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La rivoluzione russa

  La fine dei Romanov: i fatti

Il 17 luglio del 1918 le poche righe di un innocuo telegramma, inviato a Mosca dal presidente del Soviet degli Urali Beloborodov, avente come destinatario, il segretario del consiglio dei commissari del popolo Gorbunov, ebbero l’effetto di cambiare per sempre la storia della Russia, aggiungendo una drammatica pagina di morte e violenza ad un paese già sconvolto dalla spaventosa guerra civile tra bolscevichi e contro-rivoluzionari.

Esso recitava testualmente: "Dite Sverdlov famiglia subìto destino del capo. Ufficialmente famiglia morirà in evacuazione"; l’appena citato testo annunciava drammaticamente lo sterminio dello zar di tutte le Russie Nicola II e della sua famiglia, della moglie Alessandra, dei figli Alessio, Olga, Tatiana, Maria e Anastasia.

Il giorno seguente il presidente del comitato centrale di Soviet, Sverdlov, cui era stato prontamente consegnato il telegramma, intervenendo dinanzi al comitato centrale, su invito dello stesso Lenin, annunciò: " devo dirvi che abbiamo ricevuto notizia che a Ekaterinburg, per decisione del Soviet regionale, è stato fucilato Nicola. Voleva fuggire. I cecoslovacchi si avvicinavano. Il presidium del comitato esecutivo centrale panrusso ha deciso di approvare.

Si concludeva in questa tragica maniera l’esistenza della gloriosa famiglia Romanov che per ben 300 anni fu l’indiscussa dominatrice della grande Russia imperiale; Nicola II pagò a caro prezzo la drammatica giornata di Pietroburgo del 1905, quando la guardia zarista sparò vilmente sulla folla inerme facendo una strage, una folla composta da contadini e operai ridotti alla fame da uno stato ancora di stampo feudale, lontano anni luce dal progresso e dallo sviluppo economico e politico delle grandi potenze occidentali.

Nicola II, nonostante la sua lontananza dal "palazzo d’inverno", in quel drammatico giorno, divenne irrimediabilmente, a partire da quel momento, Nicola il sanguinario, compromettendosi per sempre agli occhi della popolazione; né fu d’aiuto alla sua immagine la mistica presenza a corte di Rasputin, un monaco corrotto il quale, vantando prodigiose doti di guaritore, aveva soggiogato la zarina Alessandra, disperata per la grave malattia del figlio Alessio, affetto da emofilia; quest’oscuro personaggio era realmente una figura inquietante già per il solo aspetto fisico, che lo faceva apparire come una sorta di creatura demoniaca, a cominciare dalla sua lunga barba, dai suoi occhi glaciali, spiritati, dal suo sguardo magnetico, in grado di intimorire chiunque lo incrociasse.

 

Rasputin, dedito ad alcool, ai piaceri, alla lussuria più sfrenata, con il suo macabro influsso ed ascendente sulla moglie di Nicola II, accumulò un potere talmente vasto da far pensare che fosse proprio lui a tenere in mano, con la sua corte personale, l’immenso impero; per questi motivi, al fine di salvare una monarchia sempre più decadente, agli occhi di un popolo stupefatto ed affamato, Rasputin venne assassinato, nel 1916, da un complotto organizzato ed eseguito dal principe Jusupov.

Ma il vero e proprio colpo di grazia al destino dei Romanov venne inferto dallo scoppio della grande guerra, cui la Russia partecipò e che condusse un paese già in ginocchio, alla catastrofe più completa, sia sul fronte interno, sia su quello militare, con i continui rovesci dell’esercito imperiale, decimato dalla morte di oltre 2 milioni di persone.

Nicola II fu praticamente costretto all’abdicazione ed il potere, dopo la parentesi del governo provvisorio, passò nelle mani dei bolscevichi di Lenin.

Lo zar di tutte le Russie, il padrone del più grande impero del mondo, il titolare di un potere immenso e di un patrimonio incalcolabile, era pertanto ormai ridotto al rango di semplice cittadino, costretto al ritiro, insieme alla sua famiglia, nella residenza estiva di Tzarskoje Selo, ben distante dagli sfarzi e dal lusso che aveva contraddistinto quel luogo, nei felici anni del dominio; Tzarskoje Selo divenne una sorta di prigione dorata, la reggia nostalgica di ciò che non c’era più, un mero, triste, guscio vuoto, privato dei suoi protagonisti.

