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L'attentato di Rastenburg

 "E’ ora che si faccia qualcosa. Ma colui che oserà agire deve rendersi conto che entrerà probabilmente nella storia tedesca con il marchio del traditore. Se tuttavia rinuncerà ad agire, si ritroverà ad essere un traditore davanti alla propria coscienza"

Colonnello Claus Schenk von Stauffenberg, lettera alla moglie.

 

20 luglio del 1944

Hitler si trovava, come ogni giorno, presso il quartier generale di Rastenburg, nella Prussia Orientale, limbo tra i fasti dei trionfali raduni di Norimberga e l’inferno che verrà del bunker della cancelleria assediato dai sovietici.

La costruzione di quella che sarebbe passata alla storia come "Die Wolfsschanze" (la Tana del Lupo) era cominciata nel 1940 ed il fuhrer vi si era trasferito solo due giorni dopo l’avvio dell’"Operazione Barbarossa" contro l’Unione Sovietica.

Rastenburg si trovava effettivamente vicino al confine sovietico ed era un luogo grigio e spettrale, circondato da laghi, paludi ed immerso nella tetra foresta di Gierloz.

In quelle giornate di luglio del 1944, il sogno del grande reich millenario dominatore, stava progressivamente andando in fumo, con il recente sbarco alleato in Normandia, che faceva seguito all’inesorabile avanzata dell’armata rossa sul fronte orientale.

La giornata di Hitler si stava svolgendo, a partire dalle 10 di mattino, con le rituali consultazioni dello stato maggiore tedesco, quando, alle 12,42, nel cuore della riunione militare, una terrificante deflagrazione scuoteva l’ambiente, seminando morte e terrore tra i presenti; tra l’urlo dei feriti, alcuni dei quali sbalzati violentemente fuori dalla finestra e tra i diversi corpi giacenti a terra, un fuhrer sconvolto e sotto shock riuscì miracolosamente a salvarsi e a cavarsela soltanto con qualche escoriazione, tanto che solo poche ore più tardi, alle 16, fu persino nelle condizioni di ricevere il duce Benito Mussolini, che verificò, stupefatto, di persona, la potenza dell’esplosione.

Ancora una volta Adolf Hitler era uscito indenne e miracolato dall’appuntamento con la morte, come durante il primo conflitto mondiale quando si creò, intorno alla sua figura, una sorta di mito dell’incolumità, per l’ attitudine a sfuggire, lui combattente di prima linea, alle spaventose carneficine che caratterizzarono la grande guerra; addirittura una volta un proiettile gli staccò la manica dell’uniforme lasciandolo indenne, mentre in un’altra occasione fu il conferimento della croce di ferro a salvarlo:

proprio per quell’avvenimento e per la gran massa di persone presenti alla cerimonia, all’interno della tenda del comando supremo, Hitler e compagni furono costretti ad uscire dalla stessa, che, solo pochi minuti più tardi, venne centrata in pieno da una granata nemica.

Ma ancora più sconvolgente fu un altro episodio, atto a far sospettare una sorta di misterioso influsso benevolo in capo al leader nazista:sempre durante la grande guerra si trovava tranquillamente in trincea a consumare il rancio, quando udì come una voce che lo induceva a spostarsi; Hitler sentì fortemente il richiamo di quel messaggio, scattò immediatamente in piedi, precipitandosi lontano e proprio mentre si era nuovamente adagiato, un ordigno scagliato dalle linee avversarie, colpì l’originaria posizione, facendo a pezzi tutti i malcapitati, che solo pochi istanti prima, si trovavano gomito a gomito con il futuro fuhrer.

Un altro clamoroso miracolo caratterizzò pertanto quello che sarebbe passato alla storia come l’attentato di Rastenburg, organizzato da personaggi appartenenti alla tradizione aristocratica prussiana e facenti capo al giovane colonnello di 37 anni, conte Claus Schenk von Stauffenberg; questi, ferito gravemente in Tunisia nel 1943, ove perse un occhio, la mano destra e due dita della mano sinistra, durante la lunga convalescenza, si rese conto del disastro cui il III reich stava conducendo la Germania e maturò, dunque, la decisione di agire per salvare la patria dalla distruzione.

