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I campi di concentramento italiani 1926-1940

di Aldo Pavia e Antonella Tiburzi

La deportazione, il confino in località lontane, disagiate, isolate, in isole, fu uno dei mezzi principali con cui il regime fascista organizzò la repressione delle opposizioni politiche. Il confino di polizia, già regolato in un regio decreto legge dei primi giorni del novembre 1926, entrò a fare parte caratterizzante della Legge 25 novembre 1926 n.2008 “Legge per la difesa dello Stato”, le cui disposizioni sono note come “leggi eccezionali”. Potevano essere confinati, in quanto pericolosi per la sicurezza pubblica: gli ammoniti di polizia e tutti coloro che avevano commesso, o avuto intenzione di commettere, atti tesi a sovvertire gli ordinamenti nazionali, di carattere sociale od economico. L’invio al confino era di competenza di apposite commissioni provinciali presiedute dal prefetto. La stessa genericità delle norme, permetteva di applicare un metro di valutazione, molto ampio e soggettivo ai reati imputati. Lunghi elenchi di accuse del tutto pretestuose, potevano fare ritenere atti sovversivi qualsiasi tipo di attività. Emblematico il caso di venti abitanti di Monterotondo, inviati al confino per avere partecipato ai funerali di un esponente socialista. Si poteva finire al confino anche per una predicazione religiosa, per aver criticato il proprio salario perché basso o insufficiente, per banali chiacchiere da caffè. Il confino nelle isole vide come ospiti privilegiati gli oppositori politici. I primi confinati furono operai, professionisti, intellettuali, ex deputati che si riconoscevano in partiti quali quelli socialista, repubblicano, comunista. E anche anarchici e liberali. Tutti confinati tra Favignana, Lampedusa, Ustica e Pantelleria. Successivamente alle isole Tremiti e a Lipari. Ovunque tristi erano le condizioni di vita, spesso in promiscuità con delinquenti comuni, in ambienti ristretti e non in grado di ospitare, con un minimo di conforto, i confinati. Con scarse risorse alimentari e di sovente con pochissima disponibilità di acqua.

A Ustica il 7 dicembre 1926 arrivò il quinto confinato. Il suo nome: Antonio Gramsci.

Nell’estate 1929 da Lipari riuscirono a fuggire Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Francesco Fausto Nitti, scatenando l’ira del capo della polizia, Arturo Bocchini che ordinò numerose punizioni e rappresaglie che costarono la vita a Giuseppe Filippich, un confinato giuliano. Per dare, infine, da quel momento, l’incarico della custodia delle isole confinarie alla milizia fascista.

A Ponza i primi confinati arrivarono nel 1928. Il 10 settembre 1935 vi giunse Sandro Pertini. A Ponza i confinati vennero alloggiati nel carcere penale borbonico, nel quale Pisacane aveva “reclutato” la maggior parte dei partecipanti alla sua storica e sfortunata impresa a Sapri. Quando Ponza cessò il suo compito, una parte dei prigionieri venne inviata nella vicina isola di Ventotene, ove negli anno 1939 –1940  furono rinchiusi gli antifascisti italiani che avevano militato nelle Brigate internazionali durante la guerra civile spagnola. A Ventotene furono confinati Umberto Terracini, Camilla Ravera. In questa isola, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, Altriero Spinelli stesero il “Manifesto di Ventotene”, primo e fondamentale documento sul federalismo europeo. A Ventotene fu internato anche Mario Magri, uno dei martiri dell’eccidio delle Fosse Ardeatine.

Nelle Tremiti, che già avevano visto la deportazione dei libici nel 1912, a San Domino e a San Nicola, vennero confinati anche omosessuali. Nel corso del 1937-38, ebbe luogo una rivolta dei confinati che si rifiutarono di effettuare il “saluto romano”.

L’ebbero vinta, nonostante le azioni repressive ed intimidatrici messe in atto dalle autorità locali e, nel 1939, Mussolini mise fine alla, per lui, ingloriosa vicenda.

Essendo sempre più consistente il numero delle persone assegnate al confino, funzionari e ambienti del Ministero dell’interno iniziarono a pensare di istituire luoghi ove rinchiudere gli avversari più pericolosi.Nel 1939 venne messo in funzione il primo campo di concentramento, definito tale, a Pisticci (Matera), ove venne internato il principe Filippo Doria Pamphili, primo sindaco di Roma dopo la liberazione. Secondo quanto testimoniato dal capo dell’Ovra, Guido Leto, era nelle intenzioni di Mussolini fare di Pisticci una colonia tesa al recupero degli antifascisti attraverso il lavoro. E’ da notare l’analogia con quanto veniva sostenuto dai nazisti che definivano i loro lager quali luoghi di riabilitazione attraverso il lavoro. D’altro canto, nell’aprile 1936, il commissario di pubblica sicurezza Tommaso Petrillo aveva visitato il campo di concentramento nazista di Dachau e nel 1938 Guido Landra e Lino Businco, responsabili dell’Ufficio studi sulla Razza erano stati al KL Sachsenhausen. Sarà nel giugno 1940 che Reinhard Heydrich, responsabile della sicurezza del Reich, farà avere al capo della polizia italiana, Arturo Bocchini, il “regolamento” dei campi nazisti, offrendosi anche di ricevere una delegazione italiana, per una serie di contatti “tecnici”.