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Biografia

pallanimred.gif (323 byte) ODDINO MORGARI (1865-1944)

di Gianni Artero

1. Il personaggio

Nato a Torino il 16 novembre 1865 in una famiglia di pittori (il padre Paolo Emilio, la madre Clementina Lomassi, la sorella Bice, il fratello Luigi, il più celebre, vissuto dal 1857 al 1935 e autore di numerosi affreschi[1]), questa parentela concorse probabilmente allo stereotipo di “bohemien”. A questa nomea contribuì l'autobiografia di Rinaldo Rigola in cui l’anziano sindacalista racconta che, eletto deputato nel 1904, non essendovi allora indennità per tale carica "l'on. Morgari mi impartiva delle lezioni di economia parlamentaristica:..."risparmio i soldi dell'albergo andando a dormire in treno. Combino il viaggio in modo che tra l'andata e il ritorno ci sia da passare l'intera notte" approfittando  della franchigia ferroviaria che consentiva ai deputati di viaggiare gratuitamente."Sapevo che Morgari era capace di fare ciò ed altro ma non ero  del suo avviso...non mi sentivo di spingere il mio eroismo a tal punto....(....)...non [ero ] tagliato per l'eccentricità"  [2]

    Più seriamente, c’è sicuramente nella sua vita un lato avventuroso, un  certo gusto per la vita nomade: dal soggiorno in Francia alla fine degli anni '80 alla presenza in Macedonia nel 1903 dove era accorso in occasione dell'insurrezione al dominio turco, dai due anni trascorsi in Estremo Oriente (1911-13), ai viaggi durante la guerra mondiale per riallacciare i rapporti tra i socialisti, fino alla presenza a Budapest durante la “Comune” e ai viaggi in Russia nel 1922 e alla metà degli anni '30.  

   Spontaneo il paragone con personaggi del socialismo dell'epoca, come Giacinto Menotti Serrati[3] che trascorse una parte importante della sua vita nell'emigrazione come organizzatore dei lavoratori italiani in Svizzera e negli Stati Uniti, o come il "cittadino del mondo" Edmondo Peluso[4]   che ha suggerito il sottotitolo.  Al di là dell’aspetto pittoresco è importante cogliere lo spessore umano e politico del personaggio che fu una figura non secondaria di un quarantennio del socialismo italiano, e nel periodo della guerra anche internazionale, trovandosi sovente al centro dei più importanti avvenimenti, fino almeno al primo dopoguerra quando verrà superato dai nuovi eventi e da una nuova generazione.

  Nel sistema di valori fondativi del socia­lismo italiano delle origini, il carattere positivistico-sentimentale della sua adesione è comune alla maggior parte della  generazione, mentre i suoi tratti distintivi sono il disinteresse, che lo portò a subire più che a ricercare le cariche direttive, e la predicazione tra le masse. Nelle cronache delle agitazioni e degli scioperi di tutta Italia, dal 1890 in poi è raro non trovare il suo nome: quando la situazione si faceva critica e occorreva la presenza di qualcuno che sapesse parlare alle masse, le sezioni del Partito e le Camere del Lavoro si rivolgevano a lui. Analogamente proiettato verso gli umili fu il suo impegno di pubblicista.

  Dopo queste essenziali chiavi di lettura, un’ultima osservazione: avendo operato sia a livello locale torinese, che (dall’elezione alla Camera nel 1897) nazionale, e dal 1914 anche internazionale,  non è facile con un’ esposizione rigidamente cronologica che spezza la narrazione in singoli episodi slegati seguire il filo di attività che si sviluppavano parallelamente su piani diversi.  Abbiamo pertanto ragruppato le vicende secondo nuclei tematici, così da poterle descrivere nel contesto in cui si collocano.

  Nel 1885 durante il  servizio di leva,   che per la sua conoscenza del disegno andava   svolgendo all'Istituto Geografico Militare di Firenze, ebbe luogo la sua iniziazione politica, che così rievocherà in uno scritto dei suoi ultimi anni: “nella mia adolescenza per motivi di natura psicologica ed ereditaria la mia mentalità era come una spugna pronta ad imbeversi di quel qualunque ideale umanitario che le fosse prospettato dal primo idealista in cui si sarebbe imbattuto; e volle il caso che questo fosse un mazziniano…andato al par di me  nella Fortezza di Basso di Firenze, ragion per cui in tre giorni fui avvinto e mi diedi a quella fede per metà politica e per metà religiosa con quella stessa ardente passione con cui un giovane vive il suo primo amore” [5]

Ma fu costretto a dimettersi «quando il Ministero delegò una Commissione disciplinare a giudicare di un rapporto della polizia, che [lo] denunciava come mazziniano»[6]

Espatriato, raggiunse Parigi e in seguito Marsiglia dove dal settembre al dicembre del 1890 diresse il circolo mazziniano. Per usare le sue parole, scritte però a cinquant’anni dagli avvenimenti e quindi da considerare con cautela:  Quattr'anni erano passati dopo d'allora durante i quali avevo preso contatto col pensiero socialista traverso scarse ed incomplete battute, cosicchè poco a poco ero venuto a dubitare che il mazzinianesimo fosse un edificio mancante di alcuni muri maestri, ma per passare alla convinzione socialista ero impedito da diverse obiezioni suggeritemi dal buon senso dell'aspetto pratico delle questioni già vivo in me nonostante l'età giovanile. Respingevo con noia certe obiezioni volgari. (...).ma certi altri dubbi mi ponevano in imbarazzo: per esempio mi stringeva il cuore assistendo alla propaganda di tanti sindacalisti e socialisti che alle masse parlavano soltanto di diritti e mai di doveri...e che si disinteressavano delle sofferenze di tanti altri lavoratori solo perchè non portavano il berretto dell'operaio di fabbrica....Si poteva temere che nel nuovo assetto si scatenasse una nuova forma di sfruttamento, quella degli oziosi e dei cinici sui compagni coscienti e volonterosi..(...)..mi chiedevo se per ottenere un corretto adempimento dei nuovi obblighi sociali non sarebbe stato necessario un regime di dittatura che avrebbe trasformato l'Eden promesso in un'immensa caserma...Il socialismo prometteva di costruire una nuova casa di cui però non presentava il piano limitandosi a magnificarlo con vaghe frasi messianiche...tutti motivi che mi portavano ad attendere che un uomo o un libro mi dimostrasse con argomenti irrefutabili che .....non era un'impresa destinata a fallire dopo immensi sacrifici per l'incapacità morale e tecnica dei suoi imprenditori e per imprevisti difetti d'un meccanismo che nessuno aveva cura di prevedere....La rivelazione mi raggiunse sotto la forma d'un volumetto venutomi sotto mano per caso e che lessi d'un fiato in una camera di un albergo di quint'ordine della vecchia Marsiglia...”L'Anno 2000” di Edoardo Bellamy, uno scrittore totalmente vuoto in fatto di dottrine..[ma]..nel leggerlo io vidi la società socialista nella sua architettura e nei suoi ordinamenti e di colpo tutti i miei dubbi sparirono dalla mia mente...e poi fui certo che la società degli uguali e dei liberi non era un sogno come quello del paradiso dei cristiani, ma un meccanismo che si poteva concretamente costruire e far funzionare (...) Questa verità mi folgorò nel cervello e mi fasciò di gioia tantochè ad un certo punto della lettura andai alla finestra e gridai: “ho compreso! ho compreso!” come se volessi informare tutta Marsiglia. Per qualche tempo vissi nello stato d'animo di un visionario a cui Iddio è apparso in sogno per assegnargli una qualche missione”[7]

 

2. Lo sviluppo industriale e le origini del socialismo torinese

     La storia di Torino operaia e socialista è stata scritta più volte[8] ma si ritiene utile fornire alcuni dati essenziali di inquadramento.

     L'Esposizione Universale del 1884 aveva sancito il superamento della crisi legata al trasferimento della capitale. Su una popolazione nel 1880  di 300.000 abitanti gli addetti all'industria (comprendendo anche i lavoratori a domicilio e parte degli artigiani) costituivano una quota del 20-30 %. La maggior parte delle imprese risultava già allora concentrata nei settori metallurico e tessile con il 40% e il 19% delle imprese cittadine rispettivamente. Accanto al vecchio comparto statale (Arsenale militare, Manifattura tabacchi, Officine ferroviarie) che continuava a rappresentare il più consolidato nucleo produttivo cittadino, cresceva un tessuto di imprese private dotate di grande dinamismo che avevano dato vita a stabilimenti di medie dimensioni con maestranze operaie dalle 100 alle 300 unità e che negli anni tra la fine degli anni '80 e i primi anni '90, nonostante la rottura commerciale con la Francia e la crisi bancaria, riuscirono a consolidare il primo nucleo del capitalismo d'impresa destinato a soppiantare le produzioni governative e a fornire alla città il suo definitivo volto industriale.

   Questo processo di sviluppo entrava in confltto con una società connotata da  relazioni sociali fortemente gerarchiche,  da retaggi politici  e   culturali di tipo tradizionale e da un sistema politico-istituzionale elitario. Aveva iniziato a modificare questo quadro la crescita tumultuosa e disordinata di un proletariato proto-industriale accanto e pericolosamente intrecciato con il “ceto operaio sobrio e previdente” caro alla tradizione sabauda, crescita che era vista come una minaccia del rapporto paternalistico tra élites liberali e associazionismo operaio

  Nel 1880-81 dal ceppo della Lega della democrazia, cioè dall'area che andava dai mazziniani ai radicali e che, pur non essendo vasta e socialmente radicata come nel milanese, non era priva di organizzazioni in ambiente operaio, artigiano e piccolo-borghese, erano sorte l'Associazione democratica subalpina, il Consolato operaio, la Società di mutuo soccorso Fratellanza artigiana

  Nella primavera 1886 l'agitazione dei muratori assuse quasi le caratteristiche di una rivolta urbana con blocco dei quartieri, scontri violenti e presidio di molte zone da parte della polizia; poi vi erano state la lotta delle sigaraie e la diffusione di una piccola conflittualità negli stabilimenti manifatturieri su problemi di salario, orario, regolamenti

Intorno a quel periodo cominciò a manifestarsi quella tendenza repubblicano-socialista che, dapprima rappresentata solo da pochi mazziniani attratti dal movimento operaio (gli avvocati Leandro Allasia e Giambattista Cagno, il giovanissimo pacifista ClaudioTreves, il gasista Gianpietro Daghetto) crebbe sino a costituire il pilastro della formazione a Torino del Partito socialista

   Nel giugno 1887 nasce la “Gazzatta operaia” fondata dallo studente vercellese Luigi Galleani[9], che ebbe un ruolo come elemento di mediazione tra anarchismo e movimento operaio,  ma numerosi erano, in un'area dai confini incerti, i giornali che si pubblicavano nella capitale piemontese: il “Ventesimo secolo” di  Giovanni Lerda (autodidatta, divenuto poi protagonista a livello nazionale come leader della corrente intransigente[10]), il “Grido del popolo” del tipografo Chenal, la “Squilla” di area radical-repubblicana.

   Nel corso del 1888 si costituì, con l'intervento degli operaisti milanesi Lazzari e Casati, sul modello dei lombardi “Figli del lavoro”, la Associazione fra i lavoratori d'ambo i sessi di città e di campagna che poco dopo si presentò come federazione locale del Partito Operaio Italiano. Fu l'unica forza in grado di intervenire nell'intensa fase di agitazioni di fabbrica e proteste operaie che attraversarono Torino   nella primavera-estate 1889,  con dimensioni e intensità mai raggiunte in precedenza, e i cui effetti determinarono una svolta decisiva per la configurazione del movimento operaio e socialista locale

  A metà aprile del 1889,  partita dai pellettieri che protestavano per una ribasso dei cottimi, ripresero le agitazioni che si infittirono ed estesero in tutti i settori, in particolare quello tessile colpito dal rialzo delle tariffe doganali.

  La tendenza spontanea dell'agitazione operaia si intrecciò così con il progetto politico e organizzativo della federazione operaista che si era costituita proprio sulla tesi della centralità delle lotte economiche per lo sviluppo del socialismo come movimento politico, sostenendo un duro confronto con l'anarchismo intransigente tradizionalmente diffidente verso il concetto stesso di lotta di classe come lotta rivoluzionaria

   La situazione si radicalizzò a partire dall'inizio di giugno, con una città quasi in stato d'assedio: gli arresti nei giorni 11 e 12 furono una quarantina e il 13 iniziarono i processi per direttissima con condanne da due giorni a tre mesi; anche dopo questa data si ebbero strascichi  con l'entrata in scena dei panettieri e poi dei garzoni del macello civico.

  Il 10 novembre 1889 si votò a Torino per rinnovare il consiglio comunale sulla base della legge del 30 dicembre 1888 che estendeva il diritto di voto a parte dell'elettorato operaio. Si determinò in occasione di queste elezioni la frattura dei democratici tra un'ala possibilista, che si inserì nella lista liberale, e un'ala più radicale che si accordò con i gruppi socialisti-operaisti per la presentazione di una lista democratico-operaia, i cui   risultati furono deludenti, non andando nessuno dei candidati oltre i 1800-1900 voti.

 

3. Morgari nel socialismo torinese del decennio 1890-1900

   In questa situazione si inserisce Morgari che, rientrato dalla Francia, prende parte attiva sulle pagine della Squilla alle discussioni seguite al congresso socialista di Genova del 1892 . Non proveniva dal socialismo militante, era quasi sconosciuto all'inizio al punto che il Grido del Popolo ne storpiava il nome, ma apparteneva a quell'area di repubblicani di recente conversione guardata con una certa diffidenza dai vecchi operaisti e socialisti per questo motivo.

   Così viene descritto quasi cinqunt'anni dopo da un anonimo collaboratore dell'”Avanti!”: “Arrivato da dove non si sa piovve un giorno a Torino un tale con un pizzetto rossiccio (...) trovò lavoro come contabile presso la cartoleria Simondelli in via Po. ....Erano allora gli impiegati pagati a mesi e Oddino ebbe l'audacia di chiedere un anticipo sullo stipendio del suo primo mese. Allora si andava a vedere il padrone con il cappello in mano e l'ordine di costui e il fatto per di più che gli venne concesso stupirono parecchi di noi della stessa ditta. Parlava un linguaggio nuovo e una sera mi invitò ad andare alla “Fratellanza operaia” ..(...)..non ricordo se a parlare ci fosse Cerutti o Chenal. Intervenne nel dibattito anche un avvocato che più tardi seppi era Claudio Treves...Passò qualche anno e il PSI fondò una sezione a Porta Palazzo sorvegliatissima dalla polizia.... Poscia la testa calda fondò un'altra sezione vicina a Piazza Filiberto frequentata da universitari: Roux, Casalini e altri E forse anche persone di dubbia moralità, difatti una sera vedo Oddino pallido e silenzioso. Più tardi ci spiegherà l'origine del suo malumore ..Aveva riscosso quella sera stessa il suo stipendio e mentre era nella Sezione un biglietto da 100 lire aveva preso il volo dal suo portafoglio. Oddino non volle denuncìare il fatto alla polizia Ne subirebbe la sezione..La gente direbbe che vi son dei ladri fra noi che vogliamo riformare il mondo. E poi chi lo ha preso forse ne aveva più bisogno di me. Così la cosa fu messa a tacere per non danneggiare la sezione” [11]

   Dopo la fallimentare campagna elettorale del 1889, sull'onda della delusione che serpeggiava, e con la ripresa delle vertenze, questa volta alle Officine ferroviarie, la parola d'ordine della fondazione della Borsa del lavoro  ebbe grande successo, raccogliendo nell'estate del 1891 l'adesione dei più forti sodalizi operai a partire dall'Associzioe Generale Operaia (AGO) che, forte di 6.000 soci, aveva un'immagine pubblica quasi istituzionale, e tutt'altro che scontata era la sua adesione al progetto, presentato comunque con caratteri di moderazione tali da essere accettabile ai liberali.

  La proposta di fare del Primo Maggio una giornata internazionale di lotta, lanciata a  Parigi nel 1889, diede luogo a Torino nel 1891 ad incidenti: sfidando il divieto prefettizio folti gruppi  di dimostranti, radunatisi in piazza Statuto, furono circondati e dispersi dalle forze di polizia: Quell'episodio rimase rimase a lungo impresso nella memoria collettiva della città, e fu il fatto scatenante che determinò nel noto scrittore Edmondo De Amicis, che assisteva alla scena dalle finestre del suo appartamento su quella piazza, l'interesse verso il socialismo. Nei giorni successivi vennero celebrati i processi per direttissima, che comminarono pene  pesanti: da due a tre anni.

   Frattanto il progetto della Camera del lavoro che, come a Milano e in altre realtà, diede luogo ad una trattativa con il Municipio per il riconoscimento e un sussidio, andava avanti: nell'estate 1891, non appena fu avviata l'organizzazione delle sezioni per arti e mestieri, passò rapidamente da poco più di 700 a quasi 4.000 aderenti.

   Nelle elezioni del novembre 1892 si presentò una lista socialista con candidati in quattro collegi, con risultati deludenti: Prampolini ottenne 53 voti, Lerda 153. Mentre per Lerda il problema della sconfitta non si poneva, non avendo mai puntato sulle elezioni se non come occasione per far sentire la voce del socialismo, nella nota di commento pubblicata dalla “Squilla” e scritta da Morgari si coglieva una posizione più problematica, espressione di una cultura per la quale lotta economica e lotta politico-parlamentare formavano un tutto unico e che poneva l'esigenza di una tattica di partito integrale.

   La dura sconfitta alle urne indusse l'area degli ex-radicali e repubblicani, della “Squilla”, della “Lega Democratica Sociale”, a prendere la decisione, nel corso di una riunione tenuta il 15 novembre 1892, di fondare la sezione del “Partito dei lavoratori di Torino e provincia”, in attesa di concordare l'affiliazione a livello nazionale. Fu una forzatura di un gruppo di organizzatori che in questo modo si candidava al ruolo di direzione del socialismo torinese in sostituzione della “vecchia gurdia”.

    Il quadro dirgente che guidò il processo di formazione del partito non proveniva dalle esperienze storiche del socialismo, (con l'eccezione del vecchio operaista Paolo Alessi) ma dall'associazionismo repubblicano e a dare il tono al nuovo partito più che la componente operaia, presente con Chenal, Daghetto, Racca e gli organizzatori Quirino Nofri e Morgari, fu quella quella dei giovani di simpatie democratiche e repubblicane provenienti dall'Università e destinati a ruoli di primo piano come Claudio Treves, Adolfo Zerboglio, Guglielmo Ferrero, Camillo Olivetti, Mario Novaro, Zino Zini, Guglielmo Ferrero, Felice Momigliano, Gina e Paola Lombroso. Fu un passaggio di consegne non formalizzato ma dovuto alle indubbie capacità organizzative di alcuni personaggi che dimostrarono di meritare un ruolo di guida nel partito e di saperlo condurre alla conquista di nuovi traguardi.

  Il Partito esordì organizzando una serie di conferenze operaie a partire dal 2 dicembre e indicendo le elezioni per il rinnovo della Commissione Esecutiva della CdL che, sebbene fondata appena da un anno, languiva in difficoltà amministrative e politiche. Il nuovo gruppo dirigente restituì la CdL all'influenza socialista, cosa che aveva un significato particolare alla luce dei principi organizzativi stabiliti al Congresso di Genova, e si presentò come gruppo autonomo, dandosi una struttura unitaria al posto della precedente federazione di associazioni di mestieri e di circoli politici

   Al momento dell'adesione nazionale, il 14 gennaio 1893, i soci iscritti erano solo 80, ma già il 21 confluì la Lega Democratica Sociale portando un contributo essenziale di soci e di risorse con 300 iscritti, ad aprile 1893 divenuti 400. e la Squilla cessò le pubblicazioni irrobustendo il Grido del popolo, divenuto organo ufficiale a livello locale. Al successo di questo giornale contribuì anche il declino del “Ventesimo secolo” di Lerda e Schiaparelli.

In questa fase di impianto dell'organizzazione, a prendere le iniziative (formazione di una commissione di propaganda, istituzione di una scuola di partito, piano di potenziamento del “Grido”) fu un gruppo composto dall'insegnante Battelli, dal medico Norlenghi, Morgari, Daghetto, Allasia, Zerboglio, Treves, Cagno......

   La sezione si formò su alcune basi politiche e ideologiche: propensione all'analisi sociologica, influenza del  socialismo prampoliniano-emiliano; critica dell'ordi­namento borghese più moralista che marxista. Come scriverà La Stampa alcuni anni dopo, il partito socialista a Torino “lo fondarono un esiguo numero di persone, giovanissime quasi tutte, alcune colte, quasi tutte sentimentali e talune fino alla mobosità, agitate da sogni seducenti di ricostruzione dell'attuale società viziata e corrotta” [12]

   Per la giornata del Primo Maggio 1993 il partito tenne 13 conferenze in città e altre 4 in provincia, dando così l'immagine di un'organizzzione forte e radicata sul territorio. Il 28 maggio Morgari tenne un comizio al Teatro Nazionale in appoggio alla proposta di legge del deputato democratico Pietro Albertoni di abolizione dei dazi sui beni di largo consumo e di una tassazione fortemente progressiva sulle successioni. A maggio iniziò la propaganda nelle campagne attraverso conferenze e in giugno i quattro candidati alle amministrative (Morgari, Nofri, Alessi, Goria) ottenevano 1809 voti che erano anche il risultato della precedente conquista di un'importante istituzione quale la Cooperativa ferroviaria

  Nell'agosto del 1893 ad Aigues Mortes in Provenza erano avvenui dei gravissimi scontri tra gli operai locali e quelli italiani che accettavano di lavorare nelle saline per salari più bassi, culminati nel linciaggio di una trentina di immigrati. Alle dimostrazioni antifrancesi appoggiate dal governo, i socialisti torinesi contrapposero una piccola manifestazione nel corso della quale Morgari fu arrestato e subì la sua prima condanna: dieci giorni di arresto per violazione dell'art. 434 (disobbedienza all'ordine di scio­glimento d'una manifestazione)

Al congresso di Reggio Emilia del settembre 1893 Morgari non fu tra i delegati della sezione torinese, che inviò Giuseppe Battelli e Claudio Treves

Il 29 ottobre 1894 fu condannato a quattro mesi di detenzione e a 300 lire di multa per un discorso tenuto durante un banchetto a Romano Canavese. Nel novembre dello stesso anno fu sul banco degli imputati della pretura di Torino[13] con Treves e Guglielmo Fer­rero per un proclama inserito nel Grido del Popolo e venne definito: «uno dei più esaltati caporioni del Partito in Torino» e condannato a tre mesi di confino a Morgex (Aosta). Per concludere, il 18 febbraio 1897 a Roma, durante il processo a 120 socialisti, venne condannato ad un'ammenda di 10 lire per aver protestato contro il decreto di scioglimento della federazione socialista romana.

   Dal  1896 Ia propaganda socialista a Torino trovò nella questione dell'amministrazione cittadina la leva più potente di agitazione. Di fronte ai problemi delle masse popolari  riusciva, con un «programma minimo», a sostanziare la fede nell'avvenire di solidi motivi immediati: socializzazion dei servizi pubblici (acqua, gas, telefoni, luce), abolizione dei dazi sui consumi, giornata lavorativa di otto ore per i dipendenti municipali, facilitazioni alle cooperative, istruzione laica obbligatoria e gratuita.

  Per le elezioni politiche del 1897 venne enunciato un programma più avanzato, propagandando oltre alla grande rivendicazione democratica del suffragio universale la concezione della "nazione armata”: “facciamo come in Svizzera”, dice Morgari che non si limita ad illustrare questo programma attraverso giornali e opuscoli ma insiste sulla necessità della costituzione di circoli, come strumenti fondamentali di penetrazione.

 

4.  L'elezione nel 1897 e il “Novantotto”

Nel 1897 furono eletti in Italia 15 deputati socialisti, di cui due in collegi torinesi: Quirino Nofri, ferroviere e cooperativista e Morgari, anche se la sua candidatura fu ostacolata, come traspare da una lettera a Treves: Ritengo non sia assolutamente necessario che i rappresentanti del Partito in Parlamento siano tutti e senza eccezione scelti nella categoria delle macchine da discorsi e da teoria, ma anche qualche volta, in quella degli uomini da lavoro e di senso pratico, atti non solo ad illustrare e a demolire, ma anche ad ammi­nistrare, organizzare, costruire. Disposto a ritirarmi di fronte a candidature ope­raie (...) non lo sono di fronte alle candidature di chiunque altro   (...) Dimostrami   che  l'interesse   del Partito esige il mio ritiro.  Se rimango convinto mi ritirerò»[14].

Il 5 maggio 1897 esordì in Parlamento con una inter­rogazione al Ministro dell'Interno sulla morte del detenuto Frezzi, un anarchico deceduto in circostanze sospette nelle carceri di San Michele a Firenze. Intervenne più volte in favore degli operai delle manifatture tabacchi; difese i dipendenti del Ministero della Guerra che chiedevano le 10 ore. Chiese, associandosi alla campagna promossa dai partiti dell'Estrema, il trasferimento di fondi dai bilanci dei dicasteri «non produttivi», quali l'esercito e la marina militare, a quelli dell'agricoltura e dell'industria. Fece parte della prima redazione dell'«Avanti!» e ne fu amministratore; ma nel gennaio del 1898 rinunciò a quest'incarico per dedicarsi maggiormente all'opera di propaganda e motivò così le sue dimissioni: "non sono all'altezza; o dirò meglio alla bassezza di un incarico che esige spirito inquisitoriale, severità, misure di rigore. Negli impiegati e nei dipendenti di ogni fatta vedo dei compagni con cui l'estrema familiarità delle relazioni toglie la possibilità del tiraneggiare. Vedo degli uomini e dietro ogni loro pena le cause ereditarie di nutrizione, di nervi, di bisogno e di passione che quella deficienza producono e ciò mi disarma. Non sono tagliato per comandare»[15]

Nel 1998 il tribunale di Biella lo condannò a tre mesi e 26 giorni e ad una multa di 100 lire per eccitamento all'odio fra le classi sociali, in seguito alle parole pronunciate in una conferenza elettorale a Cos­sato nel 1897, in appoggio alla candidatura di Dino Rondani[16], anche lui eletto deputato in quella legislatura. 

Nell'aprile del 1898 fu presente con Andrea Costa e Camillo Prampolini allo sciopero di Molinella e presentò diverse interrogazioni sulle cause che avevano portato allo scioglimento della cooperativa locale. Pochi giorni dopo partì con Rondani per Palermo, per sostenere la locale sezione nella lotta contro la mafia crispina della zona.

A Torino si ebbe inizialmente scarsa eco dello scoppio dei moti del maggio 1898,  tanto che Morgari, Nofri e Treves firmarono un manifesto della sezione in cui si lamentava «la lotta micidiale di Milano, che si combatte senza un chiaro obiettivo» e si invitavano i socialisti ad astenersi da ogni dimostrazione, a mantenere fede alla tattica evoluzionistica del partito, al gradualismo «che solo potrà portare il proletariato alla conquista del potere politico" . Il 9 maggio il generale Bava Beccaris, comandante della piazza militare di Milano, che per la proclamazione dello stato d'assedio aveva ricevuto dal capo del governo Rudinì i pieni poteri, fece tratte­nere Turati e Bissolati, presentatisi in questura per protestare contro l'espulsione della Kuliscioff, "essendovi evidente flagranza reato incita­zione rivolta per parte entrambi", fece arrestare Andrea Costa e diede analoghe disposizioni per Morgari e il deputato socialista di Carpi Alfredo Bertesi.[17]

  Lo stessogiorno partì per Milano ma non riuscì a trovare contatti, essendo tutti incarcerati o fuggiti; partì allora per Lugano per avere notizie più precise dai compagni là riparati. In questo viaggio l'autorità di P.S. volle vedere un legame con la tentata invasione di bande armate dalla Svizzera[18].

