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LA MEMORIA DELLA GUERRA:
LESPERIENZA DEGLI INTERNATI MILITARI ITALIANI (IMI)
di Luga Gorgolini (Osservatorio MQ- 2010)
Giorgio Rochat ha più volte ricordato la grande difficoltà con cui
le diverse prigionie di guerra vengono generalmente ricordate dal paese, dalla forze
armate e dagli stessi reduci; in effetti, la prigionia di guerra è difficile da
raccontare e ancor più da celebrare: non ha momenti eroici, ne vicende
gloriose, né medaglie al valore (1). Limitatamente a quanto
accadde in Italia nellimmediato dopoguerra, Rochat ha però osservato che le cause
della rimozione dellesperienza della prigionia patita da centinaia di migliaia di
soldati italiani andavano ricercate anche in alcuni elementi precipui del contesto
nazionale italiano. A partire dal fatto che i reduci provenienti dai numerosi campi di
prigionia e di internamento dislocati in tutti i continenti, erano troppi e troppo
diversi (2). Ai 10.000 che
rientrarono dalla Russia, si sommavano infatti, i circa 600.000 che provenivano dai campi
di prigionia degli Alleati e i circa 650.000 che erano sopravissuti ai lager tedeschi. Il
tentativo di affrontare i molteplici problemi e le diverse aspirazioni che animavano
questa massa di ex combattenti, avrebbe necessariamente richiesto un riesame collettivo di
alcuni passaggi salienti della storia più recente della nazione, puntando lattenzione
soprattutto sulle pesanti responsabilità che investivano una parte importante dei vertici
istituzionali e militari: dalladesione al fascismo, al sostegno dato alla
partecipazione alla guerra, ai comportamenti tenuti nel periodo immediatamente successivo
all8 settembre del 1943. Le diverse e pesanti eredità derivanti dai molteplici
fallimenti del regime fascista e le profonde lacerazioni causate dalla guerra civile,
spinsero la classe dirigente ad accantonare ogni tentazione di riesame critico della
guerra fascista, optando per la scelta più semplice: una rimozione
complessiva corretta da riconoscimenti e celebrazioni ritardate, indifferenziate e
sottotono (3).
Daltra parte, anche tra le fila della stessa popolazione civile, lorientamento
psicologico prevalente era caratterizzato dalla volontà di chiudere con gli anni della
guerra che aveva seminato lutti e distruzioni a piene mani. A partire dallestate del
1943, lItalia era diventata un sorta di terra di nessuno, un inferno
congiunto di stragi naziste e bombardamenti alleati, dove non cera né
cielo da vedere né terra per camminare (4) . La mancanza di
fronti militari più o meno stabili sul terreno e fissi nel tempo, ha osservato
Ernesto Galli della Loggia, spezzando la rigidità spaziale della guerra ne spezzò
anche, per così dire, limputazione sessuale, rigidamente circoscritta agli uomini.
Dal 1939 al 45 la guerra non corrispose ad alcun luogo separato nel quale si
affrontassero gruppi contrapposti di maschi, ma fu un evento totale che impregnò da cima
a fondo la quotidianità di ciascuno (5).
Nel corso della guerra dunque, era venuta meno la distinzione tra soldato e civile, fronte
e società erano diventati omogenei (6); nelItalia del
45, dove l ombra della guerra era ancora chiaramente percepibile,
in buona sostanza anche i civili si sentivano reduci della guerra ed erano
poco inclini a riservare agli ex combattenti che rientravano, riconoscimenti particolari e
corsie preferenziali nella ricerca di una occupazione. Al di fuori della cerchia familiare
e della propria rete associativa, le rivendicazioni dei reduci venivano vissute con un
certo grado di fastidio allinterno di un paese in ginocchio, affollato di povera
gente destinata a fare i conti con una quotidianità caratterizzata da tessere annonarie,
sfollamento, case sventrate da bombardamenti, coabitazioni forzate, energia elettrica
razionata, scarsità di acqua potabile, una mobilità ridotta ai minimi termini e
soprattutto da mancanza di lavoro. Più di 1.300.000 le parole sono di
Caludio Sommaruga, ex internato militare reduci da tutte le prigionie, in tutti i
continenti, si riversavano, nel 1945-1947, in unItalia postfascista, indifferente,
stanca di sentir parlare di guerra, in bilico tra lantifascismo popolare della
Resistenza, lanticomunismo strumentalizzato della guerra fredda e lopportunismo
di chi stava a guardare. Si onorano i pochi superstiti della deportazione politica e
razziale nei Lager di Hitler e nei campi di prigionia di Stalin, che non avevano avuto
scelte da compiere, vittime di un tragico destino. Gli ex internati, volontari nei Lager,
invece non facevano notizia (7).
