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Biografia
Giulio Einaudi
Nato a Dogliani, in provincia di Cuneo, il 2 gennaio 1912 da Ida
Pellegrini e da Luigi Einaudi, prestigioso economista e appassionato bibliofilo, poi
diventato primo presidente della Repubblica italiana (dal maggio 1948 all'aprile 1955). Frequenta il ginnasio-liceo
Massimo D'Azeglio, e diventa allievo dell'antifascista Augusto Monti. È in questo
contesto che compie la più formativa delle esperienze. Accetta il consiglio di
Monti di prendere, lezioni da un suo ex allievo che è già all'università: Massimo Mila.
Mila, complice il latino, diventa amico di Einaudi e lo introduce nella «confraternita»
degli ex allievi del D'Azeglio fra i quali ci sono «Ces» o «Paves» o il «Barone»
ovvero Cesare Pavese; «Agenzia Tass» o «il barbuto lion dei Monti Urali», che è Leone
Ginzburg, soprannominato così perché nato in Russia; Norberto Bobbio, detto «Bindi», e
poi anche Vitttorio Foa, Giulio Carlo Argan, Ludovico Geymonat; un giovane professore,
Franco Antonicelli, e altri. E gli incontri della «confraternita» (è stato Mila a
chiamarla così) con il professore, al caffè Rattazzi, nelle case dell'uno e dell'altro,
molte volte in trattorie, si snodano in discussioni che spaziano dalla politica alla
filosofia, alla letteratura.
Nel 1929, presa la maturità, si improvvisa amministratore de «La Riforma Sociale», la
rivista del padre, con l'intenzione di potenziarla. Sebbene fosse destinato a fare il
medico, a poco più di ventanni si lancia nell'editoria. Un giorno, il padre Luigi
incontra Augusto Monti e gli dice: «Sa una cosa, professore? Il mio Giulio si è scoperto
la bozza del lanciatore di libri e riviste...vuol fare, dice lui, l'editore». È una
grande notizia per i compagni che caldeggiano subito l'iniziativa. E infatti il 15
novembre 1933 nasce ufficialmente la «Giulio Einaudi Editore» al terzo piano di via
Arcivescovado 7, nello stesso palazzo che era stato sede dell'«Ordine Nuovo» di Antonio
Gramsci. "L'interesse" delle autorità per la neonata casa editrice non tarda a
venire. Una nota della polizia alla segreteria particolare di Mussolini annuncia che essa
«avrà il com pito di diffondere pubblicazioni antifasciste abilmente compilate» e
segnala che si sono svolte riunioni a Torino, Milano e Firenze per «aggruppare gli
azionisti o sovventori» fra i quali ci sono «Nello Rosselli fratello del fuoruscito; il
senatore Ruffini, Luigi Einaudi, il senatore Della Torre» e altri non meglio identificati
«professionisti torinesi e milanesi». Il documento è del 9 marzo 1934. Quello stesso
anno la casa editrice, che aspira a realizzare «un progetto editoriale con interventi nel
campo della storia, della critica letteraria e della scienza e con l'apporto di tutte le
scuole valide, non appiattite dal prevalere della politica sulla cultura», pubblica il
primo volume: "Che cosa vuole l'America?" di Henry Agard Wallace, allora
vicepresidente degli Stati Uniti, con una coraggiosa prefazione di Luigi Einaudi. «Di ben
31 pagine», scrive stizzito Mussolini sul «Popolo d'Italia». La grande avventura è
cominciata.Giulio Einaudi gestisce l'impresa fin dall'inizio in maniera collegiale. Non fa
l'editore padrone, è come un principe illuminato che ama il lavoro di gruppo. Ogni scelta
matura in appassionate discussioni con i suoi amici-collaboratori. In quelle che saranno
poi le tradizionali riunioni del mercoledì è lui che ha l'arte di attizzare i contrasti
per provocare benefici e proficui scatti delle intelligenze. Da subito dedica una cura
particolare alla fattura dei libri: la carta, la legatura, le copertine (a lungo disegnate
da Francesco Menzio), e anche la grafica per la quale sarà all'avanguardia grazie alla
collaborazione di maestri come Bruno Munari, Albe Steiner e Max Huber.
Significativo dello spirito che anima l'impresa editoriale diventa ben presto il simbolo
che comincia ad apparire sui libri, l'ormai famoso struzzo nell'atto d'ingoiare un chiodo
con il motto: «Spiritus durissima coquit», ovvero una volontà capace di digerire anche
i chiodi. Una volontà che rasenta la fede nelle vicissitudini dei primi dieci anni,
quando Einaudi e soprattutto i suoi più stretti collaboratori devono fare i conti con
arresti, condanne al confino, con tutti i drammatici problemi del fascismo e della guerra.