Gli arresti avvengono sulla ba­se di elenchi predisposti dalle questure, quasi mai in flagranza di rea­to e per lo più senza prove e capi d'accusa, alla ricerca dei quali si procede al momento del processo.

Il commissario straordinario di Milano propose l'ar­resto fuori della sua giurisdizione anche di Rondani, bestia nera de­gli industriali biellesi perché animatore delle lotte operaie della Valsessera e di Nofri, organizzatore dei ferrovieri, Si scatena dunque la caccia benchè fosse prescritta la flagranza di reato per l'arresto di membri del parlamento.

 Rondani è già riuscito a espatriare. Meno fortunati furono Nofri e Morgari. Il primo, dopo essere stato sorvegliato, è fermato a Torino la sera del 12.  Morgari il 14 maggio è arrestato a Roma “essendo risultato essersi egli trovato Milano nel giorno nove quando avvennero tumulti Monforte, parendomi inoltre esistere flagranza a termini del capoverso articolo 33 codice penale essendo stato trovato deputato denaro giornale sovver­sivo "Avanti" e così in possesso oggetti che lo fanno presumere coautore in reato di istigazione.”

A fabbricare le prove provvide la questura di Mi­lano, con due voluminosi rapporti all'avvocato fiscale militare. Preoccupazione primaria del questore è di ribadire il carattere insurrezionale dei tumulti, l'ideologia rivoluzionaria dei partiti sociali­sta e repubblicano e degli anarchici, la responsabilità determinante di trentadue capi socialisti, repubblicani, anarchici che coinci­dono con gran parte del gruppo dirigente nazionale e locale dei tre movimenti politici.

Contro Morgari non esisteva che l'accusa di essere per Torino “quasi quello che Turati era in Milano” cioè un abile organizzatore e propagandista.  Il processo presso il Tribunale militare si concluse il 12 agosto con l'assoluzione di Morgari e la condanna di Turati e del deputato repubblicano De Andreis a 12 anni (ma furono liberati l'anno successivo) 

 

5. L'ostruzionismo

Caduto il governo Rudinì gli succedette Pelloux, che si mosse sulla stessa linea, anche se con una maggioranza parlamentare inizialmente allargata ai liberali zanardelliani e giolittiani. In materia di ordine pubblico era stato approntato un decreto che dava all'autorità di pubblica sicurezza la facoltà di "vietare, per ragioni di ordine pubblico, gli assembramenti e le riunioni politiche"; vietava di portare ed esporre in pubblico "in­segne, stendardi o emblemi sediziosi"; dava facoltà al ministro dell'in­terno di sciogliere le “associazioni dirette a sovvertire, per vie di fatto, gli ordinamenti sociali o la costituzione della stato"; vietava la sciopero degli "impiegati, agenti ed operai addetti alle ferrovie, alle poste, ai telegrafi, alla illuminazione pubblica"; aggravava le disposizioni penali in materia di reati di stampa estendendo la responsabilità di eventuali pubblicazioni incriminate anche agli "autori e cooperatori" delle pubblicazioni stesse, oltre che al gerente del giornale. Si tratta­va di un testo assai lesivo della libertà e pericoloso, poiché poteva essere il punto di partenza di ulteriori disposizioni repressive.

L'11 giugno 1899 nelle elezioni per il rinnovo parziale del consiglio comunale di Milano la coalizione dei radicali, repubblicani e sociali­sti ottenne 19.000 voti contro 15.000 andati alla coalizione clerico-moderata e il radicale Mussi, padre del giovane ucciso durante la manifestazione dell'anno precedente che era stata la scintilla dei moti milanesi, divenne sindaco di Mi­lano. A Torino, a Firenze e in altre città, furono ottenuti dai socialisti altri successi, indicativi del nuovo orientamento dello spirito pubbli­co, oltre che della forte ripresa delle organizza­zioni operaie.

Per il governo Pelloux, l’esito delle elezioni rappresentava un campanello d'allarme; nonostante ciò decise di far passare il decreto in seconda lettura alla Camera. L'incauta mossa ebbe come effetto non solo di esasperare la volontà  ostruzionistica dell'estrema sinistra, ma di far passare all'opposizione la sinistra liberale di Giolitti e Zanardelli, che fino a quel momento si era preoccupata di tenere le distanze dall'azione dell'estrema, suscitando perplessità e riserve persino in alcuni ambienti conservatori settentrionali, se non  altro per ragioni di opportunità politica quando non per scrupoli legalitari.

L’ostruzionismo, già ipotizzato dai socialisti da mesi, annunciato alla Camera e parzialmente applicato alla ripresa dei lavori, si esplicò, formalmente sempre nei limiti del regolamento dell'assemblea, con la presentazione di emendamenti, con continue richieste di veri­fica dell'esistenza del numero legale, con discorsi fatti al solo scopo di protrarre la discussione a tempo indeterminato e che appaiono una giostra di trovate, come a esempio la pseudo arrin­ga dell'afono Bertesi, le disquisizioni di Morgari fatte con voce lentissima, sillabando le parole, i discorsi di quattro, cinque ore di Ferri e Pantano, le provocazioni alla maggioranza per suscitare incidenti e la conseguente sospensione della seduta. L'ostruzionismo, cui non partecipò la sinistra liberale, rese assai agitata l'atmosfera dell'assemblea ed innervosì la maggioranza governativa, non abituata a quel metodo di lotta nuovo per il parlamento italiano

La seduta della Camera del 30 giugno 1899 all'ordine del giorno ha le modifiche al suo regolamento e la conversione in leg­ge del decreto 22 giugno 1899. Terminato il primo appello sorge Prampolini a chiederne un secondo per l'approvazione del verbale, forte del regola­mento della camera. Il presidente arbitrariamente rifiuta e mette ai vo­ti il verbale per alzata e seduta, tra le proteste e le grida dell'Estrema, in un clima che diviene subito arroventato.

Quando il presidente della Camera fece preparare le urne per una votazione a scrutinio segreto vi fu uno scontro tra Bissalati e Sonnino, che vennero alle mani, men­tre Prampolini Morgari e De Felice si impadronirono delle urne e le rovescia­rono disperdendo le schede dei deputati che già avevano votato.

Nel tumulto generale il presidente dichiarò allora sciolta la seduta e poco dopo fu annunciata la chiusura della sessione[19]. La ripresa dei lavori fu stabilita per ìl 14 novembre.

Il giorno dopo il presidente, i vicepresidenti e i segretari della camera si riunirono per decidere quali sanzioni adottare contro i responsabili della rottura delle urne, ma l’avvenuta chiusura della ses­sione, avendo fatto decadere l’intero ufficio di presidenza, li pose nella condizione di non poter deliberare alcun provvedimento.A questo punto intervenne la magistratura a promuovere d’ufficio, contro Bissolati, De Felice, Morgari e Prampolini un’azione penale per avere impedito alla Camera l’esercizio di una delle sue funzioni. All’intervento del potere giudiziario non erano estranee le pressioni dell’esecutivo, che sperava così di colpire l’ostruzionismo e i suoi più battaglieri esponenti

La sentenza di rinvio a giudizio della corte d'appello di Roma, le requisitorie del P.M. e del procuratore generale, l'ordinanza della camera di consiglio del tribunale sono concordi   - dinanzi agli imputati che sostengono di essere sta­ti costretti a difendere con la forza i diritti della minoranza dalla violenza esercitata dal pre­sidente dell'assemblea asservito alla maggioranza e che dichiarano perciò non solo di non aver commesso il reato a loro attribuito, ma di aver compiuto lo stretto dovere di deputati - nell'affermare il principio che, essendo "sovrana la maggioranza nelle nostre istituzio­ni costituzionali, non si saprebbe capire come possa la sua deliberazio­ne qualificarsi violenza e tale da consentire una reazione fuori le linee della legalità con vie di fatto costituenti delitto." A giustificazione poi della procedura contro quat­tro deputati senza tener conto delle immunità parlamentari, la magistratura si appella al tipo di reato che appartiene ai delitti contro i poteri dello stato ed è quindi "evidentemente d'azione pubblica", mentre lo Statuto garanti­sce ai membri del parlamento di non essere arrestati soltanto nel periodo di apertura della sessione parlamentare.

La risposta di Bissolati, De Fe­lice, Morgari e Prampolini all'intervento dei giudici romani è politica­mente abile: pur ribadendo che la magistratura non ha alcun dirit­to di giudicare il modo in cui si svolgono le discussioni parlamentari, essi dichiarano di astenersi dal sollevare eccezioni sulla legittimità e regolarità dell'azione giudiziaria, perché a tutti "importa per ragioni poli­tiche che il processo abbia corso colla maggiore possibile sollecitudi­ne," per trasformare l'azione giudiziaria in un pro­cesso politico.                     Perciò non soltanto confermano, durante gli interrogatori, i fatti attri­buiti loro dall'accusa, ma addirittura si spingono fino all'autodenuncia allo scopo di allargare sempre più le dimensioni del processo politico contro il governo[20]. A questo punto però il governo, dopo aver tentato di servirsi della magistratura per colpire gli ostruzionisti, è costretto a retrocedere, per evitare di divenire, dinanzi al paese, da accusatore accusato.

L'inizio del processo presso la corte d'assise di Roma è già stato fissato dal presidente il 30 ottobre, gli imputati sono già in carcere, quando la vigilia un decreto reale annuncia per il 14 novembre l'apertura della terza sessione della ventesima legislatura e, col restituire loro l'immunità parlamentare, rimette in libertà i quattro deputati socialisti evitando nello stesso tempo il processo.

Prima della chiusura della sessione parlamentare la Camera approva il 9 luglio le conclusioni della commissione incaricata di riferire sull'autorizzazione a procedere contro i deputati Turati, De Andreis, Bissolati, Andrea Costa, Morgari, Bertesi, Rondani, Pescetti  per eccitamento alla guerra civile, istigazione e associazione a delinquere. Facendo proprie le argomentazioni dell'av­vocato fiscale del Tribunale Militare di Milano e le conclusioni della commissione parlamentare viene data via libera all'apertura di un procedimento penale contro Turati, il repubblicano De Andreis, Morgari e il socialista toscano Pescetti

Mentre a Montecitorio si svolgevano queste vicende, il paese rimaneva tranquillo: nessuna saldatura si operò fra l'azione ostruzionistica dell'Estrema e i movimenti popolari, sia per il senso di stanchezza e frustrazione lasciato dall'esperienza del maggio precedente, sia per il rapido processo di nor­malizzazione seguito alle misure repressive: molte associazioni disciolte avevano potuto ricostituirsi e la maggior parte dei giornali sospesi ripren­dere le pubblicazioni; già nel dicembre i condan­nati con pene inferiori a due anni avevano riacquistato la libertà grazie a un indulto e infine proprio nel giugno 1899 un secondo provvedi­mento di clemenza restituì la libertà anche ai rimanenti. Ma più importanti ancora erano gli effetti della fase economica ascendente che stava  ormai consolidandosi i cui benefici cominciavano a filtrare vedo il basso.

 

­6. L'attività all’inizio del Novecento (1900-1905) 

Dopo la fase di repressione del biennio '98-'99, con il nuovo secolo si aprì un'epoca di riforme (pur con una dura gestione dell'ordine pubblico che degenerò in frequenti eccidi di dimostranti) e di graduale inserimento del socialismo nella compagine nazionale, che durò con fasi alterne per un quindicennio, fino allo scoppio della guerra mondiale.

Al governo presieduto da Zanardelli, con un programma di riforme liberali, per la prima volta nella loro storia i socialisti concessero il voto. Nonostante questo appoggio esterno, a seguito della campagna di stampa promossa nel 1903 da Ferri contro il ministro della Marina ammiraglio Bettolo, Morgari con il deputato liberale Franchetti propose un’inchiesta parlamentare che  di fronte alla gravità delle accuse, facesse piena luce sui rapporti della Marina con le ditte fornitrici, in particolare la società Terni.

La Camera respinse la proposta con una maggioranza però piuttosto esigua  (188 voti contro 149) in quanto numerosi deputati di destra avevano fatto confluire i loro voti con quelli dell’Estrema. Giolitti si dimise il giorno successivo al voto, in modo da non venir coinvolto nel declino zanardelliano, e il governo sopravvisse pochi mesi con un semplice rimpasto.

La sua attività politica non si esauriva in quella parlamentare: durante lo sciopero dei portuali di Marsiglia de 1990, andato ad incoraggiare alla lotta i lavoratori italiani, venne espulso come perturbatore dell'ordine ed accusato da alcuni giornali italiani di essere pagato dai commercianti liguri, interessati ad attrarre a sé il traffico del porto francese.  A seguito del viaggio del re in Russia nel giugno 1903, venne annunciato alla Camera che lo zar avrebbe restituito la visita; egli dichiarò che "qualunque grido di acclamazione sarebbe stato un plauso allo knut"[21]  e che sarebbe stato accolto dai fischi dei sociaIisti. I riformisti ironizzarono sulla "politica del fischio"[22] e i paventati fischi fornirono il pretesto per rinviare una visita sgradita al governo di Vienna

Sempre nel 1903, durante l'insurrezione in Macedonia, si recò sul posto e inviò all'Avanti! una serie di articoli.

Nel 1903 Zanandelli si dimise e subentrò Giolitti, cui il Partito Socialista, a differenza di quanto fatto nei confronti del governo precedente,  negò la fiducia. PersonaImente Morgari, che denunciò sempre i brogli elettorali di Giolitti, riteneva tuttavia che per l'immediato futuro soltanto un governo giolittiano avrebbe potuto procedere sulla via delle riforme e in quell'occasione egli scrisse: “Ora che Ella definitivamente non è più ministro... delle elezioni. tra l'altro. posso dirigerle questo saluto senza che Ella dubiti della mia sincerità... lo sono e sarò sempre socialista ma il progresso va per gradi, ed Ella è tale uomo da personificare i! progresso per un periodo di I0 o di 20 anni. Poi Ella sarà sorpassato se non camminerà con esso, ma vi è tempo di parlarne"  [23]

Negli anni successivi Morgari fu presente a molte delle agitazioni che scoppiarono in tutta Italia: nell'aprile 1904 si recò a Torre Annunziata in occasione dello sciopero generale locale; in maggio fu nel vercellese a sostenere le rivendicazioni delle mondariso; fu presente allo sciopero dei contadini di Magliano Sabino e a quello dei minatori Capoliveri.

Nel settembre del 1904 in un grande comizio a Milano, dopo la strage dei minatori di Buggerru (Sardegna), fu lanciata la parola d’ordine dello sciopero generale nazionale; riunitoso il 14 a Roma il Comitato Esecutivo del PSI, composto da Ferri, Lerda e Morgari, ai quali si aggiunsero il segretario amministrativo Mongini, Varazzani per il GPS e Cabrini per il Segretariato della resistenza (embrione della CgdL). decise in un primo momento di respingere la richiesta di sciopero generale, che fu comunque proclamato perchè a causa di un altro eccidio  il movimento spontaneo divenne incontenibile.

 

7. Il propagandista Morgari e il ciarlatano Frizzi

Il 1. febbraio 1900 fondò il quindicinale "Sempre Avanti!, periodico per gli umili e i pratici", in cui riprende i moduli della sua arte propagandistica già collaudata. Alla diffusione dei principi e degli obiettivi cui sono dedicate le prime due facciate sotto il titolo “La pagina degli umili”, aggiunge “La pagina dei pratici”, con la quale si propone di dare maggior mordente alla propaganda trattando gli argomenti dell’organizzazione e gestione cooperativa, dell’amministrazione comunale, della condotta pratica degli scioperi. Interessante è la rubrica “Se fossi deputato, cosa farei?” che pubblica le risposte dei lettori.

Morgari rivela una grande capacità di volgarizzatore, teorizzando così il suo metodo di predicazione: ”Per attrarre le masse lavoratrici è necessario convincerle e per convincerle occorrerà parlare in maniera da essere compresi. Bisogna ridurre ai termini minimi il bagaglio delle idee, renderle semplici, riferirsi a dei fatti conosciuti, partire dal noto per giungere all’ignoto, servirsi di parabole e fare impiego di una lingua che altro non sia che dialetto tradotto, insomma discendere fino al basso livello culturale delle masse lavoratrici, prenderle per mano e riaccompagnarle adagio adagio all’insù[24] e a  chi lo accusava di cadere nel semplicismo, rispondeva: «Bisogna dividere il lavoro. Occorrono discorsi, giornali e opuscoli per le classi colte, discorsi, giornali e opuscoli per le non istruite». A queste ultime egli rivolse specialmente la sua opera.

Essa fa appello agli stessi sentimenti elementari e profondi dell’operaio, al suo spirito di giustizia e fratellanza, convincendolo che soffre non perché i padroni siano cattivi ma perchè il sistema sociale è ingiusto. Nel povero è racchiusa la figura ideale del sofferente e dell’oppresso, accomunando il muratore e il contadino, il mendicante e la ragazza di filanda. Ad essi si rivolge badando non solo a cementarne l’unione ma a liberarli dai pregiudizi antisocialisti radicati negli strati popolari: rompendo con la tradizione dei primi fogli operai, l'atteggiamento verso la re­ligione, la patria, le istituzioni è rispettoso: “Il socialismo non vuole distruggere né la famiglia, né la religione, né la proprie­tà, né la libertà. Vuole procedere con mezzi pacifici, a grado a grado…i socialisti non vogliono spartire: mettono insieme: tutti procedono come soci». La descrizione avveniristica di una società di eguali è l'espressione di una fiducia positiva nell'evolversi dell'umanità verso un mondo di giustizia.

La tecnica della propaganda ha una suggestiva presa sentimentale e insieme regole fisse, elementari. Procede a base di dialoghi, apologhi, vignette, con una didascalica convincente e meticolosa che non ignora i richiami letterari, alla Zola, di una descrizione veristica.

Nel 1896 aveva scritto “L'arte della propaganda so­cialista”, pubblicata a puntate e poi raccolta in un opuscolo che ebbe vasta diffusione e fu più volte ristampato[25]. E' un testo didascalico, interessante oggi solo in quanto rivelatore della  ideologia socialista "media" del tempo: come testi per la formazione del propagandista “colto” indicava "un riassunto delle teorie di Darwin e Spencer...Marx completerà la fondamentale triade col celeberrimo e indispensabile suo Capitale, il vangelo dei socialisti contemporanei", a cui aggiunge il "Socialisme integral" di Benoit Malon, “Socialismo e scienza positiva” di Enrico Ferri, Schaffle “La quintessenza del socialismo”, Bellamy "L'anno 2000", mentre agli operai consigliava la lettura dei giornali di partito.

L'andata al popolo, l'origine piccolo-borghese dei quadri, è proclamata così: “Sono ben spesso i migliori, codesti disertori della loro classe. Avrebbero tornaconto a mantenere il presente assetto sociale, sì mite per loro e lo combattono. Essi nel partito sono i più disinteressati. Il partito fu fondato dai disertori della classe abbiente e quasi ovunque è diretto da essi”

Sempre nel 1896 fondò il periodico “La parola del povero. Foglio di propaganda popolare”,  supplemento quindicinale del "Grido del popolo" che si pubblicava con il motto “Lavoratori voi non siete piccini se non perchè state in ginocchio: alzatevi". Presentandolo scrive:”È la parola che viene dalla risaia dove bruciano al sole fanciulle decenni e vecchi falciatori; è la parola che esce dalle fabbriche dove si consuma tanto fiore di giovinezza: è la parola che sale dalla perpetua notte delle miniere e dalle zol­fatare, sepolcri di vivi: è la parola che viene dalle soffitte fredde e dai bugigattoli marci, dove si pigiano tutte le miserie. Conteneva l'interessante rubrica "Prime notizie dalla città futura" e nell'ultima pagina la pubblicità dell'Alleanza cooperativa torinese. Ebbe una notevole diffusione di massa tirando nei primi 23 numeri complessivamente più di 300.000 copie.  Sul “Sempre Avanti!” nel 1902 aveva pubblicato in appendice l’autobiografia di Arturo Frizzi, singolare personaggio di venditore ambulante convertitosi al socialismo[26], che mise al servizio del partito la sua “arte” di oratore popolare.

Questo scritto aveva anche lo scopo di mettere “in luce che il merito della mia riabilitazione la devo alla fede socialista che sempre mi sarà costante compagna nella lotta per l’esistenza". Per il genere di vita che conduceva, la sua richiesta di iscrizione non venne subito accettata e Bissolati, cui si era rivolto, gli rispose “sii buono, pazienta ancora, sta un po’ sotto aceto, poi in seguito rifarai la domanda, e se ti comportrai bene, come ho fiducia, sarai soddisfatto. Non dubiti, caro Leonida – io replicai- che farò meno male di quanto mi sarà possibilie per rendermi degno di voi socialisti, veri apostoli di Cristo[27]...Voi soli meritate tutto il rispetto perchè disinteressatamente sostenete le ragioni degli umili, degli offesi, degli sfruttati. Tre anni dopo fui accettato nel Circolo di Cremona, poi per maggior comodità, causa la mia posizione di ambulante mi iscrissi alla Sezione Centrale dove pagavo le mie quote”.

Per un atto di rispetto verso i compagni aveva ritenuto doveroso abbandonare Rosina, la donna che amava ma che non era sua moglie, come di frequente succedeva nel mondo degli imbonitori. Questo gesto fu apprezzato come espressione della volontà di riabilitazione ma Morgari nella nota di commento allo scritto volle sottolineare di non considerare “come fallo” l’incontro con questa donna: “... noi rivendichiamo  altamente ad ogni essere umano, come massimo bene, il diritto alla libertà dell’amore ....che prorompe fin d’ora – rivoluzionariamente – nei casi come quello narrato dall’autore, ma che avrà pratica e generale sanzione soltanto in una società socialista, allorchè l’uomo e la donna, posti su uno stesso piede d’eguaglianza economica, più non si vincoleranno che per amore, sciogliendosi quando l’amore non c’è più, senza danno materiale per alcuna delle parti, e nemmeno pei figli”

Frizzi partecipò alla vita di partito sia come propagandista che come candidato in prima persona e collaborando alla stampa socialista come diffusore ed anche inviando corrispondenze a vari fogli: "La nuova terra", "Il popolo" di Trento diretto da Battisti, ecc.   Intervenne al congresso di Bologna del 1904 dichiarando "di essere venuto con simpatie riformiste ma di essere diventato intransigente dopo il discorso di Lazzari " [28]. Si dimise nel 1912.

Ripubblicata col titolo “Il ciarlatano” e con la prefazione del direttore della “Giustizia” Giovanni Zibordi nel 1912, la biografia conteneva una dedica a Oddino Morgari “cui devo l’essere diventato un socialista, pratico e nemico della violenza, da qualunque parte venga. Lo chiamo con orgoglio mio padre, sebbene di due anni più giovane, perchè per me egli fu tale come per molti, che dalla sua parola appresero la vera natura del socialismo

 

8. A Torino agli inizi del secolo. Lo sciopero dei gasisti (1902)

Nel 1897 in Piemonte i voti socialisti balzarono da 8.850 a 30.000, superando quelli della Lombardia. Nel capoluogo  raccolsero 5.400 voti su 20.000: un torinese su quattro votava PSI.  In una città dove la classe operaia crebbe nel ventennio 1881-1901 solo dal 28 al 29% della popolazione attiva, fu decisiva per i successi elettorali l'alleanza con la piccola borghesia impiegatizia, esercente ed intellettuale, che a differenza di altre città non aveva una formazione democratica che la rappresentasse (in povincia di Torino contro i 48.000 voti costituziionali e  14.000 socialisti si hanno appena 3.000 voti radicali) ma votava direttamente per i candidati socialisti.

Di estrazione borghese erano quasi tutti i quadri e i candidati nelle elezioni. Nofri e Morgari erano dirigenti di quelle associazioni mutualistiche che, col loro fitto e ramificato tessuto, fungevano da tramite fra gli interessi economici della classe operaia e dei ceti piccolo-borghesi. L'equilibrio era destinato a rompersi con i primi anni del '900 quando la nascita della grande industria avrebbe dilatato la massa operaia.

  Il 1900 si aprì, per il socialismo piemontese, con la celebrazione del 7. Congresso regionale, tenuto ad Alessandria il 6 gennaio in cui il neo-sindaco della città Paolo Sacco, relatore sulla tattica, propose l'alleanza tra i partiti popolari come elemento permanente della politica socialista, incontrando resistenze nella sezione torinese dove il riformismo era accompagnato alla chiusura ad alleanze per mancanza di partners.

Nel 1900 il PSI aveva a Torino una estesa base elettorale: oltre ai due deputati (Quirino Nofri e Morgari), 17 consiglieri comunali e 3 provinciali ed è accusato di badare essenzialmente alla lotta politica e amministrativa trascurando la lotta economica e di fabbrica. Nel giugno 1902 si accresce di altri nove consiglieri comunali provenienti dalle file della borghesia professionale e accademica.

A dicembre 1900 entrarono in sciopero i fonditori, ma non bastò la mobilitazione compatta per quasi due mesi  e la solidarietà di altri lavoratori per aver la meglio sull'intransigenza degli industriali; lo sciopero sostanzialmente fallì, senza che  l'organizzazione delle leghe di mestiere si sfaldasse: tra la fine del 1901 e l'inizio del 1902, la Camera del lavoro conta 6500 operai organizzati, numero comunque modesto in rapporto al totale della massa lavoratrice cittadina e se confontato ai 28.000 d Milano. I dirigenti sindacali e i quadri di partito vivono con apprensione questa vigilia della prima grande battaglia dei lavoratori torinesi: è in gioco, a livello locale, la credibilità della linea strategica riformatrice e legalitaria che il PSI ha confermato con il voto di fiducia espresso nel febbraio 1901 al governo Zanardelli.

  L'occasione sembrò giungere agli inizi di febbraio del 1902, quando gli operai gasisti delle due Società esercenti in città scendono in sciopero. L'agitazione è seguita dai dirigenti sindacali: nel salone dell’AGO dove i gasisti si sono riuniti per decidere lo sciopero sono presenti oltre al segretario della Lega, il consulente legale dei gasisti, il rappresentante della CdL e quello della Federazione nazionale, che si dichiarò favorevole allo sciopero in considerazione dei successi ottenuti dalla categoria in altre città italiane. Scontata è l'intransigenza delle due società produttrici che han­no già dimostrato, non rispondendo al memoriale, di non voler trattare. Ma un elemento nuovo e non previsto rende problematica una favorevole risoluzione della vertenza: le autorità cittadine e governative intervengono nel conflitto, vanificando ogni possibilità di vittoria operaia. Il giorno 4 il prefetto rifiuta di ricevere una delegazione operaia e invia la truppa, affinché presìdi i gasometri e contribui­sca al funzionamento dei forni. Il sindaco respinge la proposta operaia di continuare a prestare servizio di accensione dei lampioni nelle vie cittadine e ne incarica gli spazzini comunali.

Morgari inviò un telegramma di protesta a Giolitti, in cui denuncia l'operato del prefetto    e fa presente che ad Alessandria, in un'analoga situazione, non vi era stato l'invio della truppa e, anche a Genova, dove inizialmente erano stati mandati dei soldati, questi erano stati subito ritirati.

È di alcuni giorni dopo un secondo telegramma di protesta di Morgari, che dice fra l'altro: “Questo non si chiama garantire la pubblica sicurezza, ma parteggiare per il capitale contro il lavoro. Chiedo che si ordini al locale prefetto il ritiro dei militari o la sua immediata intromissione per risolvere la vertenza”.

