"Salerno sta vivendo un periodo
di rinascimento, grazie a una classe politica che si è formata negli anni
Settanta quando allUniversità salernitana, oltre al sottoscritto, cerano
personaggi come Filiberto Menna, Giacomo Marramao, Edoardo Sanguineti, Pino Cantillo e
Paola Fimiani". In quel periodo ricco di fermenti culturali e sociali, Achille Bonito
Oliva, il più importante critico italiano dellarte contemporanea, coautore con
Giulio Carlo Argan della Storia dellarte moderna recentemente ripubblicata da
Sansoni, e originario di Caggiano, un paesino sulle montagne che dominano il Vallo di
Diano, aveva una folta chioma, le basette lunghe e il viso incorniciato da un bel paio di
baffi ("era dobbligo allora", sorride). Da allora Salerno è entrata nel
suo cuore, anche per motivi familiari, avendo sposato Annamaria DAgostino, esponente
di unantica famiglia salernitana. Bonito Oliva torna sulle sponde nostrane in tutte
le feste comandate ("Natale, Pasqua e destate") e segue da vicino
levoluzione della città, non facendo mancare, quando può, il suo contributo.
Lei ha trascorso gli anni della sua infanzia tra Caggiano, Polla,
SantArsenio e Sala Consilina. Quali sono i suoi ricordi?
Le mie radici sono nel Vallo di Diano. Io ero il primo di nove figli, i
primi sei nati a Caggiano, dove abbiamo ancora il palazzo di famiglia. Caggiano si trova a
875 metri sul mare, al confine con la Lucania. E un paese tipicamente legato alla
rendita agraria e allemigrazione. Leconomia è basata sulla produzione di
olio, grano e noci, visto che non è possibile uno sfruttamento intensivo della terra. A
Sala Consilina cè la tomba degli Oliva, nobili di origini secolari. Ho vissuto in
quei posti fino ai dieci anni di età, e anche quando ci siamo trasferiti a Napoli, ho
passato molte lunghe e arrovellate estati "deportato" a Caggiano.
Deportato?
Mi sentivo spaesato e avevo una terribile nostalgia del mare di Napoli
e dei miei amici. Erano tre mesi di isolamento, intriso di silenzi, in questa piccola
torre eburnea. Mi trovavo di fronte a uneternità estiva. Però quella solitudine
forzata è stata prolifica per me. Pescavo libri a caso nella biblioteca di mio padre e li
leggevo tutto dun fiato: il teatro di Eugene ONeill (Il lutto si addice ad
Elettra), Lord Jim di Conrad, i libri di Kafka (Il processo, Il castello).
Frequentavo il medico condotto Luigi Coronato, che mi ha fatto scoprire Balzac, Faulkner.
Era quasi una sfida con la luce del sole, fino a quando arrivava il tramonto in questo
palazzo di famiglia con grandi stanze e mobili antichi. Insomma, sono diventato
intellettuale per disperazione
Le sue radici lhanno influenzata?
Dico sempre che sono un critico agrario, perché le mie origini sono di
aristocrazia di campagna da parte di mio padre e di borghesia agraria da parte di mia
madre. La famiglia di mia madre, che fa di cognome Morone, discendeva da Celestino V, il
papa del "gran rifiuto". La famiglia di mio padre aveva anche uno stemma
nobiliare: delle balze con sopra una colomba con un ramoscello dulivo. Mi dicono che
esercitasse anche lo ius primae noctis, non so quando e come, spero con gentilezza e non
tanto intensivamente. Comunque questa doppia origine ha determinato in me un corto
circuito positivo.
Cioè?
Beh, la famiglia di mio padre aveva una mentalità cosmopolita,
viaggiava per lEuropa, manteneva musicisti a Napoli, allIstituto Beethoven. La
famiglia di mia madre era impregnata delletica del lavoro e dello studio. Mio nonno
Prospero Morone era medico condotto a Caggiano. Erano tutti laureati, chi a Torino, chi a
Napoli, chi a Roma, e una volta conseguita la laurea, tornavano in paese ad amministrare
le proprietà e ad esercitare la professione. Se ci aggiunge lo sciacquo dei panni nel
golfo di Napoli, questimpasto ha prodotto la mia personalità.
E vero che da piccolo era irrequieto?