In effetti, solo la memoria della prigionia di Russia conobbe un certo grado di interesse
e di diffusione, in ragione, soprattutto, di una strumentalizzazione politica strettamente
connessa al clima di tensione ideologica prodotto dallavvio della guerra fredda. Le
numerose testimonianze pubblicate nel dopoguerra, in prevalenza redatte da ufficiali,
presentavano, infatti, un tratto fortemente unilaterale, caratterizzato molto spesso da
una dura contrapposizione nei confronti del nemico carceriere. Solo in seguito alla
pubblicazione delle testimonianze dei reduci cuneesi, quasi tutti appartenenti alla
truppa, raccolte da Nuto Revelli, la guerra e la prigionia in Russia vennero raccontati in
modo differente: in quelle testimonianze infatti la guerra era soprattutto sinonimo di
obbedienza, sofferenza e sacrificio, e la prigionia non era rappresentata come
una frattura dellesperienza bellica, bensì come la continuazione di quella
sofferenza. I soldati raccontano quanto hanno vissuto, senza generalizzazioni e
senza pregiudizi verso i russi, con i quali hanno spesso avuto rapporti da contadini e
contadini (8). Dallaltra
parte, invece, le memorie dei soldati fatti prigionieri dagli Alleati e dei soldati
imprigionati da tedeschi nelle ore e nei giorni successivi allambigua dichiarazione
radiofonica di Badoglio, venne largamente rimossa. Se nel caso dei primi è possibile
ipotizzare come causa delloblio della loro esperienza di prigionia, lassenza
di dimensioni collettive drammatiche allinterno dei campi degli
Alleati, i prigionieri ricevettero un trattamento in buona misura corretto, in linea con
quanto prescritto dalle convenzioni internazionali le ragioni della rimozione della
tragedia vissuta dagli Imi appaiono più diversificate.
Non cè dubbio che lindifferenza e lostilità che gli Imi sperimentarono
sulla propria pelle, al pari degli altri reduci delle diverse prigionie, una volta
rientrati in Patria, ebbero un ruolo determinante nel convincere la quasi totalità di
loro a rimuovere il trauma vissuto, rifugiandosi nel silenzio e concentrando i propri
sforzi nel tentativo di ricostruire una propria identità sociale allinterno di una
comunità nazionale, in cui i riferimenti culturali e il sistema di valori dominanti erano
profondamente diversi da quelli che avevano caratterizzato lItalia fascista. Ma la
rimozione del trauma del reticolato, sostenuta in molti casi anche dalla
convinzione dellinutilità del sacrificio vissuto durante il calvario
coraggioso e ripetuto cui si erano consapevolmente sottoposti, finì con lalimentare
la scarsa o nulla attenzione manifestata dagli altri: la stampa, lopinione
pubblica, la scuola, la generazione dei figli (9).
Dato questo quadro di incomprensioni e disillusioni che seguirono il rientro in patria
degli internati militari, e le reticenze, molto spesso strumentali, con cui la loro
vicenda venne ripercorsa dalla classe dirigente di allora, la memoria e la storia di
quella esperienza finirono, inevitabilmente, per essere quasi dimenticate, nonostante i
tentativi generosi messi in atto dalle associazioni che raggruppavano gli ex internati. A
partire dalla Anei, lAssociazione nazionale ex internati, nata negli Oflag di
Sandbostel e Wietzendorf e costituitasi legalmente in Italia nel 1946 (ufficialmente
riconosciuta come Ente morale nellaprile del 1948), che intraprese, oltre allattività
di assistenza e di cura della memoria dei caduti, unopera sistematica di ricerca e
di raccolta di documenti (10).
Contestualmente, di pari passo con la perdita della memoria pubblica delle vicende, si è
manifestata anche quella della memoria storica (11). É stato scritto
che la disattenzione dovuta alla vicenda degli Imi, relegata in una sorta di limbo
della memoria, fu dovuta anche a decenni di celebrazioni liturgiche di
unidea di Resistenza e Liberazione spesso limitata alla sola lotta partigiana cui
si è finito per assegnare un ruolo di principale o addirittura unico rappresentante, o di
finale sintesi dellintera storia nazionale (12). Per moti versi,
nella società italiana del dopoguerra le formazioni partigiane godevano di un
prestigio in qualche modo paragonabile a quello di cui avevano goduto i reduci della Prima
guerra mondiale, gli internati nei campi tedeschi non erano che il simbolo della tuttaltro
che dimenticata disfatta dell8 settembre; daltra parte, mentre i
partigiani si sentivano vittoriosi e rivendicavano con forza la loro guerra e la loro
sofferenza, sorretti da associazioni con dichiarati programmi di rinnovamento
politico-sociale (13), gli internati
militari si sentivano sconfitti, incapaci di proporsi al Paese come modello (14).
Come osserverà in seguito, Carlo De Luca, segretario dellAnei il termine
stesso di internati non evoca[va] particolari situazioni di eroismo (15).
Al contrario, una volta rientrati casa, gli internati sopravissuti ai lager, si trovarono
addirittura nella condizione di doversi difendere dallaccusa di collaborazionismo
che alcuni settori dellopinione pubblica avevano precedentemente sollevato: in
patria molti credevano che gli internati avessero soltanto evitato i rischi di un nuovo
fronte di guerra, consegnandosi ai tedeschi e lavorando per loro (16).