Anche i consiglieri comunali socialisti, nella seduta del 12 febbraio, protestarono vivamente contro il comportamento del sindaco facendo presente che le società, legate da una convenzione con il comune, sono da considerarsi inadempienti avendo rifiutato di prendere in considerazione le richieste operaie. Nel frattempo le due società hanno invitato, pena il licenziamento, le maestranze a presentarsi al lavoro. L'appello cadde nel vuoto, ma ormai la situazione è compromessa L'intervento dei soldati e il reclutamento di crumiri ha riportato la normalità nel servizio d'illuminazione. Il 19 febbraio la proposta della commissione degli operai gasisti che la soluzione della vertenza fosse demandata a un collegio arbitrale fu rifiutata, facendo  giungere al culmine l'indignazione della massa operaia torinese.

Nella notte del 20-21 sono diffusi manifestini inneggiami allo sciopero generale, nella mattina del 21 vi sono alcune astensioni spontaneamente dal lavoro, nel pomeriggio il numero degli scioperanti aumenta. Un gruppo di dimostranti è caricato dalla truppa e si effettuano alcuni arresti, alle 17 parlano alla folla Actis, Casalini e Morgari, che è  il più deciso nell' invitare allo sciopero generale cittadino

In serata, la commissione esecutiva della CdL redige un manifesto, in cui prende atto della nuova situazione Non tumulti, non violenze; la classe operaia dimostra la sua forza semplicemente con l'astensione dal lavoro. Essa non ritornerà alle officine se non quando gli operai gasisti avranno ottenuto soddisfazione. I giorni seguenti sono caratterizzati da scontri tra dimostranti e forze dell'ordine, ai quali fanno seguito arresti. Allo sciopero non hanno aderito tutti i lavoratori, ma alcune avanguardie sono decise a continuare la lotta. Per cinque giorni, 10.600 operai e 5.000 operaie si astengono dal lavoro e sfilano per le vie cittadine, anche se il prefetto ha proibito ogni pubblica manifestazione.

Fu ancora Morgari nel pomeriggio del 22 febbraio a parlare alla folla invitandola a continuare la lotta, dopo che nella mattinata aveva guidato un corteo di protesta sotto il municipio . Nel frat­tempo il sindaco convince le due società ad accettare l'arbitrato, ma solo previa  accettazione del principio dell'illicenziabilità dei crumiri, ciò che rappresenta per i gasisti una resa senza condizioni. Nonostante ciò, la CdL e la dirigenza socialista rivolgono un appello ai lavoratori affinchè riprendano il lavoro, in quanto con il loro sciopero avreb­bero già vinto una grande battaglia. Anche Morgari, fino all'ultimo deciso sostenitore della lotta, firma il manifesto. In seno alla dirigenza socialista del partito e della CdL è ancora una volta prevalsa la moderazione.

Il 27 febbraio in un'adunanza all'A.G.O. Mor­gari cercò di spiegare il suo atteggiamento e il perché del manifesto che invitava al ritorno al lavoro, ma venne apostrofato violentemente da un anarchico che lo accusò di aver prima trascinato gli operai nello sciopero generale, rovinandoli, e di esser si poi ritratto e concluse invi­tando gli operai a diffidare da simili «capi» che cercavano piedistalli a spese degli operai e che sarebbero domani diventati tiranni; Morgari reagì  con un ceffone. Nei giorni successivi, coperto di  lettere  di biasimo, pubblicò sul Sempre Avanti! un articolo amaro ma pacato. In esso affermò di aver agito secondo coscienza .

Il 1 marzo il lodo obbliga le due società a riassumere solo 224 dei 658 scioperanti . Il bilancio dell'agitazione non può esser più negativo: alla mancata riassunzione si aggiungono i 200 procedimenti penali degli arrestati.

 

9. La Segreteria della Camera del lavoro e le lotte del 1906

 Il nuovo secolo per i socialisti torinesi inizia con la ricostruzione a metà febbraio 1900 della Camera del lavoro, con un graduale processo di riorganizzazione delle leghe.

Alla direzione della Camera del Lavoro, i cui iscritti scendono dai 5500 iniziali a 3500[29], è nominato nell’aprile 1902 il tipografo Camillo Rappa, che resta in carica fino alla primavera del 1906,  ed è quello della sua segreteria un periodo di ripresa (funestata però da scontri come quello del 17 settembre 1904 dove rimane ucciso l’operaio Garello): già a metà del 1903 gli iscritti sono 8000, mentre le sezioni sono salite da 36 a 58; tra queste fanno spicco quella dei tipografi con 528 soci, dei ferrovieri con 1848, dei metallurgici con 649. Queste tre sezioni comprendono più di un terzo di tutti gli organizzati.

Dopo la lunga segreteria Rappa, la direzione della Cdl viene affidata nella primavera del 1906 a Morgari che, tra contrasti di corrente e conflitti con gli anarco-sindacalisti assunse un atteggiamento più conciliante cercando di trovare accordi con le controparti, coadiuvato dal sindaco di Torino, il giolittiano Secondo Frola.

Il 3 maggio 1907 nella discussione sulla relazione morale e finanziaria, la C.E. può affermare che i soci sono aumentati da 8768 a 15626 e le sezioni da 68 a 110 “il grande numero di soci coincide con la presenza dell’on.Morgari alla segreteria per l’impulso da lui dato all’ordinamento interno e all’azione esterna. La CdL può andare orgogliosa. Anche le entrate sono aumentate da 8643 L. a 17.608”

   Durante la sua segreteria la volontà di lotta delle masse operaie torinesi pone comunque la dirigenza sindacale di fronte alla realtà di un movimento rivendicativo di un'ampiezza mai prima conosciuta. Il 30 aprile  1906 le 800 operaie del cotonificio Bass richiedo alla direzione la riduzione dell'orario di lavoro da 11 a 10 ore. I dirigenti della CdL, considerata la disorganizzazione della categoria, sconsigliano ogni forma di lotta. Nonostante ciò il 3 maggio  le cotoniere della Bass scendono in sciopero, seguite il giorno seguente da quelle degli altri cotonifici, lanifici e maglifici  Il 5 maggio lavoratori dei due sessi del settore tessile sfilano per le vie cittadine. La CdL, pur dichiarando d'essere contraria allo sciopero, non si esime dall'esprimere solidarietà alle scioperanti e rende pubbliche le richieste operaie

  Lunedì 7 maggio la schiera delle scioperanti risulta ingrossata dagli ope­rai di molti stabilimenti meccanici e chimici, che vogliono dimo­strare solidarietà alla categoria in lotta. Come ormai è tradizione, gli scioperanti si assiepano davanti alla CdL; il lancio di sassi da parte di alcuni ragazzi provoca la reazione della forza dell'ordine che, guidata dal commissario di Pubblica sicurezza entra nel cortile dell’AGO, sparando sulla folla. Il bilancio è pesante: un mor­to, 8 feriti, 22 arrestati. I dirigenti camerali e i del Partito decidono all' unanimità la proclamazione dello sciopero generale; è anche deciso di richiedere lo sciopero generale in tutta Italia: si effettuerà a Milano, Bologna, Firenze e Roma.

II giorno 8 decine di migliala di lavoratori assistono ai comizi dei massimi esponenti socialisti. Come nel 1902, in occasione dello scopero dei gasisti, i toni più accesi e battaglieri provengono dai discorsi di Morgari. Il 9 maggio, dopo un'imponente manifestazione popolare, Morgari parlò esaltando la forza nuova del popolo che si era venuta manifestando accanto alle tradizionali potenze dello Stato e della Chiesa, della banca e dell'industria.

   Il 9 la CdL dichiara la cessazione dello sciopero. Già il 7 sera infatti, gli industriali tessili, convocati nuovamente dal sindaco, avevano deciso di accettare le richieste operaie. L'8 il prefetto aveva inoltre assicurato che sarebbe stata aperta un'inchiesta. Gli avvenimenti di Torino hanno una vasta eco a livello nazionale e uno strascico parlamentare; i deputati socialisti  avendo visto bocciare la proposta intesa a scongiurare nuovi eccidi rassegnarono le dimissioni.

   Quasi tutte le categorie richiedono, spesso ottenendoli, miglio­ramenti salariali e normativi; in alcuni casi non è nemmeno neces­sario il ricorso allo sciopero. La favorevole congiuntura economica consiglia gli imprenditori a non rischiare un arresto prolungato della produzione, che causerebbe una perdita di profitto. II 12 maggio gli operai carrozzieri presentano un memoriale contenente la richiesta di un trattamento salariale e nor­mativo analogo a quello delle fabbriche di automobili. Il 17 la carrozzeria Rothschild concede le 10 ore, l'aumento della paga delle ore straordinarie e i 10 minuti di tolleranza sull'entrata. Il 19 maggio 1906, nei locali del municipio, i padroni delle principali sartorie cittadine e una rappresentanza delle operaie del settore raggiun­gono un accordo, che prevede l'accoglimento di alcune delle più significative richieste del memoriale presentato dalla Lega sarte e modiste.

   Le uniche categorie a non ottenere sensibili miglioramenti appartengano a quei settori produttivi che non hanno potuto beneficiare della favorevole congiuntura economica.

Il 15 febbraio 1907 viene sostituito da Alessandro De Giovanni, di tendenza sindacalista-rivoluzionaria, perché chiamato alla segreteria nazionale del PSI.

Se durante la sua direzione gli iscritti sono saliti, scendono a 11.570 nel 1909, a 9.009 nel 1910 e 9.392 nel 1911 e a 9.117 nel 1912 .

 

10. La sezione socialista torinese nel primo decennio del  '900

   Al congresso di Imola del 1902, che vide prevalere i riformisti, i quattro delegati della sezione torinese votano per la mozione  Ferri-Labriola, senza ricadute immediate sulla sezione in maggioranza (deputati dei collegi cittadini, consiglieri comunali, commissione esecutiva della CdL) riformista; solo agli inizi del 1904 l'acceso dibattito fra le tendenze tocca anche il capoluogo piemontese. La calorosa accoglienza riservata dai socialisti torinesi a metà febbraio, ormai in clima precongressuale, a Enrico Ferri  è  un'  anticipazione della scelta di campo della sezione

  È l'avv. Momigliano, leader della corrente intransigente, a illustrare, in un articolo di fondo del «Grido del Popolo», la posizione politica della sezione: non dovrà essere consumata alcuna scissione, ma  non do­vranno esserci cedimenti nel senso che il Psi non deve diventare un partito possibilista accodato a una frazione della democrazia.  A Bologna, sede dell'8. Congresso ( 8-11 aprile) dei sette delegati torinesi, sei si pronunciano nella prima votazione a favore dell'odg presentato da Labriola, mentre uno si astiene. Nella seconda, tutti i voti dei delegati conflui­scono sull'odg presentato da Ferri (alleato di Arturo Labriola) che prevale e diventa segretario.

  Morgari al congresso di Bologna (1904) era stato firmatario dell'OdG intermedio, presentato prevalentemente da organizzatori sindacali come Rigola, Cabrini, Reina, che si poneva tra i rformisti e la coalizione ferriana-sindacalrivoluzionaria. Preso atto della divergenza politica, rimette il suo mandato al collegio che lo ha eletto. I socialisti di Borgo Vittoria gli inviano  un telegramma in cui respingono le dimissioni e salutano in lui « il valoroso soldato del Partito socialista »

   Già nel 1902-1903 toni fortemente anticlericali avevano soppiantato il vecchio linguaggio usato dai pri­mi socialisti nella loro opera di «apostolato laico».  Ora che gli intransigenti hanno conquistato maggiore spazio nel quadro organiz­zativo del partito, la propaganda anticlericale tende a uscire dalle sale di conferenza dei circoli culturali per dive­nire momento di mobilitazione. Il 22 maggio, giorno della tradizionale processione di S. Bernardino in Borgo S. Paolo, sono indetti dai socialisti un corteo e un comizio anticlericali. Benché il prefetto Guiccioli non autorizzi la manifestazione, un gruppo di socialisti si dirige verso il luogo dove si deve tenere in forma privata il comizio. Le truppe caricano il cor­teo e arrestano Francesco Barberis, portavoce della corrente intran­sigente torinese. II 2 giugno 1904, nel 22° anniversario della morte di Giuseppe Ga­ribaldi, è organizzato dai socialisti e dai repubblicani un grande cor­teo-comizio. Gli ora­tori ufficiali sono il repubblicano avv. Gorini e l'avv. Leandro Allasia, un esponente dell'ala riformista del Partito so­cialista. Riformisti e rivoluzionari trovano nell'anticlericalismo un momento unificante di lotta.

   Dopo il referendum del novembre 1905 sulla creazione di un'azienda municipalizzata per l'energia elettrica, in cui i suffragi dei socialisti risultarono decisivi per il successo della proposta formulata dalla giunta del giolittiano Frola, si crearono condizioni per una convergenza su punti importanti: dalla riforma delle imposte, all'abolizione delle «spese di lusso», al passaggio al comune di alcuni servizi pubblici; dall'attuazione di una serie di provvedimenti annonari che tenessero basso il costo dei viveri, a una politica di acquisizioni edilizie pubbliche. Da allora sino al 1911, quando in coincidenza col dibattito sull'allargamento della cinta daziaria tornarono sulle posizioni criti­che dei liberisti radicali, le ragioni del dialogo prevalsero su quelle dell'antagonismo.

Morgari nel 1906 in occasione delle elezioni per il Congresso propone la mozione “integralista” che conquista la mag­gioranza della sezione torinese perché, pur basata su posizioni riformiste, offre la possibilità di mantenere una posizione intransigente sul tema delle alleanze elettorali che a Torino, per mancanza di partiti af­fini, non si pone neppure, diventando una sorta di mito radicato ed elevato a teorema politico.

Tale facile estremismo riesce al Congres­so provinciale a strappare, nonostante la loro aumentata in­fluenza, la maggioranza ai sindacalisti-rivoluzionari. Su 28 rappresentanti delle sezioni, 14 votano l'ordine del giorno integralista e 11 quello rivoluzionario. Non diverso è l'esito preelettorale nella sezione cittadina, dove il gruppo sindacalista non è riuscito, nonostante abbia condotto una campagna suffragata dai successi dei lavoratori per i metodi dell'azione diretta, a trasformare la natura, la composizione sociale e l'orientamento del partito in città.

 

11. Alla segreteria del PSI. L’”Integralismo” ( 1906-08)  

Morgari si affermò sul piano nazionale in occasione del 9. Con­gresso di Roma dell'ottobre 1906, allorché assieme al socialista umbro Francesco Paoloni[30] propose la mozione «integralista». In due articoli  dal titolo Verso il congresso nazionale socialista, pubblicati sull'Avanti! del 29 e 30 settembre 1906 spiegò il significato della formula, consistente in una «sintesi dell'anima possibilista e dell'anima avvenirista del socialismo, dell'idealismo e della praticità, dell'azione diretta e dell'azio­ne rappresentativa, dell'antistatalismo e  della legislazione statale, della rivoluzione  e della legalità, del sindacalismo e dell'antisindacalismo, dell'intransigenza e dell'affinismo».

Nella seduta del 7 ottobre ribadì: «Vi dico che integralismo, nella sua espressione più intima e più caratteristica, è tutto qui, nel procurare che nella coscienza del militante socialista coesistano armonizzate la nozione limpida del divenire della società futura nel grembo stesso della società futura — da affrettarsi colle riforme dirette e legislative — e la nozione dell'assetto ultimo, cercato quasi con desiderio nostalgico, per raggiungere il quale la società umana dovrà verosimilmente attraversare una catastrofe causata da un « alto là » della borghesia stancata di concessioni»[31].

Non capiva come ci si potesse scontrare in lotte interne, quando tanto ancora rimaneva da fare a chiunque avesse a cuore la condizione proletaria e volesse veramente agire in favore dei diseredati. Poiché la situazione non era ancora matura per la rivoluzione, conveniva intanto operare quotidianamente con mezzi legali. Ogni socialista, doveva essere contemporaneamente riformista e rivoluzionario.

Gli uni e gli altri voleva colpi­re quando scriveva che “i riformisti hanno obliato lo spirito e i fini dell'azione socialista mentre i rivoluzionari si arrestano nel culto infecondo delle supreme idealità marxiste”

La mediazione era la sua vocazione autentica ed anche un ritorno alle origini, all'ispirazione prampoliniana dei tempi eroici, un procedimento mentale per cui il «propagandismo» e l'appello ai sentimenti appaiono in grado di risol­vere i termini politici delle questioni. «L'integralismo per lui non era stato un espediente tattico per carpire una vittoria in congresso, ma uno stato d'animo. Ed è stato d'animo, quello di Morgari, di chi ama il suo partito in sincerità e in umiltà perché esso è il partito della redenzione degli oppressi»[32].

L'integralismo rappresentò nel 1906-8 l'affermazione del corpo centrale del partito, fondamentalmente unitario, che ricercava nei valori propagandistici e pedagogici quella identità del socialismo italiano, che la lotta tra le tendenze sembrava minacciare. Il progetto di rilancio del Partito su basi intran­sigenti e classiste, nella lotta contro le spese improduttive e le spese militari, il latifondo e il sistema fiscale, un atteggiamento polemico nei confronti del blocchismo popolare, una difesa dell'istanza partitica e dell'esigenza primaria della propaganda per la formazione della «co­scienza socialista» erano istanze sedimentate  nella tradizione socialista italiana.

Il partito, paralizzato dai dissidi prima del 1906, si chiudeva in una posizione sostanzialmente difensiva, dì raccoglimento. Più che alla ricerca di una politica nuova, con caratteri propri, l'integralismo in­tendeva correggere, amalgamare, insomma integrare ciò che di positivo fosse presente nelle tendenze opposte. In pratica confermava la ne­cessità dell'azione quotidiana di organizzazione e di propaganda, la lot­ta parlamentare per le riforme, lo stretto collegamento tra l'istanza politica e quella di resistenza, il fine della socializzazione come obiet­tivo unitario contrapposto al corporativismo economico e settoriale. Erano questi per lo più obiettivi presenti anche nel riformismo. Tipici degli integralisti semmai furono il più accentuato richiamo alla coscienza di classe, la concezione «organicistica» del proletariato che favoriva una sottolineatura più marcata dei valori del collettivismo, il ruolo più incisivo attribuito alle organizzazioni economiche e al partito, la rivendicazione di una più sostanziale autonomia del partito che escludeva alleanze sistematiche, la forte diffidenza nei confronti della borghesia, con la quale avrebbe anche potuto stringere di volta in volta ac­cordi limitati, ma sempre nella consapevolezza che essa rappresentava l'avversario di classe. Al congresso di Roma del 1906 l'odg maggioritario ottenne 26.500 voti su 34.000 con la confluenza dei voti dei riformisti e l'adesione del Ferri, ex alleato di Labriola, che diede alla formazione del « blocco integralista unitario » il significato di «un punto di arresto contro la deviazione sindacalista e il catastrofismo».

    Al congresso, che lo nominò segretario politico,  il tema della propaganda-organizzazione fu ripreso più volte. In primo luogo fu deciso di istituire «segretari regionali» ai quali fosse demandato il compito della organizzazione politica ed economica: era investito così il punto importante della questione meridionale, e cioè l'esigenza di consolidare la struttura politico-organizzativa del movimento operaio e contadino del Sud, nel quale si individuava il protagonista principale della lotta per la sua emancipazione, e nello stesso tempo un fattore di riequilibrio dell'intera politica nazionale del partito. Signifi­cativa risultò la composizione della nuova direzione, che teneva conto non solo del criterio della omogeneità po­litica, ma anche del principio della rappresentanza regionale. Riuscirono eletti numerosi dirigenti di organizzazioni di resistenza, di federazioni di mestiere e di associazioni: da Quaglino (Federazione edilizia) a Rigola (tessili), a Del Buono e Marzetto (CdL di Firenze e Vicenza).       Ciò rifletteva il peso che avevano quadri e dirigenti sindacali che, pur essendo su posizioni sostanzialmente riformiste, rivendicavano due esigenze fondamentali: l'unità del movimento di classe e la diffidenza verso il parlamentarismo. Facevano parte della Direzione i rappresentanti regionali, il direttore dell'« Avantil » e un delegato del Gruppo Parlamentare, che poi a lungo sarebbe stato proprio Morgari. La numerosa direzione appariva assai più rappresentativa delle precedenti  per la sua espres­sione regionale,  Vi era l'impegno a ricondurre all'in­terno del partito tutte le componenti — sindacali, cooperative, politiche — del movimento socialista, ma di per sé non rappresen­tava una soluzione per una effettiva direzione.

   Le aree di diffusione dell'integralismo rima­nevano nel Piemonte, che dava circa il 22% dell'intera forza della componente. Una buona presenza gli integralisti avevano in Emilia-Romagna, dove era attestato oltre un terzo (36,6%) della forza complessiva della corrente. Vero punto di forza dell'in­tegralismo era la Toscana. Erano integralisti Roma e il Lazio (52,61%). Nel Sud e nelle isole il fenomeno integralista era pressoché sconosciuto. Da rilevare la buona presenza integralista nei centri urbani dell'Italia centrale, e in genere nelle grandi città (dove raggiungevano il 55,4%). Erano infatti integraliste Torino, Firenze, in parte Roma. L'integrali­smo rappresentò una meteora abbastanza breve, ed entrò rapida­mente in crisi, impari a quegli obiettivi di ricomposizione unitaria del movimento socialista che si era prefissi: come posi­zione di raccoglimento e come istanza unitaria favoriva il processo di riorganizzazione e consolidamento del riformismo e di sfaldamento della possibile alternativa sindacalista rivoluzionaria. I rapporti di forza all'interno del Partito furono deci­samente modificati a vantaggio del primo dopo la scissione dei sindacalisti rivoluzionari nel 1907.  Allora agli integralisti venne meno il ruolo mediatore che si erano attribuiti.

L'unitarismo del Morgari non poteva certo condizionare efficacemente l'iniziativa politica dei riformisti, i quali del resto con la costituzione della CGdL avevano riassorbito molti quadri sindacali, Altobelli, Bussi, Garibotti, Quaglino, Rigola che al con­gresso di Roma si erano pronunciati per l'integralismo.

Al congresso di Firenze del 1908 mentre molti della sua corrente si presentano con i riformisti nella “concentrazione socialista” che prevale con 18.000 voti, ribadisce di voler mantenere la mozione “integralista” (che ottiene 6.700 voti pari al 21%) “anche se sostanzialmente  uguale nella lettera ma non nello spirito”,  mentre i voti ottenuti dall'odg Pescetti al congresso di Modena del 1911 sul quale si river­sarono i consensi di molti ex-integralisti furono 1070 pari al 5% 

 

12. La direzione dell'”Avanti!” (1908) e un primo "dialogo" coi cattolici

Nel gennaio 1908 Enrico Ferri, avendo accolto l'in­vito a tenere delle conferenze nel Sud America, aveva rassegnato le dimissioni da direttore dell'«Avanti!»; gli subentrava Morgari, nella sua qualità di  leader della corrente che era prevalsa al congresso. Il più importante centro di propaganda e di orientamento politico rimaneva in mano agli integralisti.          

La direzione di Morgari era chiaramente transitoria: egli stesso, nell'accettare la carica, avvertì che l'avrebbe tenuta fino al successivo congresso; nel comunicare ai lettori di aver assunto la direzione del giornale, rassicurò coloro che temevano che I'Avanti! nelle sue mani divenisse un organo di esposizione elementare del socialismo: «Accettando di portare una croce che io non ho sollecitata né ambita, mi sono fatto giaculatoria del principio secondo cui il portavoce dei malvestiti deve camminare in redingote e cilindro".  

Direttore dal 22 febbraio al 30 settembre 1908, quando gli succedette Bissolati  avendo  i riformisti riconquistato la direzione del partito al congresso di Firenze, la  redazione disponeva di collaboratori di alto livello come Bonomi, Francesco Ciccotti, Galantara, Paoloni, Podrecca.

Durante la sua direzione condusse una campagna per la legalità nelle manifestazioni: approfittando di una sua assenza, Francesco Ciccotti aveva pubbicato sull'Avanti! del 3 aprile un violento editoriale per l’eccidio in occasione di una manifestazione, suscitando  la reazione di Bonomi che diede le dimissioni ritirandole solo quando Morgari prese le sue difese, conducendo una campagna di stampa, suggestivamente intitolata “prendere il toro per le corna” (cioè i due corni del dilemma: legalità o illegalità, da cui il proletariato-toro era dilaniato) che prendeva decisamente posizione contro i cortei che degeneravano in manifestazioni violente.

Pubblicò sull'Avanti una lunga lettera che due giovani  usciti dall'esperienza della Lega democratica nazionale e avvicinatisi ai socialisti cristiani, Guglielmo Quadrotta[33] e Felice Perroni, gli indirizzavano e che si concludeva con una domanda esplicita

: « A chi professa i nostri ideali sono aperte oggi le file del Partito socialista italiano? » La lettera[34] suscitò una po­lemica nella quale intervennero, tra gli altri, Bonomi, Turati, Zibordi, Paoloni, sostenendo diversi punti di vista, ma questa apertura al mondo cattolico venne sconfessata al congresso di Firenze con l'approvazione dell'OdG Bussi-Vella che negava ai cattolici l'entrata nel PSI.

 Morgari, che pure condusse dure battaglie contro la Chiesa[35] e sostenne la battaglia per l'abolizione dell'educazione  religiosa nelle scuole condotta da Bissolati, era avverso all'estremo anticlericalismo.Durante la sua direzione scomparvero rubriche come “la cloaca clericale” e gli attacchi gratuiti alla Chiesa.[36]

 

13. L' attività nel Parlamento e nel Paese 1907- 1911

    Nelle votazioni per il Congresso di Firenze del 1908 i riformisti proclamarono l'opportunità di dare la scalata all’amministrazione dello Stato e dei Comuni e su tale base stesero il nuovo programma minimo che comprendeva: migliore legislazione del lavoro (disciplina giuridica dei contratti, estensione delle pensioni, leggi sulla maternità), abolizione del dazio sul grano, laicità della scuola, opposizione agli incrementi sulle spese militari, suffragio universale e suoi corollari (proporzionale e indennità ai deputati), concordandolo con quanti al Congresso precedente si erano presentati integralisti.

Morgari non volle confluire nella nuova corrente, rinunciare alla vecchia bandiera, e ripresentò la mozione “anche se sostanzialmente  uguale nella lettera ma non nello spirito”  in cui accentuava le sue riserve all' appoggio dei socialisti al governo.

Neppure a Torino nel dibattito precongressuale l'azione di Morgari era valsa a sottrarre la maggioranza dei suffragi a quegli esponenti «sindacalisti rifor­misti», che, sotto la guida di Rigola, esercitano un predominio incontrastato sulla sezione dopo l'allontanamento dei sindacalisti rivoluzionari. Anzi, risultano eletti nella direzione del partito, col Rigola, il Reina e il Quaglino, i due piemontesi che gli sono più legati. E il “Grido del Popolo” può cosi inorgoglirsi che «alla testa del Partito socialista siano uomini nostri, cresciuti alle nostre lotte, sperimentati alle nostre prove», e condannare la «distinzione capziosa» di Morgari il quale lascia frattanto la direzione dell'«Avanti!» a Leonida Bissolati.

 A Torino si continuerà per tutto il 1909 a correre ancora molto lungo questa strada. La propaganda del partito sul piano politico generale non conosce più che la solita nota anticlericale, mentre da un punto di vista teorico l'identificazione di «socialismo» con le più immediate riforme della legislazione sociale è ormai totale.

