| Italia in guerra 
 E il fante italiano andò in
        guerra...   La guerra è un massacro fra uomini che non si
        conoscono a vantaggio di uomini che si conoscono ma eviteranno di massacrarsi
        reciprocamente (P.Valéry) 
                                              a
        cura di Maurizio Attanasi I
        comandi militari e i politici erano cresciuti nel mito del risorgimento, con le battaglia
        tra poche migliaia di uomini, con grandi manovre, codici cavallereschi, tintinnio di
        sciabole, cariche della cavalleria con la banda al seguito. Le battaglie avevano sempre
        interessato marginalmente le popolazioni civili nelle guerre ottocentesche. Il conflitto del 1914 rompe questi schemi, queste consuetudini facendo tremare le
        certezza di una classe militare che si era formata di manuali di guerra che già dopo i
        primi mesi di guerra sembravano obsoleti. Lingresso ritardato dellItalia non aveva avvantaggiato
        lesercito sabaudo che commise gli stessi errori e non trasse nessun giovamento
        dallesperienza degli altri eserciti, che combattevano già da quasi un anno. La nuova guerra si presentava come una guerra totale, una guerra di massa
        contrapposta alla guerra delite del secolo precedente. Il numero di uomini mobilitati era estremamente superiore rispetto al passato,
        milioni di uomini furono vestiti di grigio verde e inviati a combattere in posti che non
        avevano mai visto, e contro un nemico che era stato sempre dipinto dalla stampa nazionale
        come lorco cattivo che voleva conquistare e invadere la patria. E proprio questa mobilitazione di milioni di uomini fu un grosso sconvolgimento
        nelle vite degli italiani. Contadini, soprattutto, uomini di ogni regione di Italia
        venivano trasferiti in lembi di stato di cui non avevano mai sentito parlare e si
        trovarono a vivere, morire e combattere insieme ad altri uomini che parlavano spesso un
        dialetto per loro incomprensibile. Il fante del Salento si trovò a combattere con il contadino veneto, con
        lartigiano siciliano, con il toscano ecc
 Era forse la prima occasione in cui
        fatta lItalia si stavano facendo gli italiani, venendosi a creare per
        forza di cosa, per la necessità una comunanza di pensieri, tradizioni, una mescolanza di
        suoni, parole culture che nessun politico italiano aveva non solo voluto ma neanche
        pensato. La guerra totale del 15-18 fu tale, anche perché, interessò in maniera
        devastante le popolazioni civili; non solo le popolazioni del Veneto, che videro le
        proprie province teatro di guerra e che vissero gli sfondamenti del 16 e la rotta del 17,
        lasciando paesi e abbandonando case; ma fu tutta la nazione a provare e vivere sulla
        propria pelle lo sforzo bellico, con i problemi e le difficoltà che questo comportava. I
        viveri in città scarseggiavano in continuazione, con episodi nel corso del conflitto di
        città che rischiarono insurrezione perché prive di cibo, e in campagna , dove viveva la
        maggioranza della popolazione italiana, che continuavano a vivere nella miseria cronica,
        aggravata dalla partenza per il fronte degli uomini che ne costituivano il principale
        sostegno. La partenza dei contadini per il fronte privava le campagne delle braccia
        necessarie per il raccolto e si assistette dunque ad una diminuzione della produzione
        agricola in coincidenza con lo sforzo militare. I congiunti dei richiamati alle armi, riconosciuti bisognosi da speciali
        commissioni comunali, ricevettero un sussidio giornaliero nella misura di lire 0,60 per la
        moglie e di 0,30 per ciascun figlio sotto i dodici anni. I figli dei soldati che avevano
        superato tale età potevano essere ammessi al lavoro, anche senza il prescritto grado di
        istruzione, in deroga alle norme di legge sulla protezione del lavoro del fanciullo (!).
