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La questione afghana

Il dramma delle donne afghane

Prigioniere del burqa

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Non si può dire che ai tempi della monarchia l'Afghanistan fosse un compiuto Stato di diritto, l'esercito ogni tanto sparava sui dimostranti, e nelle province remote la giustizia era esercitata dai capitribù secondo codici tradizionali tra i più conservatori del mondo islamico. Ma se oggi chiedi alle ragazze di "Rawa", Revolutionary association of women of Afghanistan, quale sia stata l'epoca migliore per le donne afgane, ti rispondono: il tempo di Zahir Shah. E adesso che quel re in fondo liberale e coraggioso si appresta a tornare in Afghanistan dal suo lungo esilio, le rivoluzionarie afgane fortemente sperano che si possa almeno tornare a trent'anni fa, quando afgane sedevano nel consiglio dei ministri, il velo non era obbligatorio e il sesso non precludeva il diritto all'istruzione e al lavoro. Senza contare che la polizia segreta non ammazzava, o almeno non al ritmo del Kgb.
Probabilmente non sono molte le occidentali che sognano di tornare al 1972, l'ultimo anno della monarchia afgana, e certo nessuna appartiene alla sinistra, come le ragazze di "Rawa". Ma la loro nostalgia è comprensibile, perché nessun altro Paese del mondo ha conosciuto un trentennio sordido come quello che grandi e piccole potenze hanno inflitto all'Afghanistan nel nome dei propri interessi strategici. Cominciarono i russi, nel ‘73, prima favorendo il colpo di Stato che abbatté Zahir Shah, e poi invadendo l'Afghanistan. Con l'Armata rossa arrivarono stuoli di pedagoghi comunisti che predicavano l'emancipazione femminile more sovietico, cioè sesso libero e cervello uniforme. Un burqa ideologico calò sulle patriote afgane. Tra quelle che scelsero l'esilio, la maggioranza, c'era la fondatrice di "Rawa", Meenah, assassinata in Pakistan nel 1987. Quando le spararono era da tempo nelle liste nere tanto della polizia segreta comunista quanto dei Mujahiddin che combattevano i sovietici, più esattamente della banda di Gulbuddin Hekmatyar, un tagliagole finanziato dai servizi segreti pachistani e armato dalla Cia. Secondo "Rawa", l'omicidio di Meenah fu concordato dalle due fazioni, che come si dimostrò in seguito, non disdegnavano alleanze tattiche in singole operazioni. Non sappiamo se questa versione corrisponda alla realtà, ma è comunque una buona metafora per spiegare come il femminismo afgano, e in genere il protoliberalismo di cui era parte, si siano trovati nella terra di nessuno, bersagli tanto per l'Armata rossa quanto per alcune milizie fondamentaliste che nelle trincea opposta recitavano la parte assegnata dagli occidentali: campioni del «mondo libero».
Mentre ammazzavano patrioti e dissidenti, i russi ebbero la pessima idea di lanciare nei licei e nelle università una specie di campagna per il matrimonio d'amore tra giovanissimi, senza il consenso dei genitori. L'idea in teoria era giusta e fu applicata con zelo, in perfetta buona fede. Ma i sovietici non si accorsero che stavano minando le basi della società patriarcale, e una delle sue istituzioni, il matrimonio concordato tra famiglie. Quando lo capirono e sospesero gli esperimenti, era troppo tardi per riconquistare quelle larghe fasce di popolazione che ormai identificavano il comunismo con la più spaventosa anarchia.
Fuggita l'Armata rossa, i Mujahiddin presero Kabul e se ne disputarono le spoglie con salve di razzi Katiusha. I vincitori instaurarono un regime semifondamentalista, comunque meno sinistro di ciò che sarebbe seguito: i Taliban. Sei giorni dopo la conquista di Kabul, novembre 1996, i Taliban, o più esattamente il dipartimento della polizia per la repressione del vizio e la propalazione della virtù, emanarono un editto, tuttora in vigore, che comincia così: «Donne, dovete restare in casa. E se uscite, non dovete vestire abiti alla moda o essere truccate o apparire davanti agli uomini come accadeva prima dell'islam». Nel concreto, si introduceva l'obbligatorietà del burqa (ma il burqa iraniano, nero e corto, è illegale) ed una lunga serie di proibizioni, cui altre in seguito si aggiunsero. Le donne non possono lavorare, andare a scuola, frequentare i bagni pubblici, lavare vestiti al fiume, camminare da sole, viaggiare se non accompagnate da un maschio adulto della loro famiglia, calzare sandali che emettano suoni, essere assistite da un medico durante il parto. Questi divieti si sono tradotti in un femminicidio prolungato, per fame o per infezioni, ma non sempre indiretto. Presunte adultere sono state lapidate, presunte prostitute fucilate negli stadi (probabilmente vedove che non sapevano come sfamare i figli).
In Occidente tutto questo non provocò una reazione concreta, e anzi si diffuse un'opinione relativista per il quale ciò che avveniva in Afghanistan era il prodotto della cultura locale, rispettabile come qualsiasi altra cultura. Era un pensiero trasversale, tanto di sinistra quanto di destra (vedi i fondi dell'antropologa Ida Magli sul Giornale), e aveva i suoi adepti occidentali anche in talune agenzie Onu, i cui progetti in Afghanistan dipendevano dalla benevolenza dei Taliban. Dei milioni di dollari investiti o dilapidati dalla comunità internazionale per iniziative umanitarie, non un cent è arrivato a "Rawa", a causa di quella erre che sta per «revolutionary», parola indigesta ai Paesi donatori. Eppure imporre il rispetto dei diritti umani a ciò che resta dell'Afghanistan, in sostanza il progetto di "Rawa", non è altro che una rivoluzione. E chi volesse sostenere che questi diritti umani sono in Afghanistan un prodotto alieno, un'imposizione occidentale, provi a raccontarlo alle ragazze di "Rawa". Soprattutto a quelle che appartengono alla struttura clandestina, e rischiano quantomeno d'essere fustigate. A Kabul hanno organizzato alcune homeschools, o scuole domestiche, dove bambine possono studiare. Sono illegali ma di fatto tollerate. Se però una di quelle ragazze fosse pescata con le fotografie di arti amputati dal boia che appaiono sugli opuscoli di "Rawa", la punizione sarebbe la morte.

(Guido Rampoldi, la Repubblica, 7 ottobre 2001)

 

info.gif (232 byte) per approfondire:

trangolino.gif (131 byte) Le donne afghane (supereva.it)

trangolino.gif (131 byte) Kabul, donna afghana giustiziata. Video (corriere.it)

trangolino.gif (131 byte) Donne senza volto (grandinotizie.it)

trangolino.gif (131 byte) Donne nell'Islam (in inglese)

trangolino.gif (131 byte) Campagna umanitaria: "Un fiore per le donne di Kabul"

 

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