Dopo la vittoria riformista al congresso di Firenze del 1908, all'interno dell'area si delineò la spaccatura tra una componente (i dirigenti confederali insieme con Bissolati e Bonomi) che proponeva la creazione di un «partito del lavoro» privo di connotazione ideologica e aperto a tutte le componenti del movimen­to economico del proletariato, e la  “sinistra riformista” di Modigliani e Salvemini.

Al successivo congresso di Milano dell'ottobre 1910, in cui Turati riesce a ottenere un'ampia maggioranza con la confluenza della destra bissolatiana sulla sua mozione che ottiene 13.000 voti, Morgari si accosta ai “riformisti di sinistra” Modigliani e Salvemini presentado insieme a loro una mozione “intermedia” che raccoglie  4.500 voti (quella intransigente presentata da Lazzari ne raccoglie 6.000). rimanendo quindi sempre al centro dello schieramento.

Morgari, che alle elezioni del 1907 era stato rieletto, votò nel 1909 in favore del governo Sonnino; essendo il voto in contrasto con I'opinione della direzione del Partito.  diede le dimissioni da propagandista.

Nel 1909, quando si cominciava a temere la guerra, presentò alla Camera il seguente OdG: «La Camera da incarico ai governo di farsi iniziatore di una conferenza per l'arbitrato e per il disarmo». Sempre nel 1909 si tornò a parlare di una. visita dello zar in Italia. Il Partito Socialista assunse di nuovo un atteggiamento di aperta ostilità e Morgari riprese la sua protesta attraverso discorsi, articoli e opuscoli. Fu creato un "Segretariato nazionale antizaresco" e quando il 23 ottobre lo zar giunse a Racconigi, Morgari riuscì a mantenere la promessa e a   fischiare  l'ospite: il suo gesto entrò nella leggenda. Le relazioni con gli emigrati socialisti russi di varie tendenze molto numerosi sulla Riviera e a Capri, iniziate almeno dal 1903, si andarono infittendo: è del 18  maggio 1908 una sua interrogazione – su sollecitazione dello scrittore Gorki - su pacchi di giornali russi fermati alla dogana cui Giolitti rispose prontamente. In effetti l'Italia venne usata da Lenin in quel periodo come tappa intermedia per introdurre stampa sovversiva in Russia.

 I deputati socialisti si andavano sempre più orientando verso il ministerialismo. Morgari, allora segretario del gruppo parlamentare, vi si oppose ripetutamente. Il 10 maggio 1910 l'Avanti! pubblicò una sua lettera: "Perchè ognuno assuma le proprie responsabilità": "Io che odio più di ogni altra cosa al mondo I'ipocrisia dovunque l'incontro proruppi quando mi accorsi che la mia tesi veniva elusa perché molesta...Tace anche I' Avanti... Non protestai prima e tutte le volte, e son decine, che non vidi registrato il mio pensiero nei resoconti delle adunanze del gruppo socialista. Ora non sono più disposto a farlo. Ho lavorato per  degli anni per spegnere Ia disgustosa ed esiziale lotta intestina delle tendenze, sopportando le beffe dei sapienti e dei saccenti... Ora scongiuro gli amici dell'Avanti! di non costringere proprio me a riaccenderla”

Alle ele­zioni suppletive del marzo 1910 dopo l'opzione di Nofri per il collegio di Siena, la sezione torinese, contro il parere dei riformisti favorevoli alla presentazione di Rinaldo Rigola, scelse la candidatura di protesta del giornalista triestino Todeschini che fu battuto dal candidato costituzionale. Questa sconfitta non pregiudicò il rafforzamento in seno alla sezione del gruppo intransigente guidato dal professor Temi­stocle Jacobbi che, eletto segretario politico nel novembre 1909, diventò nel 1910 anche direttore del «Grido del Popolo». A Torino la situazione più critica per il partito si verificò alla Camera del lavoro: a luglio 1910 i socialisti furono messi in mino­ranza in seno al consiglio generale. La commissione ese­cutiva, controllata dai socialisti, rassegnò le dimis­sioni dopo aver richiamato alla disciplina di partito gli iscritti. Il consiglio generale, convocato il 7 agosto, decise di nominare transitoriamente una commissione di studio con lo scopo di preparare il futuro congresso camerale ma dei cinque eletti solo due furono socialisti.

La sezione torinese tornò nel 1910 a identificarsi colle po­sizioni di Morgari, facendo confluire i propri voti sulla mozione Modigliani al congresso di Milano dell'ottobre.

L'indirizzo politico della sezione venne premiato sia alle ele­zioni politiche che a quelle amministrative da un aumento co­stante di suffragi.

I dirigenti locali non si curavano di definire criteri rigorosi di discriminazione  appagandosi del generico appoggio dall'ester­no alle iniziative del partito e della Camera del lavoro, o della sporadica collaborazione giornalistica su soggetti disparati. Oddino Morgari sintetizza in una lettera del  25 agosto 1913 a Gustavo Balsamo-Crivelli tale concezione dei rapporti con i fuorusciti della borghesia: “[...] troppi intellettuali — e tu ne sei davvero uno — ci lasciarono da qualche anno in qua: e [...] deve possedere un nocciolo morale di natu­ra profondamente buona e disinteressata l'uomo che al par di te rimane dopo vent'anni nelle nostre file quando per nascita, per ingegno aristo­cratico, per l'ambiente in cui vive e per il quale come letterato scrive, per tanti esempi che ha dinnanzi di uomini che perdettero l'antica fede, per le diffidenze che sono intorno ai così detti professionisti nel campo operaio, per la natura rozza del movimento proletario, per i non rari suoi eccessi, per non avere avuto gl'incarichi a cui il suo valore lo indi­cava — bene potrebbe umanamente essere tratto a distaccarsi da noi"[37]

 

14. Con Salvemini per la questione meridionale

Salvemini aveva presentato al congresso di Milano del 1910, come già a quello precedente di Firenze, la prima piattaforma politica fondata non su schemi dottrinari ma su un’analisi storica della società italiana e delle sue contraddizioni; il suo piano era di contrapporre al blocco reazionario indutriale-agrario l'alleanza degli operai del Nord e dei contadini del Sud.

E' in questa occasione che Morgari venne a contatto con la tematica meridionalista salveminiana, aderendo alla mozione "intermdia", firmata anche dal livornese G.E.Modigliani, ma il suo interesse per i problemi del Sud risaliva agli inizi dell'impegno socialista differenziandolo in ciò dal riformismo padano che, anche nei suoi esponenti più illuminati come Turati, ha chiusure quasi razziste nei confronti del meridione. Nel 1998 partì per Palermo con Dino Rondani, entrambi deputati socialisti piemontesi eletti l'anno precedente, per sostenere la locale sezione nella lotta contro la mafia palermitana che garantiva l'elezione di  Crispi. La sera del 16 aprile i due depu­tati e un gruppo di compagni vennero aggrediti dai crispini che spararono anche alcuni colpi di rivoltella.

Nell'ottobre 1902 iniziò un ciclo di conferenze di propaganda nel Sud; l'anno successivo condusse un'inchiesta su Gaetano Alessandro, vescovo di Cefalù, noto nella zona quale persona di dubbia moralità, usuraio e truffatore, pubblicando tra la fine del 1903 e il 1904 sull'Avanti! una serie di articoli che furono raccolti nell'opuscolo Un lupo in mitria  già ricordato. Nell'aprile 1904 si recò a Torre Annunziata in occasione dello sciopero generale locale

Al congresso di Roma del 1906 vinto dagli integralisti  fu deciso di istituire nell'Italia meridionale e nelle isole «segretari regionali ai quali sarà demandato il compito della organizzazione politica ed economica": era investito così il punto importante della questione meridionale, e cioè l'esigenza di consolidare la struttura politico-organizzativa del movimento operaio e contadino del Sud, nel quale si individuava il protagonista principale della lotta per la sua emancipazione, e nello stesso tempo un fattore di riequilibrio dell'intera politica nazionale del partito

Nel 1909 Morgari si battè, con toni salveminiani, contro i mafiosi e per il suffragio universale, che voleva ottenere con la lotta popolare, contro i brogli e per l'elevazione delle plebi. l'agitazione aveva un particolare significato per l'Italia del Sud; la legge elettorale dava infatti diritto di voto a tutti i maschi adulti che sapes­sero leggere e scrivere, e nel Mezzogiorno la percentuale di analfabeti era ancora molto alta: praticamente tutta la massa dei contadini e dei braccianti era esclusa dalla vita politica; la compravendita di voti e la violenza toglievano poi ogni significato ai pochi voti del Sud proletario. Sempre nel 1909 si occupò dell'elezione di Vito de Bellis a Gioia del Colle e condusse con De Felice, Bissolati e Ciccotti una indagine in merito[38]. Avendo appurato che i metodi elettorali del de Bellis si basavano essenzialmente sulle mazzette, quando l'elezione del deputato meridionale venne convalidata, Morgari proruppe alla Ca­mera in un'aperta indignata denuncia dei brogli, delle camorre, della violenza nelle elezioni.

Nel luglio 1910, durante le elezioni politiche ad Andria (Bari), i seguaci del candidato  governativo  impedirono la distribuzione dei certificati elettorali. Il 31, durante uno scontro fra proletari, seguaci del candidato  governativo e forze dell'ordine, due contadini furono uccisi e 10 feriti. Venne proclamato lo sciopero generale. Morgari, accorso sul posto, fece un'inchiesta e inviò al Presidente del Consiglio un telegramma[39].  In seguito, da numerosi comuni dell'Italia meridionale, pervennero a Morgari richieste di occuparsi delle loro amministrazioni. Nel 1910 la Direzione del Partito stanziò 8000 lire per la pro­paganda, che «nel Mezzogiorno sarà essenzialmente curata da Oddino Morgari».

 

15. Il viaggio in Oriente e il congresso di Ancona (1911-14)

Il 23 novembre 1910 Morgari comunicò con una circolare le sue dimissioni da segretario del gruppo parlamentare[40].  In una lettera a Turati, ribadendo le sue dimissioni. Morgari scrisse: Sono un po' sindacalista [alludendo alla corrente di Arturo Labriola, n.d.a] io pure, valuto più l'azione diretta del socialismo nel paese che quella parlamentare. Visto che l'azione parlamentare narcotizza e addomestica il maggior numero dei deputati penso che giovi rinvigorire l'azione nel paese con una propaganda orale e scritta volta a rimettere in onore il carattere avvenirista dei movintenti che la destra si adopera a cancellare senza strepiti».

Nell'agosto 1911, disgustato «dallo spettacolo della compagine parlamentare socialista», accettò l'invito di Alfredo Bertesi, deputato socialista di Carpi (nel 1912 seguirà Bissolati e nel 1915 aderirà al fronte patriottico) e fondatore di una cooperativa per la lavorazione del truciolo, di recarsi in Estremo Oriente per studiare un particolare sistema locale di lavorazione del truciolo, che si voleva introdurre in Italia. Rimase via due anni facendo praticamente il giro del mondo senza quasi far giungere sue notizie e solo nella primavera del 1912 l’Avanti! pubblicava una sua lettera da Manila. Nel 1913, a campagna elettorale già iniziata, era ancora all'estero e il 29 agosto il giornale cattolico torinese “Il Momento” ne approfittò per accusarlo di trascurare il lavoro parlamentare e di viaggiare per interesse, smentito da Bertesi che sul “Grido del Popolo” disse che viaggiava senza diaria ma col semplice rimborso delle spese vive.

Morgari, ancora in viaggio, rendendosi conto delle critiche che gli potevano essere mosse, scrisse a Torino chiedendo di non essere più candidato: «Non è che io desideri ritirarmi dalla vita pubblica. L'incarico del deputato, ora che il Gruppo parlamentare si è fatto omogeneo e il partito ha dato in sostanza ragione alla mia campagna integralista, tornerebbe a piacermi. Ma si tratta di ben altro, si tratta dell'interesse del partito danneggiato dalla mia lunga assenza... dalla parvenza che io avrei di rientrare in Italia poco prima delle elezioni unicamente per raccattare un'indennità”

 Ma la sezione torinese rispose che aveva già cominciato la campagna elettorale sul suo nome e attendeva con impazienza il suo arrivo, Morgari giunse a Torino il 15 agosto  accolto trionfalmente. Nel discorso di saluto disse: "C'è stata nel passato una deviazione verso destra, perciò è bene che il partito si volga verso sinistra. Vogliamo combattere a fianco di un proletariato il quale comprende che il fine del socialismo è al di là delle riforme e delle stesse battaglie, anche grandiose, delle organizzaioni operaie". Nell'ottobre venne rieletto nel tradizionale secondo collegio anche per la XXIV legislatura.

I colleghi vollero riaffidargli l’incarico di segretario del Gruppo, e in tale veste al Congresso di Ancona del 1914 nella seduta del 28 aprile relazionò sull'attività del GPS. “La relazione scritta era divisa in due parti, la prima si riferiva alla forza interna del Gruppo (consistenza numerica, rapporti can gli altri organismi del Partito, che furono definiti cordiali “vuoi nelle questioni di massima, vuoi nei quotidiani rapporti fra Segretariati”, studi e deliberazioni del Gruppo, cariche parlamentari) e la seconda alla sua operosità (nella quale veniva minuziosamente esposta la partecipazione ed il contributo del Gruppo nel sua complesso e nei suoi componenti all'attività parlamentare).

Sulla relazione presero la parola ”(…) tra gli altri: ”Niccolini che dichiarò degna di elogi l'attività del Gruppo parlamentare, ma raccomandò nello stesso tempo ai deputati a non limitarsi ad una cura assidua degli interessi locali, ma ad assumere la cura collettiva dei collegi affinché la divisione del lavoro potesse avvenire secondo. le rispettive competenze, Franco sulla necessità di frequenti viaggi dei deputati socialisti settentrionali nelle regioni del Mezzogiorno nelle quali i pubblici poteri rispettavano soltanto coloro che erano protetti dall’immunità parlamentare (…) Ercole che accusò il Gruppo parlamentare di avere, in occasione di una recente agitazione di ferrovieri, favorito la Federazione gialla a scapito. del Sindacato, ecc.” Rispose ai vari interventi trattando in particolare della vertenza dei ferrovieri a proposito della quale espresse l'augurio. che i lavoratori della categoria in primo luogo si unifichino. e poi in secondo luogo unifichino se stessi col resto del proletariato». Furono votati all'unanimità quattro OdG di approvazione in vario grado, dall’incondizionata a quella con riserva, dell’operato del GPS[41]

Riconfermato segretario del gruppo parlamentare, era membro di diritto  della direzione -unico a non  far parte della maggioranza intransigente - con Lazzari segeretario e Mussolini direttore dell'Avanti!

Con quest’ultimo iniziarono a incrinarsi i rapporti all’interno stesso della direzione: in occasione della Settimana Rossa il direttore dell'Avanti! aveva assunto posizioni personali non concordate col segretario e con la direzione che avevano dato luogo a critiche, ma nella sessione della Direzione del 28-30 giugno, con le sole astensioni di Morgari e Balabanoff, gli venne riconfermata la fiducia, in considerazione anche del successo dell'Avanti e dell' aumentato peso politico.

 

16. Lo scoppio della guerra

Ai congressi dell’Internazionale il dibattito sulle misure da prendere per impedire la guerra diveniva sempre più frequente in corrispondenza all’aggravarsi della situazione internazionale e vedeva impegnati i grandi leaders europei: Huysmans, Jaurès, Vaillant, Keir Hardie. Il PSI per chiusura provinciale partecipò marginalmente al dibattito sull’imperialismo (se si esclude qualche intervento di Lerda[42]   e di pochi altri) e i leaders preferivano non recarsi personalmente ai congressi ma inviavano generalmente Morgari, che finì per assumere la funzione di “ministro degli esteri”

Al congresso di Copenaghen del 1910 Morgari aveva presentato una mozione che invitava i partiti socialisti aventi rappresentanza parlamentare a proporre alle rispettive Camere una riduzione degli armamenti: la richiesta avrebbe dovuto essere appoggiata da dimostrazioni popolari. Tale mozione era stata respinta e nè al congresso di Basilea del 1912, né a quello straordinario del 1914 vennero deliberate misure concrete contro la guerra. Alla riunione tenuta il 23-24 ottobre 1911 a Zurigo, intervenne dicendo che “l’aggressione italiana alla Turchia sarebbe stata fronteggiata dalla classe operaia con lo sciopero generale”[43]

Nel 1914 il congresso dell'Internazionale era previsto per l'ulti­ma settimana di agosto; ma quando il 23 luglio l'Austria rivolse l'ultimatum alla Serbia, il Bureau Socialiste International (BSI) convocò  la riunione a Bruxelles il 29 e 30 luglio quando già le truppe austro-ungariche avevano passato il confine serbo.

Al meeting che si tenne la sera del 29 luglio al Cirque Royal parlò anche Morgari, facendo appello ai valori comuni, alla classe operaia, alla razza umana tutta intera. Nel clima di forte tensione del momento le parole furono patetiche, commoventi, ma la riunione si concluse con un nulla di fatto. Poi Jaurès venne ucciso, le dichiarazioni di guerra si susseguirono.

I deputati socialisti francesi votarono per i crediti di guerra e  altrettanto, quando già era in atto l'invasione del Belgio, fece la socialdemocrazia tedesca.

Il 27 luglio si era tenuta a Milano presso l'Avanti! una riunione del gruppo parlamentare con l'intervento di 28 deputati (poco più della metà) presieduta da Morgari con la partecipazione di Mussolini e Ratti per la Direzione, che si chiuse con una mozione che oltre a reclamare la “immediata convocazione della Camera al fine di chiedere al governo dichiarazioni impegnative...di neutralità assoluta” e a reclamare la rapida riunione dell'IOS, invitava i lavoratori a “manifestare la loro ostilità alla guerra e a tenersi pronti per quelle più energiche misure che il partito intendesse adottare in vista degli avvenimenti”[44]

La Direzione del Partito allargata alla Confederazione del lavoro, Federterra, Sindacati Gente di mare e Ferrovieri si riunì nuovamente a Milano il 3 agosto per sentire Morgari e Balabanoff che riferirono sulla riunione dell’Internazionale (BSI) a Bruxelles cui avevano partecipato. La sera del 4 agosto ad un comizio a Milano cui erano accorse 40.000 persone, prese la parola con Lazzari, Della Seta, e De Ambris (per l'USI)

All'assemblea del 9 e del 19 settembre della sezione socialista milanese Mussolini e Morgari raccolsero la grande maggioranza per la tesi della neutralità assoluta[45]

Altra Direzione del PSI a Bologna il 19-22 ottobre, dove si aprì un contenzioso con Mussolini che proponeva la formula della “neutralità attiva e operante” invece della neutralità  assoluta che era la posizione assunta dal Partito. Dopo una giornata di discussioni per evitare la crisi, Lazzari, Bacci, Della Seta e Morgari vennero incaricati di preparare un manifesto che conciliasse le posizioni, ma Mussolini rifiutò la mediazione; sulla questione Morgari rilasciò un’intervista[46], cui rispose Mussolini con una lettera pubblicata due giorni dopo. 

 

17. L'incontro di Lugano (1914)

Il Partito Socialista Italiano e la socialdemocrazia svizzera, pur  tra incertezze, rimasero  le   sole organizzazioni socialiste a  battersi per la rinascita dell'Internazionale e  a mantenere fino in fondo una decisa opposizione alla guerra.

Questo era il fine per cui il 27 settembre 1914 una delegazione del PSI incontrò a Lugano alcuni socialisti svizzeri. Erano presenti per l'Italia: Armuzzi, Balabanoff, De Falco, Lazzari, Modigliani, Morgari, Ratti, Musatti, Serrati, Turati.

I convenuti esaminarono la situazione creata dalla guerra e valutarono ciò che si poteva fare per abbreviarne il corso. In quella sede venne decisa la convocazione di un congresso da tenersi in Svizzera entro breve tempo: su questo punto tutti furono d'ac­cordo. I problemi sorsero invece sull'ampiezza da assegnare alla conferenza

I congressisti desideravano infatti farvi partecipare anche i membri dei paesi belligeranti: Grimm propose un incontro dei vari partiti socialisti allo scopo di riconciliare la socialdemocrazia tedesca con il Partito Socialista Francese. La Balabanoff, Turati e  Modigliani approvarono, Morgari ebbe dei dubbi: riteneva i due punti di vista troppo divergenti perché potessero giungere ad un accordo

Venne anche presa in esame la situazione del BSI ormai paralizzato dalla guerra: si propose di trasportarne la sede in Svizzera o di affidare al comi­tato direttivo del partito socialista svizzero i compiti del Bureau stesso. Ci si rese però conto che la conferenza di Lugano era priva di poteri, soprat­tutto in merito a questioni di così vasta portata. Si temette inoltre che il BSI potesse credersi illegalmente spogliato delle sue funzioni. Grimm sug­gerì la costituzione di una «Centrale d'Information Mutuelle», una specie di agenzia  destinata a durare quanto la guerra, con il compito di provvedere agli affari correnti, e di preparare il terreno per una futura riconciliazione. Morgari propose di costituire un bureau provvisorio dell'Internazionale la cui costituzione, sempre per non urtare il BSI, avrebbe dovuto essere adottata in una mozione separata.

Alla fine la proposta di Modigliani, approvata contro quella di Morgari che proponeva di rompere definitivamente con l'ormai inefficiente Bureau residente in Belgio e di istituire un nuovo Ufficio internazionale provvisorio con sede in Svizzera, incaricava il Partito socialdemocratico svizzero e il Partito Socialista Italiano di riprendere i contatti con il B.S.I. onde ristabilire le funzioni

I partecipanti alla riunione si separarono con l'impegno di coordinare i loro sforzi e di non rivelare nulla di ciò che vi era stato dibat­tuto. Poiché la riunione, che doveva rimanere segreta, era divenuta di dominio pubblico, al termine della giornata venne elaborato un comunicato in forma di appello, che fu poi largamente diffuso dalla stampa socialista europea.

Le ini­ziative auspicate dalla mozione Modigliani si svilupparono pochi mesi dopo. Per l'esecuzione del mandato di Lugano, infatti, la Direzione del PSI e il direttivo del Gruppo parlamentare socialista, nella riunione tenuta a Firenze dal 16 al 18 gennaio del 1915, incaricavano Oddino Morgari, nonostante questi nel convegno di Lugano si fosse decisamente espresso per la soppressione del vecchio B.S.I., di prendere contatti con i partiti socialisti dei paesi europei belligeranti e neutrali

Nel gennaio 1915 si tenne a Copenaghen una conferenza dei partiti socialisti scandinavi e olandesi. Egli annunciò la sua partecipazione appro­fittando di una tournée europea che doveva compiere come collaboratore dell'«Avanti!». Parti quindi per la Danimarca ma non vi partecipò, affermando di non essere giunto in tempo, ma successivamente, il 18 febbraio, dirà al Comitato Direttivo del Partito socialista svizzero di non aver preso parte alla Conferenza di Copenaghen sia perché aveva inteso che la Svizzera non avrebbe inviato delegati, sia perché Grimm lo aveva informato che vi potevano essere sospetti di influenze tedesche sulla conferenza.

L'incontro di Copenaghen ebbe scarso successo. I partecipanti non furono numerosi e, forse per timore di creare attriti, trattarono solo argomenti secondari e si limitarono a chiedere al BSI la convocazione di una conferenza non appena possibile e comunque prima dell'inizio delle trattative di pace.

 

18. La «Missione Morgari». Parigi e Berna

    Il suo compito era di raccogliere informazioni, effettuare sondaggi presso i vari partiti per rendersi conto delle reali loro disposizioni verso la promozione della pace e il risveglio dell'Internazionale. Il mandato era abbastanza elastico e anche l'itinerario non era ben precisato. Lo scopo principale, era quello di gettare le basi su cui realizzare il programma di Lugano, e cioè: trasferimento del Bureau in un paese neutro (di preferenza la Svizzera) e convocazione urgente di una conferenza dei partiti socialisti dei paesi non belligeranti.Prima di partire, in febbraio, Morgari si recò in Svizzera ad esporre gli obiettivi del suo viaggio e chiese di essere accompagnato nella sua missione da un delegato del locale Partito socialista.   Gli svizzeri decisero di affidargli invece un messaggio scritto, copia del quale venne inviata al BSI e ai partiti affiliati prima ancora della partenza di Morgari. Ma per una serie di circostanze egli non potè partire che ad aprile e in quei due mesi varie situazioni erano evolute o cambiate.

    In una serie di articoli dal titolo Che cosa fare?, apparsi sull'Avanti! dal 20 al 22 aprile 1915, Morgari espresse il suo punto di vista sulla ne­cessità improrogabile della convocazione di una conferenza internazionale socialista. Dopo aver giustificato i socialisti che avevano aderito alla guerra in quanto «l'opinione che il proletariato debba associarsi alla difesa della patria circola da tempo nelle file socialiste, è stata apertamente affermata in molteplici occasioni, nella stampa e nei parlamenti, e non fu mai sconfes­sata " esplicitamente " dai congressi», si rivolgeva all'Ese­cutivo dell'Internazionale: «A questo BSI noi rivolgiamo un caldo appello ad uscire dal suo presente stato di aspetta­zione ed a riunire senz'altro l'Internazionale».

   A Parigi chiese la convocazione di una conferenza internazionale al  presidente del B.S.I.   Vandervelde, che non solo rifiutò di convocarla, ma dichiarò che avrebbe impedito agli stessi svizzeri ed italiani di farlo. Dal canto suo Morgari lo accusò di tenere in ostaggio l'Internazionale, e il colloquio ebbe toni drammatici. L'Avanti! pubblicò la relazione di Morgari sul viaggio a Parigi e Vandervelde reagì cercando di modificare la propria posizione: ma Morgari replicò che se le parole potevano non essere esatte, la sostanza era quella da lui indicata: francesi e belgi non volevano venire in contatto con i tedeschi ed erano per la, guerra a  fondo contro il militarismo germanico

Naturalmente i gruppi socialisti dissidenti che vedevano nell'iniziativa italo-svizzera una rinascita dello spirito internaziona­listico accolsero Morgari a braccia aperte.A Parigi strinse rapporti con Martov e Trotskij , il quale con la sua penna satirica ne traccia questo pungente ritratto: “Morgari ha una natura d'artista: è un politico e uno psicologo. I tratti del suo viso giovanile recano il segno di un carattere bonario ed indulgente.(...) rimprovera al marxismo la mancanza di realismo, riconosce nella Storia la "molteplicità" dei fattori e tenta di arrivare ad una concezione "integrale", sia nella pratica che nella teoria. L'integralismo significa, in realtà, uno sforzo per giungere ad un eclettismo "armonioso".(...) Sulla terrazza di un caffè di uno dei grandi boulevards, avemmo una conversazione con Morgari e alcuni deputati socialisti che per ragioni non molto chiare si consideravano di sinistra. Sinché il colloquio non andò al di là delle proclamazioni pacifiste e della ripetizione di luoghi comuni sulla necessità di ristabilire le relazioni internazionali, le cose andarono abbastanza bene. Ma quando Morgari, con tono drammatico da cospiratore, cominciò a parlare della necessità di procurarci falsi passaporti per andare in Svizzera (era evidente che l'aspetto "carbonaro" della faccenda lo attraeva) i signori deputati fecero il muso, e uno di loro si affrettò a chiamare il cameriere e a pagare le consumazioni. Sulla terrazza aleggiava il fantasma di Molière, forse anche quello di Rabelais la cosa non andò oltre.“[47]

Tuttavia, se il programma di Lugano era inaccettabile per il socialismo ufficiale, per i dissidenti risultava insuffi­ciente. Essi infatti obiettavano che se si trattava di far cessare la guerra una conferenza di neutri sarebbe stata inutile. A loro avviso si dovevano invece adunare i dissidenti, gli elementi di opposizione che nei paesi belligeranti si erano dichiarati contro la guerra e contro la politica di union sacrée. Al termine dei colloqui parigini Morgari aderì a quest'idea e, tornato in Italia, la espose al Congresso di Bologna del 15 e 16 maggio 1915. Il Congresso adottò la sua proposta; i socialisti italiani decisero così, ignorando gli organi ufficiali dei partiti, di convocare singoli o gruppi socialisti e sindacali di qualsiasi natura, scelti secondo le convinzioni e appartenenti sia a paesi neutri, sia a paesi belligeranti.

