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La Resistenza nel Sud

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Le Quattro Giornate di Napoli

“LE QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI” UN CAPOLAVORO DI NANNI LOY

  di Antonio Frattasi

“Le Quattro Giornate di Napoli”, uno dei film più noti e belli  di Nanni Loy, fu   girato nel 1962, su soggetto di Vasco Pratolini, Massimo Franciosa, Pasquale Festa Campanile e lo stesso Loy, sceneggiatori della storia   insieme con lo scrittore napoletano Carlo Bernari.

La pellicola, che sì inserì con originalità ed in maniera  particolarmente significativa  nel filone del cinema sulla Resistenza , riscosse, al suo apparire nelle sale, pur tra qualche polemica, un vasto consenso  di pubblico, ed ottenne lusinghieri giudizi da parte della critica, che ne  lodò la sapiente regia, ne apprezzò la solida struttura narrativa e l’epica drammaticità delle immagini.

Nei decenni successivi, il film fu proiettato più volte, sia in  occasione delle   celebrazioni  per il 25 Aprile, sia per ricordare l’insurrezione napoletana del settembre 1943; e l’attenzione degli spettatori non venne mai meno, soprattutto tra il pubblico più giovane.

Prodotta dalla Titanus del leggendario Goffredo Lombardo, l’opera  ricostruisce, con grande passione civile,  le giornate di impari lotta tra il popolo napoletano, stremato dalle sofferenze e dai patimenti di una guerra lunga e scellerata, e le truppe naziste.

Loy descrive, con la precisione e l’accuratezza di uno  storico, ciò che accadde a Napoli tra il 28 settembre ed il 1 ottobre 1943,   il sacrificio dei giovani e giovanissimi, la dura  presa di coscienza dei militari di fronte al dissolversi dello stato, l’impegno degli intellettuali, la rabbia della tanta  gente semplice.

I  molti attori, italiani e stranieri, che parteciparono alla realizzazione del film, ne vollero sottolineare la straordinaria coralità, e con un gesto semplice  ma  significativo, chiesero alla produzione di omettere la citazione dei loro nomi  dai  titoli di testa e di coda della pellicola.

Spiccano, per l’intensità della recitazione,le interpretazioni di Gian Maria Volontè (il capitano Stimolo,che guida gli insorti), di Lea Massari, di Frank Wolff, di Jean Sorel (il marinaio toscano fucilato dai nazisti), di Enzo Turco ( bravissimo in un  ruolo, per lui insolitamente drammatico), di Aldo Giuffrè (il sottufficiale di Marina che muore combattendo, sognando di poter presto tornare nella sua Sorrento per  abbracciare il figlio appena nato ), di George Wilson (il direttore del riformatorio), di Franco Sportelli (il professore antifascista, ispirato alla nobile figura di Antonino Tarsia in Curia, uno dei  protagonisti  della lotta di Liberazione a Napoli, molto attivo nel quartiere Vomero), di Regina Bianchi (la madre del piccolo Gennaro Capuozzo), di  Carlo Taranto e Luigi  de Filippo; e le   apparizioni, in brevi sequenze, di Pasquale Fiorante, di Enzo Cannavale, di Pupella e Rosalia Maggio, di Eduardo Passarelli, di Gino Maringola, di  Rino Genovese, di Nello Ascoli, di  Enzo Petito, di   Enzo Vitale.

Un film corale, quindi, in cui protagonisti assoluti  sono  il popolo napoletano, e la città con le sue piazze, i suoi vicoli, le sue strade, i suoi palazzi ed i suoi bassi.

Nanni Loy  non   ricostruì   gli ambienti in  studio, ma preferì coraggiosamente girare tutte le scene, anche quelle tecnicamente più difficili, nel  dedalo di vie intorno a Piazza Carlo III, in una stazione della Funicolare di Montesanto, alla Sanità, a Piazza San Luigi, ai Ventaglieri, a Largo Tarsia, a Salita Pontecorvo, a Vico Rosario a Portamedina, al Rettifilo.

Le sequenze più drammatiche sono  accompagnate dalla suggestiva colonna sonora scritta dal maestro Carlo Rustichelli, la struggente “tarantella tragica”.

“Le Quattro Giornate di Napoli”, per giudizio unanime della critica e del pubblico   uno degli autentici “cult movie” del dopoguerra italiano,è  un film spettacolare, ricco di pathos,   ben recitato e diretto,e conserva, ancora oggi,  tutto  il  suo  vigore espressivo ed il suo valore etico, costituendo una preziosa testimonianza storica per le generazioni future.

Vorrei concludere con un ricordo personale.

Nel 1962, quando il film fu realizzato, avevo   dieci anni, ed abitavo nei pressi di Via San Cristoforo all’Olivella, dove Loy aveva scelto di girare una scena molto movimentata: alcuni marinai italiani, inseguiti da soldati tedeschi, cercano una possibilità di fuga, e corrono disperatamente. Una grande folla di curiosi si era subito radunata intorno alla troupe, che faticava non poco per tenere lontano dal set donne del popolo e ragazzi. Ero piccolo, ma già abbastanza appassionato di cinema, e non ebbi alcuna esitazione a scendere in  strada per poter seguire da vicino le riprese (forse anche nella segreta ed ingenua speranza di poter fare da comparsa, ma, purtroppo, non avevo la faccia dello scugnizzo).

Ero  emozionato e trepidante, e  ricordo che mi sorpresero  non poco la pazienza ed il rigore professionale di Aldo Giuffrè, che, con altri attori e figuranti, ripeté più volte instancabilmente  l’azione.

Improvvisamente, ebbi la sensazione che quella finzione scenica fosse realtà, che quei militari davvero fuggissero da un pericolo imminente e grave, mi sentii stranamente catapultato in una dimensione temporale coeva agli eventi storici narrati nel film, e fui preso da una forma di  leggero stordimento, che scomparve non appena udii la voce di mia madre  alle mie spalle.

Sono passati, ormai, più di quaranta anni da quel giorno, ma quando assisto alla proiezione del film di Loy mi torna immediatamente alla memoria il ricordo di quella strana sensazione provata da bambino, ed avverto sempre   un forte coinvolgimento emotivo.

                                      (napolichespettacolo.it)




 

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