        Misure economiche del governo insufficienti a integrare il reddito della famiglia il cui
        membro era partito per il fronte. Spesso era la burocrazia militare che frapponeva inutili stralci alle sollecite
        distribuzione di materiali giacenti nei magazzini. A volte il materiale distribuito
        risultava scadente, perché fornito da produttori disonesti e a volte insufficiente,
        perché   saccheggiata da una certa camorra
        soldatesca. Il progresso tecnologico aveva, daltra parte, fatto far passi da gigante
        alle armi con conseguente modifica delle tecniche di battaglia. Gas velenosi, fucili più
        potenti e precisi di quelli del passato, la nascita dellartiglieria leggera, lo
        sviluppo e il potenziamento di quella pesante cambiarono i piani di battaglia che i
        generali e gli stati maggiori avevano preparato nel corso degli anni precedenti il 1914. In alcuni casi fu necessaria la dura esperienza del campo per far capire che i
        tempi erano cambiati; interi reggimenti di cavalleria falciati dalla mitragliatrice,
        armate schierate di tutto punto pronte a  farsi massacrare dallartiglieria, generali (pochi per la verità) che si
        mettevano alla testa delle loro armate, con le uniformi sgargianti e con le loro medaglie
        appuntate per farsi uccidere da un colpo di fucile senza neppure vedere il nemico; esempio
        significativo di come fu sconvolgente il nuovo conflitto su vecchie concezioni fu il
        dibattito che ci fu in Francia sulla necessità di cambiare il colore delle uniformi
        dellesercito passando dal rosso sgargiante delle truppe di Parigi a colori tipo
        grigio o verde molto meno facili da individuare. Di fronte al nuovo modo di vivere la guerra, un modo totale e devastante per
        civili e militari, la legislazione militare era tremendamente in ritardo. Il codice militare in vigore in Italia era della fine dellottocento ma
        ricalcava di fatto il codice penale militare dellesercito sardo (!). Tale arretratezza era facilmente individuabile nella configurazioni di
        fattispecie di reati che erano ipotizzabili nelle vecchie battaglie, quando non venivano
        coinvolte un numero di persone cosi ampie come accadeva invece nel veneto nel 1915.  Ad esempio, il reato di rivolta armata  è
        codificato per un numero di agenti di quattro o più. Ora trascurando il particolare per
        compiere questo reato che può prevedere la pena di morte è sufficiente prendere le
        armi e non usarle, la stessa previsione di  quattro
        o più soldati sottolinea come il codice normasse comportamento per un piccolo
        esercito, nel quale un atto compiuto da quattro militare implica ripercussioni di qualche
        entità e in cui il rapporto gerarchico è più stretto, più personale e come tale
        maggiormente passibile di essere scosso anche per una minima infrazione collettiva.
        (A Monticone, Italiani in uniforme, Bari 1968,
        pg 196)  Abbiamo già detto che le dimensioni dellesercito in occasione del
        conflitto mondiale erano notevolmente più ampie rispetto al regio esercito in tempo di
        pace, ma anche rispetto ai precedenti sforzi bellici i soldati coinvolti furono
        notevolmente dio più. Lesercito si presentava come un grosso corpo, (in totale nel corso del
        conflitto furono mobilitati più di tre milioni e settecentomila uomini) la fanteria,
        quella che diventò la carne da macello formato in grandissima parte dai
        contadini. Al
        principio della guerra fu possibile trovare tra i fanti anche degli operai, degli
        studenti, degli impiegati, ma quasi subito gli uffici, i comandi e le diverse specialità
        dellesercito prelevarono dai reggimenti in linea fino allultimo specialista
        del ferro, dellago, della lesina e della calligrafia. chi è rimasto?- si
        domando il Marpicati- il modesto artista della zappa, lo sterratore siciliano, calabrese,
        lombardo, il lavoratore troppo sovente analfabeta, tornato dalle americhe o da altre
        regioni lontane, docile al richiamo del paese, che si è ricordato di lui forse solo
        perché ne aveva bisogno  (P Melograni, Storia politica della grande guerra, pg 92) Al
        disopra, ai sommi vertici vi era la casta militare, formata in gran parte da aristocratici
        militari di famiglia (esempio sintomatico il comandante supremo Cadorna figlio del
        generale Raffaele che era entrato con i bersaglieri a Porta Pia), formati alla scuola
        militare di tradizione tedesca e a metà tra il mito risorgimentale
        dellanti-austriacità e lalleanza con la Germania di Guglielmo II e con la
        antica nemica Austria nella triplice alleanza dalla fine dellottocento. Il
        corpo ufficiale fu integrato allo scoppio della guerra per adeguarsi alle necessità della
        nuova guerra. Vennero formati dei corsi che in fretta e furia cercarono di trasformare dei
        giovani civili in esperti uomini darmi. I primi scontri sanguinari ridussero ancora
        di più il corpo e la necessità fece accorciare ancora di più i tempi di formazione per
        i nuovi ufficiali e, quindi, vennero inviati al fronte ancora più inesperti uomini a
        comandare le truppe. Lesercito
        nel corpo intermedio ebbe cosi ad avere due gruppi: uno formato da ufficiali di
        professione (quelli in sap  servizio attivo permanente) e quelli di complemento che
        erano giovani civili che vestirono luniforme per chiamata e non per scelta.  Nel
        corso degli anni si creò non solo un solco abissale tra gli ufficiali e la truppa, ma
        anche allinterno degli ufficiali si creò una profonda frattura tra chi il militare
        lo riteneva una missione e un lavoro e chi invece era stato trascinato dagli avvenimenti.
