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pallanimred.gif (323 byte) Cronaca della perquisizione alla Scuola Diaz

La lunga notte della polizia

di Giacomo Amadori

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È la notte della polizia. Una notte lunga, tormentata, maledetta. Che comincia attorno alle 23 di sabato 21 luglio, con l'irruzione nella scuola Armando Diaz di Genova, una delle sedi occupate dai ragazzi del Genoa Social Forum (Gsf), i contestatori del G8. Da quel sabato sono usciti tanti contusi: ma a tornare con le ossa rotte sono state proprio loro, le forze dell'ordine. A cominciare da Gianni De Gennaro, capo della polizia, che ha offerto alcune teste pur di salvare la poltrona.

Così, la notte della polizia non è finita quella notte: interi reparti sono stati messi sotto accusa per le violenze contro i giovani occupanti; alti gradi e questori censurati per non aver controllato quanto accadeva accanto a loro e per qualche errore di troppo. Mentre il Parlamento decide di avviare un'indagine conoscitiva, Panorama ha scavato nella lunga notte della polizia e nei suoi antefatti: ha condotto una sua indagine, basandosi su autorevoli testimonianze. Sono stati raccolti particolari inediti, notizie utili per inquadrare la verità di quelle ultime, nervose ore del 21 luglio, esasperate dalle precedenti violenze.

Ore 9 circa.
Dopo la morte di Carlo Giuliani, i comandanti di reparto sono inquieti: la situazione rischia di diventare esplosiva. Come comportarsi? Un alto dirigente, di cui Panorama conosce il nome, ha un briefing telefonico con De Gennaro. Il dirigente riferisce ai colleghi di avergli chiesto lumi sui metodi da seguire e di aver avuto dal capo un segnale inequivocabile: «Nessuna paura. Siate tosti, anzi tostissimi».

Ore 20.30.
Il vicequestore aggiunto Massimo Di Bernardini, della Mobile romana, con alcuni uomini della Digos genovese e del Reparto prevenzione crimine, su quattro vetture della polizia (due delle quali auto civetta), passano per via Cesare Battisti. Gli agenti, vicino all'ingresso della scuola Armando Diaz, notano «circa 200 persone, molte delle quali vestite di nero, come i Black bloc». Nasce un piccolo tafferuglio, i «neri» lanciano sassi e bottiglie contro le auto. Qualcuno grida: «Sono solo quattro!». Le vetture fuggono, e via radio avvisano della situazione la questura.

Ore 21.15.
In questura si decide un sopralluogo alla scuola. Partono Spartaco Mortola, capo della Digos genovese, e un agente: sono in borghese, su una moto. Davanti alla scuola vedono 150 persone: quasi tutte bevono birra, molte sono le «brutte facce» e così pensano che il controllo del Gsf sia ridotto e che la scuola ospiti elementi pericolosi.

Ore 22.00.
La Digos verifica attraverso sue «fonti» interne alla scuola che effettivamente la vigilanza del Gsf sugli occupanti dell'edificio è allentata. Dentro ci sono elementi potenzialmente pericolosi. Si è parlato di un infiltrato nella scuola, che segnala la presenza di Black bloc, ma oggi la polizia lo nega.

Ore 22.15.
Inizia un vertice nell'ufficio del questore: tra i presenti, il più alto in grado è Ansoino Andreassi, vicecapo della polizia, il vicario di De Gennaro che per il G8 di Genova è il regista dell'ordine pubblico. Nella stanza ci sono anche il questore di Genova, Francesco Colucci; il direttore del Servizio centrale operativo (Sco) Francesco Gratteri; il direttore dell'Antiterrorismo, Arnaldo La Barbera, con il suo vice Giovanni Luperi, entrambi arrivati a Genova quel pomeriggio su precisa richiesta di De Gennaro. La Barbera, d'altronde, si porta dietro da oltre dieci anni il soprannome di «113 del Viminale»: ovunque ci sia un'emergenza viene catapultato lui. Partecipa anche il capo della Digos Mortola. Dice Colucci a Panorama: «Avevo davanti a me Andreassi, vicecapo della polizia, senza contare che il capo era sempre in contatto. Che potevo fare?».

Ore 22.25.
La discussione sul da farsi è lunga. Si prospetta un'operazione di ordine pubblico da affidare al Reparto mobile. Ma sarebbe necessaria un'ordinanza del questore, con l'indicazione precisa di modalità e responsabili, e i tempi a disposizione sono ristrettissimi. L'altra ipotesi in gioco è la perquisizione: un'operazione di polizia giudiziaria da affidare alla Digos e allo Sco.
Ore 22.35.
La discussione si sposta sulla formula giuridica da adottare per la perquisizione. Si propende per l'articolo 41 del testo unico di pubblica sicurezza: prevede la possibilità di irruzione in un edificio alla ricerca di armi. Enrico Zucca, uno dei pm incaricati delle indagini, sostiene che quella sera l'impiego dell'articolo 41 «potrebbe essere stato improprio perché non è ancora chiaro se ci fossero prove certe sulle armi».