Nel frattempo i membri del governo provvisorio stavano decidendo il futuro della famiglia imperiale, propendendo per la soluzione diplomatica dell’esilio, ma l’Inghilterra ed il suo re Giorgio V, cugino dell’ex zar, boicottarono la proposta, sia per la fama sanguinaria di Nicola II, sia per il suo rifiuto di una pace separata nel corso del conflitto.

Dalla nostalgica reggia di Tzarskoje Selo, i Romanov furono trasferiti nella città di Tobolsk, in piena Siberia, nel luogo cioè dove solo pochi mesi prima venivano confinati proprio i nemici della corona imperiale.

Con l’avvento del potere bolscevico, Nicola II ed il suo seguito, il 26 aprile 1918, affrontarono il loro ultimo viaggio verso la sperduta località di Ekaterinburg, ove alloggiarono nella modesta abitazione di un certo Ipatiev.

Fu proprio in quella sperduta località posta ai margini della Russia europea che, nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1918, si consumò l’atto finale della gloriosa storia zarista.

Cornice e causa prima di quella tragedia fu la devastante guerra civile tra l’armata rossa e le forze bianche controrivoluzionarie guidate da generali fedeli allo zar, che si proponevano il ritorno dei Romanov al potere e l’annientamento della rivoluzione bolscevica; proprio il timore di una liberazione della famiglia imperiale ad opera delle armate bianche, vicine ad Ekaterinburg, indusse il soviet degli Urali a procedere all’eliminazione della stessa.

A mezzanotte Jankel Jurovskij, comandante di casa Ipatiev, svegliò la zar e i suoi famigliari, invitandoli a scendere nello scantinato per motivi di sicurezza, in vista di un imminente attacco; dopo un’ora erano tutti pronti, portandosi nel luogo indicato; insieme a Nicola, Alessandra, Alessio, Tatiana, Olga, Maria e Anastasia si trovavano il dottor Botkin, medico del piccolo zarevic, il cuoco Ivan Karitonov, la cameriera Anna Demidova, il cameriere Alessio Trupp, ossia tutto ciò che rimaneva della sterminata e sfarzosa servitù imperiale, composta, solo poco tempo prima, da centinaia di persone.

Fatte portare le tre sedie richieste dall’ex zar, sulla quali si sedettero, oltre lo stesso Nicola, Alessandra ed Alessio, fecero il loro ingresso nella piccola stanza, Petr Voikov, commissario degli approvvigionamenti di Ekaterinburg e Petr Ermakov, comandante della ceka, seguiti da undici guardie lettoni.

A quel punto Jurovskij, tolse di tasca un foglietto e lesse testualmente: "Nicola Alexandrovic, per decisione del soviet regionale degli Urali siete stato condannato a morte; l’ultimo dei Romanov ebbe appena il tempo di mormorare, sbigottito, un "come" che venne immediatamente centrato da un colpo alla testa; ne seguì una pioggia di fuoco che travolse la famiglia imperiale ed i servitori al seguito; la scena si rese apocalittica: la zarina Alessandra fece appena in tempo a farsi il segno della croce, prima di cadere, le granduchesse urlavano terrorizzate, il sangue schizzava dappertutto, imbrattando pavimento e pareti.

Inaspettatamente però le figlie di Nicola non morirono in quanto, nei giorni precedenti, sperando in una fuga, si erano imbottite i corpetti di diamanti, che fecero da scudo; proprio per questo motivo vennero finite a colpi di baionetta, come la cameriera Demidova, volta a tentare disperatamente la fuga, proteggendosi con un cuscino; lo stesso Alessio, agonizzante, fu definitivamente freddato con tre colpi di pistola ravvicinati, mentre questi protendeva le mani al viso come per proteggersi.

Eliminati i Romanov, i congiurati cominciarono in fretta e furia le operazioni per far sparire quegli scomodi corpi; i cadaveri, denudati, furono caricati su una camionetta e condotti in un bosco dove si tentò inutilmente di bruciarli, in quanto la legna, umida e bagnata, non prese fuoco; dopo averli orribilmente mutilati e sfigurati con l’acido, per renderli irriconoscibili, si decise di gettarli nel pozzo di una miniera, ma anche in questo caso qualcosa andò storto, visto che l’acqua copriva quei resti solo fino alla metà.

I corpi vennero così ricaricati sulla camionetta che, poco più tardi, rimase impantanata nel fango; stante il tempo trascorso, dopo aver scavato il terreno, i resti della famiglia imperiale vennero definitivamente seppelliti in una fossa comune, coperta da traversine di legno, luogo in cui rimasero fino al loro ritrovamento, avvenuto sul finire degli anni settanta, in piena era sovietica e reso noto solo nel 1989.

 

 

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