Con amarezza, un ex internato militare, ricorderà in seguito: per i tedeschi
eravamo badogliani, per i fascisti traditori, per i partigiani
dei vili che avevano ceduto le armi ai tedeschi offrendosi di lavorare nelle
fabbriche della Germania in cambio della vita (17).
Fortemente influenzati dallesperienza della Resistenza, a lungo ripercorsa seguendo
linterpretazione fondata sullopposizione fascismo-antifascismo, gli stessi
liberalprogressisti e comunisti non hanno saputo collocare in modo sufficientemente
chiaro la sorte degli Imi nel contesto di una lotta di liberazione antifascista che ha
costituito il fondamento legittimante della Repubblica e ha caratterizzato per decenni la
cultura politica e la coscienza collettiva del paese (18). Come ha
recentemente affermato Claudio Pavone, la preferenza che la storiografia resistenziale ha
accordato per molto tempo alle grandi interpretazioni politiche ha finito con
il produrre sviste e disattenzioni di cui sono rimasti vittima tra gli altri, anche
soldati italiani internati in Germania ai quali per molti anni non è stata dedicata lattenzione
che meritavano (19). Allinterno
della voluminosa Storia della resistenza italiana redatta da Roberto Battaglia e apparsa
per la prima volta a metà degli Cinquanta, alla vicenda degli Imi viene dedicata solo
mezza pagina. Lo stesso Alessandro Natta, ex internato militare e personalità di spicco
del partito comunista italiano, intervenendo nel maggio del 1991 al convegno fiorentino
dedicato agli internati militari e ai prigionieri di guerra durante lultimo
conflitto mondiale, ha ricordato che nel 1954 la casa editrice del suo partito aveva
rifiutato la pubblicazione di una sua riflessione-testimonianza dedicata allesperienza
di internamento vissuta in Germania (20).
Gli stessi elenchi bibliografici che raccolgono le testimonianze e gli sudi sullinteramento
prodotti nel periodo compreso tra limmediato dopo guerra e i primi anni Ottanta del
secolo scorso, testimoniano con efficacia la rimozione della vicenda degli Imi. Come ha
rilevato chi per primo si è occupato di mettere mano ad una rassegna bibliografica
sistematica di questi documenti, la maggior parte delle pubblicazioni apparse nei decenni
appena indicati, sono, specie nel periodo dellimmediato dopoguerra, testimonianze
autobiografiche redatte da ufficiali, medici o cappellani militari; le testimonianze dei
soldati che vengono edite in forma integrale o parziale, allinterno di volumi
antologici, sono in numero sensibilmente minore, quasi marginali. Si tratta nel complesso
di testimonianze soggettive, memorie e diari, che riescono a beneficiare di una
distribuzione circoscritta, generalmente limitata ai soli circuiti delle associazioni dei
reduci: per molto tempo, leditoria dellinternamento militare è di fatto
ignorata dai grandi editori e dai librai ed è scarsamente presente nelle biblioteche. Si
sviluppa per lo più a carico degli autori o delle associazioni, appoggiandosi a piccoli
editori o tipografie prestanome, con scarse sponsorizzazioni, tirature limitate (poche
centinaia di copie) (21). Altro elemento che
a metà degli anni Ottanta emergeva da questo primo bilancio, era dato dal
sostanziale disinteresse manifestato dalla storiografia italiana per queste storie; un
vuoto storiografico in cui si inseriva lopera di alcuni studiosi, in qualche caso ex
internati o riconducili al loro ambiente, che, salvo rare eccezioni, si presentava
prevalentemente deludente, con il limite di fondo dato dalla rinuncia allo
sfruttamento degli archivi italiani e soprattutto tedeschi
(22) e dallappiattimento
sulla memorialistica come unica fonte. Negli stessi manuali storici in uso nelle scuole
medie inferiori e superiori questo importante episodio della storia contemporanea,
risultava di fatto trascurato, e rispetto alle pagine dedicate alla Resistenza in Italia,
praticamente del tutto assente: un silenzio che viene fatto risalire alle difficoltà
di carattere politico che avevano per molti anni influenzato rapporti tra internati
e partigiani (23).
La situazione sopradescritta muta di segno tra la metà degli anni Ottanta e i primi anni
Novanta, in ragione di un progressivo venir meno di quegli elementi che avevano
determinato la rimozione della memoria soggettiva, della memoria pubblica e della memoria
storica relative a quella pagina di storia.
L omertà e l isolamento degli internati cominciarono
a smagliarsi in coincidenza del mutamento subito dal quadro politico e del
pensionamento degli stessi reduci, i quali, in quel frangente della loro esperienza
biografica, avevano meno rimozioni, più contatti con gli altri e tempo disponibile
per recuperare la memoria; dagli anni 80, la massa dei reduci, nel
frattempo anagraficamente dimezzatasi, riscoprì, anche ai fini pensionistici
(riconoscimento degli anni di guerra) il passato rimosso, sbloccandosi in parte come
testimoniano la memorialistica tardiva, i saggi e i convegni storici (dal 1984), la
costituzione tardiva di nuove associazioni di reduci (24). La loro uscita
allo scoperto fu in qualche modo favorita dalla ripresa del dibattito europeo attorno al
tema dei risarcimenti economici per coloro che erano stati costretti a lavorare nelle
imprese tedesche nel corso dellultimo conflitto mondiale.