Einaudi collabora con il gruppo torinese di «Giustizia e libertà» e, il 15 maggio del
'35, subisce l'arresto, insieme con i suoi amici Mila, Ginzburg, Foa, Antonicelli, Bobbio,
Pavese, Carlo Levi e Luigi Salvatorelli. E prima imprigionato, poi inviato al
confino.
Ma nel '36 il lavoro della casa editrice può riprendere. Leone Ginzburg e
Cesare Pavese sono le due colonne su cui poggia la casa editrice. Il primo, innanzitutto,
che affianca l'amico editore fin dall'inizio e fornisce «i primi semi che, germinati,
sarebbero poi cresciuti». E si tratta della collana dei "Saggi", di quelle dei
"Narratori stranieri tradotti" e della "Biblioteca di cultura
storica". Pavese entra invece a lavorare a tempo pieno dopo un primo periodo di
collaborazione in cui ha fatto, sono sue parole, «il cavallo di stanga del biroccio di
Einaudi». E col suo arrivo porta le traduzioni di Defoe, Gertrude Stein, Dickens,
Melville e altri, le sue opere di narratore e poeta, le sue letture e revisioni di testi
da pubblicare.
In questo menage intellettuale a tre se Leone Ginzburg e Giulio Einaudi di tanto in tanto
litigano, non si parlano per qualche giorno e poi si riconciliano scrivendosi lunghe
lettere, Pavese fa la parte del castigamatti. È così meticoloso, puntiglioso, preciso da
trovare sempre qualcosa su cui brontolare. Rimprovera soprattutto i compagni di arrivare
troppo tardi la mattina, lo irrita che se ne vadano a mangiare addirittura alle tre. Lui
invece è già lì la mattina molto presto e se ne va puntualmente all'una. Non rinuncia
alle sue abitudini anche cascasse il mondo. Infatti quando i bombardamenti dell'agosto
1943 colpiscono la nuova sede della casa editrice in corso Galileo Ferraris (lo stesso era
accaduto un mese prima per l'altra di via Mario Gioda 1, oggi via Giolitti) lui non fa una
piega. Arriva presto come sempre, guadagna fra le macerie il suo ufficio, toglie i
calcinacci dalla scrivania e si mette a correggere le bozze.
Neppure il confino interrompe la collaborazione di Leone Ginzburg. Da Pizzoli, in Abruzzo,
dove è relegato con la moglie Natalia, le sue cartoline postali inondano la casa
editrice. In una di queste fa sapere di non condividere il titolo della collana di
narrativa contemporanea che sta per essere inaugurata. Non gli piace che si chiami
"Biblioteca dello Struzzo" perché a lui fa pensare «a libri indigeribili che
solo uno struzzo può divorare». E propone "Scrittori contemporanei". Einaudi
finisce per accontentarlo, la ribattezza "Narratori contemporanei" (ma molti
anni dopo, nel 1970, chiamerà "Gli Struzzi" una collana tascabile
prevalentemente letteraria). Quella collana debutta con "Paesi tuoi" di Cesare
Pavese che, allegro, ha scritto all'editore accettando la pubblicazione del libro:
«Gradirei che simbolicamente mi fosse versato in anticipo n. 1 pipa, onde fumarmela e
preparare in serenità altri e più seducenti racconti».
Si aggiungono nuovi collaboratori. Compare Giaime Pintor, tenente del regio esercito,
nipote di un generale. Diventa amico di Pavese che dissipa la diffidenza degli altri verso
questo giovane brillante con la colpa di aver vinto i littoriali della cultura e
dell'arte. Pintor per le sue incombenze militari si reca spesso in Francia e in Germania:
torna con preziose informazioni culturali e nuovi libri. Fa parte degli einaudiani pure
Carlo Muscetta. È lui che vara la "Universale Einaudi" di testi classici in cui
appare l'"Antologia di Spoon River" di Edgar Lee Masters che segna l'esordio,
come traduttrice, di Fernanda Pivano. C'è poi una nuova scrittrice, Elsa Morante, che con
"Le bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina" da lei stessa illustrate
inaugura la collana "Libri per l'infanzia e per la gioventù" nella quale
compaiono di lì a poco anche "Le Macchine" di Bruno Munari, il volume più
spassoso e più nuovo per quei tempi. Con "Le occasioni" Eugenio Montale ha
inaugurato la collezione "Poeti". È stato il poeta a proporre il libro
rifiutando la richiesta di Giulio Einaudi affinché scrivesse un saggio sulle tendenze
«sane e deleterie» dei poeti contemporanei più rappresentativi. Alla lettera
dell'editore, Montale risponde dopo sette mesi chiedendo: pubblicherebbe la raccolta delle
mie poesie posteriori a "Ossi di seppia"? In mille copie da vendere a dieci lire
l'una?