        Gli ufficiali di complemento ritennero i colleghi di professione degli
        avventurieri che per carriera o per compiacere i propri superiori non esitarono a
        comandare attacchi inutili, allarma bianca, sanguinossimi solo per avere un encomio,
        una promozione. Gli
        ufficiali, daltra parte,  furono tenuti
        sotto controllo con la minaccia di siluramenti, così come constatò la commissione di
        inchiesta su Caporetto. Chiunque dissentisse dalla linea dei superiori o esprimesse dubbi
        era esonerato dal comando (fino a Caporetto gli esoneri furono 87 fonte Monticone op. cit.). Lufficiale che era
        ritenuto colpevole veniva destituito senza nessun tipo di
        processo, riceveva soltanto la comunicazione della decisione del comando,
        senza nessuna possibilità di difendersi o spiegare il perché delle sue affermazioni e
        del suo comportamento.  Spesso
        gli ufficiali di  complemento solidarizzarono
        con la truppa, non condividendo gli atteggiamenti dei colleghi professionisti o dei
        generaloni e gli alti comandi che erano ad Udine, lontani dai campi di battaglie, dalle
        trincee con i loro problemi, con le lotte che vivevano gli uomini di tutti i giorni.  Della truppa abbiamo detto che era formata soprattutto da contadini (il fante
        contadino di cui tanta storiografia ha parlato) e che per molti rappresentò un momento
        cruciale nella propria vita con lallontanamento dalla propria famiglia, dal proprio
        luogo di nascita e dove erano vissuti, con gli inevitabili disagi economici per se e per
        la propria famiglia. Lo stato maggiore ritenne da subito che un ruolo importante doveva essere data
        alla giustizia militare di guerra, come ulteriore strumento di disciplina e quindi con un
        ruolo di educatrice e dissuatrice di comportamenti. Lazione del comando supremo si svolse in diverse direzioni: da un lato
        faceva pressioni sui collegi giudicanti perché non si discostassero dalle richieste che
        avanza lavvocatura militare (quando si rese conto che in alcuni casi i collegi non
        erano molto sensibili allinvito che proveniva dal comando supremo perché era
        preponderante il numero dei giudici erano formati da ufficiali di complemento che venivano
        quindi dalla vita borghese spinse perché nei collegi giudicanti lelemento di
        militari di professione fosse la maggioranza); daltra parte invitavano gli ufficiali
        presenti nella trincea ad usare le estreme misure per punire codardi e vigliacchi; altra
        misura fu rappresentata dallinvito alla costituzione di tribunali speciali che
        avevano la possibilità di poter operare in modo più veloce rispetto alle giurisdizioni
        militari cosiddette ordinarie (ci fu il caso della brigata Barletta un cui soldato fu
        processato e condannato a morte con sentenza eseguita immediatamente, poiché furono
        trovati dei cartellini sugli alberi con minacce di morte se la brigata non fosse stata
        mandata a riposo e il soldato condannato a morte nei giorni precedenti aveva esortato alla
        rivolta per ottenere il riposo).   Ulteriore linea seguita da Cadorna fu quella di fare pressioni verso il mondo
        politico (senza particolare successo) perché mettesse mano a riforme normative per
        rendere ulteriormente più dure le punizioni e colpire i disfatti allinterno
        dellesercito e quelli presenti nel paese. Ma come si comportarono alcuni pacifisti, quelli che venivano accusati di essere
        disfattisti dal comando supremo come i socialisti? I socialisti una volta dichiarata la guerra partirono tranquillamente per il
        fronte, seguendo la linea del partito che seppur formalmente era né aderire né sabotare
        di fatto con il passare dei mesi si spinse sempre di più su posizione di adesione allo
        sforzo bellico, con il gruppo parlamentare che in un occasione offri anche il proprio
        appoggio al governo e con adempio sindaci come quello di Bologna che esposero il tricolore
        sul palazzo comunale fino alla gloriosa vittoria della patria italiana. Significativa, però, del clima con cui comunque vennero trattati i militari di
        idee socialiste fu una sentenza degli inizi del 1918 in cui si condannava
