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  L'antifascismo nelle carceri e al confino

pallanimred.gif (323 byte) La fuga da Lipari di Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Francesco Fausto Nitti (1929)

di Carlo Spartaco Capogreco

Con i suoi motori truccati poteva raggiungere le 30 miglia orarie. Si chiamava Dream e certo nessun altro nome gli sarebbe stato più congeniale: sapeva infatti di sogno, romanzesco e spericolato, la missione per la quale era stato acquistato. Alberto Tarchiani, Alberto Cianca e Gaetano Salvemini ne avevano predisposto i dettagli con l'ausilio dei "lupi di mare" Raffaele Rossetti (famoso affondatore della corazzata austriaca Viribus Unitis) e Italo Oxilia (che aveva guidato il motoscafo servito per l'espatrio di Turati e Pertini), e con l'operaio repubblicano Gioacchino Dolci, da poco liberato dal confino ed espatriato in Francia, mentre Marion Cave, moglie di Carlo Rosselli, aveva appositamente fatto la spola fra Lipari, Firenze e Londra.
Prima di affrontare il viaggio di andata verso le Eolie, lo scafo venne provvisto di una gigantesca riserva di carburante e, su insistenza di Emilio Lussu, anche di fucili e bombe a mano. L'organizzazione sembrava perfetta in tutti i suoi dettagli e l'ora X del gran giorno, individuata sull'Almanacco Bemporad in base alle fasi lunari, era prossima a scattare: i giorni più adatti erano compresi tra il 5 e il 7 e tra il 26 e il 28 luglio; agosto non venne neppure preso in considerazione, ché nessuno aveva più voglia di attendere. Il piano sembrava lì per scattare il 4 luglio, ma fu bloccato da un imprevisto e tutto venne spostato alla sera del 27. La notte prima, Rosselli sogna di essere inseguito da un leone che avanza velocemente verso di lui sopra un tapis roulant. Lussu, suo compagno di deportazione, non ha alcun dubbio sull'interpretazione simbolica del sogno: tapis roulant = fuga, leone = Africa; conclude, perciò, che questa volta tutto sarebbe andato per il meglio.
Ma, sopraggiunta l'ora stabilita, l'imbarcazione ancora non si vedeva arrivare. Erano già trascorse le ventuno e questo significava che, a momenti, si sarebbe conclusa la consueta conta serale e i guardiani avrebbero scoperto l'assenza di alcuni confinati. Ecco però che, dopo pochi ma interminabili minuti, l'ombra scura di uno scafo si profilò in mare nella casa nottata estiva. Lussu fece prontamente dei segnali luminosi, ai quali altri bagliori rimbalzarono dal natante, che intanto si avvicinava verso il piccolo gruppo di uomini in attesa. Il primo a salire a bordo fu Nitti, poi fu la volta di Rosselli e Lussu. Paolo Fabbri, per alcune complicazioni che avrebbero rischiato di mandare a monte tutta l'operazione, preferì rinunciare alla fuga, restando a proteggere quella dei suoi tre compagni.
Una fune gettata da bordo s'impigliò nell'elica, ma, per fortuna, il motore riprese presto ad andare e Paul Vanin - il giovane motorista, francese - lo portò rapidamente a 1800 giri. Così, tra le imprecazioni dei pescatori, il Dream passò a forte andatura in mezzo alle barche; quindi virò rapido sotto il faro di Vulcano e si lanciò verso il mare aperto a sempre maggiore velocità: Lipari divenne presto un cono d'ombra che si allontanava all'orizzonte.
L'equipaggio era raggiante. Dopo la tumultuosa gioia iniziale, gli evasi vennero però pervasi anche da una certa tristezza: vedendo scomparire le tenui luci dell'isola-prigione, pensarono a tutti i compagni rimasti lì relegati. E un pensiero particolare l'ebbero per Canepa, Magri, Domaschi, Michelagnoli, Spangaro, i loro meno fortunati predecessori. Risollevò l'umore un certo fazioso compiacimento per la beffa giocata ai miliziotti fascisti: immaginavano già le facce del commissario Cannata e del maresciallo Alò, verdi di rabbia, che giravano per Lipari mordendosi le mani. L'ultimo cono scuro emergente dal Tirreno fu quello di Alicudi; era schiarito da un'immensa luna gialla che accompagnava nella notte anche i tardivi inseguitori. Che, tuttavia, decisero presto di desistere.
Al sorgere del sole ecco sulla sinistra il profilo di Marettimo. L'isola delle Egadi era l'ultimo lembo di terra italiana: sul motoscafo si brindò perciò con più convinzione alla riconquistata libertà. Verso mezzogiorno apparve all'orizzonte l'agognata costa africana, e alle 15, a ridosso di un arido promontorio tunisino, l'ancora venne finalmente gettata in mare.
"I cuori scoppiano, le labbra sorridono involontarie. Come avessimo cambiato pelle - ha scritto Carlo Rosselli - Diciotto ore fa eravamo a Lipari, eppure, sembra già tanto lontano nel tempo. Nuovi interessi, nuove speranze urgono. Il confino è fulmineamente entrato nel reparto ricordi. Siamo tutti protesi verso l'avvenire. Vogliamo lavorare, combattere, riprendere il nostro posto. Un solo pensiero ci guiderà nella terra ospitale: fare di questa libertà personale faticosamente conquistata uno strumento per la riconquista della libertà di tutto il popolo. Solo così ci pare lecito barattare una prigionia in patria con una libertà in esilio".