Poi, l'8 settembre 1943 blocca ogni attività. La lotta di resistenza sparpaglia tutti.
Leone Ginzburg il 20 novembre viene arrestato a Roma e rinchiuso nel braccio tedesco di
Regina Coeli dove muore il 5 febbraio dell'anno successivo a soli 34 anni. Anche il
ventiquattrenne Giaime Pintor, il più giovane degli einaudiani, muore mentre cerca di
unirsi ai gruppi della lotta partigiana. Giulio Einaudi si rifugia alcuni mesi in Svizzera
e di là, già pensando al dopo, scrive e telefona per assicurarsi i diritti di scrittori
come Hemingway, Sartre e altri. Quindi rientra in Italia unendosi alle brigate garibaldine
in Val d'Aosta. Pa vese trova rifugio dai padri so maschi, nel collegio
"Trevisio" di Casale Monferrato. Nell'ottobre 1944 Einaudi viene inviato in
missione a Roma. Là incontra per la prima volta Palmiro Togliatti ed è l'inizio di una
serie di contatti dai quali scaturirà, fra il 1947 e il 1951, la pubblicazione di
"Lettere dal carcere" e dei "Quaderni" di Antonio Gramsci.
Se dopo la guerra c'e una casa editrice che non deve farsi perdonare alcun
peccato, neppure veniale, di collusione con il passato regime questa è certamente la
Einaudi. L'editore torinese si circonda di intellettuali e scrittori come Elio Vittorini,
Italo Calvino, Natalia Ginzburg, Luciano Foa, Giulio Bollati, che si aggiungono a quelli
che sono con lui dalla fondazione. L'Einaudi, all'avanguardia quando è stata fondata,
continua ad esserlo ora che si respira libertà e democrazia. E lo dimostra subito nel
settembre del 1945 cominciando a pubblicare «Il Politecnico» diretto da Elio Vittorini.
Il periodico, modernissimo nella grafica di Albe Steiner, vuole rispondere al bisogno di
una divulgazione popolare e immediata. E quanto questo sia reale appare dal suo iniziale
successo. Ma lasciamo stare le polemiche, che si trascinano fino a oggi, sui reali motivi
(politici?, economici?) che spingono Giulio Einaudi a interrompere le pubblicazioni due
anni dopo. Fatto sta che la rivista Il Politecnico, diretta da Elio Vittorini, chiuderà
dopo la polemica tra Togliatti e Vittorini, che si rifiuta di "suonare il
piffero della rivoluzione".
Con l'esperienza del "Politecnico", forse anticipatrice anche di
certe scelte che matureranno molti anni dopo nell'editoria periodica, Vittorini comincia
una intensa collaborazione con la casa editrice dello Struzzo ideando una collana ormai
mitica: "I gettoni". È lì che lui, generoso scopritore di talenti, pubblica
per un decennio le opere di nuovi scrittori come, fra gli altri, Carlo Cassola, Beppe
Fenoglio, Mario Rigoni Stern, Anna Maria Ortese, Lalla Romano.
Cesare Pavese dal 1945 è tornato a lavorare freneticamente nella casa editrice, sempre
più una colonna, sempre più brontolone e tormentato. Nei cinque anni che lo dividono dal
suicidio, attuato poco dopo aver vinto il Premio Strega con "La bella estate",
riempie di sé gli uffici di via Biancamano 1 e della sede romana. Ricompare anche Felice
Balbo, mente pensante della sinistra cristiana, l'autore de "L'uomo senza miti",
piccolo, serio, che parla, parla. È un eterno entusiasta, è sempre disponibile ad
ascoltare chi porta proposte, trova sempre in un libro stimoli per nuove idee. E corre a
parlarne con Pavese. Ma lui si stizzisce! «Che bisogno c'è di proposte? Siamo pieni di
proposte fino al collo! Me ne infischio delle proposte! Non voglio idee!». Balbo non
demorde. Va allora a discuterne con Giulio Einaudi, poi con chiunque altro. «Ma perché
deve sempre parlare mentre gli altri lavorano», si lamenta Pavese. E non risparmia i suoi
strali neppure a Massimo Mila, altra "storica" presenza alla Einaudi. «Tu,
Mila, invece di lavorare sodo per il lauto stipendio che ti dona generosamente l'editore,
passi le giornate a casa componendo musica», gli tira le orecchie in una lettera.