Un ruolo importante fu giocato anche dallattenuazione delle grandi
interpretazioni storiche che per interi decenni avevano condizionato la storiografia
resistenziale, producendo sviste e silenzi di cui, come ricordato, erano rimasti vittima
gli stessi soldati italiani internati in Germania dopo l8 settembre del 1943. Il
no pronunciato dalla gran parte degli Imi venne progressivamente rivalutato in
ragione delle conseguenze che il loro comportamento determinò a più livelli durante il
conflitto. A partire da quello militare, in ragione del fatto che il loro rifiuto privò
Mussolini della possibilità di poter dotare la Repubblica sociale italiana di un vero
esercito. La loro scelta, inoltre, ebbe anche ripercussioni sul piano politico interno
italiano, dando un contributo diretto alla Resistenza nazionale: la vicenda di questi
soldati, fatti prigionieri dopo lannuncio dellarmistizio, internati per
volontà del governo tedesco, di cui il governo repubblicano fascista era formalmente
alleato, e costantemente costretti ad avanzare ai propri familiari richieste di cibo e di
vestiario, finì per amplificare la delegittimazione del governo di Mussolini agli occhi
di ampi settori dellopinione pubblica nazionale. Inoltre, dalla resistenza degli Imi
derivò anche un significativo contributo al riscatto italiano dal
fascismo e dalla guerra di aggressione, grazie al quale il paese, nel dopoguerra, poté
presentarsi tra le nazioni democratiche, vincitrici sul nazifascismo (25).
Nella seconda metà degli anni Ottanta, si assiste così sul piano storiografico ad un
inclusione degli Imi tra le fila di coloro che parteciparono al movimento resistenziale,
inteso in una dimensione più ampia rispetto ai decenni precedenti, e articolato su
quattro fronti: i soldati e gli ufficiali nei campi di internamento militare e i politici
e gli ebrei nei campi di concentramento e sterminio; i partigiani italiani allestero;
i soldati dellesercito nella campagna dItalia e infine il movimento partigiano (26).
Contestualmente, si sono susseguiti diversi riconoscimenti del valore della resistenza
degli Imi, sempre più frequenti e autorevoli e, soprattutto, diversamente dalle
dichiarazioni rilasciate nei decenni precedenti, destinati ad incidere in modo
significativo non solo tra le fila degli addetti ai lavori ma allinterno
dellintera opinione pubblica. Nel febbraio del 1993, partecipando alla presentazione
del diario di un ex internato militare, Arrigo Boldrini, figura storica del movimento
partigiano e in quel momento presidente dellAnpi, si chiedeva: Cosa ha
significato questa presa di posizione dei 600.000 nei campi di concentramento? È una
valutazione che deve farci pensare anche per quel che riguarda la partecipazione alla
Lotta di Liberazione. 600.000 nei campi di concentramento, con parenti e amici nel
territorio nazionale, forse 9-10 milioni: questa considerazione dà alla Lotta di
Liberazione un segno straordinario [
]. Ebbene, se non ci fosse stata quella
componente così larga, così partecipata â io lo chiamo un referendum
popolare senza comizi, senza manifestazioni come si sarebbe ricucita lItalia,
quale sarebbe stato il ruolo di riscossa dellEsercito Italiano, quale lapporto
del movimento partigiano, quale fu limpegno di questa tacita partecipazione
indiretta per la costituzione dei Comitati di Liberazione Nazionali? [
] Dai campi di
concentramento viene fuori un altro filone incredibile, che è la resistenza degli
italiani allestero [â¦] Ma non è forse vero che nei campi di concentramento
qualcuno ha buttato giù le prime righe della Costituzione italiana: la libertà, i
diritti umani, la pace? Come li abbia scritti non lo so, ma li abbiamo recepiti nella
Costituzione (27). È allinterno
di questo rinnovato clima politico e, come vedremo tra breve, storiografico, che le
memorie dellinternamento subìto da Alessandro Natta, la cui stampa nel 1954 era
stata rifiutata perché editorialmente non opportuna, nel 1996 vengono
pubblicate, con il celebre titolo di Laltra resistenza dalla casa
editrice Einaudi, riscuotendo un grande successo. Negli ultimi dieci anni, si è assistito
ad altri due interventi dallalto valore simbolico che hanno visto protagonisti gli
ultimi due presidenti della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano. Il
primo nel marzo del 2001 si recò a Cefalonia e rese omaggio ai martiri della divisione
Acqui, trucidati dalle truppe tedesche nei giorni successivi allannuncio dellarmistizio,
pronunciando queste parole: Decideste così, consapevolmente, il vostro destino.
Dimostraste che la Patria non era morta. Anzi, con la vostra decisione, ne riaffermaste lesistenza.
