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        1943/45 "Schiavi di Hitler"  
        Gli italiani in cifre 
        (da "Rassegna ANRP" n°1/2 -
        gennaio/febbraio 2001) 
        di Claudio Sommaruga  
          
        C'è schiavo e schiavo, qualcuno è più sfruttato degli altri.  
        Gli schiavi "commerciabili", come quelli dei piantatori americani, avevano
        speranze di sopravvivere; quelli "di stato", come quelli di Hitler, avevano un
        costo, non un prezzo, e la loro vita era sospesa a un perfido calcolo 
        di costi e benefici. Le tutele umanitarie dei vinti sono recenti; per migliaia di anni le
        guerre non facevano prigionieri, ma razziavano schiavi, come forze di lavoro a basso
        costo, da mantenere finché utili.  
        Anche l'operazione "Asse" della Wehrmacht non si limitò, l'8 settembre 1943, a
        neutralizzare l'Esercito Italiano, ma lo deportò nel Reich per colmare vuoti di energie
        sempre meno reintegrabili dopo Stalingrado.  
        Gli "schiavi di Hitler" erano "vuoti a perdere", "pezzi usa e
        getta" tutt'al più cedibili, a centinaia, ma non a milioni, alle case farmaceutiche
        per 170 marchi cadauno o noleggiabili a fabbriche e contadini a 6 marchi al giorno (meno
        di metà di un operaio tedesco), con costi di approvvigionamento e gestione inferiori a 2 
        marchi. Anche le fabbriche traevano rilevanti profitti e l'esercito poteva inviare più
        soldati al fronte! I numeri non hanno anima, ma possono essere spietati, anche gonfiati o
        risicati dagli utenti per partigianeria o ignoranza ma sempre omertosi ed enigmatici per
        lacune di raccolta e dei contenuti; possono riuscire, tuttavia, più obiettivi ed
        eloquenti delle parole. Le cifre che qui si riportano sono solo orientative, valgono come
        ordini di grandezza per ancorare una storia che la memoria labile ed emotiva può
        fuorviare. Sono cifre che sembrano meno sbagliate e più accettabili, nella ridda dei
        numeri ricorrenti, ufficiali o a spanne e sono state vagliate e mediate tra varie fonti e
        ricercatori italiani e tedeschi. 
        Tra questi si menzionano: Luigi Cajani, Carmine Lops, Gabriele Hammermann, Lutz
        Klinkhammer, Brunello Mantelli, Gustavo Ottolenghi, Giorgio Rochat, Antonio Rossi, Gerhard
        Schreiber, Claudio Sommaruga ed altri e gli archivi ministeriali militari e civili
        italiani (repubblichini e regi/repubblicani) e tedeschi. La galassia concentrazionaria
        nazista sfruttò, di fatto, dal 1933 circa 25.000.000 di schiavi di 28 nazioni, dei quali
        9.250.000 prigionieri militari (di cui 5.300.000 russi e 700.000 italiani - IMI);
        4.350.000 deportati politici (di cui 2.300.000 tedeschi); 7.900.000 deportati razziali e
        "diversi" (ebrei, zingari, omosessuali, alienati, criminali...); 3.850.000
        lavoratori sedicenti liberi, emigrati o rastrellati, dalla Francia, Italia ed Europa
        Orientale. I Lager di detenzione furono: 24 di sterminio diretto o col lavoro duro
        sottoalimentato (KL, KZ) (con 1.700 dipendenze e 9.950 siti); 850 Lager militari e
        dipendenze (St., Of., etc., di cui 142 principali); 2.000 Battaglioni di lavoratori
        militarizzati (Bau-Btl); alcune decine di migliaia di Arbeits Kommando di fabbrica (AK). 
        Tutto il Grande Reich coi Governatorati (G.G.) e i territori occupati erano un immane
        Lager di sopraffazione dei diritti della persona umana, quest'ultima catalogata in
        Obermenschen, i superuomini (ariani dolicocefalo-biondi nordici e prussiani;
        brachicefalo-bruni alpini), Menschen, scarsamente uomini (ariani 
        mediterranei dolicocefalo-bruni e poco alti) e Untermenschen, i subumani o cose (asiatici,
        euro-orientali, siberiani, semiti, tarati, etc.). I morti, in prevalenza ebrei e russi,
        furono 16.000.000 (per inedia, tifo, tbc, bombardamenti, gas e pallottole) dei quali
        4.600.000 militari, 4.700.000 civili e 6.700.000 "diversi" (razziali, etc.). 