        allergastolo per tradimento a un soldato perché propagandista dellAvanti e
        che raccoglieva fondi per il quotidiano socialista.  Le denunzie allautorità giudiziarie militare dalla dichiarazione di
        guerra (24 maggio 1915) alla data dellamnistia (2 settembre 1919) furono
        complessivamente 870 mila delle quali 470 mila per mancata alla chiamata e 400 mila per
        diserzione o per altri reati commessi sotto le armi 
        (Monticone, op cit, pg 207). Al 2 settembre 1919 rimanevano in corso di istruzione 50 mila processi, mentre
        erano stati definiti 350 mila. Il 6% delle nostre truppe fu oggetto di denunzia ai tribunali militare. Nel 1919 venne emanata dal governo Nitti una amnistia, criticata ferocemente
        dalle forze nazionaliste in quanto premiante per i disfattisti e gli elementi
        sovversivi, verso i   soldati della
        grande guerra; in realtà era il cercare di porre fine ad una situazione di caccia alla
        streghe e di una assurda disciplina militare che aveva visto spesso nel fante un oggetto
        meno importanti delle armi che erano in trincea. Il principio di tutta lazione dellufficio giustizia, ossia del
        comando supremo, fu quello della giustizia punitrice rapida, severa ed
        esemplare, sostegno e complemento della disciplina (Monticone, op cit, pg 251). Le condanne comminate dai tribunali furono più di 170 mila su 262 mila
        denunziati; la maggior parte dei reati fu pronunciata per diserzione, con una crescita
        progressiva dei casi. Il secondo reato in ordine di importanza fu lindisciplina: in questo caso
        è bene precisare che soldati vennero processati in procedimenti penali svolti contro
        ufficiali denunziati dai propri sottoposti, per violenze e abusi di potere; negli stessi
        procedimenti venivano però processati anche i soldati che avevano avuto il coraggio di
        denunziare comportamenti arbitrali dei propri superiori, finendo alla fine loro stessi
        condannati per rifiuto di obbedienza, con la corte ovviamente sempre ben disposta verso
        gli ufficiali. Altro reato tra i più diffusi e particolari fu costituito
        dallautolesionismo che vide 10000  condanne
        su 15 mila denunzie; questa tipologia di reato ebbe una impennata notevole nel corso del
        secondo anno di guerra per poi diminuire lievemente negli anni successivi. A spiegare la riduzione del numero dei reati fu anche la modifica della
        normativa. Se nei primi anni chi si feriva, anche volontariamente, era comunque
        allontanato dalla prima linea con linvio al carcere militare, successivamente fu
        disposto che, anche condannati, i soldati appena guariti sarebbero ritornati subito in
        prima linea, facendo così perdere lincentivo allallontanamento dal fronte. Le mutilazioni autoprodottesi (ascessi con sostanze infette, ferite da arma da
        fuoco, congiuntiviti e dermatiti) in molti casi per la imperizia di chi commetteva tale
        reato andarono a produrre effetti permanente sul soldato, provocando mutilazioni
        permanenti come la perdita della vista, linutilizzo di arti e casi ancora più
        gravi. Facendo una analisi complessiva dellattività che i 117 tribunali diffusi
        in tutto il regno alla fine della guerra (dato ricavato da B. Bianchi, La follia e la fuga, Bulzoni 2001, pg 221)
        possiamo vedere che gran parte delle condanne si conclusero con pene detentive (reclusione
        militare o il carcere) le condanne a morte comminate furono 1006 di cui 729 eseguite e 277
        non eseguite, dato incompleto perché non considerava lopera del maggiore statistico
        in materia il Mortara, le condanne in contumacia  (circa
        3000).  La giustizia militare seguì gli avvenimenti bellici e così una delle
        conseguenza della strafeexpedition fu un netto balzo in avanti nella recrudescenza
        dellazione penale e disciplinare: il maggio-giugno 1916 porta cosi ad una prima
        svolta di un certo rilievo rispetto ai primi dodici mesi di attività della giustizia
        militare. (Bianchi, op cit, pg 271) La disparità di trattamento della giustizia militare nei confronti della truppa
        e degli ufficiali è un dato innegabile dei processi compiuti nella prima guerra mondiale.
