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Le interviste

Giuseppe Galderisi

Un "Nanu" grande come il Mundial

di Mario Avagliano

Ha festeggiato proprio ieri i 40 anni di età, ma Giuseppe “Nanu” Galderisi, attaccante della nazionale ai mondiali del Messico e campione d’Italia con la Juventus e il Verona,  ha ancora nel cuore il ricordo di quel ragazzino “piccolino e nero” che sgambettava nei vicoli di Fratte o sul campetto in terra battuta di Marina di Vietri. Da Padova, dove dirige una scuola di calcio (“Galderisi Soccer Team”), l’ex calciatore di origine salernitana, che faceva impazzire le difese avversarie con il suo estro e la sua rapidità, confessa di avere un grande rimpianto: “Avrei voluto giocare nella Salernitana”. E aggiunge: “Un Galderisi potrebbe presto venire a Salerno, mio figlio Andrea, di 13 anni, capocannoniere dei giovanissimi. E in futuro, chi sa, piacerebbe anche a me tornare nella mia città, magari come allenatore dei granata”.

Lei è nato a Fratte?

Sì, mio padre Francesco è di Calvanico, e di mestiere faceva il carpentiere, mia madre Anna è di Baronissi. Avevo ancora pochi mesi quando, per motivi di lavoro del mio papà, io e la mia famiglia ci siamo trasferiti a Trecasali, in provincia di Parma.

Quando è tornato a Salerno?

Avevo dieci-undici anni. Non è stato facile integrarsi per me che venivo da Parma, ma lo sport mi ha aiutato. Avevo il calcio nel sangue, giocavo per strada, nei vicoli, nei cortili. Mi chiesero subito di entrare nella squadra del rione, la Frattese. Ero attaccante e divenni il piccolo idolo del quartiere. Mi chiamavano Peppe ‘u parmense. Ogni volta che facevo goal, mi davano in premio una coca cola o un dolcetto.

Inizii difficili…

Come dice il mio amico Bettega, se hai un sogno grande dentro, tutto il percorso della vita diventa più facile.

E lei sognava?

Io sognavo sempre. Ogni volta che chiudevo gli occhi, sognavo di fare goal e di diventare un campione.

Nel ’75, a dodici anni di età, Galderisi passa al Vietri-Raito.

Venne a prelevarmi Enzo Campione, che è tuttora un punto di riferimento per me, nel calcio come nella vita. Tra Fratte e Vietri successe quasi un putiferio. I dirigenti e i tifosi della Frattese non volevano perdermi. Mi dispiacque, ma al Vietri-Raito c’era la possibilità di fare provini per i grandi club nazionali…

Che cosa ricorda di quegli anni?

Ricordo che giocavamo su un campetto di terra battuta, con il mare di fronte. C’era sempre il sole e un intenso odore di iodio. A volte il pallone superava la rete e finiva in acqua. Per recuperarlo, dovevamo prendere la barca e inseguirlo remando tra le onde. Nicola, il mio primo allenatore, mi teneva ore e ore a palleggiare, con il pallone attaccato alla “forca”. A 13 anni esordii in prima squadra, in Promozione.

C’erano molti ragazzi?

Era un bel gruppo, con tanti talenti: Marco Pecoraro, che poi andò all’Inter; Franco Della Monica, che fu ingaggiato dalla Juventus. Si viveva molto insieme, anche se il calcio era il nostro sogno. Enzo Campione ci seguiva passo passo, era un fratello maggiore per noi. Senza di lui, parecchi di noi si sarebbero persi.

Lei era tifoso della Salernitana?

Tifosissimo. Non avevamo i soldi per pagarci il biglietto, così io e i miei amici scavalcavamo un muro altissimo per entrare nel vecchio stadio Vestuti e assistere alle partite della grande Salernitana. Quante partite “rubate”! Ricordo ancora la formazione… C’erano diversi campioni: Capone, un attaccante di razza; Chimenti, che faceva spesso il numero della bicicletta e mi entusiasmava; Abbondanza, un giocatore molto tecnico.

Nel 1977 arriva la svolta: viene chiamato dalla Juventus.

A Vietri ebbi l’occasione di fare un provino per la Juventus e uno per l’Inter. Mi prese la Juve e così, a quattordici anni e mezzo, feci la valigia e partii per Villar Perosa, una specie di college bianconero. Ricordo ancora il giorno della partenza alla stazione di Salerno: mia madre e mio padre commossi, Enzo e gli amici che erano venuti a salutarmi.

Da un campetto sul mare alla società più blasonata d’Italia…

Per me fu un salto incredibile. Mi alzavo ogni mattina alle 7 e andavo a scuola. All’una si faceva colazione e poi nel pomeriggio l’allenamento. Alle 10 e mezza, tutti a letto. Dopo qualche mese, mi allenavo già con la prima squadra.

Divenne un po’ la mascotte della Juventus?