Nell'estate del 1929, la temeraria fuga da Lipari di Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Francesco Fausto Nitti, noti confinati antifascisti, destò grandissimo scalpore. Da Tunisi, via Marsiglia, i tre assieme a Tarchiani raggiunsero Parigi, dov'erano ad attenderli Filippo Turati, Alberto Cianca e Gaetano Salvemini. Nella capitale francese, poterono incontrare giornalisti di mezzo mondo e fornire loro dichiarazioni sul sistema di repressione e deportazione avviato nel 1926 dalla dittatura mussoliniana: il pesante clima di omertà imposto dal fascismo alla stampa e alla società italiana poté così essere spezzato. "Fu un clamoroso successo dell'antifascismo - ha affermato Leo Valiani -, perlomeno agli occhi dell'opinione pubblica delle democrazie occidentali, che ne venne a conoscenza e che attraverso di essa venne a conoscenza dei sistemi polizieschi fascisti e della permanenza di un'opposizione, malgrado la dittatura totalitaria, in Italia". La fuga da Lipari dei tre antifascisti, inoltre, fu gravida di notevoli conseguenze sul piano politico generale, essendo direttamente collegata alla nascita, avvenuta immediatamente dopo a Parigi, del movimento Giustizia e Libertà, che non poco peso avrebbe avuto nella lotta contro la dittatura e nella Resistenza.
Il regime dovete accusare il colpo con evidente scorno e malcelata rabbia. Dalle fonti archivistiche sappiamo oggi che i servizi d'informazione italiani sin dai primi mesi del 1929 erano al corrente di una possibile evasione da Lipari di alcuni confinati: lo smacco fu quindi tanto più bruciante e, per questo, l'ira del capo di polizia Arturo Bocchini esplose con particolare violenza. Il 29 luglio a Courmayeur - dove si trovava per cura, essendo incinta e malata di cuore - fu arrestata la moglie di Carlo Rosselli, cittadina britannica, che tuttavia venne presto rilasciata in seguito al clamore suscitato sulla stampa inglese dalla notizia del suo fermo. A Fiuggi, invece, fu arrestato il giovane professore di storia Nello Rosselli, accusato di aver organizzato la fuga del fratello Carlo. Dopo due brevi soste nelle carceri di Frosinone e Palermo, il 7 agosto 1929, Nello giungeva al confino, per lui non nuovo, sull'isola di Ustica.
Anche a Lipari fioccarono punizioni e restrizioni. Il direttore della colonia di confino, commissario Cannata (che aveva forse avuto l'ingenuità di credere irrealizzabile un'evasione del genere), venne destituito dal suo incarico. Le condizioni di vita dei confinati politici (a partire dalla loro sorveglianza, divenuta assai più dura e opprimente) peggiorarono molto, e non solo a Lipari: la clamorosa fuga dell'estate 1929 segnò una svolta di segno negativo nella vita di tutte le colonie di confino. La milizia fascista avrebbe preso il sopravvento sulla polizia, cercando ogni pretesto per dare sfogo alle proprie animosità. Essa voleva ora farsi perdonare dal regime l'inefficienza dimostrata nei suoi specifici compiti di vigilanza; e lo faceva mettendo in atto una dura repressione quotidiana nei confronti dei deportati politici. Ben presto le rappresaglie e le provocazioni avrebbero colpito persino alcuni abitanti di Lipari, e avrebbero cagionato la morte dell'isolano Antonino Costa e del confinato triestino Giuseppe Filippich.
Per Carlo Rosselli, dopo l'evasione, iniziava il periodo dell'esilio, fatto di incessante iniziativa politica antifascista, inizialmente svolta in Francia e poi in Spagna, alla testa della prima formazione di combattenti volontari italiani. La sua straordinaria tempra morale e civile emerge assai bene da alcune frasi scritte da Lipari alla madre - Amelia Pincherle Rosselli - che rimase sempre al centro della vita e delle scelte dei propri figli. Ne avrebbe perderso uno, Aldo, nella I guerra mondiale sul fronte italo-austriaco e gli altri due, Carlo e Nello, nella lotta contro il fascismo. "In verità - scriveva Carlo dal confino - non rimpiango niente. Né gli studi e la carriera abbandonati, Né il distacco forzato da voi e dal mio centro normale di vita. Se ve n'è uno che ha liberamente eletto il proprio destino, son io... Non ho mai esitato, Non ho mai dubitato... Guai a violare la propria natura. Troppi anni sono vissuto in pieno dramma interiore per non apprezzare in tutto il suo valore questa sicurezza nuova tanto penosamente conquistata". E ancora: "I più hanno per solo scopo quello di farsi un posticino nel mondo come l'hanno trovato nascendo. I pochi tendono a modificarlo. E simili ambizioni si pagano ed è bene".
Carlo e Nello Rosselli furono assassinati il 9 giugno 1937 a Bagnoles-de-l'Orne, Alençon, da terroristi d'estrema destra su mandato ricevuto da Galeazzo Ciano.

 

 

 

 

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