Ore 22.45.
Alla fine del vertice viene consultato anche De Gennaro via cellulare: il capo della polizia dà il suo assenso alla perquisizione, suggerisce «cautela e prudenza». Si verifica allora la disponibilità delle forze in campo. In teoria, non dovrebbero intervenire gli uomini del Reparto mobile, eppure ne vengono chiamati proprio i responsabili. Il generale Valerio Donnini, funzionario del Viminale, mette a disposizione 70 agenti del settimo nucleo del Reparto mobile romano, agli ordini di Vincenzo Canterini: uomini che sono già in servizio da 12 ore. Ci saranno anche 15 uomini della Digos e 20-25 Sco.

Ore 23.10.
Le auto e i furgoni della polizia lasciano la questura. A bordo ci sono in tutto circa 120 uomini. Con loro ci sono Canterini, Gratteri e Mortola. Arriva anche La Barbera, formalmente il più alto in grado sul campo, con il suo vice Luperi.

Ore 23.30.
Le auto si fermano davanti alla Diaz. Scatta il blitz. Dalle finestre volano bottiglie, pietre. Un istruttore di Ps conosciuto come Robocop racconta a Panorama di essere stato sfiorato da un martello da marmo.

Ore 23.33.
Gli agenti decidono di entrare da un portoncino laterale, sulla sinistra dell'edificio, che sfondano a calci. Altri penetrano anche dal portone principale. Alcuni occupanti tentano invano di opporsi all'irruzione spostando dei banchi davanti all'ingresso.

Ore 23.34.
Gli uomini della Digos in borghese restano all'esterno della palazzina. A irrompere per primi sono gli uomini del Reparto mobile. In questura oggi c'è chi sostiene che, di fronte alla confusione dei comandi, alcuni funzionari si siano rifiutati di entrare. Canterini è tra quanti penetrano nella scuola: sostiene che i suoi uomini si «trovano di fronte a una vigorosa resistenza da parte di alcuni degli occupanti, armati con spranghe e bastoni». I contestatori hanno spento le luci, così che «la resistenza diviene ancora più cruenta e confusa».

Ore 23.35.
Si scatena la violenza. «Sono soprattutto gli agenti delle squadre mobili» sostiene Robocop «i meno addestrati a quel tipo di azione». Gli occupanti del Gsf lamentano pestaggi sistematici e brutali, eseguiti con manganelli neri, e percosse ingiustificate anche contro chi era sdraiato a terra. Un importante dirigente dice a Panorama che De Gennaro, via cellulare, viene informato costantemente.

Ore 23.39.
Solo dopo alcuni minuti i funzionari, verificati gli eccessi, allontanano una dozzina di uomini del Reparto mobile. Nel buio, un poliziotto, Massimo Nucera, viene accoltellato da un giovane che subito dopo scappa: il giubbotto di sicurezza gli salva la vita. Non è però vero che l'accoltellamento sia l'innesco delle violenze: lì per lì, nessuno si accorge di nulla. Solo dopo molti minuti, Robocop noterà il taglio e   chiederà all'agente come se lo sia procurato.

Ore 23.40.
Entra la Digos, con quel che resta delle squadre mobili. Al piano terra gli occupanti sono già immobilizzati. Molti sono i contusi.

Ore 23.45.
Inizia la perquisizione, guidata da Mortola. Viene fatto allontanare il personale in divisa ancora nell'edificio, rimangono solo gli uomini della Digos e della Mobile. La Barbera entra e fa un breve giro al piano terra: dopo neanche dieci minuti se ne va. Gli agenti cercano armi e indumenti neri, che possano qualificare gli occupanti come appartenenti al Black bloc. Viene steso un telo color blu elettrico dove vengono raccolti i reperti sequestrati: 2 bottiglie molotov, 23 coltelli, 15 maschere antigas, mazze, passamontagna, 60 magliette nere, 15 pantaloni neri, 16 giacche nere, 17 giubbotti neri, striscioni inneggianti alla lotta anti-globalizzazione.

Ore 0.30.
Mortola decide di sveltire le operazioni perché, fuori dalla scuola, centinaia di persone rumoreggiano. Arrivano anche i giornalisti, c'è la segnalazione che sta arrivando un corteo di mille persone. Il capo della Digos stabilisce l'immediato trasporto dei reperti in questura.

Ore 0.35.
Mortola esce da una porta laterale con un grande fagotto pieno di materiale sequestrato. Davanti ai giornalisti e alle telecamere, il leader del Gsf, Vittorio Agnoletto, lo aggredisce: «Lei porta fuori un morto! Io sono un medico, mi faccia vedere!». Mortola risponde: «Lei è un irresponsabile, qui non c'è nessun morto». Poi, con dieci dei suoi uomini, sale sulle auto civetta e va in questura. Dentro alla scuola restano Gratteri e Luperi con gli uomini della Digos e della squadra mobile.

Ore 0.45.
Escono agli arresti 93 giovani, 67 dei quali richiedono cure mediche. Una settimana dopo, uno solo sarà ancora in carcere. Il procuratore aggiunto Giancarlo Pellegrino, oltre alle violenze, critica proprio questo: «La perquisizione» dice a Panorama «non è riuscita ad attribuire responsabilità individuali».

Ore 1.15.
La scuola è vuota.

Ore 1.30.
Il ministro dell'Interno, Claudio Scajola, viene avvisato. Diciassette agenti feriti si rivolgono al pronto soccorso: le loro prognosi variano tra i 6 e i 10 giorni. Fra loro, 15 appartengono al Reparto mobile di Roma.

(Panorama, 3 agosto 2001)

 

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