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La Repubblica

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Il ministro dell'Interno Giuseppe Romita legge i risultati del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 (Publifoto, Milano) 

Il 2 giugno 1946 gli italiani votano il referendum popolare per decidere tra repubblica e monarchia. Il 54,3% degli elettori sceglie la repubblica, con un margine di appena 2 milioni di voti, decretando la fine della monarchia e l’esilio dei Savoia. Viene eletta anche un’Assemblea Costituente, con il compito di eleggere il capo provvisorio dello stato e scrivere la nuova carta costituzionale. Nel frattempo riprende la normale dialettica tra le forze politiche, vecchie e nuove, con la contrapposizione, in linea con quanto sta accadendo a livello internazionale, tra i partiti di sinistra e quelli cattolici e librali. Finita la guerra, dunque, l’Italia si incammina lentamente verso la ricostruzione, che è sia materiale – città, case, impianti industriali e infrastrutture stradali e ferroviarie distrutte dai combattimenti e dai bombardamenti aerei – sia istituzionale, dopo venti anni di fascismo.

Con la destituzione e l’arresto di Benito Mussolini il 25 luglio 1943 – come già detto – il re Vittorio Emanuele III affida al maresciallo Pietro Badoglio l’incarico di formare il nuovo governo. L’esecutivo Badoglio resta in carica fino al 22 aprile 1944, quando sarà sostituito da un nuovo governo guidato dallo stesso Badoglio, ma che avrà vita breve. Il 4 giugno 1944, infatti, gli alleati entrano a Roma e il giorno seguente Badoglio rassegna le dimissioni, per poi riottenere l’incarico dal luogotenente. Il Cln – nato ufficialmente a Roma, nei palazzi del Vaticano, il 9 settembre 1943, e composto dai rappresentanti di tutti i partiti antifascisti che si vanno riorganizzando (DC, Pd’A, PDL, PSIUP, PCd’I) – protesta, sia perché la nomina è stata effettuata dal luogotenente, sia perché Badoglio è personaggio troppo compromesso col passato regime. Il Cln ottiene così la nomina del proprio presidente, il demolaburista Bonomi (con l’assenso americano e l’opposizione inglese). Il nuovo governo, al quale partecipano tutti i partiti antifascisti è reso possibile anche dalla cosiddetta svolta di Salerno, con la quale il leader comunista Palmiro Togliatti propone di rinviare la soluzione della questione istituzionale – quale futuro per la monarchia? – a vantaggio della soluzione di governi di unità nazionale per fronteggiare le esigenze del momento, la fine della guerra e l’avvio della ricostruzione.

Tra i partiti del Cln naturalmente non mancano contrasti e divergenze di vedute e già durante la fase dei governi di unità nazionale si cominciano a mettere a punto gli strumenti per la successiva, inevitabile, lotta per la conquista del potere. Il 2 giugno 1946, oltre al referendum istituzionale tra monarchia e repubblica, gli elettori votano anche per eleggere l’Assemblea Costituente, che dovrà ridisegnare l’impianto istituzionale italiano. È la prima occasione – dopo il voto per le amministrative – che le forze politiche post-fasciste hanno di "contare" il proprio seguito tra gli elettori: DC 35,2%, PSI 20,7%, PCI 20,6%, UDN 6,5%, Uomo Qualunque 5,3%, PRI 4,3%, Blocco nazionale delle libertà 2,5%, Pd’A 1,1%.

Le elezioni del 2 giugno 1946 decretano di fatto la fine del ruolo del Cln e la ripresa del normale confronto tra le forze politiche (anche se l’unità dei partiti antifascisti prosegue formalmente fino al maggio del 1947). Il primo verdetto delle urne è la doppia sconfitta del PCI, che non centra né l’obiettivo di ottenere la maggioranza del blocco delle sinistre sui partiti di centro-destra, né quello di avere più voti del PSI. La DC, d’altro canto, deve fare i conti con la sorprendente affermazione dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini (che sfiora la maggioranza assoluta in molte zone del centro-sud), a testimonianza del fatto che molti cattolici non si riconoscono ancora nel partito di De Gasperi.

I governi di unità nazionale, figli della Resistenza, durano fino al maggio del 1947, quando il quarto esecutivo guidato da De Gasperi – dopo due governi Bonomi (18 giugno-12 dicembre 1944 e 12 dicembre 1944-19 giugno 1945), un governo Parri (20 giugno – 24 novembre 1945, frutto del "vento del nord", cioè dell’irruzione sulla scena politica nazionale delle forze del Cln-Alta Italia, dopo la liberazione dell’Italia settentrionale) e tre governi guidati dal leader democristiano – inaugura la stagione del centrismo (DC, PLI, PRI e il PSDI di Saragat nato dalla scissione in seno al PSI di Nenni), con l’esclusione del PCI e del PSI dalla guida del paese. Inizia così la fase della rigida contrapposizione tra DC e PCI – più in generale, tra comunismo e anticomunismo – anche in conseguenza di quanto sta accadendo a livello internazionale, con l’inizio della Guerra Fredda; ma siamo anche alla vigilia del "miracolo economico", che trasformerà profondamente l’economia e la società italiana.

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