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Dibattito

Resistenza e revisionismo

E la chiamano guerra civile

di Furio Colombo

Il 25 aprile è la festa della Libertà. Può la libertà essere l’esito di una guerra civile? Che strana guerra civile sarebbe quella che finisce con la proclamazione della libertà di tutti, la parte giusta e la parte sbagliata? Badate, non ho detto (non ancora) qual è la parte sbagliata. Dal punto di vista di ciascuno di coloro che hanno combattuto, la parte giusta è quella con cui si sono schierati, al punto da offrire, rischiare o dare la vita.
Però facciamo un passo indietro, immaginiamo di non sapere, di non esserci stati.
Parlo per coloro che c’erano, per coloro che sanno e per coloro che vagamente e magari con noia ne hanno sentito parlare dopo.
Dunque - dicono alcuni - c’è stata una guerra civile. L’espressione suggerisce uno scontro estremo e senza regole, senza Croce Rossa, senza trattati di Ginevra. Dobbiamo immaginare che si uccida per le strade, si invadano le case, si coinvolgano innocenti, si impicchino i prigionieri agli alberi, si torturino i sospettati per farli parlare, si uccidano senza esitazione donne e bambini.
Vi sembra eccessivo? No, se pensate che nella guerra civile di cui stiamo parlando era ammessa la caccia agli appartenenti a un intero popolo. Chiunque risultasse, per presunta documentazione o delazione, appartenente a quel popolo, dai neonati ai vegliardi, dai malati ai morenti, veniva prelevato, stipato su un treno e mandato a morire. Direte che, allora, questa guerra civile certe regole le aveva.
Certo che le aveva.
Primo, obbedire come schiavi. Secondo, sottostare a una presunta razza superiore. Terzo, tranne questa razza superiore e i suoi servitori, nessuno, mai, ha alcun diritto. Quarto, la pena è sempre la morte.
Com’è possibile allora che una simile guerra civile finisca con la libertà di tutti, di una parte e dell’altra? È finita per stanchezza? I morti sono tornati? I morti non sono tornati. E noi sappiamo che nessuna guerra civile finisce con la libertà di tutti. A meno che una delle due parti si sia battuta, con la sua forza, il suo coraggio e il suo sangue, per la libertà.
Ecco perché, a partire dal 25 aprile 1945, ci siamo ostinati in tanti a chiamarla, quella guerra, non «guerra civile» ma «Guerra di Liberazione». Se cambi il nome, non puoi capire perché finisce in quel modo. Se finisce con la libertà vuol dire che una delle due parti ha rischiato, combattuto e vinto per la libertà e che - per forza (altrimenti il racconto è senza senso)- l’altra parte la negava. La negava al punto da uccidere chiunque chiedeva libertà e in più si riservava il diritto di candidare alla morte persone (anzi popoli) a sua scelta, in base a ossessioni e proclami e a leggi dette «leggi razziali».
È andata bene. Pensateci e dite ad altri di pensarci. Se vinceva l'altra parte, adesso alcuni di noi, in questo Paese e in tutta Europa, sarebbero ancora carcerieri e custodi di lager. E molti di noi sarebbero sempre vittime. Dunque oggi è la festa di tutti. Se vogliamo chiamare le cose con il loro nome, oggi è anche la festa dei fascisti. Perché sono liberi di non essere più fascisti, e portatori di persecuzione, di razzismo e di morte, che era ciò che i fascisti hanno dato all’Italia (e poi all’Europa invasa e distrutta) per oltre vent’anni.
Alcuni di loro o dei loro eredi o successori o simpatizzanti a volte ti dicono: non vale. Sono arrivati gli americani. Sono loro che hanno vinto. Quella che continuate a celebrare come la «vittoria dei partigiani» è una vittoria americana.
Se fosse vero, non potrebbero spiegare perché quasi tutti loro - i fascisti della tragica repubblica di Salò - invece di combattere contro gli americani, hanno combattuto con tutte le loro forze e risorse contro gli italiani che volevano la libertà
In questo senso oggi è un giorno di conciliazione. Oggi infatti non ricordiamo la fine di una brutta guerra civile di cui si devono sotterrare i rancori. Oggi sappiamo che c’è stata una guerra per la libertà. La libertà ha vinto. Il 25 aprile abbiamo vinto tutti.

(l'unità, 25 aprile 2002)

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