I suoi propositi si tramutarono in un vero e proprio complotto contro Hitler, cui aderirono l’ex borgomastro di Lipsia Carl Gòerdeler, i generali Ludwig Beck, Friedrich Olbricht, Hans Henning von Tresckow, Erich Fellgiebel, Edward Wagner, l’ex ambasciatore a Roma Ulrich von Hassel, il feldmaresciallo Erwin von Witzleben, l’ex ambasciatore a Mosca Friedrich Werner von der Schulenburg, il pastore Dietrich Bonhoeffer, il gesuita Alfred Delp, il socialdemocratico Julius Leber, il conte Helmuth James von Moltke e altri giovani appartenenti all’aristocrazia prussiana; a questi si aggiunsero indirettamente, con la loro semplice adesione, al di fuori di ogni contributo all’organizzazione, la "volpe del deserto" Rommel, von Kluge, nonché il capo del servizio segreto militare Hans Wilhelm Canaris.

La congiura contro il "mostro", denominata operazione "Walkiria" venne preparata meticolosamente nei minimi dettagli dai congiurati, che potevano contare sul libero accesso del colonnello Stauffenberg alle riunioni dello stato maggiore, godendo questi di grande prestigio ed essendo stato nominato comandante dell’Ersatzheer, l’esercito territoriale di riserva.

Per ben due volte Stauffenberg tentò di attuare il piano: una prima volta, convocato al Berghof dallo stesso Hitler, rinunciò solo perché mancavano Himmler e Goring, che, nei propositi dei cospiratori, sarebbero dovuti essere liquidati con il fuhrer; una seconda volta, dopo che fu deciso di eliminare anche il solo Hitler, l’attentato fallì, sempre al Berghof, in quanto, proprio mentre Staffenberg si era allontanato per mettersi in contatto con Berlino, al fine di dare il via all’operazione, il fuhrer aveva preso la via di Rastenburg ove lo stesso colonnello fu convocato, il giorno 19 luglio 1944, per la riunione militare del giorno seguente.

Stauffenberg decollò da Berlino la mattina del giorno 20 ed atterrò a Rastenburg tre ore più tardi, recando con sé una valigia all’interno della quale, tra i documenti, si trovava un potente esplosivo a scoppio ritardato, lo stesso che tentò inutilmente di azionare nelle due precedenti occasioni.

La riunione, inizialmente prevista per le ore 13, era stata nel frattempo anticipata di mezz’ora, a causa della visita di Mussolini e Stauffenberg, entrato nella Lagerbaracke, la sala delle assemblee, sedutosi nelle vicinanze del fuhrer, dopo aver azionato il detonatore, posizionò la valigetta per terra, a fianco delle sue gambe; compiuta la sua missione, alle 12 e 37, proprio mentre il generale Heusinger stava dettagliatamente riferendo circa la difficile situazione sul fronte orientale, si allontanò dalla stanza, inseguito dal generale Keitel, ansioso di comunicargli che tra qualche istante sarebbe toccato a lui stesso prendere la parola.

A questo punto entrava in gioco il provvidenziale gesto del comandante Brandt, il quale, intento a cercare una miglior visione della carta militare, dopo aver urtato la valigia con un piede, si chinava e la spostava, salvando di fatto la vita ad Hitler.

La terrificante esplosione, che devastò l’ambiente, convinse Stauffenberg, testimone oculare della stessa, circa la riuscita del piano e questi decollò per Berlino per completare l’ operazione Walkiria, con la proclamazione dello stato d’assedio ed il contestuale disarmo delle SS da parte della Wehrmacht, la quale, dopo aver riportato l’ordine, avrebbe consentito a Carl Goerdeler di assumere la guida della Germania.