        I superstiti furono solo 9.000.000. Ogni commento è superfluo, perché le cifre sono
        eloquenti! Negli anni di guerra, i non idonei al lavoro (donne, bambini, anziani, inabili)
        venivano soppressi al più presto; gli altri venivano spremuti col lavoro duro e fame,
        come olive fino alle sanse, con speranze di vita ottimizzate, in un calcolo crudele di
        costi/benefici, in 9 mesi, salvo accorciamenti, con 1750 calorie giornaliere (min.
        600/900, max poco più di 2000 per lavori pesanti) contro un fabbisogno, secondo il
        lavoro, di 2500/3000. Il deficit energetico era fornito dalle riserve corporee, con un
        contributo complessivo annuo di 500 mila tonnellate di petrolio equivalente! Gli schiavi
        italiani furono in tutto 1.000.000, di cui 716.000 i cosiddetti intemati militari (IMI e
        KGF) iniziali, 44.000 deportati in KZ, 170.000 lavoratori liberi civili (volontari e
        precettati) ed infine 78.000 altoatesini emigrati, che avevano optato per la nazionalità
        tedesca, ma riscopertisi italiani a guerra perduta! In queste cifre non sono compresi gli
        schiavi sfruttati direttamente dai tedeschi in Italia, nella Todt e, indirettamente, nei
        battaglioni di disciplina: alcune migliaia di coscritti renitenti della "leva
        Graziani" e poi trasferiti in parte nel Reich come ausiliari della RSI. I
        deportati politici e razziali nei KZ e Straflager/Gestapo furono in tutto circa 44.000,
        dei quali 8.900 ebrei e zingari (6.750 ebrei italiani, alcune centinaia di stranieri
        catturati in Italia e 1.900 ebrei del Dodecaneso), forse 30.000 "oppositori"
        (inclusi dei partigiani arrestati senz'armi), alcune centinaia di ufficiali antifascisti
        rastrellati, 2200 carcerati militari di Peschiera. A questi si aggiungono 3000
        coatti IMI transitati nei KZ e Straflager (con oltre 900 ufficiali, di cui 374 nello
        Straflager di Colonia), per lo più per resistenza ideologica, sabotaggi, tentata
        evasione, infrazioni gravi. 
        Tra i deportati di truppa (molti nelle fabbriche sotterranee di Dora) ci furono dei bravi
        minatori senza colpe, ma validi capi squadra. I sopravvissuti furono circa 4.000
        "politici" ed ex IMI, 830 ebrei italiani e 179 dell'Egeo. 
        Tra i lavoratori civili, detti ipocritamente "liberi", all'8 settembre 1943
        erano presenti in Germania 80/120.000 italiani civili, residuo di un numero maggiore di
        emigrati dal 1940, in parte rimpatriati per fine contratto o per ferie e sorpresi in
        Italia dall'"8 settembre". Parecchi erano fascisti, non avendo vissuto in Italia
        il crollo del regime. Agli emigrati si aggiunsero, nel '44, 74.000 operai volontari o
        rastrellati in Italia (per un decimo donne), così da raggiungere 170.000 civili presenti,
        a fine guerra, dei 246.000 emigrati dal 1940. I deceduti per malattia o sotto i
        bombardamenti sarebbero stati 10.000.  