Su queste fondamenta risorse lItalia. Questa signor Presidente della Repubblica
Ellenica, è lessenza della vicenda di Cefalonia nel settembre 1943 [
] la loro
scelta consapevole fu il primo atto della resistenza, di unItalia libera dal
fascismo. Il 25 aprile del 2007, ancora a Cefalonia, Giorgio Napolitano dichiarava:
La maturità delle motivazioni ideali e politiche che caratterizzarono la Resistenza
in Italia sarebbe venuta più tardi, ma a Cefalonia si manifestò un impulso nobilissimo e
destinato a dare i suoi frutti. Si può ben cogliere un forte legame ideale fra quellimpulso
e la successiva maturazione dello spirito della Resistenza. Molto si continua a scrivere e
a discutere sul clima che si creò in seno alla Divisione Acqui in quei terribili giorni.
Ma non cè polemica storiografica o pubblicistica che possa oscurare leroismo
e il martirio delle migliaia di militari italiani che scelsero di battersi, caddero in
combattimento, furono barbaramente trucidati. Anche qui si creò la premessa essenziale
per la costruzione di una nuova Italia democratica (28).
Sul piano prettamente storiografico, una inedita stagione di studi riservati allinternamento
militare prese il via nel 1985, in coincidenza dunque del 40° anniversario della
conclusione della seconda guerra mondiale, con il convegno dellAnei di Firenze che
ebbe il merito di favorire una ripresa dellinteresse per gli Imi ed un rilancio
della loro memorialistica, con particolare riferimento a quella prodotta dai soldati, come
detto fortemente minoritaria nei decenni precedenti (29). Una attenzione per
le testimonianze soggettive che a ben guardare si inserisce allinterno di una congiuntura
storiografica particolarmente favorevole al rinnovamento del panorama degli studi
sullvento-guerra, come è testimoniato dal convegno internazionale di studi svoltosi
a Rovereto, sempre nel 1985, e dedicato alla prima guerra mondiale (La Grande
Guerra. Esperienza, memoria, immagini) (30) ; un rinnovamento
che si è esplicato, per quel che riguarda lo studio della Grande Guerra, attraverso la
raccolta sistematica e lanalisi di fonti in precedenza scarsamente utilizzate, se
non ignorate, quali ad esempio le testimonianze autobiografiche (lettere, diari e memorie)
prodotte sia dai soldati al fronte sia dai loro familiari.
Altro caposaldo di questa nuova fase della ricerca sugli internati, è rappresentato dal
convegno del 1991, in cui lanalisi riguardò anche la condizione più generale
dei prigionieri di guerra di altri paesi belligeranti caduti in mano delle forze tedesche
per poter meglio definire, appunto nel rapporto comparativo, le caratteristiche dellinternamento
nelleconomia più generale del trattamento che lapparato militare tedesco
riservò alla forze italiane catturate dopo larmistizio (31).
Nello stesso anno, inoltre, vennero pubblicati da parte dellUfficio storico dello
stato maggiore dellesercito i risultati dellapprofondito lavoro di indagine
storica condotto dallo studioso tedesco Gerhard Schreiber, attraverso il recupero di un
ampio materiale documentario rintracciato presso gli archivi tedeschi, efficacemente
intrecciato con il contenuto dei non altrettanto numerosi documenti conservati presso gli
archivi nazionali italiani (32). Successivamente,
unulteriore definizione e sistemazione storiografica della vicenda in oggetto si
avrà grazie allimpegno di Gabriele Hammermann, autrice di uno studio
specificatamente dedicato alle condizioni di vita e di lavoro sofferte dagli Imi nel corso
del loro internamento (33). Accanto alle
diverse sezioni dellAssociazione nazionale ex deportati, anche gli istituti storici
della Resistenza hanno riservato a questa storia alcuni momenti di riflessione ed
iniziative editoriali di valore, a conferma di quanto si è ricordato in precedenza sullaccettazione
di una rinnovata dimensione del fenomeno resistenziale che si fa strada in quel decennio.
Ricordiamo tra gli altri, i seguenti volumi: Istituto storico della Resistenza in Piemonte
(cur.), Una storia di tutti: prigionieri, internati deportati italiani nella seconda
guerra mondiale (atti del convegno internazionale svoltosi a Torino il 2-3-4 novembre del
1987), 1987; A. Bendotti e E. Valtulina (cur.), Internati, prigionieri, reduci : la
deportazione militare italiana durante la seconda guerra mondiale, Istituto bergamasco per
la storia della resistenza e delletà contemporanea, Bergamo, 1999, e lopera
curata Adolfo Mignemi che documenta lesistenza quotidiana degli ufficiali allinterno
dei lager, prendendo in esame le immagini fotografiche furtivamente realizzate dagli
stessi militari italiani (34). Non sono mancati,
inoltre, progetti di ricerca finalizzati ad indagare le diverse situazioni locali,
attingendo dalla memoria diretta dei protagonisti e, più recentemente, dal contenuto dei
documenti conservati presso gli archivi dei distretti militari
(35).