 Pochi giorni dopo si recò a Berna per elaborare con Grimm la realizzazione del progetto all’insaputa del Partito socialista sviz­zero. Infatti, mentre il PSI aveva votato a Bologna la decisione, assai più avanzata rispetto alle posizioni di Lugano, di convocare le minoranze, il Partito svizzero rimase legato all'idea di convocare soltanto i neutri.

Per questo il PSI trovò come interlocutore attivo non già il comitato centrale del Partito socialista svizzero, ma Grimm, che aveva assunto una posizione analoga a quella italiana. E solo più tardi, in novembre, al Congresso di Aarau il Partito socialista svizzero approverà l'operato di Grimm.

L'11 luglio Morgari e la Balabanoff incontrarono a Berna in una riunione preliminare: Zinoviev (per i boscevichi), Aksel'rod (per i menscevichi), Warski e Waleki (polacchi) e Grimm. Dei partecipanti, però, solo Morgari e la Balabanoff erano venuti dall'estero con un mandato ufficiale; tutti gli altri erano già in Svizzera come rifugiati.  Fu a questa conferenza che si fissò lo scopo e il carattere del convegno da tenersi in settembre. Esso «non avrebbe avuto per nulla come scopo la creazione di una nuova Internazionale, ma il suo scopo sareb­be stato piuttosto di richiamare il proletariato a un'azione comune per la pace, di creare un centro d'azione e di cercare di ricondurre la classe operaia alla sua missione storica».

 

19. Nel Paese in guerra (1915-16)

In occasione delle "radiose  giornate" del maggio 1915 a Torino la pressione della base operaia spinse la sezione cittadina, assai dubbiosa  pur essendo diretta dagli intransigenti, a proclamare lo sciopero per il 15. Nell'occasione Morgari non era presente perchè a Bologna con Buozzi e Pastore. La tensione cresceva da settimane e la giornata si concluse con un pesante bilancio: 14 feriti e un morto tra i dimostranti, occupazione della Casa del popolo da parte dell'esercito, arresto di esponenti sindacali e politici, che caratterizzano la situazione più grave verificatasi in Italia alla vigilia dell'entrata in guerra.Rientrato a Torino, con Casalini e Quaglino girò “4 o 5 ore per tutta la città per persuadere gli scioperanti a riprendere il lavoro". Mentre i componenti della Commissione Esecutiva della Sezione torinese sono arrestati e rimangono in carcere più di tre mesi, funziona una C.E. provvisoria, di cui fa parte anche Morgari, che a luglio viene sostuita con elezioni che vedono contrapposte due liste; in quella intransigente, con Barberis, Boero, ecc., si colloca Morgari.

Pacifismo e internazionalismo erano aspirazioni sincere che espresse in articoli, manifestazioni, comizi e nei due discorsi che tenne alla Camera, ma non poteva dimenticare che molti in Italia, tra i quali gli irredentisti del Trentino e della Venezia Giulia, avevano vo­luto la guerra per motivi patriottici e ideali. Né poteva dimenticare la «Lettera aperta» che Cesare Battisti aveva inviato un anno prima[48] 

Una crisi lo colpirà alcuni mesi più tardi, quando il sentimento mazziniano e risorgimentale prenderà il sopravvento sulle convinzioni antimilitariste. E’ del mese di dicembre 1915, infatti, la polemica sorta intorno alla frase «ti invidio» scritta da Morgari al suo amico Plinio Gherardini, arruolatesi volontario; si parlò allora di un suo prossimo arruolamento tra i garibaldini di Francia. La notizia, smentita dall’Avanti e dal Grido, fu poi confermata dallo stesso interessato in una lettera a Lazzari del 25 dicembre, mettendo­lo in connessione con il particolare momento: «un periodo nel quale ancora mi pareva possibile conciliare due cose opposte: l'an­timilitarismo e il fucile, quando cioè procuravo di convincermi che - do­po fatto ogni sforzo per impedire lo scoppio della guerra, dal punto di vista degli interessi generali e dei nostri principi - un socialista potesse, senza contraddizione seguire il proprio temperamento appena scoppiata la guerra, in base al motto: "cosa fatta capo ha" ».

 Ulteriore conferma troviamo nel discorso pronunciato alla Camera da Morgari il 1 luglio 1916, che  s'apriva con la confessione della propria crisi: «persino chi parla ebbe negli inizi un momento di esitanza e pregò un collega, che è su questi banchi, di tenergli in serbo una camicia rossa»[49] La guerra non era considerata unila­teralmente come un «portato degli interessi economici delle classi dirigen­ti», ma anche come esigenza di «cause ideali, sdegni generosi, fedi sin­cere». Fu anche profetico: "se abbattiamo la Germania essa coverà la sua rivicita, la coverà 20 anni ma la farà" e insiste sullo scarso interesse a "annettere rupi trentine e caverne del Carso",[50].

Serrati, in una breve introduzione al discorso sull'Avanti,  pur dissentendo «sia per ciò che si riferisce alle origini e alle cause della guerra, sia per quanto riguarda la condotta della guerra e sia anche e soprattutto quanto ha tratto ai rimedi democratici contro la guerra», non mancherà di elogiare il discorso «coraggiosissimo».

Il discorso gli procurò i feroci attacchi degli avversari, in particolare dell'«Idea Nazionale» e gli elogi dei giovani socialisti tra cui quello di  Gramsci.

 

20. Da Zimmerwald a Kienthal

Il 5 settembre la conferenza venne finalmente convocata, nonostante la tenace opposizione del presidente dell'Internazionale e l'ostilità dei socialpatrioti. La località prescelta è Zimmerwald, un paesino della Svizzera. L'organo del PSI questa volta scriverà: «Gli sforzi entusia­stici del nostro Morgari — che gli scettici deridevano e i cattivi calunnia­vano — sono stati coronati da pieno successo»

Le convocazioni per Zimmerwald vennero fatte segretamente e la Con­ferenza si svolse all'insaputa di tutti, governo svizzero compreso.

A Zimmerwald convennero 38 delegati di 11 paesi: le delegazioni ufficiali dei partiti socialisti di Polonia, Italia, Bulgaria, Romania e Sviz­zera e i rappresentanti dei gruppi di opposizione di Germania, Francia, Olanda, Svezia e Norvegia. Il partito socialdemocratico serbo, che pure aveva dichiarato la propria neutralità, non potè inviare il proprio rappresentante per la mancata concessione del passaporto al delegato. Dei russi in esilio, parteciparono Lenin, Zinoviev, Axelrod e Trotzki. Per l'Italia vi partecipò la delegazione del PSI e del GPS, composta da Costantino Lazzari, Angelica Balabanof, Modigliani, Serrati e  Morgari.

Trotsky nella sua autobiografia descrive così la partenza dei congressisti da Berna per Zimmerwald:« Noi ci pigiammo in quattro carrozze e salimmo verso la montagna. La gente guardava con curiosità quella strana carovana. I delegati scher­zavano sul fatto che mezzo secolo dopo la costituzione della prima Internazionale tutti gli internazionalisti trovavano posto in quattro carrozze. Ma nello scherzo non c'era alcuno scetticismo. Accade molte volte che il filo della storia si strappi. Allora bisogna annodarlo. E fu quello che si fece a Zimmerwald».

Fin dalle prime battute i delegati si divisero in « destra » e « sinistra ». La prima, composta dalla maggioranza dei convenuti, sebbene intransigente nella condanna della guerra, confessava ancora fiducia nella Internazio­nale. La sinistra, invece, riteneva che l'unione sacra e la politica dilatoria del B.S.I. l’avessero definitivamente squalificata, e poneva il problema della trasforma­zione della guerra militare in guerra civile sviluppando le deliberazioni del congresso di Basilea. Il «Manifesto», che non intendeva ripudiare la 2. Internazionale ma cercava di mutarne la direzione e si pronunciava contro la guerra addos­sandone la responsabilità alla cupidigia imperialistica di tutti i paesi belli­geranti, in Italia fu stampato alla macchia e l'«Avanti!» lo pubblicò a dispetto della censura il 14 ottobre  grazie a un'abile manovra del direttore Serrati.

A Zimmerwald, nella firma del manifesto conclusivo, Morgari rivelò non poche perples­sità, in quanto non si sentiva di avallare le affermazioni unilaterali sulle cause della guerra[51] persuaso che la sua impostazione oscurasse le ragioni di coloro che avevano combattuto la guerra non per interessi economici ma unicamente per motivi morali

Morgari sintetizzò la portata de convegno in un'intervista rilasciata al giornale La Sera, in cui affermava che «l'atto pratico di Zimmerwald è quello di aver compiuto il nostro dovere di socialisti, che era di riunirci internazionalmente ed esprimere una parola concertata nei riguardi della guerra. Ma nello stesso tempo pur volendo sfuggire alle responsabilità di questa guerra, noi non diciamo ai soldati o di fuggire o di non sparare”

La Conferenza costituì anche una «Commissione socialista internazio­nale» con il compito «facilitare le relazioni fra i partiti socialisti» e di «infor­mare le organizzazioni aderenti sugli avvenimenti e lò svolgimento della lotta per la pace». A farne parte furono chiamati Grimm, Naine, Morgari e la Balabanoff (in veste di traduttrice). La commissione lavorò attivamente nonostante l'entrata in guerra dell'Italia, ma i risultati furono scarsi. Ciò non impedì ai giornali borghesi di sviluppare una vasta campagna di stampa contro i socialisti italiani accusati di svolgere, all'interno della Commissione di Berna, attività antimilitare e antipatriottica.

Nel febbraio 1916, in una riunione internazionale tenutasi a Berna e promossa dal PSI, venne decisa una nuova conferenza che si tenne poi a Kienthal dal 24 al 30 aprile. I punti più importanti all'ordine del giorno della conferenza erano: la battaglia per la fine della guerra, l'attitudine del proletariato verso i problemi della pace, la questione della convocazione del BSI a l'Aja.

Per l'Italia, con Lazzari, Prampolini, Modigliani, Musatti, Dugoni e Serrati vi partecipò anche Morgari. In essa vennero riaffermati i principi contenuti nel manifesto di Zimmer­wald, pur apparendo i termini del nuovo manifesto più decisi. Nel testo programmatico che ad esso si accompa­gna, venne stabilita, in 14 punti, la condotta che il proletariato doveva adottare di fronte alla guerra e, fatto nuovo, la lotta per la pace fu iden­tificata con la lotta rivoluzionaria per il socialismo. I testi di Kienthal furono votati all'unanimità dai partecipanti alla conferenza. Anche se i gruppi presenti a Kienthal erano sostanzialmente quelli di Zimmerwald, i delegati furono molto più numerosi e ciò nonostante le autorità di alcuni paesi belligeranti avessero ostacolato la partecipazione non rilasciando i passaporti. A Kienthal si registrò anche un netto sposta­mento a sinistra. Lenin non si trovò più isolato. Dopo due anni di guerra, i delegati di Kienthal non parlarono più di «pace senza annessioni e senza indennità” ma di «conquista dei governi e della proprietà capitalistica per parte dei popoli” e aggiunsero: «la pace duratura sarà il frutto del socia­lismo trionfante»

Il manifesto di Kienthal venne giudicato non sufficientemente rivoluzionario dalla sinistra, mentre la destra ritenne troppo assolute e pessimistiche alcune affermazioni. In questa «destra » si inquadra anche Morgari che formulò un emendamento votato anche da Modigliani Prampolini Dugoni Musatti.  Votarono le tesi senza riserve Serrati e Balabanoff.

Benché la condanna della guerra risultasse molto più dura e circostan­ziata rispetto a Zimmerwald, il rapporto ufficiale concluse con un generico invito all'azione delle masse.

 

21. La Missione Ford. Stoccolma

È nella mancanza di linearità con le tesi di Zimmerwald e di Kienthal che va inquadrata la sua singolare partecipazione alla Missione Ford. L'industriale americano Henry Ford[52]  aveva intrapreso una campagna per il ritorno della pace in Europa fondando una istituzione che, abbondantemente finanziata e composta di elementi danesi e svedesi , aveva la sua sede a  Stoccolma. Ford intendeva mostrare la superiorità morale del capitalismo americano che non era costretto favorire le guerre per realizzare profitti ma poteva legittimarsi moralmente e politicamente attraverso il coinvolgimento nei consumi delle masse popo­lari. Non su cannoni, ma su automobili e su oggetti di con­sumo era in grado di puntare l'industria americana.

   Morgari fu colpito da questo capitalismo che sapeva coniugare le esigenze del profitto con quelle della socialità e della pace, e questa posizione di apertura ad un certo tipo di imprenditoria ebbe sviluppi nell'immediato dopoguerra con la collaborazione con Giovanni Agnelli e l'industriale tessile Franco Marinotti nel tentativo di stabilire rapporti economici con la Russia sovietica.

  Ford aveva inviato il pro­prio segretario a Berna per scegliere una commissione svizzera per il parlamentino pacifista che avrebbe dovuto sedere in permanenza a Stoc­colma. Fu a Berna che agli inizi del 1916 Morgari conobbe, tramite il vecchio internazionalista Enrico Bignami, il segretario di Ford. Invitato da quest'ultimo a far parte della commissione permanente della Missione, si consigliò con Grimm, Balabanoff, Serrati, Lazzari e Vella. Vi si oppone la sola Balabanoff, gli altri    considerarono  possibile  l'opera  di   Morgari    purché svolta  a  titolo personale, senza alcun mandato

   Nel resoconto del viaggio di Morgari, l'Avanti! insiste nel presentare la sua  partecipazione alla Missione come un fatto di ini­ziativa  personale,  escludendo  ogni  copertura  diretta  del  partito,  che ufficialmente non poteva essere data, basandosi la Missione Ford esclu­sivamente sul contributo finanziario di un capitalista. L'autonomia della iniziativa, in verità, è riconosciuta dallo stesso Morgari in una lettera a Serrati del 15 giugno  1917 :   «Più volte mi scrivesti per invitarmi ad inviare articoli, notizie. Ma sai come la penso. Invadere l'Avanti! con quelle tesi — posto pure che tu lo concedessi — sarebbe un abusare dell'ospitalità politica, e un tentar di scuotere la discreta e sufficiente concordia odierna del partito. Scrivere senza avanzare tesi non vorrei. Notizie non ne ho; ne ho meno di te, che leggi o fai leg­gere giornali in più lingue »[53]

In una nota editoriale da attribuire a Serrati pre­messa al suo articolo Le due Vittorie apparso su Scintilla e poi sull’ Avanti!,, si legge: «Bella utopia, quella di ricercare nel mondo tutti gli uomini buoni e generosi e stringerli in un fascio di forze operanti contro la barbarie della guerra. Tanto bella questa utopia che quando noi abbiamo visto Morgari tutto preso da questo nobile sogno, non ci siamo sentiti di dissuaderlo e, pur dissentendo, lo abbiamo quasi incoraggiato a correre pellegrino di pace per il mondo alla ricerca degli uomini buoni......Mentre il pacifismo largamente umanitario di Morgari conduce logicamente alla cessazione o, quanto meno, alla attenuazione della lotta di classe, il nostro determinismo economico ci chiama invece ad accentuare l'azione indipendente ed autonoma del proletariato nei confronti di tutti i do­minanti »[54].

Morgari quindi accettò l'offerta del segretario di Ford tacitamente confortato dal consenso dei compagni e nel maggio del 1916 intraprese il viaggio per Stoccolma.

Della Missione Ford faceva parte anche Hermann Greulich, che il 17 maggio 1915 aveva presentato alla direzione del PSI il sig. Nathan, latore da parte di pacifisti americani di offerte finanziarie categoricamente rifiutate dallo stesso Morgari, a nome della direzione del partito, in un colloquio avuto a Bologna con il pa­cifista americano. Fu allora che la stampa antisocialista e interventista vide nelle offerte di Nathan al PSI il denaro tedesco e identificò in Greulich un agente del governo imperiale. Memore di tale polemica, Morgari invitò Greulich a dimettersi da membro della commissione permanente della Missione Ford, per fugare ogni possibile equivoco sulle reali inten­zioni della Missione.

   Il parlamentino costituito da Ford a Stoccolma rivestiva particolare importanza per Morgari, dopo i numerosi tentativi falliti; per questo, incurante del vespaio di critiche suscitato sulla stampa italiana, egli divenne uno dei maggiori attori della iniziativa pacifista. A suo giudizio il problema essenziale per il mo­mento, al di fuori di ogni problematica rivoluzionaria, era quello esclusivo di salvare la pace, anche se tutto ciò comportava collaborazione con un capitalista. Ai delegati della Missione Ford Morgari presentò un Plan d'une grande campagne mondiale pour la paix prochaine et definitive, preventivamente discusso dal gruppo scandinavo della Missione il 24 settembre 1916 e presentato nel novembre a tutti i componenti. Stilato con la meticolosità che gli era propria, si articolava in 78 punti ed era basato sul contributo finanziario di cinquanta milioni di dollari da parte di Ford. Prevedeva una cam­pagna mondiale per la pace, della durata di 5 anni, sostenuta da quoti­diani, cartelloni, cinema, propagandisti distribuiti in tutti i paesi. Si articolava in tre fasi di sviluppo: 1) «Avant l'armistice», per avvicinarlo e influenzare i negoziati preparatori; 2) «Pendant l'armistice», per in­fluire sulle condizioni del trattato di pace; 3) «Après la paix», per vincere quelle forze che si opponevano a una completa instaurazione dei diritti delle genti.

Il piano prevedeva anche la fondazione di un quotidiano mondiale, pubblicato in tre lingue, e l’adozione di una lingua mondiale, l’Esperanto[55] - di cui Morgari fu un discreto conoscitore e attivo divulgatore- per influire più facilmente e uniformemente sull’educazione dei popoli al pacifismo.

Ma non se ne fece nulla: Ford  in armonia con l'atteggiamento del governo americano che aveva deciso l'intervento a favore dell'Intesa,  annunciò che non aveva più fiducia nella buona volontà di pace dei dirigenti tedeschi e sciolse definitivamente la sua missione il giorno della rottura dei rapporti diplomatici tra Germania e Stati Uniti (2 feb­braio 1917).

Il viaggio di Morgari provocò sulla stampa sarcasmi e accuse di ingenuità se non di  connivenza col nemico.  Iniziò l' Idea nazionale il 13 ottobre 1916, seguita dal Corriere della Sera del 3 giugno 1917 che così commentava: ”L’im­portante è che l’affare si concluda subito per merito suo, così il socialismo intasca in moneta elettorale il prezzo della mediazione. Sua Eccellenza Morgari ha l’anima di un viceplenipoten­ziario di Federico II o di Maria Teresa», e dal Giornale d'Italia del 7 luglio. Morgari esprimerà la sua delusione per il fallimento della Missione in un'intervista rilasciata alla Stampa pochi giorni dopo il suo rientro in Italia. L'Avanti! non commentò: a giustificazione riportò una relazione letta a suo tempo da Morgari alla seziono di Torino. Il carattere borghese dell'iniziativa di Stoccolma è sottolineato dalle dure parole di critica che II Grido del Popolo scrisse sull'iniziativa di Morgari: «Noi che abbiamo solo fiducia nella lotta di classe e non cre­diamo né alla efficacia, né alla sincerità di alcun pacifismo borghese, sa­remmo mortificatissimi di aver perso tre mesi di tempo in collaborazione con un qualsiasi Ford, presso qualsiasi governo, presso una qualsiasi conferenza che non fosse stata una conferenza di socialisti internaziona­listi" .

Rimase tutto l'inverno in Svezia; fallita la Missione Ford, in primavera partì per l'Olanda. All'Aja si fermò per circa due mesi cercando di mettersi in contatto con Huysmans, per spingerlo a convocare un congresso per la pace, ma Huysmans fu irremovibile, e qui era stato raggiunto da un telegramma di Lazzari che lo pregava di raggiungere Pietrogrado per prendere contatti con i rivoluzionari russi e inviare notizie precise all'Avanti!.

Tentò di recarsi in Russia attraverso la Scandinavia, ma inutilmente, a causa delle restrizioni degli imbarchi per la guerra in corso. Ne diede notizia egli stesso in una lettera a Serrati, in data 15 giugno 1917, dall'Aja: «Rimpatrio. Dopo quasi due mesi di pratiche per ottenere il rimpatrio traverso il territorio anglo­francese, ottenutolo infine il 21 aprile, ricevo il telegramma di Lazzari incaricantemi di recarmi in Russia. Pensa quanto siffatto incarico mi lu­singasse e corrispondesse al mio sentimento. Non profittai del permesso con pericolo di vederlo decadere e insieme a un compagno esiliato russo e ad un organizzatore che conosce i porti olandesi come tu l’Avanti!, feci ri­cerche per trovare imbarco alla volta dellaScandinavia. Dopo oltre un mese di vane pratiche, rinuncio »[56] . Così nel luglio 1917 rientrò in Italia.

Morgari non potè partecipare alla conferenza di Stoc­colma. L'avvento al potere dei bolscevichi determinò il ritiro della delegazione russa dal comitato di Stoccolma e contribuì alla disgregazione del movimento zimmerwaldista, la cui crisi era già manifesta dalla metà del 1917. Morgari, costretto in Olanda dalla guerra, non parte­cipò ai lavori preparatori né alle sedute della terza conferenza di Zimmerwald.

 

22. Nel Paese in guerra (1917-18)

   Rientrato in Italia a luglio da Stoccolma, ricevette con Romita e Serrati il 13 agosto 1917 alla Casa del popolo di Torino i rappresentanti dei Soviet di Pietrogrado che stavano compiendo un giro di propaganda noi paesi dell'Intesa. Si tenne anche un comizio affollatissimo, il primo dall'inizio della guerra.

  Il 22 agosto scoppiò a Torino uno sciopero determinato dalla carenza di generi alimentari, che assunse subito carattere politico e si trasformò in aperta rivolta contro la guerra. La sera stessa la sezione di Torino telefonò a Morgari chiedendogli di precipitarsi a Torino. Dalla testimonianza resa al processo per i moti dell'agosto dal segretario della CdL Dalberto, egli si mise in contatto prima con Rigola a Biella che rifiutò di intervenire, poi si rivolse ai deputati Casalini in vacanza e Morgari a Roma, perchè rientrassero. II giorno dopo giungeva nella città trasformata in un campo di battaglia. Queste iniziative saranno considerate dal Tribale Militare conferme dell’ipotesi che Morgari era uno dei promotori dell'insurrezione

   Nella notte tra sabato e domenica furono arrestati quasi tutti i membri delle commissioni esecutive della sezione socialista e della CdL, molti segretari di Leghe e Circoli e parecchi altri compagni tra i più noti, che decisero di affidare ai deputati socialisti torinesi (Casalini, De Giovanni, Morgari) il compito di funzionare da direttivo provvisorio. La sera del  23 con Romita e il corrispondente dell'Avanti! Leo Galetto ebbe un colloquio col prefetto, il quale assicurò poi Roma telefonicamente che Morgari “pare animato da buone intenzioni”. Il 26 presenta­rono per il visto al Comando del Corpo d'Armata, che aveva assunto la tutela dell'ordine pubblico, il seguente manifesto:"Lavoratori Torinesi:L'inefficienza del Governo Centrale, l'igna­via dell' Amministrazione cittadina, le provoca­zioni indicibili del potere politico locale, vi hanno fatto scattare unanimi in un movimento di sciopero generale, meraviglioso, forte, ammo­nitore ed esemplare. Scoppiato per la mancanza del pane, esso si è subito tramutato in una decisa manifestazione contro la guerra, che tanti lutti ha . seminato e tanto sdegno suscita in ogni animo, in tutti i paesi. La forza brutale dello stato borghese, la incoscienza da parte dei proletari vestiti in divisa, la dolorosa impreparazione della nostra organiz­zazione ad una azione risolutiva, ci costringono a consigliarvi a tornare lunedì al lavoro. Non è consiglio di viltà quello che vi diamo, ma di saggezza e di forza. Noi intendiamo che non solo questo gran­dioso movimento proletario torinese sia avverti­mento serio e definitivo al governo monarchico borghese, perchè cessi questa strage inutile e inumana, ma indichi anche a tutti i proletari d'Italia ed all'Internazionale il dovere di una più intensa e definitiva preparazione. Torniamo al lavoro, o compagni, ma tor­niamo colla coscienza di aver compiuto un atto coraggioso degno e fecondo senza dedizioni e senza rinunzie. E’ stato sparso sangue proletario, ma non invano. Salutiamo le vittime con una promessa di prossima, preparata rivincita. Salutiamole al grido: "Viva lo sciopero generale. Viva la pace. Abbasso la guerra!"

E poichè il nulla osta fu negato, consegnano il 27 al generale Sartirana il testo di un nuovo manifesto assai più moderato e breve: “Ai lavoratori torinesi Compagni! Avendo accettato di rappresentare provvisoriamente le oprganizzazioni che per i noti eventi non possono regolarmente funzionare....crediamo nostro dovere avvertirvi che le nostre organizzazioni hanno delberato di invitarvi a riprndere il lavoro lunedì corrente. Mandiamo intanto un riverente saluto alle vittime cadute con quella fede che rimarrà intatta nei nostri cuori”

Nel 1917 oltre alla rivolta di Torino si registrarono una più  vigorosa opposizione alla guerra e anche alcuni atti di sabotaggio. La stampa borghese incominciò a parlare di bolscevizzazione e di «pericolo di un sabotamento proletario della guerra». Materiale di propaganda socialista internazionalista e pacifista ve­niva distribuito clandestinamente e talvolta giungeva anche fra le truppe al fronte grazie «alle cassette di munizioni, sul cui fondo si nascondono dei manifesti sediziosi» Le autorità militari erano anche molto preoccupate per la frequenza con cui andavano ripetendosi incidenti nei principali stabilimenti militari.

noi siamo un partito che è costruito da trent’anni e da trent’anni combattiamo la guerra...(...)...c’è il patriottismo dei sign ori che crede possa la gloria e il benessere della patria realizzarsi solo nell’espansionismo e vi è il patriottismo della povera gente, il nostro, che cerca il benessere e la glorua della patria nello sviluppo interno delle risorse interne,. La guerra è il vero sabotaggio della guerra. Voi sabotate la razza; è la distruzione dei giovani, dei validi che imperversa[57]  

 Il 21 dicembre 1917 presentò alla Camera un Od.G :«La Camera invita il Governo a rivolgere alle potenze alleate, nemiche e neutrali una proposta di pace generale e di riordinamento della convivenza internazionale basata sull'abolizione del diritto di dichiarare Ia guerra, finora  riconosciuto negli stati dal costume politico e dalle convenzioni interne». Dopo il suo discorso alla Camera, come già nel 1916, Morgari fu sommerso di lettere, in parte anche di lode, soprattutto da militari al fronte o vedove di guerra. Anche Gramsci[58] e Serrati scrissero a Morgari per congratularsi con lui. Discorso che passa per "vergognosamete leninista" e contro il quale protesteranno numerosi professori, da Mosca a Loria. Nell'esaltazione della rivoluzione russa “che innalza la più grande bandiera che abbia mai sventolato sulla faccia della terra” “Lenin non tiene abbastanza conto della difficoltà di trasformare bruscamente una società individualista in una collettivista, sebbene tale trasformazione sia facilitata in Russia dal fondo mistico della razza slava e ancor più dal fatto che quel paese è uscito da poco dal comunismo primitivo della terra ....Lenin ha fretta, vuole trasformare il suo Paese in una enorme società cooperativa di produzione e di consumo...”

