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I partiti antifascisti

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stellinaanim.gif (3085 byte) CLN

Il Comitato si costituì a Roma il 9 settembre 1943, all'indomani dell’armistizio e dell’occupazione tedesca del territorio italiano che seguirono alla caduta del fascismo. Era composto da sei partiti antifascisti: Partito comunista, Democrazia cristiana, Partito socialista di unità proletaria, Partito liberale, Partito d’Azione e Democrazia del lavoro. L’obiettivo era di promuovere e coordinare la lotta contro il nazifascismo.

Il Comitato si diede una struttura decentrata con la formazione di CLN regionali, provinciali e comunali. Particolare importanza ebbe il comitato sorto nell’Italia occupata dai tedeschi che si chiamò Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (CLNAI), al quale toccò il compito di dirigere la guerra partigiana. Il CLN fu un interlocutore politico dei governi che si formarono nell’Italia liberata dagli Alleati, collaborando in particolare ai due governi Bonomi del 1944 e al governo Parri del 1945, che furono entrambi emanazione diretta del CLN. Si sciolse al momento dell’elezione dell’Assemblea costituente (2 giugno 1946).

 

stellinaanim.gif (3085 byte) DEMOCRAZIA CRISTIANA

La DC fu fondata nel settembre del 1942 per iniziativa di un gruppo di vecchi dirigenti del Partito popolare italiano e del sindacalismo “bianco”, nonché di giovani esponenti dell'Azione cattolica, della Federazione universitaria cattolica italiana (FUCI) e, infine, del cosiddetto «movimento neoguelfo» guidato da Pietro Malvestiti (l'unico gruppo aderente alla DC a vantare un attivo antifascismo). Ideologicamente, il nuovo partito si poneva in una situazione di centro, proponendo una fusione tra concezioni sociali cattoliche, elementi liberali e socialisti, e rifiutando decisamente il concetto marxista della lotta di classe.

Il programma politico prevedeva, tra l'altro, l'instaurazione di una democrazia parlamentare, un ordinamento amministrativo a base regionale, la progressività delle imposte, la libertà dì insegnamento, la diffusione della piccola proprietà contadina, il disarmo, l'europeismo e la difesa delle concessioni ottenute dalla Chiesa con il Concordato.

Nell'immediato, la DC optava per una decisa opposizione al fascismo e aderiva - dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 - ai nascenti Comitati di liberazione nazionale, assicurando anche un apporto militare alla lotta partigiana nell'Italia centro-settentrionale. Leader indiscusso fu, fin dall'inizio, Alcide De Gasperi, che ne assunse la segreteria nel luglio 1944.

Grazie alla composizione eterogenea - vecchi dirigenti del Partito popolare italiano (Giovanni Gronchi, Mario Scelba, Attilio Piccioni) e del sindacalismo “bianco”, giovani esponenti dell'Azione cattolica (Aldo Moro, Giulio Andreotti) e della Federazione universitaria cattolica italiana (Amintore Fanfani) - la DC fu un partito capace di rappresentare insieme le istanze del popolarismo cattolico e del moderatismo borghese. Poté così contare sin dall'inizio sull'appoggio elettorale di una forte componente popolare (operai, contadini, coltivatori diretti, piccoli proprietari e affittuari, artigiani, impiegati) e, nello stesso tempo, godere del favore dell'imprenditoria industriale e agraria.

Nel dicembre dei 1945 la DC assunse, con De Gasperi, la Presidenza del Consiglio, che lo statista trentino avrebbe tenuto ininterrottamente fino al '53 (otto governi).

Già al primo impegno elettorale la DC si confermò partito di massa, riportando il 35,2% dei voti alle consultazioni per la costituente del 2 giugno del 1946. Durante i 19 mesi di lavoro dell'Assemblea Costituente (22 giugno '46 - 31 gennaio '48) i 207 deputati democristiani si impegnarono per affermare i principi dell'indissolubilità del matrimonio e della libertà dell'insegnamento privato, per l’accoglimento nella carta costituzionale dei Patti Lateranensi, per la conferma - sia pure con lievi correzioni - del diritto di proprietà e della libera iniziativa individuale.