Ero il ragazzino da seguire e a cui trasmettere certi valori. La Juve per me è stata una palestra di vita. C’era gente come Zoff, Scirea, Bettega, Boninsegna, Causio, Gentile, che mi ha dato molto. Palleggiavo spesso con Furino. Ogni volta che sbagliavo, mi rincorreva per tutto il campo…

E l’Avvocato Gianni Agnelli, veniva a vedervi?

Sempre, sempre. Mi aveva preso in simpatia e scherzava perché ero piccolino. Diceva che ero “furbo e svelto” e mi ripeteva spesso: “E’ ora di crescere…”.

Fu allora che nacque il soprannome di “Nanu”?

Sì, nel periodo di Villar Perosa. “Nanu”, per la verità, era il soprannome di Franco Della Monica, che veniva da Vietri come me. Franco era un vero fenomeno, tecnicamente più forte di me, anche se purtroppo non ha avuto altrettanto fortuna. Ebbene, quando io arrivai in Piemonte, lui andò in prestito a un’altra squadra. Stessa città, stessa carnagione, mi affibbiarono anche lo stesso suo soprannome.

Nella stagione 1980-1981 Galderisi debutta in serie A.

Che emozione! Era allenatore Trapattoni. Sia quell’anno che quello successivo vincemmo lo scudetto. Io però, devo essere onesto, sento di aver contribuito solo al secondo titolo.

Perché?

Beh, nel 1980-1981 avevo diciassette anni e  feci sempre panchina. L’anno dopo, invece, giocai 16 partite, segnai 6 goal, molti dei quali decisivi per lo scudetto. Sfiorai anche la nazionale. Bearzot si interessò a me, anche se alla fine preferì Selvaggi.

Due anni dopo, passa al Verona. Si era spezzato qualcosa nel rapporto con la Juventus?

No, però con il rientro di Paolo Rossi, c’era meno spazio per me. Io avevo bisogno di dimostrare a me stesso che valevo qualcosa e così scelsi di accettare l’offerta di andare in prestito al Verona. Non mi pentii.

Trovò un bell’ambiente a Verona?

Un contesto perfetto per un ragazzo come me che voleva sfondare. Il gruppo era eccezionale e Bagnoli mi responsabilizzò molto.

A Verona arriva il terzo scudetto.

Stagione 1984-1985. Indimenticabile. Nessuno avrebbe scommesso su di noi.

Il resto della carriera lo passa al Milan, alla Lazio, fino all’approdo al Padova.

A Padova sono stato benissimo. Ho giocato lì per sette stagioni e nel 1994-95 abbiamo anche ottenuto una storica promozione in serie A.

A 33 anni ha fatto di nuovo la valigia ed è volato in Usa.

Insieme a Donadoni. Ho giocato per il New England e il Tampa Bay. E’ stata un’esperienza di vita fantastica, anche per la mia famiglia.

Appese le scarpette al chiodo, ora invece sta tentando la strada dell’allenatore.

Ho frequentato il corso di Coverciano insieme a Mancini, Massaro, Zenga e Vierchwood. Ho allenato la Cremonese, il Giulianova e il Mestre. Finora, però, devo confessare che non ho ancora trovato ambienti dove un allenatore si può esprimere al massimo. Le serie C1 e C2 sono un po’ una giungla. Per carità, sto imparando moltissimo, ma spero di poter fare un salto di qualità il più presto possibile.

Magari con la Salernitana…

Magari… Sarebbe un altro sogno che si realizza. Purtroppo durante la mia carriera calcistica non ho avuto la fortuna di indossare la maglia granata e di godere dell’affetto di tifosi così caldi come quelli dell’Arechi.

Per la verità nel 1989 si parlò di un suo possibile passaggio alla Salernitana…

La Salernitana non mi chiese di venire a giocare a Salerno e quindi non è vero che io abbia rifiutato il trasferimento. Dico di più, se fosse stata avviata veramente una trattativa, sarei venuto di corsa.

La Salernitana, però, quest’anno arranca. La serie C è vicina.

Quasi tutte le squadre del Sud sono in difficoltà, anche il Napoli. So che i tifosi granata sono molto delusi, però una stagione storta non deve scoraggiare l’ambiente. La Salernitana sta investendo bene nel futuro e nei vivai, come dimostrano i risultati del settore giovanile. Capisco che l’eventuale retrocessione è dura da digerire, ma mi sembra che si siano poste le basi per risorgere.

Con un nuovo goleador di nome Galderisi junior?

Mio figlio Andrea promette bene, è innamorato del calcio e qui a Padova è il capocannoniere dei giovanissimi. So che a Salerno servono degli ’89... Se son rose, fioriranno.

Se si guarda indietro, che cosa le manca di Salerno?

Soprattutto il sole e il mare. Forse è la mia pelle che ha bisogno di calore, forse è il mio cuore, ma ogni volta che torno a Salerno a trovare i miei genitori, mi sento felice. E poi negli ultimi anni la città è cresciuta moltissimo. Sono orgoglioso di essere salernitano.

(La Città, 23 marzo 2003)