        Attenuanti rifiutate per i soldati, furono considerate elementi fondamentali nel
        procedimento verso gli ufficiali; spesso gravissimi motivi familiari (lutti gravissimi che
        colpivano i soldati, o situazione di estrema indigenza dei familiari che erano rimasti al
        paese) non entrarono mai nel parametro di giudizio delle corti per attenuare gravi
        sentenza verso i soldati. La classe sociale, la giovane età i presunti valori
        morali costituirono sempre motivo per attenuare reati più gravi e concedere sempre
        generose attenuanti per gli ufficiali. Altro strumento di giustizia penale largamente incoraggiato dai comandi superiori
        fu la decimazione e lesecuzioni sommarie, di cui però, proprio per la natura dello
        strumento, abbiamo solo dati incompleti. La circolare 3525 del comando supremo affermava deve ogni soldato essere
        certo di trovare, alloccorrenza nel superiore il fratello o il padre, ma deve essere
        convinto che il superiore ha il sacro potere di passare immediatamente per le armi i
        recalcitranti e i vigliacchi  (tratta da Monticone, op cit, pg pg 224). Laspetto più aberrante
        della giustizia penale in periodo di guerra fu quello delle esecuzioni sommarie, attuate
        sul campo senza alcuna procedura o dopo una breve inchiesta indiziaria , talora per
        colpire forme anche lievi di indisciplina. (G.
        Procacci, Soldati e prigionieri italiani nella grande guerra, Editori Riuniti 1993, p
        24). Casi accertati di decimazione nella brigata Ravenna,  nella brigata Catanzaro, episodio della compagnia
        presso il monte Mosciagh nel 1916. Nel 1917 alcuni soldati dell89
        reggimento di fanteria furono fucilati dopo un sorteggio. Dei fatti accaduti resta
        una dichiarazione del deputato Michele Gortani di Tolmezzo: in  seguito ad un attacco, alcuni nostri feriti erano
        rimasti fra le linee nostre e quelle austriache. Dopo due giorni passati senza che questi
        feriti potessero essere soccorsi, visto che le difficoltà del terreno non permettevano di
        soccorrerli da parte nostra, si consiglio dalle nostre linee che essi cercassero di
        muoversi verso quelle austriache. Ebbene, coloro che erano indiziati  di aver dato questo consiglio, furono rinviati a
        processo. La conclusione fu lordine di una decimazione sommaria del reparto
        indiziato. Furono fucilati. Ma la sentenza pare che sia sparita.  (Bianchi, op
        cit, pg 176). Allesecuzione sommaria
        infatti non fece ricorso soltanto  in
        situazioni estreme, ma anche per riaffermare i rapporti gerarchici. Che lesecuzione
        sommaria di soldati durante il combattimento fosse considerata una prassi lecita, lo
        confermano le dichiarazioni che alcuni ufficiali fecero con disinvoltura nel corso di
        conversazioni informali. (Bianchi, op cit,
        pg 178) I tribunali, quando furono istruiti
        dei processi, tennero in considerazioni tutte le attenuanti possibili per giustificare il
        comportamento dei comandanti in tali situazioni. Con labbandono del comando supremo da parte di Cadorna e la successione di
        Diaz le cose fondamentalmente non mutarono per quel che attiene la giustizia militare, il
        nuovo comandate continuò  a concepire la
        giustizia come uno strumento per ottenere la disciplina dalle sue truppe; ma è innegabile
        che ci furono miglioramenti nelle condizioni di vita da parte dei soldati. Molti furono gli italiani che tornarono dallestero per vestire la divisa
        grigio-verde e restarono profondamente delusi dallatteggiamento che in patria li
        aspettò. A differenza dei compatrioti, che per esempio erano rimasti negli stati uniti ed
        erano entrati a far parte dellesercito di quel paese (che ricevevano una paga
        migliore e il governo aveva pensato anche una assicurazione sulla vita), lemigrante
        italiano ritornato in Italia aveva un trattamento economico pessimo, nessuna forma
        assicurativa, nessuna comprensione da parte della gerarchia militare in tema di licene e
        permessi. Molti in realtà erano stati spinti al ritorno in patria dal timore che il non
        prestare servizio militare avesse impedito in futuro un ricongiungimento con la famiglia
        di origine. Un grosso problema per lo stato maggiore fu rappresentato dalla prima licenza