Ero molto turbolento, soprattutto nei due anni passati in collegio a
SantArsenio. Sentivo un senso di soffocamento, e anche di abbandono. Le insegnanti
me le ricordo ancora: Suor Vittorina, che era severa e mi dava i pizzicotti quando non
studiavo il solfeggio; suor Benigna che governava la cucina; e suor Celina, grassa e
dolce, il simbolo dellaccoglienza. Lunica cosa che mi alleviava la vita era
che si trattava di un collegio misto. Corteggiavo tutte le bambine, in questo sono stato
un enfant prodige. Un mio amico era Rocco Curcio, della famiglia che gestisce una
delle più importanti autolinee del salernitano. Una notte, avevo otto anni, entrai nella
camerata delle bambine, dove cera la mia fidanzatina, Lucilla, e fui sorpreso in
flagrante. Mi accusarono di aver oltraggiato il pudore di fanciulle in fiore.
A SantArsenio cera anche Rino Mele
Suo padre e mia madre erano cugini. La domenica la passavo insieme a
Rino, a casa di zio Mario Mele, nel suo giardino, che per me era un luogo di liberazione.
Poi, molti anni più tardi, ci siamo ritrovati a Salerno e siamo diventati anche amici.
Il suo interesse per la letteratura e larte si sviluppa a
Napoli, dopo aver frequentato la scuola dei Padri Barnabiti.
Sì, partecipavo alle conferenze che organizzava la Libreria Guida, con
intellettuali del rango di Pier Paolo Pasolini e Giulio Carlo Argan. Io mi producevo in
lunghi e oscurissimi interventi che duravano anche venti minuti, e che spesso riflettevano
frammenti, stimoli, pensieri che avevo intercettato mesi prima con la lettura.
Scriveva anche poesie.
Ero un poeta visivo. Uno dei pochissimi a livello mondiale, tanto che
leditore Sanpietro di Bologna minserì nellAntologia mondiale di poesia
visiva. Con il mio primo libro di poesie, Made in Mater, partecipai a Fano al
raduno del Gruppo 63, con Alfredo Giuliani, Edoardo Sanguineti, Nanni Balestrini,
Giorgio Celli. Ero anche uno degli animatori del Gruppo Operativo Sud 64, che
raccoglieva pittori, scultori, scrittori napoletani, tra cui Dentale, Diodato, Carlini.
E come "scivolò" dalla poesia allarte?
Merito di Mario Guida, che mi chiamò ad organizzare le mostre nella
"saletta rossa" a PortAlba. Ricordo che la prima mostra che ebbi la
fortuna e il privilegio di presentare fu quella di Pino Pascali e Renato Mambor, che erano
allora degli artisti emergenti di Roma.
Fu alla Libreria Guida che conobbe Argan?
Mi notò e qualche tempo dopo mi segnalò a Filiberto Menna. Era il
64, e Filiberto fu nominato ordinario di storia dellarte allUniversità
di Salerno. Nel frattempo era stato assunto come critico darte dal Mattino. Prima
che partisse per Napoli, Argan gli disse: "Devi conoscere Oliva. E un giovane
critico molto particolare, che coltiva interessi poliedrici. E molto veloce, si
chiama Achille, e un giorno ci scavalcherà tutti
". Nacque un sodalizio molto
forte, che coinvolse da subito anche Angelo Trimarco, primo assistente di Filiberto.
Menna la portò a Salerno
Mi chiamò allUniversità di Salerno, ma senza rapporti di
gerarchia. Grazie a lui, e anche a Trimarco, ho avuto una carriera universitaria facile e,
lo scriva pure, sono stato un po viziato. Menna mi aiutò anche successivamente,
quando nel 76 ho avuto lincarico di storia dellarte medievale e moderna
alla facoltà di Lettere a Salerno, e poi quando nel 78 sono passato
allUniversità di Roma.
Eravate molto amici?
Tra noi cera un rapporto profondo, quasi arcaico, che ci faceva
riconoscere anche fisicamente. Filiberto mi vedeva come una nuvola nera sospesa sul suo
capo e che si spostava insieme a lui. Abbiamo avuto anche momenti di tensione, forse
dovuti alla mia immaturità, forse alla mia crescita veloce, precoce come critico. Ma la
nostra amicizia era saldissima. Ricordo ancora con commozione la sera prima che si
ricoverasse, a cena a casa sua, a colloquiare mano nella mano. Gli debbo molto
personalmente, come credo gli debba molto tutta la città di Salerno.
Che influenza ha avuto Filiberto Menna sulla cultura salernitana e
meridionale?
Filiberto era una figura socratica che portò tanti giovani
intellettuali a gravitare intorno allUniversità e lanciò nella società
salernitana stimoli fecondi, legati allarte, al teatro e, più in genere, alla
cultura. Penso al Festival del Teatro che organizzò con Giuseppe Bartolucci, e alle
straordinarie rassegne darte ad Amalfi con Marcello Rumma. Ad Amalfi si svolse la
prima mostra dellArte Povera, con Pistoletto e Boetti.