L'anno delle scelte politiche decisive fu comunque il '47. Anche su sollecitazione degli Stati Uniti, in maggio De Gasperi estromise dal suo governo socialisti e comunisti, che ne facevano parte sin dal 1945, appoggiandosi alle forze dì centro-destra. Maturava in tal modo quell’esperienza centrista che sarebbe durata fino al 1958. I risultati delle elezioni politiche del 18 aprile 1948 dettero ragione alla DC, la quale, impostando una campagna elettorale all'insegna dell’anticomunismo, sconfisse nettamente il fronte popolare di PCI e PSI, assicurandosi oltre il 48% dei voti e la maggioranza assoluta dei seggi. Grazie a questa vittoria, la DC e De Gasperi poterono rendere sempre più incisiva l'azione politica iniziata nel maggio '47.

Sul piano interno, ad una opzione economica liberista si accompagnò un più rigido controllo sociale, mentre in campo sindacale veniva favorita la scissione della componente cattolica dalla Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL). In politica estera, vennero rinsaldati i legami con i paesi del sistema occidentale, in particolare con gli USA (adesione alla NATO), e si gettarono le basi per la creazione della Comunità Europea.

 

stellinaanim.gif (3085 byte) PARTITO COMUNISTA

Fu fondato nel 1921, con il nome di Partito comunista d'Italia, in seguito alla scissione di alcune correnti della sinistra del Partito socialista italiano (PSI) durante il Congresso di Livorno; tra i suoi fondatori furono Antonio Gramsci e Amedeo Bordiga, l'uno legato all'esperienza torinese dei consigli di fabbrica (1919), l'altro fondatore della rivista "Il Soviet". Il nuovo partito, ispirandosi alla rivoluzione sovietica, si proponeva di realizzare anche in Italia un sistema socialista.

Amedeo Bordiga fu segretario del partito fino al 1926 quando, al Terzo congresso del PCI tenuto a Lione, venne accusato di settarismo e messo in minoranza. La nuova linea del Partito comunista venne fissata da Gramsci e Palmiro Togliatti nelle Tesi di Lione, in cui ponevano le premesse per la costruzione di un partito di massa e facevano un'analisi del fascismo che ne coglieva le tendenze all'imperialismo e alla guerra.

Decapitato dei suoi dirigenti dal regime fascista (Gramsci, arrestato nel 1926, morì in carcere nel 1937) e dichiarato illegale, il Partito comunista si organizzò nella clandestinità e, nonostante la repressione fascista e le epurazioni interne di matrice staliniana, riuscì a sopravvivere, mantenendo viva l’opposizione al fascismo. Con altri gruppi politici (Partito Popolare, Partito Socialista, Partito d’Azione, Partito liberale) operò poi tra il 1943 e il 1945 nella guerra partigiana, alla quale i suoi militanti diedero un preponderante contributo.

Il rientro in Italia (1944) di Palmiro Togliatti da Mosca segnò un mutamento di indirizzo: il PCI abbandonava la prospettiva di realizzare il socialismo in Italia per via rivoluzionaria. Passando a svolgere una funzione primaria nel processo politico italiano, Togliatti annunciò la disponibilità del Partito comunista italiano (fu adottato un nuovo nome) a far parte del governo guidato da Pietro Badoglio, accantonando la "pregiudiziale repubblicana" (svolta di Salerno).

Tra gli obbiettivi da raggiungere il congresso del dicembre 1945 poneva la nazionalizzazione dei grandi complessi industriali, delle grandi banche e l'esproprio dei latifondi a favore della piccola e media proprietà. Dopo la guerra di Liberazione, sotto la guida di Palmiro Togliatti, il Partito Comunista elaborò i principi della sua politica economica:

  1. risolvere il problema della disoccupazione con l’aumento della produzione e non con i sussidi ai disoccupati,
  2. sviluppare la produzione industriale ed agricola,
  3. realizzare una maggiore giustizia sociale anche grazie alla lotta all’evasione,
  4. creare "consigli di gestione" che esercitassero il controllo popolare sulle grandi aziende.

La storia del PCI nel dopoguerra si è identificata con l'evoluzione attraversata dall'URSS, col ruolo carismatico attribuito ai suoi leaders e infine con le lotte sociali sviluppatesi nel paese di cui la base di questo partito è stata la componente più numerosa e attiva. Il partito comunista si affidava ad alcune idee-forza, come il mito della rivoluzione d'ottobre, l'esaltazione di Stalin vincitore delle armate naziste e l'apologia dell'URSS, paese modello del socialismo, mentre ogni aspetto del marxismo che non fosse di matrice sovietica era condannato.