La svolta verificatasi nel corso degli anni Ottanta, trova conferma anche sul
piano quantitativo in rapporto al numero complessivo di pubblicazioni apparse dal 1985 in
avanti; la rassegna bibliografica curata da Claudio Sommaruga nel 2001 mostra che poco
meno della metà dei circa 650 titoli apparsi dal 1945 al 2000, si riferiscono a
pubblicazioni editate proprio nei quindici anni successivi al 1984. Pur in assenza di una
bibliografia completa sullargomento che dia conto con puntualità di quanto è stato
pubblicato nel corso dellultimo decennio, la consultazione del database del sistema
bibliotecario nazionale testimonia la costante attenzione che a più livelli è stata
riservata allâesperienza degli Imi, rafforzata di recente anche dallistituzione
del giorno della memoria, in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo
ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, dando conto
tra laltro di un sensibile miglioramento della collocazione editoriale di questi
pubblicazioni che conoscono dunque una maggiore diffusione rispetto a quanto avveniva
precedentemente e confermando la prevalenza di ricerche che vanno oltre il contesto
nazionale per prendere in esame il contesto locale, molto spesso nel tentativo di mettere
al sicuro i ricordi degli ultimi testimoni.
Questultimo aspetto rinvia per lappunto ai vuoti di memoria che decenni di
silenzi privati e pubblici hanno prodotto e che la fortunata stagione di riconoscimenti
pubblici e studi storici appena ripercorsa, è riuscita solo in parte a colmare: il tempo
trascorso, infatti, ha favorito la dispersione e la perdita definitiva di testimonianze
biografiche su quel frangente della storia nazionale. Si è detto sopra del ruolo svolto
dallAnei in difesa dellonore degli internati e dello sforzo che questa
associazione ha svolto nel lavoro di salvaguardia delle memorie di quegli eventi; un
impegno importante, ma che ha potuto poco contro loblio allora indotto dalla classe
dirigente, lindifferenza degli storici e la vergogna degli stessi internati
militari.
È stato calcolato che nel 1995, lAnei associava circa 15.000 reduci su un totale di
150.000 superstiti (36), ma gli ultimi due
decenni hanno visto, come è ovvio, una progressiva riduzione del tasso di vitalità
registrato nelle attività associative e di studio: lAnei è unassociazione
istituzionalmente senescente le parole sono di Claudio Sommaruga , con soci
non rinnovabili e una carica iniziale destinata fatalmente allesaurimento, senza
prospettive di evoluzione ma, semmai, di involuzione. I suoi compiti dovrebbero ora
concentrarsi sul riordino delle carte di famiglia, come i buoni padri e i
nonni, per la salvaguardia del patrimonio etico e storico dellinternamento, per il
ricordo dei caduti non per caso, per la difesa dei valori nei quali hanno
creduto e per i quali hanno lottato, perché ció che è stato non i ripeta e
contro i revisionismo e i ritorni di fiamma. Ma tutto questo è sempre più
difficile, nel poco tempo che resta e col troppo tempo perduto (37).
In questo senso, il sussulto degli anni Ottanta che ha dato il via ad una fase di ricerca
finalmente scientificamente fondata, rompendo lisolamento politico dei reduci dellinternamento,
ha prodotto sul piano del recupero della memoria risultati inferiori rispetto quelli
potenzialmente possibili. Se si sommano le testimonianze edite con quelle conservate nei
diversi archivi (38) ci si trova di
fronte ad un numero di testimonianze che costituiscono solo una minima parte di una grande
mole di documenti soggettivi redatti nel corso dellinternamento o nei decenni
successivi, inconsapevolmente o distrattamente custoditi in migliaia di archivi familiari.
In effetti, limpegno profuso in progetti di ricerca locali volti a registrare le
testimonianze orali dei reduci ancora in vita, non ha registrato uno sforzo altrettanto
deciso sul piano della ricerca sistematica di testimonianze soggettive scritte, specie di
quelle redatte nel corso dellinternamento. Eppure si tratta di una mole sterminata
di documenti che con pazienza potrebbero riemergere. Una prova recente sullesistenza
di questi giacimenti di documenti è stata fornita da Mario Avagliano e Marco Palmieri,
ricercatori del Centro studi della Resistenza dellAnpi di Roma-Lazio, i quali negli
ultimi due anni hanno attraversato lItalia, bussando alla porta di tanti reduci
ancora in vita o dei loro discendenti, seguendo un metodo empirico che ricorda molto da
vicino lesperienza condotta a suo tempo da Nuto Revelli e riscontrando lesistenza
di decine di diari e centinaia di lettere, a volte veri e propri epistolari. Testimonianze
inedite che assumono la valenza di fonti storiche dirette, documenti che
essendo coevi e possedendo quindi un grado di attendibilità di gran lunga superiore
a quello delle memorie successive, servono ad approfondire quali furono le condizioni di
prigionia e di lavoro forzato subite dagli Imi. Si tratta di fonti storiche che, sebbene
condizionate dalla visione parziale e dallesperienza individuale, una volta
incrociate e confrontate tra loro, prendendo in considerazione un adeguato campione, come
avviene in questa ricerca, restituiscono informazioni importanti sulla vicenda degli Imi (39).
