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Dibattito

Resistenza e revisionismo

"Quell'ideale che ci portò in montagna"

di Giorgio Bocca

IL fascismo, la guerra, la sconfitta, l'occupazione nazista, la
volontà di esistere come nazione, come paese civile con la
Resistenza, non sono giudicabili da chi li visse e soffrì di persona:
come il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, come
coloro che, per venti mesi, rischiarono la vita perché sentivano che
la patria non era morta e che bisognava subito testimoniarne la sua
continuità?
No, pare che chi possa giudicarne sia solo uno storico revisionista
come Ernesto Galli della Loggia: per la ragione che lui è - come
scrive sul "Corriere della Sera", "professore di storia contemporanea
all'università, un teorico in ottima compagnia a cominciare da Renzo
De Felice e Indro Montanelli". Davvero? È quasi mezzo secolo che
cerco di spiegare, al mio collega Montanelli, che la guerra partigiana
ci fu, e coinvolse milioni di italiani, e ai revisionisti che fu una
guerra di popolo e non solo una congiura comunista.
QUESTE sono cose che sa benissimo chi alla guerra partigiana
prese parte e che finge di ignorare chi ne discute solo ora, nella
vigilia elettorale in cui pare si debba sostenere che i comunisti
erano degli antipatria e i partigiani di altro colore degli utili idioti.
Noi che non apparteniamo alla corporazione dei cattedratici come il
nobile Ernesto Galli della Loggia abbiamo, teoricamente, una idea
vaga di cosa è ; la Patria, ma possiamo assicurargli che questa
incerta nozione, questo immaginario legame, questa retorica
illusione esiste: e spinse un popolo come il nostro, che odiava la
guerra, a raccogliere l'otto settembre del '43 le stellette militari che
l'esercito in rotta aveva buttato nel fango e a iniziare una guerra di
popolo. Scrivere saggi revisionisti sulla guerra partigiana, inventata dai
comunisti, gonfiata dalla falsa storia paracomunista - diciamo: la
storia di una minoranza di mezzi delinquenti che, come si legge nelle
ultime sensazionali rivelazioni, pubblicate con risalto anche da
giornali che si definiscono antifascisti e democratici - altro non era
che una cospirazione agli ordini di Mosca, e scriverlo in una vigilia
elettorale in cui l'anticomunismo più beota viene usato a piene
mani, per giustificare il possibile ritorno al governo dei fascisti, non ci sembra una onesta revisione della storia, ma il solito salto sul carro del possibile vincitore.
Questo revisionismo che impartisce lezioni di oggettività e di
autonomia, ignora il fondamento della storia, o almeno il tentativo
di fare una storia onesta: il contesto, il collocare i fatti nel loro
tempo. Piero Gobetti viene rievocato a uso elettorale come un
leninista, un sostenitore della violenza politica. Dimenticando chi
viveva, come vittima, la dittatura fascista e che la rivoluzione di
ottobre, negli anni Venti, appariva al mondo intero come una
grande utopia. Come se venisse rimproverato a uno della rivoluzione
francese di non aver capito l'esito imperialista di Napoleone. E,
fatte le debite proporzioni, l'accusa a Bobbio e agli azionisti di
essere stati, nel primo dopoguerra, filocomunisti come se non fosse
in atto la restaurazione del vecchio Stato.
Lasciamola stare la storia perfetta, riserva dei cattedratici alla Galli
della Loggia. Parliamo della storia strumentale, propagandistica. Ce
ne fu una che piaceva al Partito comunista? Si, ci fu. A questa
storia conveniva esaltare il contributo dei comunisti alla Resistenza
e mettere in ombra episodi come quello di Cefalonia, in qualche modo legati all'esercito " badogliano"? Si, ci fu.
Ma dedurre da episodi che appartengono alla lotta politica, alle
avverse propagande, la prova che, per questo, la Patria era morta,
è perdere il senso della misura e dimenticare che l'idea della Patria
è diversa e sovrastante a quella della lotta politica.
Trattasi di un'idea troppo semplice per i cattedratici revisionisti.
Trattasi dell'idea di cui parla una canzone popolare: "E una mattina
mi sono alzato e ho trovato l'invasor". Tutto qui. L'idea che
nessuno può venire in casa nostra a farla da padrone, che -
qualsiasi siano le nostre idee di parte - può far violenza alla nostra
storia, alla nostra libertà. Comunque sono rassegnato, non riuscirò
mai a convincere il professor Galli della Loggia che - in quell'otto
settembre del '43 in cui salivamo in 
montagna - l'idea di Patria non solo era viva ma l'unica esistente,
nella nostra testa di ragazzi usciti dalla dittatura: l'idea che la
Patria era viva come non mai, tanto che ci convinceva a iniziare
una guerra impari, una guerra senza prigionieri.

("la Repubblica",  5 marzo 2001)

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