Al governo con tre ministri dal 1944 al 1947, il PCI pur mantenendo il suo allineamento filo-sovietico tenne a rassicurare i moderati, frenando gli atteggiamenti intransigenti della base, concedendo l'amnistia ai fascisti in nome della pacificazione nazionale e votando a favore dell'articolo 7 della Costituzione proposto dalla DC. Ciononostante, nel 1947 il PCI fu estromesso dal governo e, nel clima della Guerra Fredda, venne confinato in un'opposizione sterile e senza sbocchi.

Costretto all'opposizione, il partito assunse posizioni molto critiche verso il "governo nero", il "governo della discordia e della fame", come venne definito il centrismo di De Gasperi. Intanto, superata la battuta d'arresto nelle elezioni del 1948, il PCI si avviava a diventare il principale partito della sinistra in Italia e il più grande partito comunista dell'occidente. Escluso dal governo centrale, il PCI ebbe modo di affinare e di dimostrare le sue capacità di governo amministrando numerose città delle regioni dell'Italia centrale.

 

stellinaanim.gif (3085 byte) PARTITO D'AZIONE (1942-1947)

Partito politico antifascista fondato nel 1942 a opera di gruppi repubblicani e liberalsocialisti. Il nome riprendeva quello del Partito d'Azione di Giuseppe Mazzini (1853). Movimento ispirato al liberalsocialismo di Pietro Gobetti, tra i suoi fondatori figurano numerosi militanti di Giustizia e Libertà (1929-1940), tra i quali Ferruccio Parri, Ugo La Malfa, Emilio Lussu, Riccardo Lombardi.

Il Partito d’Azione lottò per instaurare in Italia una democrazia che fosse aperta alle giuste rivendicazioni dei lavoratori, che modificasse le strutture economiche e sociali del paese e preparasse l’allargamento delle libertà; in ultima analisi era il tentativo di superare gli ostacoli esistenti tra il socialismo e il liberalismo. Le rivendicazioni iniziali del Partito d’Azione furono: l’abbattimento del fascismo, la formazione di uno stato laico e repubblicano, la riforma agraria, amministrativa e delle autonomie locali; sul piano internazionale, auspicava la nascita di una federazione europea di stati. Presente in maniera attiva nei Comitati di liberazione nazionale, il Partito d’Azione partecipò ai governi che si succedettero dal giugno 1944 al luglio 1946.

Dopo la caduta del governo presieduto proprio dall’esponente azionista, Ferruccio Parri, il Partito d’Azione, diviso tra una corrente democratico-riformista, capeggiata da Ugo La Malfa, e una corrente socialista–rivoluzionaria, capeggiata da Emilio Lussu, mostrò scarsa omogeneità al suo interno. La grave sconfitta subita alle elezioni per la Costituente del 1946 fu all'origine della crisi del partito, rappresentato da intellettuali di primo piano ma privo di una base di massa. Il partito d'azione perse rapidamente la sua influenza nella vita politica italiana e i suoi esponenti confluirono in altri partiti: Lombardi e Lussu nel Partito socialista italiano (PSI), La Malfa nell Partito repubblicano (PRI).

pallanimred.gif (323 byte) La nascita di Giustizia e Libertà (di Emilio Lussu)

 

stellinaanim.gif (3085 byte) PARTITO SOCIALISTA

Fondato a Genova nel 1892 con il nome di Partito dei lavoratori italiani, mutato nel 1893 in Partito socialista, il primo partito operaio italiano raccolse componenti eterogenee sia dal punto di vista ideologico (marxismo, anarchismo, mazzinianesimo) sia organizzativo (leghe, circoli operai, società di mutuo soccorso).