Il 1918 iniziò con una ventata di reazione antisocialista. Il 24 gennaio il governo ordinò l'arresto del segretario politico del P.S.I. Lazzari e del vice-segretario Bombacci, per il loro atteggiamento «in evidente contrasto con le necessità della difesa nazionale». Già nel 1915 Lazzari aveva chiesto a Morgari di sostituirlo qualora fosse stato arrestato. Lo sostituì ma tenne la carica per poco: il 18 giugno dello stesso anno diede le dimissioni. Era anche segretario del gruppo parlamentare e il dissidio fra questo e la direzione rendeva difficile la sua posizione. Come al solito riassunse il suo pensiero in una circolare[59]

 

23. La Commissione di informazione e di azione internazionale

Circa un anno dopo il suo rientro dal Nord, Morgari ri­prese la sua attività, come incaricato del partito all'estero, partecipando al congresso del Partito socialista francese. Nella riunione del 30 settembre 1918 la direzione del PSI aveva de­liberato che Morgari e Alessandri portassero il saluto e la solidarietà dei socialisti italiani al congresso del Partito socialista francese, che si tenne a Parigi dal 6 al 9 ottobre 1918.

In tale occasione, approfittando della presenza di molti delegati stranieri e della vittoria al Congresso dei "minoritari" fu composta una «Commissione socialista di informazioni e di azione internazionale». La Commissione, dopo alcune sedute preparatorie tenute da Morgari con il bolscevico Kemerer e con altri delegati francesi e serbi nelle giornate dell'11-13 ottobre, venne ufficialmente approvata il 14 nel corso di una riunione negli uffici del Populaire, cui parteciparono il segretario Frossard, Longuet, Loriot, Paul Faure, Rappoport, ecc; gli italiani Morgari, Alessandri e Rubino, segretario della sezione socialista italiana in Parigi, oltre a russi, serbi e greci

La nuova Commissione aveva il compito di «creare un centro d'in­formazione e di azione a disposizione delle correnti di sinistra (internazio­nalisti, intransigenti, zimmerwaldiani) dei paesi dell'Europa occidentale e dell'America, in considerazione del fatto che «la censura dell'Intesa era riuscita ad innalzare un'insuperabile 'muraglia cinese' fra l'Europa occidentale (Italia, Francia, Inghilterra, Spagna, Portogallo) e il rimanente d'Europa (Imperi Centrali, Russia, Svizzera, Balcani, Scandinavia), mu­raglia che durerà ancora a lungo per impedire il propagarsi del bolscevismo dall'Est d'Europa all'ovest». La Commissione intendeva inoltre sostituirsi alla Commissione socialista internazionale costituita a Zimmerwald - trasferitasi, nel frattempo, dalla Svizzera a Stoccolma e forzatamente inef­ficiente - e al Bureau della II Internazionale «le cui funzioni, rispettose degli statuti e di tutte le correnti che si agitano nel socialismo mondiale, non potevano essere che neutrali, e limitate a convocare imparzialmente i diversi partiti appena il Congresso internazionale.sarà possibile».[60]

A Parigi patrocinò la proposta di convo­care una conferenza zimmerwaldista a Roma, da contrapporre alla confe­renza interalleata di Londra alla quale la direzione del partito socialista italiano aveva rifiutato di inviare propri rappresentanti. Morgari interpellò, a tal proposito, alcuni membri della nuova direzione (ex minoritaria) del Partito socialista francese e della nuova Commissione internazionale (tra i quali Longuet, Faure, Frossard) ma questi opposero un netto rifiuto e gli mossero il rimprovero di non aver partecipato alla conferenza di Londra, dove i socialisti italiani neu­trali avrebbero potuto collaborare con i “minoritari”.

 

24. La Comune di Budapest

   Dopo la sconfitta degli imperi centrali e l'abdicazione di Carlo d'Asburgo, il presidente provvisorio dell'Ungheria Karolyi, di fronte alle crescenti difficoltà e nella speranza di attenuare l’ostilità delle potenze vincitrici, aveva rassegnato le dimissioni affidando il potere al partito socialista nato dalla fusione dei socialdemo­cratici col piccolo partito comu­nista fondato da Bela Kun. Così iI 21 marzo del 1919 veniva proclamata a Budapest la Repubblica Ungherese dei Consigli.

   In effetti l'Intesa mandò a Budapest  un suo rappresentante col compito di trattare l'accordo di pace. Fu un successo per il governo dei Consigli non solo in Ungheria (dove  l'opinione pubblica lo appoggiò in uno spirito di solidarietà nazionale) ma anche in Europa, alimentando l'interesse intorno alla seconda rivoluzione socialista, attuata nel cuore dell’Europa.

    Il successo e i consensi dei primi giorni di vita permisero al governo rivoluzionario di lavorare per l'edificazione anche pratica del nuovo ordinamento sociale, economico e produttivo del paese, esprimendosi con misure più massimaliste di quelle attuate in Russia: il 26 marzo fu decretata la nazionalizzazione di tutti gli impianti industriali, minerari e di trasporto con più di venti operai, di tutti i beni immobili e gli istituti finanziari; il 3 aprile si dichiarò il passaggio di tutte le proprietà fondiarie a «proprietà dello Stato proletario senza alcuna indennità di riscatto». Quest'atto, sebbene  in linea con la dottrina marxista e soprattutto dettato dalla necessità di garantire la continuità dei rifornimenti alimentari alla capitale e al fronte, rappresentava una delusione per quei contadini poveri che avevano sperato nella ridistribuzione fondiaria e nel possesso della terra. Il sistema delle «cooperative di produzione» , spesso amministrate dagli ex proprietari, non fu di fatto accettato.

   Frattanto l'Intesa favorì la creazione di governi controrivoluzionari e aiutò gli attacchi militari della Romania e Cecoslovacchia. La sorte della repubblica dei Consigli sembrava già segnata quando alla metà di aprile le truppe romene iniziano la loro offensiva militare se non fosse stato per la mobilitazione popolare messa in atto dal governo rivolu­zionario  con la creazione di un' Armata rossa a cui affluirono per spirito patriottico anche ex ufficiali ed ele­menti della inteIligenzia

I mesi di maggio e di giugno gli ungheresi recuperarono le posizioni perdute aprendo  possibilità per la sopravvivenza della repubblica dei Consigli che attendeva a brevissima scadenza lo scoppio di una rivoluzione in tutto il bacino centro-europeo confortata dalle  notizie provenienti dalla Baviera e dalla ritenuta imminente saldatura delle truppe ungheresi con l'Armata rossa sul fronte ucraino.

L'avvenimento suscitò viva impressione sulle masse popolari: la rivoluzione sembrava estendersi a macchia d'olio In Italia, la Direzione del partito socialista il 19 marzo 1919 aveva votato un ordine del giorno di adesione all’Internazionale Comunista; ora, dopo le novità provenienti dall'Ungheria e dalla Baviera, il PSI nel manifesto del Primo Maggio rivolgeva un appello «La classe lavoratrice dovrà infine affermare che è ormai animata da chiara coscienza della propria forza e dei propri destini, che è pronta a raccogliere e seguire gli insegnamenti della Russia, dell'Ungheria, della Baviera dove il potere politico ed economico è raccolto soltanto nelle mani di chi produce, di chi lavora».

In Italia però le notizie giungevano confuse e allarmanti, la stampa socialista era costretta ora ad accogliere ora a smentire le più clamorose invenzioni giornalistiche come quella della occupazione della capitale o della morte di Bela Kun.[61]

L’incertezza delle informazioni, l’esigenza di una presa di contatto diretta, il desiderio di manifestare la solidarietà dei socialisti italiani stanno alle origini della missione affidata dalla Direzione del Partito a Morgari che si trovava allora a Monaco di Baviera; vi si era recato dopo aver inutilmente tentato di raggiungere Pietroburgo da Zurigo e da lì il 1. aprile aveva inviato un messaggio a Mosca nel quale esprimeva la piena adesione del PSI all'Internazionale Comunista  e la solidarietà dei socialisti italiani al governo dei Soviet.[62]

   Il 19 maggio giungeva [63] a Budapest  pieno di curiosità e di interesse, disponibile all’entusiasmo, ma insieme ansioso di registrare obiettivamente sulla base d’un rigoroso me­todo «scientifico»  e «sperimental  quanto avrebbe visto. La tattica consi­stente «nel registrare colle luci le ombre, le lamentele, le deficienze, gli errori», spiegandone beninteso le cause, equivaleva ai suoi occhi «ad aprire una scuola pratica ad uso dei proletariati che non hanno ancora fatto la loro rivoluzione. Frequentando tale scuola, conoscendo ogni passo del calvario, salito dai fratelli che li  precedettero  nella fatica gloriosa,  apprenderanno  ad imitare  le cose buone, a prevedere difficoltà, a prepararsi a vincerle e a non ripetere gli errori, almeno nella misura che le circostanze permetteranno»

Il 25 maggio l'Avanti! con un servizio da Budapest dava notizia dell'arrivo del Morgari, della sua visita al più grande com­plesso industriale della capitale, la Landmaschinen Fabrik, del suo incontro con le truppe combattenti sul fronte  nonché dei colloqui da lui avuti con Bela Kun, con Vilmos Bòhm e con Gyula Alpàry.

La corrispondenza, negando le esagerazioni delle agenzie bor­ghesi (la morte di Kun, l’occu­pazione di Budapest, lo sciopero generale, la fame, il terrore), tendeva a dare un quadro ottimistico della situazione: «Ieri visitammo con Morgari  il fronte a nord-est di Budapest, arrivando a un chilometro di distanza dalle posizioni ceche di Miskolcz, ove strisciammo a terra per osservare le posizioni sotto il fi­schio delle cannonate. Miskolcz, fu presa nella notte stessa dagli ungheresi, che fecero trecento prigionieri cechi e si impossessarono di trenta mitragliatrici... Dovunque visitammo truppe riscontrammo grande entusiasmo. Tutti marciavano compatti, uniti, sventolando bandiere rosse,can­tando la Marsigliese e l’Internazionale, adornando cannoni, automobili e treni con simboli rivoluzionari e accogliendo la nostra automobile con grida di evviva all’Internazionale...Ad Harszay venne assalito dai soldati l’automobile dello Stato maggiore, improvvisando una dimostrazione di simpa­tia. Un soldato parlò a nome del suo reggimento, pregan­do i capi dell’esercito di salutare in loro nome il proleta­riato rimasto nelle fabbriche, nelle officine e nei campi, raccomandandogli di lavorare tranquillamente all’interno, che essi, proletari in divisa, faranno il proprio dovere alle frontiere» [64].

  A Csòt Morgari si recò il 7 luglio per svolgere un’inchiesta sull’allon­tanamento della compagnia  italiana del 2. Battaglione balcanico. I 71 volontari italiani dell’esercito rosso erano stati accusati dal comandante di depredazioni e internati a Csòt. Morgari, nella relazione inviata al Commissario del Popolo per la guerra, affermò infondate le accuse rivolte ai volontari italiani e ne chiese l’immediata liberazione. Fece visita anche alla missione militare italiana, l’unica dell’Intesa rimasta a Budapest, comandata dal maggiore Romanelli.

Questi giunse a chiedere i “buoni uffici” di Morgari per convincere Bela Kun a cedere il potere, sotto la garanzia dell’Italia, in considerazione della tragica situazione in cui versava l’Ungheria, in guerra con quasi tutti i suoi vicini e in previsione di un probabile intervento dell’Intesa. Sembrò, in un primo momento, che Kun si manifestasse disposto ad accedere alle proposte del Romanelli. Ne da notizia un telegramma, spedito per corriere diplomatico il 26 maggio: «Delegazione di Budapest informa che l’on. Morgari ora Budapest per seguire movimento bolscevico, avvisa nostra Missione essere Bela Kun disposto cedere potere attuale e chiedere intervento Italia per garantire ordine. Bela Kun domanda come Italia ricostituirebbe potere in Ungheria e se intervento Italia a Budapest porterebbe conseguenza intervento altre truppe Intesa..(....)... .se si potesse in qualche modo profittare a vantaggio del nostro paese di questo... e prepararci ad una seria influenza nostra per dopo, sarebbe certamente op­portuno non perdere tempo»

Ma dopo il 24 giugno, in seguito all'opera di difensore dei contro-rivoluzionari da Romanelli[65]  svolta, Morgari ruppe le relazioni con la Missione italiana tanto da rifiutare nei momenti della crisi della «Comune» l'ospitalità e la protezione offertagli. Una polemica si sviluppò successivamente: il Corriere della Sera, in po­lemica con l'Avanti! che aveva attaccato la Missione italiana accusandola di correità con i controrivoluzionari, aveva scritto che Morgari doveva la sua liberazione dai soldati bianchi a Romanelli, circostanza smentita dall'interessato. .

In una lettera a Kun  scritta all'indomani del tentativo controrivoluzionario del 24 giugno quando alcuni  militari del­l'Accademia Ludovica cannoneggiarono la sede del governo, con­sigliava di non ricorrere alla pena di morte sia per non dare motivo alla Francia, cui era stato affidato il compito di polizia dal trattato di armistizio, di intervenire, sia perché metodi feroci di repressione avrebbero influito “sul  buon nome della rivoluzione proletaria in occidente”, e soprattutto perchè «...se anche fosse vero che col rinunciare al Terrore veniste incontro al voto dei compagni di destra, questa sarebbe una ragione in più per rinunciarvi, perché così cementereste quell'unione fra le due correnti del proletariato ungherese che è tanto necessaria e che è una delle ragioni di superiorità della rivoluzione ungherese sulla russa ...L'obiezione più grave pare questa, che la controrivoluzione del 24-25 corr. sia stato il frutto di un regime dittatoria­le non severo” . Concludeva suggerendo che “imprigionare molti ribelli e cospiratori borghesi equivale, come efficacia, ad ucciderne alcuni. Minore l'intimidazione, ma in compenso maggiore la paralizzazione. Non crudeltà, non vendetta, ma difesa recando il minor dolore possi­bile.”

. Davanti all'ultimatum di Clemenceau, che intima agli ungheresi di cessare le operazioni militari contro i cechi e i romeni, Kun dovette cedere e far ritirare le truppe schierate su posizioni avanzate. Questo gettò lo scompiglio nelle file dell'esercito rosso ungherese, facendone precipitare il morale e la compattezza.

Il 1° agosto, mentre le truppe romene si apprestano a marciare su Budapest, con la capitale accerchiata e con una controrivoluzione sempre più attiva all'interno, il Consiglio del governo rivoluzionario si dimette, e il 18 novembre entrava in Budapest l'ammiraglio Horty instaurando un regime controrivoluzionario.[66]  Entrati i romeni a Budapest  tra il 7 e l'8 agosto, dopo aver assistito «ad una atroce caccia all'uomo», era stato arrestato. Liberato, poi di nuovo arrestato altre due volte, infine definitivamente liberato aveva lasciato l'Ungheria il 15 agosto.

Dopo due mesi  trascorsi a Vienna, il 10 ottobre aveva ripreso la via dell'Italia. Ora ci si attendeva che parlasse, che raccontasse quel che aveva visto. Ma preferiva tacere, anche a costo di lasciar nascere supposizioni. Se prendeva la parola in pubblico, quanto all'Ungheria si manteneva sulle generali e sorvolava sui punti più controversi [67]

Da quanto possiamo desumere dalla lettera ai Cari compagni della direzione del partito, l'esperimento comunista ungherese deluse fortemente Morgari, soprattutto perché la fine era stata causata non tanto dalle forze esterne, quanto «dallo stesso voltafaccia della maggior parte dei lavoratori». La lettera è un documento che ha un notevole valore politico e biografico. Dopo aver premesso che «[...] se il viaggio compiuto per vostro incarico e l'aver visto vivere e tragicamente perire ben due Repubbliche dei Consigli, hanno modificato e temperato le mie antiche prevenzioni contro la tattica bolscevica, non le hanno però annullate », riferendosi esplicitamente alle possibilità rivoluzionarie che alcuni socialisti itaiani ritenevano esistenti in Italia e in altri paesi d'Europa nel 1919 Morgari scriveva: «Non ho fede nelle energie insurrezionali del proletariato in Italia e nel resto d'Europa, la Russia esclusa, specie nei paesi usciti vittoriosi dalla guerra, nel presente stato storico, né d'altra parte credo che la situazione politico-economica dei paesi vittoriosi è catastrofica da condurre gli istituti borghesi, a cominciare da quello militare, ad uno sfasciamento che dia il potere al proletariato non per la forza di questo, ma per il crollo avversario». Per quanto concerneva specificamente l'Italia, egli riteneva pertanto che il PSI «dovrebbe guardare la verità nel bianco degli occhi; riconoscere che esso non è ancora in grado di rovesciare le istituzioni capitalistiche».

Le perplessità che la rivoluzione ungherese poteva suscitare nella base socialista erano sui metodi che avevano caratterizzato la gestione del potere nel periodo di dittatura del proletariato. Per le tradizioni pacifiste e non violente del socialismo ita­liano, l'argomento aveva una sua indubbia consistenza e non lo si poteva accantonare tanto agevolmente. Il «socialismo» non poteva essere costruito col «terrore»[68]: naturalmente si dava certo che le descrizioni propalate dalla stampa borghese peccassero per eccesso e fossero viziate dalla precisa volontà di stravolgere fatti e situazioni per spirito di parte. Ma il problema diventava allora sapere che cosa era veramente successo, ricorrendo a testimonianze obiettive e sincere.

Fu solo il 22 dicembre, davanti a 72 deputati socialisti e a qualche altro compagno fra cui Serrati, che finalmente ruppe il silenzio tenendo una lunga relazione di quel che aveva veduto e appreso in Ungheria. Riferendone due giorni dopo l'«Avanti!»[69] negò che le conclusioni fossero cosi disastrose per i massimalisti da consigliare una sorta di censura. Morgari, al contrario, era stato invitato a sten­dere una relazione scritta che sarebbe stata certamente diffusa «a meno che non vi si oppongano ragioni di opportunità politica». Certo aveva sottolineato anche gli aspetti negativi e il sug­gerimento che si poteva ricavare da quanto aveva detto era «la necessità d'una più stretta intesa, onde gli avvenimenti non trovino impreparato il partito, per cui esso sia sorpassato e sommerso da altri elementi, i quali, mossi solo da inte­ressi o personali o di gruppo, non vedendo le supreme necessità del movimento d'insieme, potrebbero compromettere cogli eccessi, il successo di quella rivolu­zione sociale, che è la finalità stessa del Partito socialista» .

Ma intanto altre versioni attribuivano al rapporto Morgari una intonazione ben più dura. A stare al «Messaggero» Morgari avrebbe addirittura dichiarato che «la dittatura proletaria era passata come una rapida devastazione, che l'attività dei comunisti di Ungheria era stata distruttiva e la produzione nelle fabbriche era diminuita dal cinquanta al settantacinque per cento», che i contadini s'erano rifiutati di approvigionare le città, che la burocrazia, «nonostante il regime comunista, era estremamente corrotta», che i funzionari bolscevichi « si arricchivano, compiendo, in nome del governo, requisizioni a proprio vantaggio », che si erano commessi «atti di brutalità» senza risparmiare «atti atroci di repressione»

All'assemblea del 17 feb­braio 1920 della Sezione socialista milanese, Serrati sostenne che «noi non abbiamo alcuna ragione per tenere nascosto quanto è avvenuto in Ungheria  La rivoluzione è quello che è, non si fa allegramente, è irta di difficoltà, di incognite, di aspri doveri». Proprio per questo si poteva analizzare senza paura la rivoluzione ungherese, ben sapendo che al di là degli errori o dei difetti essa sarebbe rimasta «una grande e gloriosa pagina di storia dell'Internazionale comunista»

Ma Morgari preferiva tacere. E invano nel giugno 1920 la segreteria della SFIO sollecitava l'invio d'una copia della sua ormai mitica relazione. La richiesta appariva anzi come conferma che aveva fatto bene a non pubblicar nulla. Gli incitamenti e le esortazioni a farlo erano state numeroso, «ma — eccettuato per parte di Serrati — sempre da destri o da avversari». Ora la richiesta dei socialisti francesi aveva un analogo retroterra, «Vuol dire che si cercano armi contro il massimalismo dei Loriot ecc.». Morgari  non voleva servire da arma di scissione. «Ora, né io potrei scrivere in un rapporto la metà sola­mente delle cose vedute, né potrei scriverle tutte, ciò che varrebbe fornire argo­menti taglienti ai nemici del Partito e alla frazione di esso che non è quella alla cui fiducia dovetti l'incarico del viaggio in Ungheria».

Ma non era solo questo il motivo di tanta resistenza. Al di là del dissenso, che pure aveva preso forma, c'era un impegno di solidarietà al quale non si poteva mancare nei confronti di «quei compagni di fede, ora tutti dispersi per il mondo o tragicamente periti» che avevano generosamente dato vita all'esperi­mento d'Ungheria. Anche per questo il silenzio rimaneva, nono­stante tutto, la migliore consegna.

 

25. I viaggi in Russia e la valutazione del bolscevismo

Nel luglio 1922 era stato varato il «Comitato per le iniziative italo-russe», costi­tuito tra alcuni dei maggiori rappresen­tanti della grande industria ed esponenti autorevoli del socialismo riformista, cui aveva­no dato la loro adesione  tecnici come Alberto Beneduce.

Con Turati, Buozzi e D'Aragona si erano impegnati anche Baldesi. Morgari, Colombino, Buozzi, la Cgl e i direttivi di federazioni operaie e di leghe coope­rative che tentarono di stabilire un terreno di intesa  con gli industriali per contrastarne l’allineamen­to al movimento fascista e per ricostituire il blocco di interessi del periodo giolittiano

  La carta era quella di favorire un'apertura alla penetrazione commerciale italiana sul mercato sovietico che consentisse di alleviare il blocco delle esportazioni ma anche di alimentare canali di rifornimento di materie prime svincolati dal monopolio dell'Inghilterra e degli Stati Uniti.

In complesso, una grossa rappresentanza degli interessi del settore meccanico, della navigazione, tessile e chimi­co dell’Italia settentrionale aveva raccolto l’invito. Mai come in quel momento era parsa consistente la prospettiva di una convergenza reciproca fra industriali e sindacati. Ma questa politica aveva degli antefatti: i riformisti avevano puntato le loro car­te su Agnelli come l'uni­co in grado di trascinare altri esponen­ti economici e di avere l'appoggio di Giolitti e che soprattutto era andato inseguendo l'obiettivo di ripristinare i rap­porti commerciali con la Russia fin dal 1920 quando emis­sari della Fiat avevano compiuti dei sondaggi con Krassin e altri agenti sovietici in Europa. «Per Buozzi Agnelli è la maggior forza che si potesse avere con noi. È sicuramente il gran­de industriale lungimirante capace di procedere per tre­-quattro anni per raggiungere uno scopo. Anche se collo­casse in Russia migliaia di auto e  camion senza un cente­simo di profitto, avrebbe convenienza ad alimentare l'industria. È un esportatore, unico a vendere  nel mondo, ad essere il più grande fabbricante di macchine»[70]

   Finita la fase ascendente dell'ondata rivoluzionaria in Europa, il governo sovietico aveva espresso agli ambienti economici occidentali la sua disponibilità per una ripresa delle esportazioni, secondo lo spirito della Nep di recente inaugurata.

Morgari all'arrivo  nel marzo 1921 di una missione commerciale rus­sa conclusasi con la sotto­scrizione di un trattato commerciale provvisorio aveva ripreso le trattative per conto della Fiat e poi, con il presiden­te del Consorzio operai metallurgici Colombino, era stato a Genova, a sondare il terreno presso la delegazione sovietica alla Conferenza apertasi il 19 aprile.

   Le forti riserve sollevate da destra e l'in­tervento del ministro degli Esteri in Consiglio dei ministri erano valsi a rimettere in discussione la ratifica del trattato con la Russia già sottoscritto a Genova il 24 maggio che comportava il riconoscimento dello stato sovietico cosicchè nell’estate si era creato un vuoto politico, sebbene i rapporti tra la società italiana e il mondo russo si fossero infittiti: l’Italia aveva risposto con grande slancio all’«appello contro la fame» lanciato da Maksim Gor’kij per combattere gli effetti della terribile carestia che alla fine del 1921 aveva colpito molte regioni della Russia. Il partito socialista aveva costituito il Comitato pro-Russia che all’inizio del 1922 aveva inviato nel Mar Nero l’«Amilcare Cipriani», con un carico di viveri e di medicinali.

Paradossalmente il rifiuto al riconoscimento della Russia  finiva per rivalutare la presenza di Morgari e dei suoi compagni nel Comitato perchè rimanevano valide le  prospettive di natura economica e commerciale. Proprio su questa base il presidente della Fiat aveva ritenuto oppor­tuno mantenere in vita il Comitato

In queste condizioni però l'attività dei rappresentanti socialisti era destinata a scade­re in un'opera di pura e semplice mediazione commercia­le in un momento in cui   era mutato profondamente il clima  del Paese e si era andato chiarendo il carattere illusorio di prospettive di collaborazione fra costituzionali e riformi­sti, cui non era servita nemmeno la scissio­ne del partito socialista.

   Morgari nel corso dell’estate aveva intessuto una fitta rete di corrispondenza con industriali, cooperatori, autorità governative, per far decollare un progetto di colonizzazione agricola  che espose al primo congresso italo-orientale e coloniale, che si tenne a Trieste dal 12 al 15 settembre 1922, gettando un ponte fra la politica dei «grandi» e dei «piccoli» affari, invitando a considerare il commercio italo-russo in funzione dell’importazione delle materie prime. Egli si riferì alla Russia come all’unico paese che potesse salvare l’Italia dall’isolamento e dall’accerchiamento economico e si propose per andare in Russia come ambasciatore di questa poli­tica.

  La sua perseveranza verrà pre­miata: alla fine del 1922. Agnelli e l'industriale milanese Marinotti lo inviarono a Mosca, con l’incarico  di essere il loro osservatore commerciale; anche se non era ciò che Morgari aveva desiderato, qualora la Fiat avesse deciso di impegnarsi seriamente sul mercato russo si sarebbe trattato pur sempre di un contributo alla «lotta contro il mono­polio delle grandi potenze industriali».

  Egisto Pavirani, cooperatore e tecnico agrario socialista lo aveva seguito per studiare la realizzazione di un progetto di colonizzazione italiana nella Russia meridionale. "Mussolini in persona si espresse favorevolmente all’impresa col Baldini" scrisse Morgari[71] a Pavirani prima che questi, insieme a un compagno comunista delegato dal PcdI si recasse nella Russia meridionale per ispezionare la concessione.

In sostanza, dileguatosi l'ottimismo iniziale cir­ca un proficuo intervento in Russia di  cooperative agricole socialiste, del lungo lavoro portato avanti da Buozzi, D'Aragona e Turati, rimarrà in piedi semplice­mente il rapporto personale stabilito da Morgari con Agnelli, ma senza alcuna concreta rispondenza alle volenterose aperture verso la grande industria per un rovesciamento dei suoi orientamenti politici di fondo.

Le sue valutazioni sul regime sovietico variarono nel corso deli anni: nell’opuscolo  Che cosa vogliono i socialisti unitari,  pubblicato   nel 1923  condannò il   regime    russo,   ponendolo  sullo  stesso  piano di quello fascista  oggigiorno in Russia,   grazie al terrore, dominano ancora i comunisti ma di socialismo non c'è quasi più niente... Con la tattica della fretta non si ottiene altro che di diffamare il socialismo »

Quando nel 1934, dopo il patto d'unità d'azione con i comunisti, s'ac­cenderà il dibattito sul pacifismo socialista, fu il primo a far sua la parola d'ordine della difesa dell'URSS che, riteneva, per la sua stessa natura sociale non potesse impegnarsi in guerre d'aggressione. 

