«Io ad Auschwitz sono rimasta quattro giorni
soli: se ci fossi rimasta un solo giorno di più penso che sarei impazzita». Così scrive
l'ebrea torinese Elena Recanati: «Sono arrivata in un momento di caos tremendo.
Incominciava già l'evacuazione del campo; in tutti quei giorni ho potuto mangiare una
sola volta pochi bocconi di zuppa: sono stata in appello per delle ore consecutive di
giorno, di notte, continuamente, ho ricevuto tante di quelle botte quante non avrei potuto
mai immaginare, ho assistito per lo meno a tre selezioni, ho visto scene di orrore
inenarrabili, ho sentito quell'indimentica-bile, caratteristico odore di crematorio, ho
fissato come un'allucinata le fiamme dei forni in cui forse stavano bruciando le spoglie
mortali del padre di Guido (il marito, ndr)...». Ci sono molti documenti come questo, nel
libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri, in libreria dal 25 gennaio col titolo «Gli
ebrei sotto la persecuzione in Italia. Diari e lettere 1938-1945» (Einaudi, pagine 39o,
euro 15), che si presenta in anteprima stasera nel ghetto di Roma. Un saggio importante,
che ricostruisce l'intera vicenda storica della tragedia degli ebrei in Italia attraverso
gli scritti dei perseguitati, inquadrati da un'ampia ricostruzione storica e raccolti in
forma di antologia. Il volume come scrive lo storico Michele Sari atti nella
prefazione -- ci consegna «una storia corale di quell'evento, tramite le parole di chi ne
fu vittima, fissate sul momento in forma di lettera o diario». Si va dall'incredulità
per il Manifesto della Razza e le leggi razziali («Sarò tagliato fuori dalla vita del
mio paese che ho tanto amato» scrive il poeta Umberto Saba; «Come è possibile che non
sia più ritenuto degno di essere figlio d'Italia?» si domanda un reduce della prima
guerra mondiale), alla scelta estrema del suicidio per l'umiliazione e l'emarginazione
subita («debbo dimostrare l'assurdità malvagia dei provvedimenti razzisti» è l'ultimo
scritto dell'editore modenese Angelo Formiggini); dalla reclusione nei campi di
internamento italiani («Volentieri mi tramuterei in un uccello per respirare l'aria
libera» scrive una bimba a Ferramonti), alla cronaca dal vivo degli eccidi (come
all'Hotel Meina) e degli arresti di massa (a Roma il 16 ottobre 1943 e in altre città);
dalla fuga in Svizzera alla vita in clandestinità, alla partecipazione alla Resistenza,
fino alla cattura, alla raccolta nei campi di Fosso-li e Bolzano e agli ultimi disperati
biglietti lanciati di treni («Con il cuore afflitto lascio la mia terra natia», «Siamo
in viaggio per terre lontane pieni di fiducia», «Ti scrivo in treno. Salvatevi!»). Il
flusso della scrittura s'interrompe solo con la deportazione nei lager del Terzo Reich e
il vuoto che ne deriva è colmato solo in parte dagli scritti dei pochi sopravvissuti dopo
la liberazione o il ritorno a casa che chiudono il volume (Primo Levi, in una di queste
lettere inedite, anticipai contenuti del suo romanzo La Tregua). Gli autori delle lettere
e dei diari sono sia personaggi noti oltre a Levi e a Saba, Gino Luzzatto, Leone
Ginzburg, Vittorio Foa, Emanuele Artom, Emilio Sereni, Leone Ginz-burg sia
«persone comuni», uomini, donne e bambini di tutta Italia e di ogni ceto sociale. La
raccolta è frutto di un'accurata ricerca durata anni negli archivi pubblici, privati e di
famiglia in Italia e all'estero. Ne viene fuori un libro che, come osservano i due autori
nell'introduzione, è «un affresco storico che assume un significato particolare anche
perché costituito di parole scritte dalle vittime di una persecuzione e di un crimine che
il nazifascismo voleva mettere a tacere ed annientare, e che invece sono arrivate fino a
noi, lasciandoci traccia tangibile, prova storica inconfutabile e memoria indelebile di
ciò che è stato». Cercando di non dimenticare che d'invito di Primo Levi a meditare su
ciò che è stato scrive Sarfatti - vale non solo per ciò che accadde ad
Auschwitz, ma per tutto ciò che è documentato dai brani riuniti da Avagliano e Palmieri
nelle pagine di questo libro».