Sotto la guida del riformista Filippo Turati, il partito, benché sciolto nel 1894 dal governo presieduto da Francesco Crispi e poi di nuovo colpito dalla repressione antisocialista nel 1898-99, ebbe una rapida espansione, grazie anche allo sviluppo di una fitta rete di Camere del lavoro e di cooperative. Nelo stesso tempo non mancarono conflitti interni che si trasformarono in continue lacerazioni, concretizzate in espulsioni o in fuoruscite. Così, nel 1912 furono espulsi alcuni esponenti della corrente riformista che si erano schierati a favore della guerra di Libia, e alla vigilia della prima guerra mondiale fu espulso Benito Mussolini, già segretario del partito, perché favorevole alla guerra mentre il partito, a differenza di altri partiti socialisti europei, aveva scelto la linea: "Né aderire né sabotare".

La prima scisssione di rilievo si verificò al Congresso di Livorno nel 1921, quando il gruppo napoletano che faceva capo ad Amedeo Bordiga e il gruppo torinese raccolto attorno ad «Ordine nuovo» fondava il Partito comunista d'Italia (in seguito Partito comunista italiano, PCI). Nel 1922, a causa della vittoria della corrente massimalista, anche Turati e i riformisti abbandonarono il partito per fondare il Partito socialista unitario (PSU).

Messo fuori legge dal fascismo, il partito si ricostituì nella clandestinità e nel 1934 strinse un patto di unità d'azione con il Partito comunista. Nel 1943, in seguito alla confluenza del Movimento di unità proletaria di Lelio Basso, modificò il proprio nome in Partito socialista di unità proletaria (PSIUP). Già nel primo congresso del dopoguerra, nel 1946, si verificò una netta divergenza tra le due principali correnti: quella di Giuseppe Saragat e Ignazio Silone, critici del comunismo russo, e l'altra maggioritaria di Pietro Nenni, su posizioni di unità d'azione col PCI (frontismo).

In prima fila nella battaglia referendaria per la repubblica, il PSIUP, guidato da Pietri Nenni, fu premiato dagli elettori (20,7% contro il 19% del PCI) come primo partito della sinistra alle elezioni del 1946. Ma nel gennaio 1947 l'area saragattiana, allineata alla socialdemocrazia nordeuropea e contraria all'unità d'azione con i comunisti, abbandonò il partito e costituì il Partito Socialista del Lavoratori Italiani (PSLI, poi confluito nel PSDI nel 1952). Iniziava così la parabola discendente dei socialisti, che nel frattempo avevano ripreso il nome di PSI sotto la segreteria di Basso.

Esclusi dal governo De Gasperi, i socialisti si unirono ai comunisti per le elezioni del 1948 in una lista detta Fronte Popolare con il simbolo di Garibaldi. I deludenti risultati dettero origine ad una corrente capeggiata da Riccardo Lombardi e orientata alla ricerca di una maggiore autonomia dal PCI, mentre la maggioranza, guidata da Nenni, rieletto alla segreteria nel congresso del 1949, ribadiva il valore dell'esperienza sovietica, accentuando sul piano nazionale lo scontro con la DC.

 

stellinaanim.gif (3085 byte) PARTITO LIBERALE

Fu ufficialmente fondato nel 1922 ma gruppi ed associazioni liberali esistevano fin dal secolo precedente. Durante il Risorgimento i liberali erano stati tra le forze più attive nel movimento per l’unificazione e per il rinnovamento politico dell’Italia, battendosi in particolare per il riconoscimento delle fondamentali libertà civili (libertà di pensiero, di parola, di stampa, di associazione...). Dopo l’unificazione si avviarono, invece, verso posizioni moderate e antisocialiste che più tardi avrebbero caratterizzato il Partito liberale.

Il PLI tenne un atteggiamento ambiguo nei confronti del fascismo, al quale aderirono diversi suoi componenti. Ma non intellettuali come Giovanni Amendola o Benedetto Croce. Successivamente, esponenti liberali parteciparono alla Resistenza confluendo nei Comitati di liberazione nazionale. Tuttavia nel partito, ricostituito nel 1943, si scontrarono presto le molte anime di orientamento conservatore, progressista, monarchico e repubblicano. Sicché, pur essendo rappresentato da filosofi come Croce e da economisti come Einaudi, nelle elezioni per la costituente del 1946 ottenne solo 19 deputati e poco dopo fu indebolito da diverse scissioni.

Nel dopoguerra effettuò la scelta filo-occidentale e partecipò ai vari governi di centro.

( schede tratte dal sito: www.riccati.it )

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