Come si è detto sopra, da alcuni anni gli istituti di storia della Resistenza e/o delletà
contemporanea stanno sviluppando progetti di ricerca incentrati sullanalisi dei
documenti conservati presso gli archivi dei distretti militari, arrivando tra laltro
a formulare elenchi di Imi su base provinciale. Come nel caso dellIstituto di storia
contemporanea della provincia di Pesaro e Urbino che attraverso la costruzione di un
apposito database sta procedendo alla individuazione degli Imi ancora in vita o dei loro
discendenti allo scopo di rintracciare documenti autobiografici da raccogliere in un
apposito fondo documentario, specificatamente dedicato allâinternamento
militare. Esperienze simili in altre province potrebbero portare ad una verifica
sistematica delle testimonianze ancora esistenti, incrementando in modo sensibile la
quantità e la qualità stessa, in termini di contenuti, dei documenti da mettere a
disposizione del ricercatori.
©Luca Gorgolini, La memoria della guerra: lesperienza
degli internati militari italiani (IMI),
in www.laboratoriodistoriasociale.eu
osservatorioMQ (tutti i diritti riservati)
1 G. Rochat, Introduzione, in C. Sommaruga, Per
non dimenticare. Bibliografia ragionata della deportazione e dellinternamento dei
militari italiani nel Terzo Reich (1943-45) , A.n.e.i, Brescia, p. 5; Idem, La
società dei lager. Elementi generali della prigionia di guerra e peculiarità delle
vicende italiane nella seconda guerra mondiale, in N. Labanca (cur.), Fra
sterminio e sfruttamento. Militari internati e prigionieri di guerra nella Germania
nazista (1939-1945), atti del convegno internazionale di studi storici su «Militari
internati e prigionieri di guerra nella Germania nazista (1939-1945) fra sterminio e
sfruttamento» (Firenze, 23-24 maggio 1991), Le Lettere, Firenze, 1992, pp. 137-138.
2 G. Rochat, La prigionia
di guerra, in M. Isnenghi, (cur.), I luoghi della memoria. Strutture ed eventi
dellItalia unita, Laterza, Roma-Bari, 1997, p. 391.
3 Ivi, p. 391.
4 G. Crainz, Lombra
della guerra: 1945. LItalia, Donzelli, Roma, 2007, pp. 13-17.
5 E. Galli della Loggia,
Una guerra «femminile»? Ipotesi sul mutamento dellideologia e dellimmaginario
occidentali tra il 1939 e il 1945,
in
A. Bravo (cur.), Donne e uomini nelle guerra mondiali, Laterza, Roma-Bari, 1991, p. 5.
6 A. Bistarelli, La storia
del ritorno. I reduci italiani del secondo dopoguerra, Bollati Boringhieri, Torino,
2007, p. 22
7 C. Sommaruga, Linternamento:
memoria, rimozione e azioni dei reduci e degli altri, in C. Sommaruga
(cur.), Dopo il lager. La memoria della prigionia e dellinternamento nei reduci
e negli altri, Guaisco, Napoli, 1995, p. 89.
8 G. Rochat, La prigionia
di guerra, cit., p. 392
9 C. Sommaruga, Introduzione,
ricordare cosa, come, perché, in C. Sommaruga (cur.), Dopo il lager. La memoria
della prigionia e dellinternamento nei reduci e negli altri, cit.,
p. 33.
10 A. Bistarelli, La
storia del ritorno. I reduci italiani del secondo dopoguerra, cit., p. 140.
11 G. Procacci, Gli
internati militari italiani. Le testimonianze degli IMI della provincia di Modena, in
G. Procacci e L. Bertuccelli (cur.), Deportazione e internamento militare in Germania.
La provincia di Modena, Edizioni Unicopli, Milano, 2001, p. 16.
12 M. Avagliano e M.
Palmieri, Introduzione a M. Avagliano e M. Calmieri, Gli internati militari
italiani. Diari e lettere dai lager nazisti 1943-1945, Einaudi, Torino, 2009, pp.
LVII-LVIII.
13 G. Rochat, Memorialistica
e storiografia sullinternamento, in N. Della Santa (cur.), I militari
italiani internati dai tedeschi dopo l8 settembre 1943. Atti del convegno di
studi storici promosso a Firenze il 14 e 15 novembre 1985 dallAssociazione Nazionale
Ex Internati nel 40° anniversario della liberazione, Giunti, Firenze, 1986, p. 25.
14 G. Rochat, Gli IMI
nella storiografia e nella opinione pubblica. Il caso «Leopoli», in Guisco (cur.), Schiavi
allo sbaraglio. Gli Internati Militari Italiani nei Lager tedeschi di detenzione,
punizione e sterminio. Riflessioni e confronti, Atti della giornata di studio 5°
Raduno Nazionale Guisco, Napoli, 7 ottobre 1988, Larciere, Cuneo, 1990, p. 45.
15 C. Sommaruga, Linternamento:
memoria, rimozione e azioni dei reduci e degli altri, p. 88.