        invernale di guerra (1915/1916). I soldati che andarono in licenza furono in qualche modo
        controllati nei propri paesi di provenienza per evitare che descrivessero uno scenario
        negativo al paese di quel fronte e di quei fanti che il corriere della domenica dipingeva
        amabili quadri sulle proprie pagine. I soldati al ritorno a casa in alcuni casi evitavano di raccontare il dramma che
        vivevano in prima linea soprattutto per non angosciare i familiari, ma molti non potevano
        fare a meno di constatare quanto in alcuni casi il paese fosse lontano dal fronte ed
        estraneo alla guerra. La licenza produceva, come scrive il Monticone, una inevitabile
        interruzione del processo di adattamento alla guerra. Il soldato si scopre ancora uomo,
        padre e marito con una sensibilità e un senso dellumanità che la bruttura della
        guerra gli facevano perdere. Molti ritennero che fu proprio leffetto licenza a creare i presupposti per
        gli insuccessi del 1916 dellesercito italiano, tantè che il generalissimo
        arrivò a minacciare una stop alle licenza misura non eseguita poi in realtà. La licenza costituì, per molti militari , loccasione per abbandonare  anche definitivamente il fronte. Furono moltissimi
        i casi di soldati che arrivati a casa rientravano in ritardo (rischiando moltissimo,  perché con il passare del tempo il margine per il
        ritardo dalla licenza era stato diminuito, e trascorso tale tempo si incorreva nel reato
        di diserzione). Margini tanto ridotti esponevano alla pena di morte anche chi, tornando
        dalla licenza, avesse presentato un ritardo involontario, non inconsueto nel caso di
        lunghi viaggi sulle tradotte militari in un paese con grandi difficoltà di comunicazione
        e con una rete ferroviaria assai ridotta, in particolare nel mezzogiorno e nelle
        isole (Bianchi, op cit,pg170) Dalle dichiarazioni che tanti
        soldati-contadini fecero agli ufficiali istruttori emerse che  essi non avrebbero mai disobbedito se non fosse
        stato per la famiglia, ma di fronte ai campi abbandonati, alla perseveranza, laboriosità  miseria dei propri cari non ebbero dubbi sulla
        priorità dei loro doveri. Molti avevano certamente affrontato la vita di guerra
        sostenuti dai valori della cultura contadina:perseveranza, laboriosità, rispetto dei
        valori gerarchici. I rapporti interni alla comunità contadina, imperniata sulla
        subordinazione allautorità della famiglia per la soddisfazione dei bisogni
        collettivi, avevano favorito ladattamento alla disciplina. Fu la mancanza di
        rispetto per questi valori  a provocare la
        ribellione, la rottura dei legami dei soggetti allautorità. (Bianchi 246) I disertori erano ben accolti dalla
        popolazione, che spesso venivano aiutati da questa perché spesso lavoravano nei campi
        sostituendosi agli uomini al fronte. Spesso si creava una rete introno ai disertori per
        proteggerli dalle ricerche dei carabinieri, e in alcuni casi si arrivò da parte dei
        civili a scontrarsi con pattuglie di carabinieri. La diserzione era stata in molti casi
        lestrema ratio perchè comportava conseguenze negative per i familiari, che venivano
        spesso privati dei loro beni con procedimenti di confisca e sequestro e del sussidio, e
        inoltre additati a cattivo esempio alla comunità in cui vivevano. Spesso il fante disertava perché i
        superiori che avevano promesso licenze a chi si fosse offerto volontario per missione
        rischiose, non mantenevano quelle promesse.  Non era previsto allo scoppio della guerra nessun elemento di distrazione per i
        soldati, a differenza per quanto accadeva per altri eserciti; nessuno spettacolo, nessun
        divertimento secondo lo stato maggiore era idoneo allambiente bellico e allo sforzo
        che i soldati dovevano sostenere. Lunica eccezione fu rappresentato dalla prostituzione, le case di
        tolleranza furono sotto il controllo delle autorità militari . La maggior parte degli ufficiali e dei soldati si lamentavano 
 che il
        riposo non potesse mai diventare tale, proprio perché non dava occasione di incontrare
        essere umani o animali che non fossero i soliti uomini in grigio verde o i soliti mali.