Anche Natalia Ginzburg, che in "Lessico famigliare" offre gustose cronache
einaudiane, è entrata a far parte del gruppo. La sua traduzione de "La strada di
Swann", insieme con quella di Giorgio Caproni del "Tempo ritrovato",
realizza il progetto di pubblicare la "Recherche" di Proust.
Leggendarie le riunioni del mercoledì, dove si sceglievano i libri da
pubblicare, o l'annuale incontro in valle d'Aosta per decidere la politica editoriale.
Giulio Einaudi, autoritario, assolutista, perfezionista, ascoltava tutti, ma alla fine era
lui che decideva. Alla casa editrice, dal '45 nella storica sede di via Biancamano, si
deve la scoperta e la pubblicazione di opere che hanno segnato da cultura del '900. Dalla
traduzione della "Ricerca del tempo perduto" di Marcel Proust, alle opere di
Bertolt Brecht, Jean Paul Sartre, Thomas Mann, Jorge Luis Borges, Robert Musil. Immenso il
lavoro di divulgazione storica, culminata alla fine degli anni '70 con "La storia
d'Italia".
Quando Giulio Einaudi e suoi più stretti collaboratori vanno a mangiare
insieme alla Trattoria del Popolo ora è la Ginzburg che si diverte a fare un vecchio
gioco. Comincia a inventare un racconto, poi passa la mano a Pavese che va avanti e a sua
volta la passa allo «scoiattolo della penna», così chiama Italo Calvino, che ci mette
dentro «tanti personaggi fantastici, uomini e donne bellissime, tutti ibernati», ha
ricordato Bona Alterocca.
Piccole cronache di una casa editrice diventata ormai grande e importante. Come quelle
degli impossibili appuntamenti di Carlo Levi che pubblica "Cristo si è fermato a
Eboli" e altre sue opere. Dice che arriva nel pomeriggio. L'editore lo attende
fiducioso insieme con i tecnici che hanno pronte le prove di copertina e coloro che si
devono occupare della promozione del libro. Ma Levi compare tranquillo non prima delle
nove e mezzo di sera. E comincia a discutere piacevolmente di tutt'altro, come se fosse in
visita di cortesia. Ed è un tiratardi implacabile. Alle undici sono tutti sempre lì,
esausti, affamati, a doverlo ascoltare. Piccole cronache d'una casa edi trice che con la
produzione di qualità imbrocca non pochi best seller: "La ragazza di Bube" di
Cassola; "Il giardino dei Finzi-Contini" di Bassani; "Marcovaldo, ovvero le
stagioni in città" di Calvino. Poi c'è "La Storia" di Elsa Morante che
esce nella collana economica "Gli Struzzi". E sono 800 mila copie di vendita, ed
è la prima volta in Italia che una novità appare negli economici.
Poi, dopo quegli anni Settanta, inizia il periodo di crisi. Nel dicembre
83 a causa di dissesti finanziari arriverà per lEinaudi lamministrazione
controllata, che avvierà la transizione verso una nuova struttura societaria nell87.
Giulio Einaudi rimane presidente, ma la casa editrice passa sotto il controllo di
Intracom; dal 94 sarà Mondadori a controllare il 70% delle quote societarie.
Negli anni novanta, dopo la caduta del Muro di Berlino e la crisi del comunismo
internazionale, alcuni intellettuali, fra cui Ernesto Galli della Loggia, accendono una
vivace polemica contro la casa editrice, accusata di non aver saputo seguire una poli tica
editoriale autonoma dalla linea del Pci. Giulio Einaudi non risponde immediatamente, ma è
molto addolorato da queste accuse, a cui replica in sua difesa Norberto Bobbio. Einaudi,
non c'è dubbio, è stato un custode dei valori della Resistenza, un liberale progressista
che dialogava con la sinistra e col Pci. Si è già detto della polemica con Palmiro
Togliatti a proposito de "Il Politecnico". Bisogna ricordare che Einaudi si
rifiuta di pubblicare l'opera completa di Nietzsche. Ma la stessa casa editrice non avrà
problemi a pubblicare il "Mussolini" di Renzo De Felice, uno studioso certo non
di sinistra.
Giulio Einaudi muore il 5 aprile del 1999, a 87 anni, nella sua casa di
campagna a Magliano Sabina, vicino Roma.
(notizie tratte in parte dalla biografia di Luciano Simonelli)
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