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Bimbi e guerra

ORFANI. Migliaia di orfani delle stragi ultima emergenza a New York

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GLI ORFANI di New York ancora sorridono dai manifestini sempre più sbiaditi che dai muri di midtown o dalle gallerie della metropolitana continuano a implorare notizie sui "dispersi" delle Torri Gemelle. L'ultima foto sulle ginocchia del papà, cameriere al ristorante "Windows on the World", l'ultima gita con la mamma segretaria alla "Cantor Fitzgerald", 700 impiegati uccisi nel crollo dell'11 settembre. L'ultimo Natale tutti insieme, l'ultima vacanza al mare. Ultime immagini di una normalità che per migliaia di bambini di New York non tornerà mai più.
A un mese e mezzo dall'attentato, non c'è ancora una stima definitiva dei piccoli rimasti senza genitori: le cifre più caute - come quella fornita dal "Twin Towers Orphan Fund" - si fermano a quota duemila, il sindaco Rudy Giuliani dice invece che almeno in 10 mila hanno perso un padre o una madre, alcune organizzazioni non governative - in particolare quelle che aiutano i parenti degli immigrati clandestini - fanno salire il numero a 15 mila.
Gli psicologi parlano di un'emergenza tutta nuova, spiegano di non aver ancora capito come poter aiutare davvero questo esercito di bimbi che insieme al "World Trade Center" hanno visto sbriciolarsi la propria famiglia. «Ci sono tante caratteristiche che rendono questa emergenza anomala», sottolineano i consulenti della "Willard Elementary School" di Ridgewood in New Jersey, frequentata da numerosi neoorfani. «Un esempio? Normalmente i bambini che perdono i genitori preferiscono non parlare del proprio lutto con i coetanei, perché temono che questo li renda diversi, li allontani dagli altri. In questo caso però, le cose stanno in maniera diversa: gli orfani sono tantissimi. Potrebbe essere utile far acquisire loro la consapevolezza di un'identità collettiva? O forse la condivisione del dolore è nociva perché fa percepire come meno "speciale" la loro condizione?». E poi che effetto ha sortito aver visto e rivisto in tv le immagini della tragedia che ha inghiottito i loro genitori, quali altri danni può produrre nella psiche già ferita l'ansia collettiva da terrorismo che tiene in ostaggio gli Usa?
Le domande degli esperti affiorano lentamente, soprattutto perché per settimane si è continuato a parlare di "dispersi" e non di morti del "Wtc". Oggi però anche i bimbi più piccoli realizzano senza possibilità di dubbi che i loro papà, le loro mamme non torneranno davvero più. «Non abbiamo mai affrontato nulla di simile - riconosce Ruth Kreizman, un'assistente sociale del "Jewish Board of Family and Children's services" - perfino colleghi che lavorano da anni con bambini in difficoltà, non riescono a immaginare che cosa scatterà nelle teste degli orfani di New York». Anche l'Aids uccide e dove colpisce lascia migliaia di bambini "non accompagnati", «ma per agire impiega anni», ricorda il New York Times. «In questo caso, invece, in un solo giorno, in un solo quartiere, decine, centiniaia di bambini si sono ritrovati improvvisamente soli».
La constatazione di impotenza non riguarda soltanto gli psicologi dell'infanzia, ma tutte le strutture cittadine. Vanno affrontati infiniti problemi burocratici: tra le vittime c'erano ad esempio numerose madri single, i figli oggi si ritrovano affidati a parenti che fino a due mesi fa si prendevano cura di loro informalmente. Questi nonni, queste zie hanno bisogno di aiuto per chiedere la custodia legale dei bambini: solo così potranno avere accesso alle cure mediche per i piccoli, li potranno iscrivere a scuola, potranno aspirare ai risarcimenti.
Quello degli indennizzi è un altro capitolo doloroso: i familiari delle vittime hanno ricevuto soltanto una minima parte dei fondi di solidarietà - circa tremila miliardi di lire - raccolti dopo l'attentato. Lo stanziamento del governo, poi (pari 15 volte la cifra donata dai privati) arriverà solo la prossima primavera. Un'attesa che renderà ancora più duro l'inverno di chi è rimasto solo.

(la Repubblica, 20 ottobre 2001)


 

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