E il suo rapporto con Trimarco?
Io e Angelo ci completavamo. Io ero la velocità e Angelo la
riflessione. Io la frontalità, Angelo il riserbo. Io il narcisismo, Angelo
lumiltà. Eravamo complementari, una sorta di soggetto bifronte.
Comera Salerno allora?
Era una città ricca di fermenti, con uno sbocco al mare: una specie di
porta sulla costiera. La popolazione era meno turbolenta di quella napoletana e aveva un
profilo caratteriale più "collettivo", aperto agli incontri. Cerano
gallerie vivaci come Il Catalogo e la Taide. Artisti emergenti come Pietro Lista. Era
unenclave di bellezze naturali e di speranze culturali.
Unenclave animata da una comunità di intellettuali
La nostra era una controcomunità artistica che si formava per alcuni
giorni della settimana a Salerno e poi di nuovo defluiva a Napoli, a Roma e in altre
città dItalia. Una fisarmonica che si apriva e accoglieva altri personaggi e poi si
richiudeva di nuovo. Cerano anche diverse donne, come Lia Rumma, moglie di Marcello,
che dopo la tragica scomparsa del marito ha continuato la sua attività aprendo importanti
gallerie internazionali a Napoli e a Milano, e come la filosofa Paola Fimiani (moglie di
Trimarco, ndr).
Il trasferimento a Roma nel 78 coincide con la sua ascesa a
livello internazionale, ma anche con il suo distacco da Salerno.
Ero in incubazione per la Transavanguardia. Già nel 73 avevo
organizzato la mostra "Contemporanea" a Villa Borghese. Ma da Salerno non mi
sono mai veramente allontanato. Ci torno spesso, anche perché sono molto legato alla
famiglia di mia moglie, i DAgostino.
Salerno è cambiata profondamente negli ultimi anni. Che ne pensa
della nuova città?
Ho visto Salerno trasformarsi, come altre città, con le periferie che
premevano sul centro, fino a una sorta di meticciato rumoroso, anche se ricco di energie.
Negli ultimi anni, invece, cè stata una vera e propria rinascita, grazie al sindaco
De Luca che ha bonificato il centro storico, ha restaurato alcuni elementi, ha permesso a
tanti locali di aprire. Con laiuto di Bohigas è stato dato un volto architettonico
e progettuale alla città
Il segno di uno sviluppo che passa attraverso la politica
e la programmazione, e non è frutto della casualità.
Un contributo lo sta dando anche lei
De Luca mi ha chiamato a presiedere la commissione di concorso per la
cittadella giudiziaria, incarico che mi è stato confermato dal sindaco De Biase. Ho
ritenuto giusto rispondere a queste chiamate istituzionali.
A proposito di incarichi, a settembre Bassolino lha nominata
consulente della Regione Campania in materia di beni culturali. Ha progetti in serbo anche
a Salerno?
Mi sto occupando di vivificare quello splendido monumento che è la
Certosa di San Lorenzo, a Padula. Ogni anno, nel mese di settembre nelle celle dei monaci,
trasformate in ateliers, una ventina di artisti vivranno e lavoreranno individualmente o
interagendo tra loro, producendo opere singole, o a più mani, frutto della contaminazione
di differenti linguaggi. L'edizione di quest'anno, sfociata nella mostra "Le Opere e
i Giorni", è stata filmata da Pappi Corsicato, in un video che ha vinto un premio al
festival del Corto Circuito a Napoli.
Comè nata lidea di utilizzare la Certosa?
E stato un ritorno sentimentale nella mia terra. La chiamata è
venuta proprio attraverso una donna di Salerno, la dottoressa Giovanna Sessa, direttrice
della Certosa, e attraverso il Soprintendente di Salerno ai Beni Architettonici
Prosperetti. Ma soprattutto devo ringraziare il Presidente della Provincia Alfonso Andria,
che ha capito subito limportanza di questo progetto e lha sposato con i fondi
della sua amministrazione e con la sua presenza attiva. Credo che questo sia un altro
segno della crescita di Salerno dovuta allopera di Filiberto Menna.
Che cosa vuol dire?
Voglio dire che la capacità amministrativa dellattuale classe
dirigente di Salerno ha beneficiato di quel clima culturale animato negli anni Settanta da
Menna e dalla nostra controcomunità artistica.
Leredità di Menna è stata raccolta a Salerno dalla
Fondazione Filiberto Menna e da Trimarco.
E vero. E spero che la Fondazione possa sempre più essere
presente sul territorio con attività capaci di stimolare i giovani salernitani verso
larte e la cultura, accompagnando il "rinascimento" della città.