Nel 1936-37 soggiornò nell'URSS e in particolare in Crimea nel periodo delle "grandi purghe" e di queste dette all'inizio un'interpretazione filostaliniana, cosa che non impedirà che gli venissero confiscati al momento del rientro in Francia[72] i materiali di studio costituiti da note e appunti che, come sua consuetudine, egli diligentemente compilava  e che erano custoditi in due valigie, per cui non ci restano documenti su questo soggiorno.

 

26. Nel movimento antifascista in Italia e in Francia (1922-44)

Rieletto nel 1919 e nel 1921, pur avendo chiesto di non essere più candidato, come segretario del gruppo parlamentare prospetta i pericoli della situazione politica e chiede la revisione della linea di condotta del Partito. Il 2 agosto 1921 con Bacci, Zannerini, Musatti per il Gruppo Parlamentare e la Direzione del PSI, Baldesi, Galli, Caporali per la CgdL, firma il patto di pacificazione con Mussolini, De Vecchi, Giuriati nello studio del presidente della Camera De Nicola.

Nel dopoguerra la sua voce nei dibattiti interni del partito risuona sempre meno: non interviene ai congressi di Roma (1918), Bologna (1919), Livorno (1921), Milano (1921), Roma (1922), e nel corso di quest'ultimo vota la mozione riformista aderendo al Partito Socialista Unitario (PSU) di Turati, Treves, Matteotti come quasi tutta la dirigenza piemontese del PSI con l'eccezione di Romita, Barberis, Amedeo e pochi altri.

Scrive nel 1923 l'opuscolo II Partito socialista unitario per illustrarne i princìpi; durante le elezioni del 1924 raccoglie le prove delle violenze fasciste e documenta i brogli e il terrore delle camicie nere nel pamphlet La libertà di voto sotto il regime fascista. Fa parte con altri sei (Caldara, ecc.) della Direzione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI) che sostituisce nel 1925 il PSU sciolto all'indomani dell'attentato Zaniboni.

Nel 1926 ripara in Francia dove con Baldini, Turati, Treves, Buozzi, Modigliani e altri fuorusciti collabora alla ricostruzione dell'organizzazione che prende il nome di Partito socialista unitario del lavoratori italiani (PSULI) e che in quel momento dispone di tre sezioni (Parigi, Tolosa e Lione), mentre i massimalisti, più numerosi,  ne avevano sette. L'impegno maggiore è quello di fondarne altre nei più importanti centri dell'emigrazione e di far uscire l'organo di stampa "Rinascita socialista", come si desume dalla Circolare sull'organizzazione che Morgari stila in data 1. maggio 1927

Il PSULI pur avendo un numero di iscritti inferiore a quello dei massimalisti, poteva contare su dirigenti di notorietà internazionale e godeva dell'appoggio del partito francese (SFIO) e delle sovvenzioni dell'Internazionale socialista (IOS). Inoltre erano in maggioranza riformisti i dirigenti della ricostituita CgdL

Collabora al «Corriere degli Italia­ni», fondato da "popolare" Luigi Donati, risiedendo presso la redazione del giornale [73].

Il "Corriere degli Italia­ni", sposando posizioni alquanto critiche ver­so gli ambienti del fuoruscitismo offrì il fianco alla pro­vocazione fascista, ricevendo finanziamenti addirittura dall'Ambasciata italiana: è questo, della eccessiva credulità, un aspetto della personalità del Morgari che si rivelò pericoloso in un ambiente  infiltrato di spie e provocatori quale quello dell'emigrazione antifascista in Francia[74].

Fece parte del "Comitato per l'azione in Italia" costituito nel 1928, e nel 1929 della "Commissione per la propaganda in Italia", presiedute entrambe da De Ambris.

Nel 1930 al 21. Congresso (primo dell'esilio) tenuto a Parigi il 29-30 luglio, che è anche il congresso della riunificazione con il partito massimalista (o meglio con l'ala giudata da Nenni, mentre una parte con Angelica Balabanoff ne rimarrà fuori) è nominato segretario amministrativo (segretario politico Ugo Coccia).[75]

Non risulta aver partecipato invece al 22. Congresso, tenuto Marsiglia nell'aprile 1933. Con il 1933-34 la vita politica europea subisce un'accelerazione cresente: in Germania arriva al potere Hitler e viene inaugurata la politica dei fronti popolari. Per il partito socialista furono gli anni dello scioglimento della Concentrazione e della nascita del Centro Interno, del patto di unità d'azione con i comunisti e dell'impegno in Spagna.

Il tradizionale pacifismo perde il carattere di intangibilità per diventare oggetto di discussione: quando nel 1934, dopo il patto d'unità d'azione con i comunisti, si accenderà il dibattito sul pacifismo socialista, è il primo a far sua la parola d'ordine della difesa dell'URSS che riteneva per la sua stessa natura sociale non potesse impegnarsi in guerre d'aggressione e propugna il «disfattismo rivoluzionario» da opporre ai regimi fascisti in caso di guerra.

E' Morgari a  iniziare la discussione con due articoli sul "Fattore bellico nella politica dell'antifascismo" pubblicati dal "Nuovo Avanti!” dell’aprile 1938, cui  rispose     Modigliani richiamandosi   alla tradizionale agitazione socialista, che con la politica del non intervento di Leon Blum strappa alla borghesia la bandiera del pacifismo integrale, che in Fran­cia è un fatto di massa, con radici profonde nella grande guerra, nella «rivolta umana contro la distruzione bestiale e la morte a co­mando

Ma e poi? chiede Morgari, che non rinnega il suo precedente pacifismo, ma ritiene antistorico riproporre il cliché di un marxismo " unilaterale e sem­plicista", quando l'esperienza insegna che "talune guerre hanno portato non reazione, ma libertà (…) La stessa guerra mondiale del 1914-1918 partorì la rivoluzione d'Ottobre e ben dieci repubbliche democratiche”

Gli interrogativi si affollano. E se la guerra scoppias­se mentre noi stiamo svolgendo il nostro apostolato per la pace, cosa dovremmo fare? Continuare la nostra missione, come se nien­te fosse, per l'emancipazione del proletariato e rifiutare di allinear­ci al blocco antifascista? Ma se questo malauguratamente perdesse la partita e quindi di conseguenza il proletariato fosse inabissato nella dittatura reazionaria per una o due generazioni? «Collaboriamo con le altre forze progressive del mondo a scongiurare la nuova guerra europea, ma se è destino che si produca, prepariamoci spiritualmente, tatticamente e organizzativamente a far si che questo nuovo spaventoso delitto del fascismo si converta in una tomba per le camice nere, brune, verdi e di ogni colore. Con tutti i mezzi, nessuno escluso!”

   Al 23. Congresso (terzo dell'esilio) svoltosi a Parigi dal 26 al 28 giugno 1937, un anno dopo la vittoria del Fronte Popolare, è delegato della Federazione parigina. Nel corso del 1938 interviene in comizi "unitari": parla, con Emilio Lussu per Giustizia e Libertà e Giuseppe Di Vittorio per il PCI, il 5 aprile a Grenoble, e il 6, sempre con Lussu e con Giusppe Berti per il PCI, a Lione. Collabora al periodico repubblicano "Problemi della rivoluzione italiana" [76]

  Nell'estate del 1939 il patto russo-tedesco mette in crisi l’alleanza fra PSI e PCI e la segreteria di Nenni che ne era stato fautore. In un’assemblea convocata nella sala di rue Meslay nell’ottobre 1939 prende la parola per chiedere le dimissioni di Nenni, che viene sostituito da un Comitato composto da Morgari, Saragat e Tasca, con funzioni di segretari e di direttori del giornale[77]

Morgari in due articoli del marzo 1940 pubblicati dal “Nuovo Avanti!” dichiara di non aver rimorsi per "aver stretta la mano pentita" che Mosca offriva nel 1934 e per aver polemizzato con Modigliani Tasca e Faravelli a difesa dell'unità d'azione, perché quella politica corrispondeva alle esperienze e agli ideali socialisti: difendere l'Urss, mantenere la pace, impedire la fascistizzazione dell'Europa. Ma ora che Mosca con il "turpe abbraccio" con Hitler non lascia più dubbi sulle sue intenzioni di scegliere la guerra per bolscevizzare l'Europa, egli non ha remore «a cancellare risoluta­mente Stalin ed i suoi seguaci» dalle alleanze socialiste, innanzi tutto «"pregiudizialmente", per un motivo di incompatibilità morale».La sua indignazione è al massimo. Definisce Stalin "truffatore" e "giuda", chiama «il paese di Stalin, non più Urss, come finora, ma bensì Russia quanto all’aspetto geografico e Stalinlandia quanto al regime politico”

  Fu questa del marzo 1940 la sua ultima presa di posizione politica; il  Comitato venne integrato da Buozzi e Faravelli e quando i tedeschi entravano a Parigi, mentre gli altri membri si trasferivano nel Sud, dove poi elaborarono le “Tesi di Tolosa”, si trovava ricoverato in un ospedale. Verso la fine del 1940 all’aggravarsi del male ottenne di ritornare a Torino, dove rivide amici e parenti che avevano persuaso le autorità a concedergli di tornare e di potersi recare a Sanremo, dove si spense nel novembre del 1944.  in una modesta pensione.

  L'11 novembre 1945 la salma venne trasferita a Torino, e presso la sede provinciale del PSIUP fu commemorato dal socialista alessandrino Paolo De Michelis.

 

27. Conclusione

    Spariva con lui una figura tipica del socialismo italiano di fine secolo. Nutriva una fede positiva nell'uomo ed era convinto che i proletari si sarebbero riscattati da soli. Riformista, non dimenticò mai l'obiettivo ultimo, anzi in più occasioni lo additò ai compagni che  indulgevano al ministerialismo ma, convinto che la situazione non fosse matura per  la   rivoluzione, optò sempre per il quadro dei miglioramenti che la classe lavoratrice può procurarsi oggi.

   Con la svolta politica del 1901 intravvide la possibilità di rafforzare l' alleanza con l'ala progressista e radicale della bor­ghesia, ma l'appoggio alle forze più rinnovatrici della borghesia non ebbe nulla in comune con l'acquiescenza al ministerialismo e al trasformismo giolittiano.

   Fu dopo il 1907 una figura isolata a livello nazionale, lontano dal massimalismo vittorioso nel 1912, ma anche distinto dal riformismo lombardo-emiliano per al­cuni elementi di originalità, in primo luo­go la particolare sensibilità per i problemi del Mezzogiorno e l'insistenza con cui si battè per il suf­fragio universale accanto a Gaetano Salvemini e a Giuseppe E. Modigliani, mentre nella sezione torinese non si preoccupò di crearsi un seguito personale.

   La Grande guerra lo “rilanciò”  ma il dopoguerra, con i profondi mutamenti avvenuti (rivoluzione russa, fascismo), lo vide appassionatamente partecipe ma ormai consegnato a un ruolo di  testimone di un’altra epoca, autorevole ma sorpassato.



[1] A.M.Comanducci “I pittori italiani dell’Ottocento. Dizionario critico e documentario”, Milano, 1992, ad nomen

[2] R.Rigola “Rinaldo Rigola e il movimento operaio nel biellese: autobiografia”, Bari, 1930, pag. 172-3 

[3]  Natta “Serrati. Vita e lettere di un rivoluzionario”, Roma, 2001; A.Rosada “Serrati nell'emigrazione”. 1889-1911”, Roma, 1972; vedi anche G.Miccichè"Vincenzo Vacirca : un socialista itinerante" , Ragusa, 1992

[4]  D.Gnocchi “Odissea rossa. La storia dimenticata di uno dei fondatori del PCI”, Torino, 2001

[5]"Come divenni socialista" in "Nuovo Avanti!"  di Zurigo del 27 luglio 1939

[6]Grido del Popolo” del 18 ottobre 1913, articolo che tratteggia la sua figura di candidato alle imminenti elezioni politiche

[7] Come divenni socialista" in "Nuovo Avanti!"  di Zurigo del 27 luglio 1939

[8]   Da ultimo M. Scavino, “Con la penna e con la lima. Operai e intellettuali nella nascita del socialismo torinese. 1889-1893”, Torino, 1999 (ma  ancora validi M.Grandinetti“Il tempo della lotta e dell' organizzazione: linee di storia della CdL di Torino”, Milano, 1992; P.Spriano “Storia di Torino operaia e socialista”, Torino, 1958; P.P.Bellomi “Lotte di classe, sidacalismo e riformismo a Torino 1898-1910” in “Storia del movimento operaio, del socialismo e  delle lotte sociali in Piemonte”, vol. 2., Bari, 1979) 

[9] P.C.Masini “La giovinezza di Luigi Galleani” in “Movimento operaio”, 1954 n.3; U.Fedeli “Luigi Galleani: qurant'anni di lotte rivoluzionarie”, Cesena, 1956

[10] C. Finale: “Gli anni genovesi di Giovanni Lerda e la polemica con Bernstein” in “Movimento operaio e socialista”, 1962, n.1

[11] “Appuntamento con Oddino Morgari”, in “Nuovo Avanti!”, 11 maggio 1940

[12]  La Stampa”, 6.12.1899. Questo il bilancio, poco simpatizzante, dei ca­ratteri del primo movimento socialista a Torino che traccerà un trentennio dopo, Piero Gobetti:”La fisionomia del vecchio socialismo torinese fu data quasi essenzialmente dall'esistenza dell'Alleanza cooperativa, grande organismo economico che si rivelò capace di sostenere la concorrenza del libero commercio nel provvedere alle esigenze del consumo ma, in sede politica, fu scuola di collaborazionismo e di spirito burocratico. Né alcuna corrente che divenisse dominante nel partito ne potè prescindere, perché questa era la vera base finanziaria del partito nella sua azione locale. Nofri, tecnico  del cooperativismo, nel quale potè anche trovare il suo canonicato; Casalini, il missionario dell'igiene, il medico dei poveri, che lavorando nel  suo Comune esauriva tutti i suoi ideali filantropici; Morgari, l'apostolo popolare nella lotta contro i soprusi e i privilegi, furono le figure emi­nenti e popolari nella psicologia rudimentale delle masse. Il «marchese»  Balsamo-Crivelli, il raffinato dell'erudiziene, il Pastonchi degli studi storici, e il «professore» Zino Zini recarono al quadro i necessari colori  romantici, con la loro adesione aristocratica e filosofica alla causa degli umili e degli oppressi.”

[13] La frase pronunciata al processoSo che sarò condannato e prometto che in qualunque luogo mi designi la sentenza per scontare la pena del confino, se in quel luogo vi sarà già il partito lo rafforzerò se non vi sarà lo creerò” contribuì a creargli la fama di apostolo intemerato

[14] ACS, Fondo Morgari, cit. in R.Allio “Oddino Morgari socialista” in “Bollettino storico bibliografico subalpino” 1970, n.3-4 

[15] Ibidem

[16]A. Maccarrone “L'attività politica di Dino Rondani dalla nascita del PSI alla fine della prima guerra mondiale”, 1995, tesi di laurea consultabile alla Civica di Biella. Morgari schizza questo ritratto dell'amico "...sempre giovanissimo, svelto, piccino, con gli eleganti baffetti neri, con braccia, gambe e lingua in movimento perpetuo..." In "Fiori di maggio", Roma, 1905, pag. 28.

[17] M.Pecoraro ”Alfredo Bertesi: la figura e l'opera”,  Modena , 1995

[18] Morgari scrisse la prefazione al libro di Francesco Berutti “Le bande svizzere: episodio tipico dei moti di maggio 1898”, Arona, 1904. Così Umberto Levra smonta la leggenda (“Il colpo di stato della borghesia", Milano, 1975): “poco più di duecento operai italiani abbandonano il lavoro e, grazie a collette improvvisate, si dirigono senz'armi e senza bagagli in treno alla volta del Sempione. Prima del confine intervengono però le autorità cantonali, dirottano il treno su un binario morto, arrestano gran parte dei componenti della banda rimasti senza cibo e senz'acqua, li ammassano in un campo di concentramento improvvisato e li caricano poi su un treno speciale, dai cui finestrini spuntano malinconiche le bandiere rosse dei rivoltosi e li trasferiscono sotto scorta fino a Chiasso dove li consegnano a una compagnia di bersaglieri, tra le vivaci proteste di gran parte dell'opinione pubblica svizzera colpita dalla procedura indegna delle tradizioni liberali elvetiche (…) AI Sempione poche decine di italiani sfuggono all'arresto in territorio svizzero, disperdendosi sui monti; la maggior parte di essi torna indietro e alcuni altri tentano di passare il confine a piccoli gruppi (…) Tre sole guardie di finanza sono perciò sufficienti per arrestare, senza incontrare resistenza, il 13, il 14 e il 15 maggio, ben 49 "rivoltosi," privi di armi e spossati dalla fatica (…) Gli arrestati, quasi tutti in età compresa fra i 15 e i 30 anni e per lo più originari della provincia di Novara e, in subordine, del Canavese, di Torino, di Milano e di Pavia, sono  immediatamente deferiti al tribunale militare di Milano con ordinanza del 19 maggio del tribunale di Domodossola, il quale si preoccupa, da un Iato, di "legittimare completamente l'operato della truppa" che ha arrestato i 49 individui e, dall'altro, di far risaltare con evidenza Ia connessione fra i fatti criminosi di Milano e la formazione e marcia delle bande In discorso; uno era lo scopo, la rivoluzione sociale; identici i mezzi, la rivolta armata ai poteri dello Stato, il saccheggio, la distruzione. Quindi è che qualunque è la denominazione giuridica a darsi ai fatti attribuiti agli arrestati, e gli articoli del Codice da applicarsi, sembra che tali fatti non possano non appartenere alla competenza dell'Autorità Militare di Milano funzionante da Tribunale Militare di Guerra, tanto per il proseguimento dell'istruttoria quanto pel giudizio”. Il tribunale militare di Milano, incurante delle testimonianze oculari di uomini d'ordine elvetici e italiani, si atterrà alla versione  delle bande armate, coinvolgendovi anche il Rondani e il Vergnanini e gli altri principali esponenti socialisti e repubblicani rifugiati a Lugano

 

 

[19] La stessa validità giuridica del decreto del 22 giugno era in questione: la Corte dei conti l'aveva registrato con riserva in quanto ledente l'assoluta competenza del potere legislativo, mentre sulla sua legittimità era stata chiamata a pronunciarsi in maniera definitiva, la prima sezione penale della Cassazione di Roma che il 20 febbraio 1900 emise una sentenza che dichiarava l'illegittimità del decreto non essendo stato approvato

[20] ; ACS, Fondo Morgari, b. 2, fase. 2, sottofasc. 6; AGB, fase. Processo Bissolati - Prampolini - Morgari - De Felice (atti istruttori, testimonianze raccolte dal giudice istruttore, car­teggi degli avvocati difensori);

 

[21]Annuario Parlamentare” 1902-5 vol. ix, pag. 891-23. Da allora Morgari fu un punto di riferimento per l'emigrazione russa in Italia, anche per l'elargizione di piccoli sussidi, fin oltre la rivoluzione d'ottobre, dopo la quale tutelò anche socialisti che non aderivano al nuovo regime, cfr. A.Venturi “Rivoluzionari russi in Italia, 1917-1921 “,  Milano,  1979, e A.Tamborra “Esuli russi in Italia dal 1905 al 1917”, Soveria M., 1977 e 2002

[22]Critica sociale” 1903, n.18-19

[23] Carteggio Giolitti”, Milano, 1962, 2. vol.

[24] Sempre Avanti!”, 1. febbraio 1900

[25] Ora in appendice a R.Pisano “Il paradiso socialista. La propaganda socialista in Italia alla fine dell'800”, Milano, 1986. Sull’argomento anche F.Andreucci “Il marxismo collettivo: Socialismo, marxismo e circolazione delle idee dalla seconda alla terza Internazionale”, Milano, 1986; G.Turi “Editoria e cultura socialista (1890-1910)”, in “A. F. Formiggini. Un editore del '900”, Bologna, 1981

[26]  Arturo Frizzi, vita e opere di un ciarlatanoa cura di A.Bergonzoni, Milano, 1979

[27]  Vedi A. Nesti “Gesù socialista. Una tradizione popolare italiana.(1880-1920)” Torino, 1974

[28] F.Pedone “Il Partito socialista nei suoi congressi”, vol.2., Milano, 1961

[29]  Contemporaneamente la CdL di Milano conta 34.000 iscritti, 28.000 quella di Genova e 6.000 Bologna

[30]     G.B.Furiozzi,  Francesco Paoloni e il socialismo integrale, 1892-1917”, Firenze, 1993

[31] Resoconto stenografico del IX congresso nazionale, Roma, 1907, p. 64

[32] G. Arfè, Storia dell'Avanti. Vol. 1, 1896-1926. Milano-Roma, 1963, p. 71

 

[33] Nel dopoguerra divenne seguace di Bonomi; curò il volume “Il colloquio di un secolo fra cattolici e socialisti: 1864-1963”, Roma, 1964

[34] l'A­vanti!, 17 luglio 1908, "Possono i Socialisti cristiani iscriversi al nostro partito? riportata anche in A.Luciani “Socialismo e movimenti popolari in Europa”, vol. 2,t.2, Venezia, 1985" «On. Morgari, Ella gentilmente c'invita nell'Avanti! di alcune sere fa ad esporre le idee che hanno condotto noi e numerosi nostri amici democratici cristiani, aderenti alla Lega democratica nazionale, a fare una professione di fede socialista; e il suo invito è cosi cortese, ed è un indizio cosi indubbio di una serenità che molti si ostinano a non vedere fra i socialisti, che noi non possiamo sottrarci a quest'atto di "coraggiosa sincerità", come Ella lo chiama. Ella sa, onorevole Morgari, come un nostro ordine del giorno sull'indirizzo sociale che avrebbe dovuto assumere la Lega democratica nazionale nel prossimo Congresso, ordine del giorno esplicitamente socialista, abbia diviso in due frazioni la sezione romana della Lega stessa. Dall'una parte la nostra corrente; dall'altra quella dei democratici-cristiani vecchio stile, la quale crede conformemente all'antico programma sociale-cristiano di rimediare alle ingiustizie della società at­tuale cercando soltanto di infonderle un nuovo spirito morale, e ritoccandone alquanto le istituzioni, ma mantenendole nella loro struttura fondamentale..(...).La nostra adesione al socialismo, on. Morgari, ha radice nelle nostre convinzioni religiose. La religione per noi non è una credenza intellettuale in certi principi astratti od un ceri­moniale, cioè un insieme di pratiche cristallizzate, come la predicano e la sentono i seguaci della tradizione. La religione è anzitutto e soprattutto un atteggiamento pratico e vitale di fronte al problema dell'essere e della vita: è l'atteggiamento dell'uomo che sente la propria insufficienza individuale, e cerca di completare ed integrare la propria esistenza entrando in comunione di vita con una potenza superiore, di cui egli sente essere una parte. La vita religiosa è una vita di effusione, di allargamento per cui all'uomo vecchio fatto di egoismo sottentra l'uomo nuovo assetato di amore e di giustizia. Nulla quindi di più contrario alla religione dello spirito individualista, sia esso morale od economico, per cui l'uomo considera se stesso come centro e fine delle proprie azioni e subordina gli altri ai propri desideri. Duto questo concetto della vita religiosa, per cui essa non viene concepita come una forma particolare di vita contrapposta a quella morale, economica, ecc., ma come un orientamento di tutta la vita, era naturale che noi dalle dispute filoso­icho e teologiche, scendessimo alla considerazione dei problemi sociali. E di fronte alla società presente, che della conquista della ricchezza fa una guerra atroce fra uomo e uomo, e crea un dualismo gravido di lotte e di odii tra capitale e lavoro, fra produttore e consumatore, noi ci siamo domandati: corrisponde questa società al nostro ideale religioso? Perché il principio cristiano della solidarietà e della cooperazione deve rimanere un principio morale astratto e non può, incarnandosi in una società, divenire la legge della produzione e dello scamblio? Perché mai questa vita a doppia partita? Ed allora noi abbiamo profondamente sentito la bontà dell­'ideale socialista; noi abbiamo sentito che oggi il socialismo non rappresenta soltanto un esercito di sfruttati, spinti dall'in­sofferenza del giogo padronale verso la conquista di un'esistenza migliore, ma rappresenta l'umanità nelle sue più nobili aspirazioni di giustizia e di solidarietà, aspirazioni che il prole­tariato ha l'alta missione storica di realizzare....Sulle labbra di Cristo suonarono i più forti accenti di speranza che mai abbia udito l'umanità, e il Cristianesimo sorse come una gran­de speranza nell'avvento di un regno che non era già quello dell'oltretomba, ma un regno terreno di giustizia e di amore, Solo durante i secoli da speranza sociale che esso era, divenne speranza individuale, una partita personale fra l'uomo e Dio. Ma il nostro cristianesimo non solo ci ha convinti della bontà e della verità delle aspirazioni socialistiche, ma ci dà pure la speranza e la fiducia ch'esse possano pienamente trionfare. Se il socialismo per attuarsi richiede una forte trasformazione psicologica dell'individuo, una trasformazione delle tendenze egoistiche e particolariste in tendenze altruistiche, chi meglio di noi che abbiamo cosi profonda fiducia nell'energia creatrice dello spirito umano e siamo gli umili ma consapevoli rappre­sentanti di una religione che fu detta di liberazione, appunto perché ammette le ampie possibilità di trasformazioni e di adattamenti dell'uomo, chi meglio di noi potrà avere fede e speranza nel divenire della società socialista? Del resto la storia costituisce una luminosa riprova della verità della nostra convinzione: tutte le volte che il cristianesimo è stato profon­damente vissuto e sentito, esso non si è rivelato soltanto come movimento religioso, ma come movimento sociale.(...). Se quelle idealità cristiano-comunistiche non si realizzaro­no, si deve più tosto al fatto che i rappresentanti di esse non seppero accoppiare all'alta visione ideale quello spirito critico e quel senso realistico della vita politica e sociale che è carattere proprio del socialismo attuale. Anche l'Avanti! on. Morgari, accennava recentemente in una corrispondenza americana ad un grande movimento del clero umericano verso il partito socialista, al quale avevano aderito vescovi e sacerdoti numerosi; il Congresso pan-angli­cano, teautosi in questi giorni a Londra, ha dimostrato quale formidabile corrente in favore del socialismo vi sia nel clero anglicano; parecchi clergymen hanno fatto delle dichiarazioni socialiste nel più largo senso della parola, tra applausi fragorosi dell'assemblea: in Francia e nel Belgio, Jaurès e Vandervelde, tra i socialisti, hanno mostrato di capire tutto il vantaggio che alla causa socialista potrebbe venire dal rinnovamento del cristianesimo; in Inghilterra i socialisti hanno inaugurato delle cosi dette Chiese di lavoro ...Noi sentiamo le difficoltà che in Italia si oppongono ad un movimento simile, ma nutriamo profonda speranza che pro­gressivamente si possa attuare un'intesa fra le persone since­ramente cristiane e la democrazia socialista. E concludiamo, onorevole Morgari, con una domanda :a chi professa i nostri ideali sono aperte oggi le file del Partito socialista? »

[35] Si veda il contradditorio con il cattolico triestino Antonio Pavissich (1851-1913) sostenuto a Monza il 10 febbraio 1901, così come gli articoli di stampa contro il vescovo di Cefalù poi raccolti in Un lupo in mitria: requisitoria contro sua accellenza rev.ma monsignore dott. don Gaetano D'Alessandro,vescovo e parroco di Cefalù in Sicilia”,  Corigliano calabro, 1905 

[36]Intervistato dal “Grido del popolo” il 20 settembre 1907, ammonival'anticlericalismo, col prendere forma parolaia, quarantottesca, di vecchio stile democratico, costituisce un vero danno al nostro movimento di classe sviandone l'attenzione dai problemi del socialismo”

[37] Archivio G.Bergami”, Carte BalsamoCrivelli, cit. in “Gramsci e i lineameti idali del socialismo torinese”, in “Storia del movimento operaio...in Piemonte”, 2. vol., cit

[38]  Del caso si occupò Salvemini in un articolo sull'”Avanti!”, ristampato  in “Il ministro della malavita”, Firenze, 1910

[39]«Esaminata situazione, ritengo che ove Governo pensasse prendere occa­sione avvenimenti Andria per iniziare radicale opera rigenerazione Mezzogiorno, dovrebbe sciogliere amministrazione comunale Andria, aprire processo per asso­ciazione a delinquere che non arrestisi davanti eventuali responsabilità domina­tori comune e deputato Bolognese: sottrarre istruttoria giudice Macchia da tem­po, per varie prove, legato ai responsabili dei fatti, ricercare probabili conni­venti vari funzionari, specie delegato Damiani e sottoprefetto, e loro eventuale destituzione; incriminare carabinieri e soldati, che invece di limitare il fuoco contro autori vari spari che non causarono scalfittura alcuna militi, spararono su quanti curiosi fuggenti transitavano via Carmino, ingigantendo conflitto; sciogliere corpo guardie notturne e campestri in cui attendono pregiudicati; disperdere con mezzi legge aggruppamenti malavita andriese, che acquiescente polizia costituisce braccio esecutivo dominatori comune e deputato collegio; sus­sidiare famiglie morti e feriti. Qualora anche questa volta Governo, traverso sua inchiesta istruttoria eludesse obbligo porre fine malavita locale, inciterò 9000 contadini leghe, più volte vittime violenza suddetta malavita dispederla diretta­mente violenza».