        Per distrarsi e dimenticarono restarono a disposizione le bevande alcoliche che facevano
        parte della razione quotidiana del soldato. (Melograni,
        op cit, pg 243). Era abitudine distribuire grandi quantità di 
        alcol prima della battaglia. Lusanza di andare a raccogliere i feriti dopo gli scontri non si accordava
        con le caratteristiche della guerra totale; ma i comandi temevano che le truppe
        delle due parti trovassero occasione ed eventualmente fraternizzare (Melograni, op cit, pg 256) In tutti gli eserciti furono presenti episodi in cui truppe apposta a cosi pochi
        metri luna dalle altre finissero per fraternizzare come dissero sentenze
        dei tribunali militari e copiosa letteratura di guerra. In realtà, tranne sporadici casi,
        in cui in effetti soldati, anche con alcuni graduati, si incontravano nella terra di
        nessuno, solitamente la fraternizzazione consistette nello scambio di qualche
        battuta,di sigarette, pane e altri miseri beni, e in non dichiarate tregue che
        permettevano di alleviare la difficile vita di trincea. I comandi reagirono ovviamente malissimo, e in alcuni casi invitarono la propria
        artiglieria a colpire le proprie truppe, le proprie trincee per evitare i contattati tra
        soldati che man mano che i mesi passavano capivano che i nemici non erano i mostri
        descritti dalla stampa, ma erano poveracci come loro, che subivano le stesse pene. Un episodio significativo è dato da una condanna a un caporale e
        due soldati che avevano inviato un cane con un bigliettino con scritte che esprimevano la
        stanchezza per la guerra. Per lautore del biglietto fu richiesta la pena di morte
        per fucilazione (ai sensi dellart. 72) a cui fortunatamente furono riconosciute le
        attenuanti. (lepisodio è citato in Monticone, op cit). Il soldato italiano, che non aveva partecipato alle radiose giornate di maggio si
        trovò sbattuto a combattere una guerra non sua, in condizioni critiche tali da modificare
        il suo animo. Le condizioni di una guerra che ebbe molti episodi di autentica carneficina,
        spinsero questi uomini a tentare le vie più disperate per lasciare quellinferno: la
        fuga, la diserzione, lautolesionismo, il suicidio furono modi, tentativi per fuggire
        dallorribile esperienza della guerra. Uno stato gendarme, superiori insensibili,
        spesso pazzi sanguinari costituivano ulteriore elemento per distruggere la psichiche e
        lanimo di quegli uomini. Uomini che pur al fronte continuavano a pensare alle disastrate case, in cui i
        propri congiunti morivano di fame, con soldati che affrontarono la corte marziale per
        stare accanto ai figli morenti, o per cercare una sistemazione per quelli rimasti orfani
        (le condizioni di abbandono in cui vivevano i fanciulli trova un drammatico riscontro
        nella mortalità infantile , la più alta tra tutti i paesi belligeranti). Questi fatti, le innumerevoli sentenza ci tramandano un soldato italiano, mandato
        al fronte a fare il proprio dovere, ma che non accettò di ridursi a strumento di una
        incomprensibile e ingiusta guerra e che cercò di manifestarlo come poté.     Bibliografia di
        riferimento da internet Materiali di storia n
        19, Al muro di Cesare Alberto Loverre; A.V., Era come a mietere,
          1982 G. Procacci, Soldati e prigionieri italiani nella grande guerra,
        Editori Riuniti 1993 B. Bianchi, La follia e la fuga, Bulzoni 2001 A. Monticone, Italiani in uniforme, Bari 1968 P. Melograni, Storia politica della grande guerra, Laterza Mario Isnenghi  Giorgio Rochat,  La grande guerra 1914-1918, La nuova Italia 2000           |