16 Ivi, p. 92.
17 Ivi, p. 98
18 G. Hammermann, Gli
internati militari italiani in Germania. 1943-1945, Il Mulino, Bologna, 2004, pp.
12-13.
19 C. Pavone e A. Ballone,
La Resistenza: un percorso storiografico, in E. Collotti, R. Sandri e F. Sessi
(cur.), Dizionario della resistenza, Eianudi, Torino, 2006, vol. II, Luoghi,
formazioni, protagonisti, p. 705.
20 E. Collotti, Introduzione
a A. Natta, Laltra Resistenza. I militari italiani internati in Germania,
Einaudi, Torino, 1996, p. V.
21 C. Sommaruga, La
memoria degli Imi, in C. Sommaruga, Per non dimenticare, Bibliografia ragionata
della deportazione e dellinternamento dei militari italiani nel Terzo Reich
(1943-45), p. 7.
22 G. Rochat, Memorialistica
e storiografia sullinternamento, p. 27.
23 L. Cajani, Gli
internati militari italiani in mano tedesca (1943-1945), in C. Sommaruga (cur.), Dopo
il lager, cit., pp. 123-142.
24 C. Sommaruga, Linternamento:
memoria, rimozione e azioni dei reduci e degli altri, cit., p. 102.
25 M. Avagliano e M.
Palmieri, Introduzione,
cit., p. LIII.
26 E. Collotti, R. Sandri e
F. Sessi, Introduzione, in E. Collotti, R. Sandri e F. Sessi (cur.), Dizionario
della resistenza, Eianudi, Torino, 2006, vol. I, Storia e geografia della
Liberazione, p. XXIII.
27 Brano citato, in C.
Sommaruga, Linternamento: memoria, rimozione e azioni dei reduci e degli altri,
cit., pp. 100-101.
28 Brani riportati sul sito
web
http://www.cefaloniacorfu1943.net (ultima consultazione: 12 marzo 2010).
29 N. Della Santa (cur.),
I militari italiani internati dai tedeschi dopo l8 settembre 1943. Atti del
convegno di studi storici promosso a Firenze il 14 e 15 novembre 1985 dallâAssociazione
Nazionale Ex Internati nel 40° anniversario della liberazione, Giunti, Firenze, 1986.
30 D. Leoni e C. Zadra
(cur.), La grande guerra: esperienza, memoria, immagini, Il Mulino, Bologna,
1986.
31 E. Collotti, La
guerra nazista come guerra di sterminio, in N. Labanca (cur.), Fra sterminio e
sfruttamento. Militari internati e prigionieri di guerra nella Germania nazista,
1939-1945, cit., pp. 3-4.
32 Gerhard, Schreiber, I
militari italiani nei campi di concentramento del terzo reich 1943-1945, Ufficio
storico SME, Roma, 1992.
33 G. Hammermann, Gli
internati militari italiani in Germania. 1943-1945, cit..
34 A. Mignemi (cur.), Storia
fotografica della prigionia dei militari italiani in Germania, Bollati Boringhieri,
Torino, 2005
35 Tra gli altri, si
segnalano: Anei, Resistenza senzarmi. Un capitolo di storia italiana dalle
testimonianze di militari toscani internati nei Lager nazisti, Le Monnier, Firenze, 1988,
A.
Bendotti, G. Bertacchi, M. Pelliccioli e E. Valtulina (cur.), Prigionieri in Germania.
La memoria degli internati militari, Il filo di Arianna, Bergamo 1990, N. Labanca
(cur.), La memoria del ritorno. Il rimpatrio degli internati militari italiani,
1945-1946, Giuntina, Firenze, 2000,
G.
Procacci e L. Bertuccelli (cur.), Deportazione e internamento militare in Germania. La
provincia di Modena, Unicopli, Milano, 2001, R. Ropa, Prigionieri del terzo
reich. Storia e memoria dei militari bolognesi internati nella Germania nazista,
Clueb, Bologna, 2009,
A.
Bartolini e E. Malvezzi (cur.), Gli ultimi testimoni. Storie e ricordi degli internati
militari nei lager nazisti, Polistampa, Firenze, 2009.
36 C. Sommaruga, Linternamento:
memoria, rimozione e azioni dei reduci e degli altri, cit., p. 83.
37 Ivi, pp. 95-96.
38 Fondazione Archivio
Diaristico Nazionale (Pieve Santo Stefano), Archivio di Stato di Bolzano, Laboratorio di
storia sociale - Memoria del quotidiano (Univ. di Bologna, sede di Rimini),
Archivi degli istituti storici che aderiscono alla rete nazionale dellInsmli
(Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione), Associazione nazionale ex
internati (Anei) (Roma), Schiavi di Hitler. Museo virtuale delle deportazione, c/o
Istituto di Storia Contemporanea Pier Amato Perretta (Como), A.N.E.I. Museo
dellinternamento (Padova), Fondazione archivio nazionale ricordo progresso c/o
Associazione nazionale dei reduci della prigionia (Anrp) (Roma). Per ulteriori
informazioni, consulta la sezione Archivi.
39 M. Avagliano e M.
Palmieri, Introduzione, cit., p. LXI.
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