[40] Questo il testo integrale: "Non posso adempiere ad un incarico senza passione, senza fede. Orbene io mi sono andato accotgendoche la maggioranza del gruppo ha bisogno di un segretario abile  Un uomo di cararattere, che resta un socialista è ormai di impaccio alla maggioranza suddetta, fattasi delifinitivamente incapace di tenere alla Camera l'atteggiamento e il linguaggio che a socialisti convengono. E  non  alludo con ciò  all' appoggio  che si è dato e che si  continuera a dare al  Ministero Luzzatti. AI contrario io penso che si potrebbe appoggiare un gabinetto per molto meno quando però il Gruppo mantenesse ad un tempo quella fìerezza politica e ripetesse quelle affermazioni promgrammatiche con cui soltanto - nel contatto con uomini d' altri partiti, specie se cinici e bacati in larga parte -- si può impedire che I'involuzione delle dottrine, l'addomesticamento progressivo, l'arrivismo Io scetticismo penetrino in noi e nelle masse che ci guardano operare. A più riprese, ma invano, tentai galvanizzare la spenta fede nell'animo di molti colleghi...e d'altro canto mi domando se a un segretario compete questa funzione di mentore o se non piuttosto ha l'obbligo di seguire !' indirizzo della maggionza od altrimenti di andarsene. lo me ne vado, ormai ritengo che non convenga applicarsi a irrobustire le enerie  fattive e il prestigio politico del Gruppo che spenderà poi questi valori in modo che io ritengo deleterio: intendo dire in un non lontano m inisterialismo coi giolittiani anche più sporchi, ciò toglierà a! gruppo la rispettabilità morale nel preparare con sapiente lentezza e non nella forma fanciullesca  del Ferri, la partecipaz.ione dei socialisti al governo; e nel tagliare un dopo l'altro i ponti col passato, accentuando per gradi il proprio rinsavimento dalle utopie» originarie, vuoi col fare su di esse il silenzio sistematico, vuoi col retrocedere a volgarità di monarchici nazionalisti e militaristi selihene di scartamento ridotto, vuoi col porre a riposo l'ultima caratteristica di un partito che voglia conservarsi il carattere di sovversivo sul terreno sociale, dico la lotta di classe, per limitarsi a domandare in tono melenso amichevolmente le riforme alla benigna condiscendenza delle classi dirigenti e del governo

[41] F.Pedone “Il PSI attreverso i suoi congressi”, vol.2, cit

[42] ; G.Are “La scoperta dell'imperialismo. Il dibattito nella cultura italiana del primo novecento”, Roma, 1985 M.Degli Innocenti “Il socialismo italiano e la guerra di Libia”, Roma, 1976

[43] C.Pinzani “Jaurès, l’internazionale e la guerra”, Bari, 1970

[44] Avanti, 28 luglio 1914 e Ambrosoli, cit , pag. 323

[45] L.Valiani “Il PSI nel periodo della neutralità. 1914-15”, Milano, 1963, pag. 40

[46] O.M., in  Avanti!,  25 ottobre 1914: Mussolini parve a tutti noi che fosse venuto a Bologna con la ferma intenzione di non andare d’accordo con la Direzione: perché un uomo della sua intelligenza non poteva supporre che 13 persone che sono a dirigere un partito di quasi 60.000 uomini, avessero potuto da un momento all’altro cambiare opinione…solo perchè uno solo, per quanto apprezzabilissimo, era in un nuovo ordine d’idee”

[47] L.Trotskij “La mia vita

[48] La Stampa, 27 settembre 1914. La lettera è stata riprodotta in C. Battisti: Scritti politici e sociali,  Firenze, 1966, p. 470-476. . In essa Battisti in risposta all'affermazione dell'indifferenza delle masse operaie italiane d'Austria per l'irredentismo sottolineava lo stato d'oppressione in cui l'Austria-Ungheria teneva le sue nazionalità, il che ne avrebbe sicuramente determinato lo sfacelo a seguito della guerra, il gravissimo malessere, materiale e morale del  Trentino, e il fatto che gli italiani d'Austria già versavano il loro sangue sui campi di battaglia per una causa che detestavano, e scriveva: «Invano io ho cercato sino ad ora sulI'Avanti! " e negli altri periodici socialisti le ragioni pratiche, tangibili della neutralità adatta a persuadere anche chi non ha dimestichezza con Engels e con Marx. Vi ho trovate lunghe disquisizioni filosofiche sulla collaborazione e sulla lotta di classe, disquisizioni che mi hanno fatto l'effetto di un predicozzo sulle cause della miseria a chi, avendo fame, chiede pane e lavoro».

[49]  Atti parlamentari, Camera del deputati, tornata del 1. luglio 1916. Il collega è il repubblicano Eugenio Chiesa

[50] « [...] non parlo dal punto di vista socialista dottrinale, il quale contiene una verità profonda, ma unilaterale. La interpretazione materialista della storia spiega sempre ad un modo 11 fenomeno della guerra. Per essa la guerra è sempre il portato degli interessi economici delle classi dirigenti. Ogni guerra altro non è che una bassa e criminosa manovra del capitalismo. Vi è del vero in questa tesi, ma non vi è tutta la verità ».

[51] A. Balabanoff:Ricordi di una socialista”,  Roma, 1946, p. 104 «Tutto ad un tratto dallo scanno occupato dalla delegazione italiana, si sentì un " non posso votare ". Era il delegato italiano Morgari, che già all'esordio della lettura del manifesto aveva fatto segni di diniego.

[52] Così l'Avanti! del 23  luglio 1917:"Nel marzo  de1 1916 a Berna l'on. Morgari conobbe per  il  tramite del vecchio  internazionalista Enrico Bignami il segretario del pacifista Enrico Ford ......Ford è un uomo speciale, entusiasta, ingenuo, che in un convegno con Wilson aveva dichiarato di  essere disposto a dare tutto il suo patrimonio (750 milioni) per abbreviare   d'un giorno la guerra. Aveva qualificato la guerra degli Stati Uniti contro il Messico  come un episodio di pirateria  capitalistica, usando, inconsapevomente, un linguggio quasi marxista. Invitato da una pacifista ungherese,  si decide a fare una spedizione in Europa  per  determinare una pressione dei neutri per por fine alla guerra. Morgari pensa che sarà possibile dare un contenuto concreto a questa attività ideologica e sterile di per sé  . Zimmerwald  disponendo di sole  tremila lire ha fatto un lavoro enorme: cosa potrebbe fare se disponesse di maggiori mezzi? ......Egli voleva proporre a Ford di assegnare 50 milioni per fare attraverso 10 quotidiani opera antibellica, per rafforzare le minoranze antiguerraiole, per spezzare l'anello di ferro che le polizie e le censure aveva stretto attorno a Zimmerwald...." 

[53] Istituto Gramsci, Archivio Serrati, viii/83-83 bis

[54]  O.Morgari “Le due Vittorie” in Avanti!”,  6 novembre 1917

[55] Morgari scrisse un opuscolo: "La più internazionale delle internazionali " pub­blicato nel 1915, apparso a puntate anche sull'Avanti! del 19-20-21-22-24-26 agosto. A proposito della «questione esperantista», che polemiche abbastanza vivaci suscitò in campo socialista sembra opportuno sottolineare la posizione di Gramsci, decisamente avversa alla diffusione di una lingua unica inter­nazionale come mezzo per facilitare i rapporti intemazionali e far comunicare gli operai dei diversi paesi. «Le spinte linguistiche avvengono solo dal basso in alto; i libri poco influiscono sul cambiamenti delle parlate: i libri fanno opera di regolarizzazione, di conservazione delle forme linguistiche più diffuse e più antiche».  Di conseguenza i socialisti dovevano opporsi ai sostenitori dell'esperanto, preoccupandosi soltanto dell'«avvento del collettivismo e dell'Internazionale» i quali soltanto avrebbero potuto portare a un «conguagliamento delle lingue ario-europee».

[56]Questo il resto della lettera«Mi trovo 'imbottigliato' in Olanda. Quale italiano non posso traversare la Germania. Quale zimmerwaldiano e pacifista, non l'In­ghilterra e la Francia. Una pratica avviata da questo nostro R° Ministro con i due ambasciatori dell'Aja attraverso Sonnino non ha dato ancora alcun frutto decisivo. Avrei potuto rimpatriare facendo un giro lungo, per la Spagna o... per New York ma dal 1° febbraio, cioè dall'inizio della guerra sottomarina rinforzata, nessun piroscafo per passeggeri è più partito dall'Olanda. La Germania pretende che non tocchino l'In­ghilterra, questa pretende di visitarli in un porto inglese e le negozia­zioni durano da due mesi, né se ne vede la fine.  Resta libero – per modo di dire – un ' canale ' che dall'Olan­da, teoricamente, conduce in Scandinavia: largo 20 miglia, con campo di mine inglese a destra e tedesco a sinistra, qualche cannonata per sbaglio e sottomarini tedeschi di guardia che, se visitano la nave che mi porta ... mi portano prigioniero in Germania.Non è tutto. Occorre essere accettato a bordo, e di regola i cit­tadini dei paesi belligeranti sono respinti. Ma supponiamo che io sia riuscito a sbarcare in Scandinavia. Mi si permetterà l'ingresso in Rus­sia? Il governo provvisorio è ... interventista quanto l'inglese e il francese. Non si esigerà come di regola un visto italiano precedente? E questo mi sarà concesso? Vero è che io mi recherei laggiù tuttaltro che per consigliare una pace separata. Mai la chiedemmo in Italia. Noi vogliamo la pace tutta, non un miserabile ritirarsi d'uno dei combat­tenti che, tradendo gli alleati, mette al sicuro la pancia. Ma chi sa que­ste cose? Noi tutti passiamo per germanofili, quando non per venduti. (Aggiungi che una pace separata russo-tedesca porterebbe a questo, che gli Imperi Centrali, vittoriosi, accetterebbero più tardi l'invito che la borghesia russa loro farebbe di accorrere a salvarla dalla marea socialista. Ne conseguirebbe lo schiacciamento dei nostri, la sostituzione della repubblica con un nuovo tzarismo moderatamente costituzionale e una nuova Santa Alleanza, a parte poi il trionfo del militarismo e dell'imperialismo nelle loro forme più brute). In breve io raccomanderei di riprendere la proposta Wilson senza cessar di combattere.Tornando a noi tenterò questo viaggio (...)»

[57]  In Avanti!, 10 novembre 1917

[58]A nome della sezione socialista torinese, in una lettera datata Torino 29 dicembre 1917

[59]Mi  nominaste segretario   del   partito    neIlo   scorso   febbraio   per   plausibili motivi: 1.Motivi tecnici: occorreva sostituire il posto lasciato vacante da Lazzari con persona sperimentata, ed io ero in quanto segretario del gruppo Parlamentare da anni e come tale membro deIla direzione de! Partito pure da anni; 2.Motivi politici, perche la situazione faceva credere che una sola forma d’azione fosse rimasta al partito, quella parlamentare, cosicché appariva utile che i due segretariati fossero, fin quando quella situazione durava, riuniti nella stessa persona, ugualmente affiatata con i due gruppi, a loro volta in quell’epoca sufficientemente d’accordo nell’unico programma di far fronte alla guerra e alla reazione. L’unicità del segretariato permetteva alla Direzione di trasmettere ne! Gruppo, più direttamente ed efficacemente il proprio consiglio di energica tenace ed intransigente battaglia . 3. Motivi di sicurezza, perché la minaccia di scioglimento e di arresto ne! partito e nella direzione suggerìvano l'espediente di garantire la continuazione di vita di quegli organismi con l'usbergo della medaglia parlamentare, eleggendo a segretario un deputato e immillando un comitato di novi; deputati il prendere le redini del partito nel caso che la direzione fosse arrestata.  Senonché i rapporti tra il gruppo e la  Direzione dopo d'allora mutarono, la mia posizione di segretario unico divenne difficile e discutibile, specie a proposito di due vertenze: quella per la partecipazionone alle Commissioni governative pel dopo guerra e quella per una tattica parlamentare per volgere verso la pace nella qua!e io stesso non mi trovai d'accordo con la direzione. Come potevo continuare ad  essere il portavoce della direzione nel gruppo o   anche solo il   trait-d'union,   ugualmente   dai due lati benvisto,   se   in   queste questioni di capitale   imporitanza  parteggiavo per  il   gruppo  direzionale? Avrei dovuto già allora dimettermi da segretario, ma me ne distolsero varie ragioni: l'imminenza del congresso, l'arresto di Serrati, e quello probabile di Bombacci. La    neutraità dei rapporti personali il timore   che   a   molti   le   mie   dimissioni  apparissero  come   un   ritirarsi   da   una   carica   pericolosa,   l'inizio  di   un   preoccupante sessionamento,   la   coscienza   di   contribuire   ad   attutire  i   contrasti   in   un periodo in cui tutti auspicano che il  partito resti uno». Dichiarato che la situazione era tale da dimostrare l'impossibiltà di un  segretario  unico, proseguì: "mi era parso da principio che lasci voi in un conflitto nel quale sono d'accordo con voi e non col gruppo, ma già nella mia prima lettera ho spiegato che non mi sarei sentito l'animo di sostenere il pensiero della direzione fino a scindere il gruppo e  dimettermi anche da suo segretario se il voto non fosse stato quello che fu. Se prima non mi fossi liberato dal sospelto che su tanto mio attaccamento alla direzione influisse lo stipendio e il bisogno di assicurarmi le spalle nel collegio..”. In altro parole sono venute a cessare le condizioni che resero possibile la mia nomina nello scorso febbraio.  Anche il   pericolo   è   cessato,   non   per   le   singole   persone   ma   per   gli eventi. Resta   la   difficoltà   di   sostituirmi   nel   posto,  ma  si   può   risolvere. In primo luogo io mi sento inferiore al duplice mandato per esaurimento, stanchezza, abitila irrimediabili, ormai lo vedo. Inoltre Bombacci ha dato prova di possedere tutte le doti di esperienza ingegno e carattere necessarie per degnamente tenere le redini di un partito di proletari.  Si risparmierebbo spesa e si otterrebbe maggiore e più snella produzione affiancando il Bombacci con un giovane socialista intelligente e svelto, messo a sua disposizione... Se poi Bombacci fosse arrestato la Direzione esaminerebbe la nuova situazione nata»

[60]In alcuni suoi appunti scrisse al riguardo:  "Questa commissione fu costituita per principale spinta dello scrivente... pensando che ciò avrebbe altresì preparato le basi di quel congresso zimmerwaldiano che era desiderato dalla direziono del P.S.I., considerato che la censura dell'Intesa era riuscita ad innalzare una insuperabile muraglia cinese fra l'Europa occidentale (Italia, Francia. Inghilterra. Spaglia, Portogallo')e il rimanente d'Europa (Imperi Centrali, Russia, Svizzera, Balcani, Scandinavia) muraglia che durerà ancora a lungo per impedire il progresso del bolscevismo dall'Est d'Europa all'Ovest; (che per tale fatto la Commissiono Socialista Internazionale (zimmervaldiana') di Stoccolma era e rimane praticamente inesistente nei riguardi dell'Europa occidentale e dell'America, che quanto a questi paesi, non si poteva affatto utilizzare il Comitato Esecutivo sorto dalla Conferenza interalleata di Londra, interventista o socialpatriotta, o che neppure si poteva utilizzare il Bureau Socialiste International dell'antica Internazionale avente per segretario Huysmans, le cui funzioni rispettose degli statuti e di tutte lo correnti elusi agitano nel socialismo mondiale non potevano essere che neutrali o limitate a convocare imparzialmente i diversi partiti appena il Congresso Internazionale sarà possibile, che dunque   per l' Europa occidentale e  per l'America era necessario creare un   centro d'informazione e di azione a disposizione  delle  correnti di sinistra (internazionalisti,  intransigenti, zimmervaldiani)  nei  suddetti paesi. Per i motivi su esposti, dopo riunioni preparatorie tenute nei giorni 11-12 e 13 ottobre tra Io scrivenite, Kemerer e 3-4 francesi e serbi, il 14 ottobre la Commissione veniva costituita in un'adunanza negli uffici del Populair.

Criteri:  Attivita  modesta ma immediatamente iniziata. La Commissione sara composta di personalità e non di delegati ufficiali per risparmiare tempo ma sopratutto per non mettere nell'imbarazzo certi partiti (ad es. Il francese, nonostante la recente vittoria dei minoritari ). Si chiederanno   successivamente le  ratifiche dei diversi  partiti. Roma 8 gennaio 1919.

[61]  II 5 maggio l'Avanti! pubblicava una nota d'agenzia col titolo:«La fine del Governo sovietista ungherese?». Il 9 mag­gio Genosse (Gustavo Sacerdote) informava sulle trattative di armistizio con la Romania e smentiva recisamente l'occupazione di Budapest: «La no­tizia, evidentemente, è falsa. Noi stiamo ancora in diretta comu­nicazione con Budapest (...). L'esercito rosso continua a battersi con accanimento».

[62] La breve lettera di solidarietà  scritta su piccoli ritagli di carta come si faceva ai tempi zaristi” fu citata da Lenin in un discorso tenuto a Mosca il 17 aprile: Ved.Lenin Sul movimento operaio italiano, pag. 109 

[63] «Fra Vienna e Budapest. La rivoluzione ungherese re­siste», Avanti!, 20 maggio 1919.

[64] «Le menzogne della borghesia», siglato I. S., l'Avanti!',  26 maggio 1919

[65] G.Romanelli,”Nell’Ungheria di Bela Kun e durante l’occupazione militare romena”. Udine, 1964, p. 69-73.; nuova edizione dell'Ufficio Storico Militare, Roma,  2002

[66]Pezzi di colore ricavati da appunti scritti nel mese di maggio furono pubblicati dall’Avanti il 4,5,10,15  agosto. Dal 10 giugno al 15 agosto coprono gli appunti autografi del”Diario ungherese”, in ACS, Mostra Rivoluzione Fascista, b. 130; Alcuni estratti in G. Calciano, “Appunti e documenti sull’attività internazionale di Oddino Morgari” in Rivista storica del socialismo”, 1967, n. 32

[67]Cfr. il resoconto del comizio tenuto alla Casa del popolo nell'«Avanti!» edizione torinese, 19 novembre 1919, “Morgari parla in Borgo Vittoria”

[68] Il deputato socialista Osvaldo Maffioli si trovava in Ungheria allo scoppio della rivo­luzione. Nel giugno  aveva avuto un colloquio con Kun, cui non aveva risparmiato riserve sull'esperimento di dittatura del proletariato realizzato in Ungheria. Il colloquio fu pubblicato con grande rilievo sul «Secolo» del 22 giugno, a firma del giornalista Luciano Magrini, al quale Maffioli aveva fatto delle confidenze. La pubblicità data da tutta la stampa provocò le ire disciplinari dell'«Avanti!», alle quali Maffioli replicò il 27 luglio invocando il giudizio della sezione milanese e rinunciando alle cariche che ricopriva. Morgari era presente al colloquio

[69]Avanti!”, 24 dicembre  1919,  Gli insegnamenti di una rivoluzione”.

[70]  Nota del 22  febbraio 1921, Fondo  Morgari, busta 3413, in ACS

[71] "Diario di Mosca" Fondo  Morgari, busta 3413, 16 nov.1922

[72]  Episodio che rievocherà anni dopo con toni molto critici sul Nuovo Avanti, 5 agosto 1939 ”Alla ricerca della città del sole”, significativamente dopo la crisi con l’Urss e i partiti comunisti provocata dal patto con Hitler

[73]Così lo ricorderà Marzo (G.B.Canepa), in “Le cronache di una vita”, Genova, 1983, che, costretto ad espatriare, era stato indiriz­zato a Morgari: “abitava con la moglie, la Sofia, in una specie di « dépendance » del giornale: un ammezzato composto di una cucina-soggiorno, e una camera da letto attigua a un bugigat­tolo ricavato dal sottoscala che serviva da ripostiglio. Mi ac­colse con grande affabilità…..Non solo, ma quando gli dissi ch'ero stato espulso dalla Francia e dunque che sarebbe stato impru­dente alloggiare in albergo, propose di sistemarmi in quel sottoscala, e io subito accettai, senza preoccuparmi degli inconvenienti che avrebbero potuto verificarsi a causa della coabitazione in un ambiente tanto ristretto…..I compiti che mi vennero assegnati erano fin troppo mode­sti: di buon mattino m'affrettavo a compilare la rassegna stampa per i due direttori; quindi dovevo riordinare gli ap­punti che Morgari aveva lasciato sul tavolo e ricopiarli per benino perché poi, al suo arrivo, potesse più agevolmente correggerli e ampliarli. Questo lavoro di copiatura dovevo ripeterlo più d'una volta, fino alla stesura finale dell'articolo: un lavoro manuale, dunque, da semplice scrivano, ma lo fa­cevo con grande scrupolo, pago della fiducia che m'era stata accordata. Ed era una fiducia piena, perché quando Morgari doveva comunicare agli altri membri della Concentrazione notizie o documenti riservati e importanti, a me soltanto ve­niva affidato il compito di recapitarli. Mi si presentò così l'occasione di intrattenermi con personaggi politici famosi: ad esempio con Gaetano Salvemini…..Nenni, Modigliani, Claudio Treves... Più spesso però, e regolarmente, dovevo recarmi da Francesco Saverio Nitti, che ….(…)..m'incuteva un rispetto pieno di defe­renza. Cosicché ogni qual volta sosteneva una caduta del regime fascista, in conse­guenza dell'inevitabile crisi economica che ben presto avrebbe costretto Mussolini a dimettersi, mi guardavo bene dal sol­levare dei dubbi, ma l'ascoltavo come se fosse un oracolo. I dubbi li sollevava poi Morgari che, quando gli riferivo quelle previsioni, si affrettava a smorzare il mio entusiasmo dicendo che la caduta del fascismo basata esclusivamente su delle leggi economiche, era opinabile, essendo le previsioni in tale materia il più delle volte destinate a restare un pio desiderio. Morgari era un uomo di indubbio buon senso, e l'espe­rienza che feci nel periodo in cui rimasi al suo fianco con­tribuì non poco a costituire il sustrato ideologico della mia futura vita politica. E' dal suo insegnamento infatti che ap­presi a considerare l'anticlericalismo che mi animava, e ch'era diffuso non solo nei repubblicani ma anche nei socialisti, un atteggiamento destinato a ostacolare il conseguimento della pace sociale; e così pure il settarismo che avevo riscontrato in tantissimi compagni quando ritenevano fascisti coloro che mi­litavano in altri partiti...Anche per questo suo insegnamento conservo il suo ri­cordo con particolare riconoscenza e affetto.”

[74] A.Garosci "Storia dei fuorusciti", Bari, 1953, pag. 18 "..il buon Oddino Morari...il quale viveva poveramente dormendo in una branda alla sede del "Corriere" era rimasto così candidamente fanciullesco da condurre, ignaro, a visitare il giornale e gli archivi il viceconsole di Nizza, Spetia, che era anche commissario di polizia"

[75] Questo il ricordo di Vera Modigliani che lo frequentò negli anni ’30, in “Esili”, Milano, 1946 “Una grossa testa calva: appena una corona di capelli ancora scuri gl'incorniciava il basso della nuca e discendeva sul collo forte. Aveva gli occhi vivi sotto le sopracciglia folte, quando, raramente, li sollevava sull'interlocutore. Ma li teneva di preferenza abbassati, quasi a guardarsi dentro, nell'anima, in quel lavorio d'introspezione, di autocritica ansiosa, che non lo ab­bandonava mai e che faceva spesso di lui un esitante e talora un contraddittore di se stesso. Ho visto a volte quegli occhi accendersi nell'ira e nello sdegno, ed al­lora anche la voce, che era di solito piana, quasi som­messa, si levava in uno scatto, e le parole si rincorre­vano affannose. Ed anche, ma di rado, li ho visti il­luminati da un sorriso. Un grosso naso dava a quel viso, che avrebbe po­tuto sembrar severo, un’impronta di bonarietà. Una barbetta breve, appena grigia, gli copriva il mento. Tutti i suoi atteggiamenti erano semplici, corte­si e improntati a un. desiderio di non mettersi in mo­stra. Eppure non era modesto. Aveva precisa in sé la nozione del proprio valore, e quel suo fare riserva­to, quasi ritroso, era dovuto forse al desiderio di ve­der chiaro in se stesso, di districarsi nel numero infi­nito dei «pro e contro». L'ho visto, per ore e ore, assistere ai dibattiti delle riunioni, quasi mai partecipandovi attivamente, apparentemente impassibile, con un immobilità di Bud­da, l'eterna pipa nell'angolo delle labbra, sempre cogli occhi abbassati, prendendo instancabilmente, su ri­tagli di carta, appunti ed appunti. (Minuta calligrafia di uomo che predilige il dettaglio…).  era un'anima mistica di un santo, ma un santo cosciente della propria santità….. Da giovane  doveva esser stato robusto e tarchia­to: conservava ancora un po' quella sagoma. Ma ora gli abiti vecchi e trasandati gli si afflosciavano sul corpo dimagrito. Aveva quasi sempre al fianco la sua Sofia, più giovane di lui, ma anzi tempo appassita. La trattava come una bambina di scarso discernimento; lei, però, sentiva la grandezza morale del suo Oddino e gli tributava un'assistenza se non sempre riposante, sempre devota e premurosa.”

[76] O.M. "Il trionfo del fascismo. Di chi la colpa?", in   "Problemi della rivoluzione italiana" , 2. serie, n.6, settembre 1938

[77] S.MerliI socialisti, la guerra, la nuova Europa : dalla Spagna alla Resistenza, 1936-1942”, Milano, 1994

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