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Il contributo dei militari

alla Guerra di Liberazione in Italia

pallanimred.gif (323 byte) Montezemolo e il Fronte Militare Clandestino

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Colonnello di Stato Maggiore, di 42 anni. Nato a Roma il 26 maggio 1901 da Demetrio e da Luisa Dezza. Sposato con Amalia Dematteis, aveva cinque figli (Manfredi, Andrea, Lydia, Isolda e Adriana). Ufficiale degli alpini nella guerra 15-‘18, al termine del conflitto frequentò il Corso per Allievi Ufficiali di complemento del Genio presso l’Accademia Militare di Torino ed il 2 novembre del 1919 venne assegnato con il grado di Sottotenente al 1° reggimento Genio militare in Pavia. Si laureò in ingegneria civile nel '23, partecipò al concorso e venne nominato Tenente in servizio permanente presso la Direzione del Genio in Torino. Volontario nel '37 in Spagna, fu promosso tenente colonnello per merito di guerra. Nel '40 fu chiamato al Comando Supremo e assegnato allo Stato Maggiore generale. Nominato colonnello, nel ’42 assunse le funzioni di capo scacchiere in Africa e partecipò a ben 16 missioni di Guerra in occasione delle quali viene pluridecorato. Il 16 luglio del 1943 venne destinato al Comando di un raggruppamento genio motorizzato in formazione a Roma. Dopo l'arresto di Mussolini, il capo del governo Badoglio lo chiamò allo Stato Maggiore dell'esercito. L'8 settembre il generale Calvi di Bergolo gli conferì l'incarico di capo dell'Ufficio Affari Civili del comando di Roma Città Aperta. Il 23 settembre, quando i tedeschi circondarono il ministero della Guerra per arrestare Calvi e i suoi collaboratori, sfuggì all’arresto ed entrò in clandestinità. Fedele al re e alla monarchia, divenne l'animatore e il capo del Fronte militare clandestino, sotto il falso nome di ingegnere Giacomo Cataratto (che poi cambiò in professor Giuseppe Martini). In breve tempo mise su numerose bande militari e un servizio informazioni efficientissimo, con diramazioni nel centro e nel nord del Paese. Collegato via radio con il legittimo governo del Sud, teneva per suo conto i collegamenti con il Cln e forniva notizie importantissime al Comando Alleato. Considerato da Kappler il suo più temibile nemico, fu catturato dai tedeschi il 25 gennaio del ‘44 insieme all'amico Filippo de Grenet, mentre usciva da una riunione con il generale Armellini. Fu rinchiuso in via Tasso per cinquantotto giorni; più volte torturato, non rivelò i nomi dei compagni. Fu fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine. Prima che la scarica lo abbattesse, gridò "Viva l’Italia!". Medaglia d'oro al valor militare.

 

Il Generale Alexander dopo la sua morte scrisse alla moglie:

"Nessun uomo avrebbe potuto fare di più o dare di più alla causa del proprio Paese e degli Alleati di quanto Egli fece : ed è ragione di rimpianto per me che Egli non  abbia potuto vedere gli splendenti risultati della sua inalterata lealtà e sacrificio personale. Con lui l’Italia ha perduto un grande Patriota e gli Alleati un vero Amico ...."

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