Corriere della Sera, 11 luglio 2001

Strage in Polonia per conto dei nazisti. Il presidente chiede scusa

di Serena Zoli

Milleseicento polacchi massacrati al «modo nazista» dai compaesani polacchi perché ebrei, il 10 luglio 1941. La verità scoppiata come una bomba in Polonia l’anno scorso con il libro di uno storico Usa, nato ebreo-polacco, che rivelava: nazisti i metodi, ma non gli esecutori. E ieri, per il 60° anniversario della strage, il presidente della Repubblica, Aleksander Kwasniewski, ex comunista, ha chiesto solennemente perdono, nel centro del paesino di Jedwabne, mentre si scopriva una nuova lapide al posto della precedente che incolpava i tedeschi. «Per questo crimine dobbiamo implorare le anime dei morti e le loro famiglie di perdonarci», ha detto in una cerimonia che la tv pubblica ha trasmesso in diretta per la durata
di due ore e mezzo. «Oggi come uomo, cittadino e presidente della Repubblica polacca chiedo loro perdono a nome mio e a nome di quei polacchi le cui coscienze sono sconvolte da questo crimine». Kwasniewski ha poi precisato: «Gli autori e gli istigatori di questo crimine ne portano essi soli la responsabilità... non può certo trattarsi di una responsabilità collettiva». Ed ha aggiunto: «Coloro che hanno ucciso sono colpevoli verso la Polonia, la sua storia, la sua tradizione».
Una tradizione che parlava di tolleranza, di polacchi pesantemente vittime degli eccidi nazisti e protettivi verso i loro compatrioti ebrei. Una storia che parrebbe ribaltata dai fatti commemorati ieri e che invece l’ambasciatore israeliano in Polonia, Shevach Weiss, ha voluto riaffermare. Dopo parole di aspra condanna dell’accaduto, Weiss ha infatti dichiarato: «Tra noi ci sono dei sopravvissuti all’Olocausto le cui vite furono salvate dalle azioni coraggiose dei loro vicini di casa polacchi, persone coraggiose e nobili». L’accenno ai «vicini di casa» non è
stato casuale. Così infatti si intitola il libro di Jan T. Gross, che l’autore ha voluto pubblicare prima in Polonia, nel maggio 2000 ( Sasiedzi ) e solo ora in Usa ( Neighbours ). Basandosi sul racconto di testimoni oculari, lo storico ha ricostruito quanto accadde nel paesino cento chilometri a nord-ovest di Varsavia dopo l’invasione tedesca. Su duemila abitanti a Jedwabne, 1600 erano ebrei. I loro «vicini di casa», chi dice quaranta chi novanta persone, ne catturarono un migliaio, li chiusero in un granaio e li bruciarono vivi. Gli altri seicento furono fatti fuori per
strada con forconi, con scuri o annegandoli.  Un processo a 22 polacchi fu in verità celebrato nel 1949, in epoca staliniana, e 12 furono condannati, ma restarono in prigione ben poco. E ciò non impedì che nel paese fosse messa la
lapide che accusava i nazisti. La nuova lapide condanna solo l’eccidio, senza attribuirlo a nessuno. Il che ha sollevato aspre proteste da parte di alcune personalità e comunità ebraiche.
La motivazione ufficiale è che si attende la fine dell’inchiesta promossa dall’Istituto per la memoria nazionale, anche se non ci sono molti dubbi, come testimonia Kwasniewski, che quella svelata da Gross sia la verità.

 

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