        I militari lavoratori "ausiliari" (volontari e obbligati) erano al seguito
        diretto delle FF.AA. germaniche (Wehrmacht, Luftwaffe, Flak, nebbiogeni) o della
        "Todt", mentre i "combattenti" erano inquadrati come "legionari
        RSI" nelle divisioni allogene delle SS (italiana, sud tirolese e miste di varie
        nazionalità). Degli 
        810.000 militari italiani catturati dai tedeschi, 94.000 optarono alla cattura, per
        coerenza od opportunismo, come combattenti (14.000) o ausiliari (80.000). Dei 716.000 IMI
        restanti, durante l'internamento, 43.000 optarono nei Lager come combattenti (nei primi 8
        mesi) e 60.000 (in tutto l'internamento) come ausiliari (nei Bti di lavoratori
        militarizzati, assegnati in prevalenza alla Luftwaffe) in alternativa alla
        "civilizzazione". I Bti, un centinaio e particolarmente del Genio, costituiti da
        reparti già esistenti o di formazione, avevano una forza di 500/1.000 elementi coordinati
        da sottufficiali (raramente da ufficiali) italiani agli ordini di un 
        maresciallo tedesco. 
        Le disposizioni iniziali dell'OKW (Ober Kommando Wehrmacht, a stretto contatto col Fuhrer)
        prevedevano l'eliminazione sul campo dei militari italiani resistenti con le armi,
        l'internamento (IMI) dei non resistenti e lo "status" di prigionieri di guerra
        senza tutele (KGF) per i resistenti catturati senz'armi e considerati come disertori
        badogliani. I KGF erano inquadrati in battaglioni (Bti) anche misti o affiancati con Bti
        di ausiliari volontari, al servizio diretto della Wehrmacht, nelle retrovie del Fronte
        Orientale e in quelle, indefinite, del 
        Fronte Balcanico; non dovevano operare nei territori del Reich nè avere contatti con gli
        IMI e con la popolazione tedesca. I KGF furono al massimo 21.000 e provenivano dalla
        difesa di Roma, dalla Francia e soprattutto dalla Grecia (isole Ionie, Egee, etc.) e dai
        Balcani. Nei KGP furono anche inquadrati 2.200 ex 
        partigiani italiani dei Balcani, catturati senz'armi e considerati disertori. Lo
        "status" dei KGF italiani era mal definito, figurando nelle statistiche, anche
        per propaganda, come KGF, IMI, "ausiliari" della RSI a disposizione dei tedeschi
        o direttamente "ausiliari" delle FF.AA. germaniche. E come "ausiliari"
        e collaboratori li considerarono i russi che, anziché liberarli come gli IMI, ne
        deportarono 12.200 in Bielorussia e in Siberia, in seconda prigionia (con 1.150 deceduti),
        rimpatriandoli con un anno di ritardo coi sopravissuti dell'ARMIR (coi quali però non
        ebbero contatti) e magari indottrinati. 
        I lavoratori IMI, intemati nel Reich e nei territori controllati, in 284 Lager e
        dipendenze, di transito, smistamento o detenzione (una novantina nel Reich e in Polonia,
        di cui un quarto con ufficiali), furono inizialmente 716.000 ridottisi, nel corso della
        prigionia, di 103.000 unità per "opzioni" militari: 42.000 combattenti (19.000
        nelle SS, 23.000 con la RSI) e 61.000 ausiliari lavoratori, in prevalenza per la
        Luftwaffe.  
        Altre riduzioni si ebbero per decessi (51.000), deportazioni in KZ (3.000), per lavoro
        civile volontario o inquadramenti nei Bau-Btl militarizzati (fino a 100.000 uomini, 60.000
        a fine 1944 nei Balcani), ridottisi a 28.000, nel Reich, a fine guerra. La storia del
        lavoro degli IMI si svolge in due fasi. 
        1 - Dalla "cattura" all'agosto 1944 - Forza lavoro disponibile iniziale 716.000
        uomini, ridotti al 1 luglio 1944, dopo opzioni e decessi, a 588.000 IMI (di cui 499.000
        nel Reich, compresi 19.000 ufficiali). La truppa IMI, come i prigionieri di guerra, fu
        obbligata a lavorare, in condizioni vietate dalle Convenzioni internazionali, sotto
        diretto controllo delle FF.AA. germaniche nei Bti, o presso terzi, come manovalanza,
        edili, ferrovieri, minatori, contadini. La retribuzione era marginale, da O a 20
        Lager-Mark/giorno, secondo rendimenti e multe. Gli Ufficiali non erano obbligati, ma
        pressati a lavorare: 2.300 si ingaggeranno come lavoratori volontari, ma 463 verranno
        coatti (374 nello Straflager-Gestapo di Colonia).  