Ma quella che doveva essere la fine del potere del dittatore, si tramutò in un clamoroso boomerang per i congiurati, visto che immediatamente si scatenò la reazione degli uomini del fuhrer, i quali non tardarono a scoprire la precipitosa fuga, qualche minuto prima dell’esplosione, del colonnello Stauffenberg.

Intanto il piano, dettagliatamente preparato, cominciava a presentare le prime complicazioni quando il generale Fellgiebel, uno dei congiurati, capo delle trasmissioni della "tana del lupo", tardò ad inviare notizie agli altri cospiratori di Berlino, né interruppe le comunicazioni tra Rastenburg e Berlino; nonostante ciò Stauffenberg e gli altri cospiratori decidevano di proseguire imperterriti nella loro azione:

mentre Stauffenberg si recava presso gli uffici di Olbricht, capo della sezione approvvigionamenti dell’esercito territoriale, per annunciare la morte di Hitler e per invitare i vertici militari ad assumere il potere, il comandante von Hase, ordinava al Wachtbataillon Grossdeutschland, comandato da Otto Ernst Romer, di presidiare i luoghi cardini della città; ciononostante, la ferma reazione degli uomini di Romer, il quale venne messo in contatto con Hitler dall’astuto Goebbels e il doppio gioco del generale Fromm, comandante in capo delle forze dell’interno, che, dopo aver aderito alla congiura, decise, dopo aver saputo del fallimento dell’azione, di tornare sui suoi passi, resero vano ogni ulteriore tentativo.

Lo stesso Fromm, arrestato in un primo momento dai congiurati e successivamente liberato, mentre gli uomini di Romer assediavano la Bendlerstrasse, ove si trovava il quartier generale dei cospiratori, diede l’ordine di passare per le armi sul posto Mertz von Quirnheim, Olbricht e Stauffenberg in persona nel cortile del Comando Supremo dell’Esercito a Berlino, al fine di eliminare personaggi che avrebbero potuto comprometterlo, con la loro testimonianza diretta, circa la sua iniziale adesione.

Era il primo atto della spaventosa rappresaglia attuata, meticolosamente e senza alcuna pietà dai gerarchi di Hitler, nei confronti, non solo dei congiurati, ma anche dei componenti delle loro stesse famiglie.

Nei mesi seguenti le impiccagioni e le fucilazioni diedero il via ad un tragico e barbaro bagno di sangue che coinvolse migliaia di persone e che non risparmiò neppure il "pentito" Fromm e soprattutto il grande Rommel, la gloriosa "volpe del deserto", costretto, drammaticamente, al suicidio, come il generale Beck, il quale, solo ferito dalla sua pistola di ordinanza, venne finito con un colpo alla nuca.

I processi si svolgevano dinanzi al Volksgerichtshof, il tribunale militare, presieduto da Ronald Freisler, fervente nazista, il quale dopo pochi minuti, emetteva la sentenza di condanna, tra il compiacimento del fuhrer, ansioso di placare la sua sete di vendetta, per la quale diede l’ordine di fare giustizia sommaria, senza alcuna pietà.

Adolf Hitler, come scrisse alla sua amante Eva Braun, attribuì il fallimento dell’attentato alla provvidenza, e considerò la sua salvezza come il chiaro segno di un destino che avrebbe consentito al grande reich millenario, di ribaltare la drammatica situazione militare e di ottenere la tanto sperata vittoria;

il fuhrer infatti, memore dei miracolosi episodi che anche in passato, come sopra ricordato, gli avevano consentito, incredibilmente, di sopravvivere, si considerava come un predestinato, investito di una missione da compiere e per questo invulnerabile ad ogni tentativo di soppressione.

In realtà l’evolversi degli eventi ha dimostrato come l’azione di Stauffenberg e degli altri attentatori ebbe soltanto l’effetto di prolungare la straziante agonia del popolo tedesco e di regalare ad un fuhrer ormai spento e malato, la macabra gioia di un’agghiacciate repressione e di una scia di sangue che contraddistinse il nazional-socialismo, ancora più crudelmente, nelle drammatiche fasi della sua progressiva distruzione.

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