUFFINI

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