        2 - Dall'agosto 1944 alla "liberazione" - Gli accordi Mussolini-Hitler del 20
        luglio 1944, comunicati il 2 agosto, prevedevano la smilitarizzazione abusiva dei militari
        italiani (che si consideravano prigionieri di guerra di un altro esercito) e la loro
        civilizzazione d'autorità. I renitenti subiranno violenze, verranno dismessi 
        d'autorità dai Lager (dopo il 1° settembre 1944) e costretti a presentarsi agli uffici
        di collocamento per ottenere il lavoro e la tessera annonaria per poter mangiare.
        L'accattonaggio era punito con la deportazione ai lavori forzati. Il 20 agosto 1944, in
        molti Lager viene celebrata la "Festa dell'apertura dei cancelli", ma per
        ragioni tecniche e per la resistenza degli IMI, gli ingaggi si protrarranno fino al marzo
        1945. Esauriti i volontari, inizieranno le precettazioni anche degli ufficiali (2.300 a
        Wietzendorf). A fine guerra a Wietzendorf verranno liberati 4.000 ufficiali IMI, già
        depennati dagli archivi WAST, ma che non si fece in tempo ad avviare al lavoro. In questo
        periodo, di fronte al lavoro, gli IMI si distinguono in:  
        ausiliari lavoratori, nei Bti, in alternativa alla "civilizzazione". Con quelli
        del 1° periodo a fine guerra saranno 61.000;  
        lavoratori volontari liberi, impegnatisi per fame e depressione, con rinuncia alla fuga
        (prerogativa dei prigionieri). Molti, allo stremo delle forze, se non ci fosse stata la
        civilizzazione non avrebbero retto un secondo inverno nei reticolati e la propaganda
        fascista si farà vanto del loro provvidenziale salvataggio!  
        lavoratori precettati liberi e finti precettati (volontari sostituenti precettati per
        crearsi un alibi), trattati come i volontari  coatti per lo più irriducibili
        renitenti al lavoro, punibili col lavoro duro, sotto scorta armata, in KZ o Straflager; o
        internati restanti nel Lager, in attesa di precettazione, ufficiali superiori, anziani
        inabili, sanitari, cappellani e ordinanze.  
        Gli ex IMI "civilizzati", a fine guerra saranno 495.000, per 2/3 volontari (per
        fame o depressione!) con firma di impegno e per 1/3 precettati. Tra i lavoratori liberi
        figurano 8.050 ufficiali di cui 5.400 volontari, 2.300 precettati e 358 coatti in
        Straflager (Muhiberg e altri), più 2.300 ex IMI e militari deportati in KZ dall'Italia. I
        deceduti sono circa 10.000. I civilizzati, al rilascio dal Lager, ricevevano in marchi gli
        eventuali accrediti precedentemente maturati e burocraticamente registrati, che potevano
        aggirarsi, complessivamente, in 
        poco o nulla per la truppa e sui 1.150 marchi per un sottotenente, fino a 2.100 per un
        tenente colonnello. 
        Essi godevano, inoltre, di una illusoria semilibertà di movimento e di orario, ricevevano
        un salario mensile di 120 (max 180) marchi al mese, ma dovevano pagarsi tutto: vitto,
        integrazioni alimentari, sigarette, alloggio (magari nell'ex Lager coi cancelli aperti e
        il piantone tedesco), vestiario, lavanderia, riuscendo difficilmente a risparmiare e a
        mandar soldi a casa. Alla liberazione, la Wehrmacht aveva ancora in forza 28.000
        lavoratori dei Bti e 14.000 IMI (8.000 ufficiali in attesa di precettazione al lavoro,
        ufficiali superiori e anziani, inabili nei 
        lazzaretti, un migliaio di ordinanze e un miglialo di sanitari). Rimpatriarono 560.000
        ex-IMI (lavoratori e non), ma tra loro si mimetizzarono 40.000 civili e collaboratori, non
        identificati dal Ministero ma dai conteggi. Gli schiavi non sono tutti uguali e alcuni
        sono più schiavi di altri. I numeri non hanno anima, ma in quelli degli "schiavi di
        Hitler" c'è tutto il dolore di una umanità impotente e sopraffatta! 
         
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