|
La questione afghana
Pashtun,
la storia di una etnia che non accetta dominatori
Si dicono eredi di Qais cui Maometto affidò la
diffusione dell'Islam |
Con i Taliban le norme tribali furono radicalizzate |
Sotto i sovietici le élite fuggirono Rimasero i
guerrieri, che ancora oggi, come a Kandahar, si contendono le città liberate |
I pilastri della legge tribale sono religione,
ospitalità e vendetta. Paga con il sangue chi osa toccare le donne, l'oro e la terra
d'altri |
|
HAMID Karzai promette che non ci sarà un'altra guerra tribale in
Afghanistan e sventola l'accordo raggiunto ieri a Kandahar come il suo primo successo da
premier designato, la pietra angolare della costruzione del nuovo Stato. Ma le notizie
arrivate proprio nelle stesse ore da Helmand sembrano smentire le sue previsioni: sette i
morti nei combattimenti tra Nurzai e Barakzai, i clan che si contendono il controllo del
capoluogo della provincia, Lashkar Gah. Il sangue dunque scorre ancora tra le tante anime
pashtun, l'etnia dominante in Afghanistan (circa il 40% della popolazione, rispetto al 35
dei tagiki, al 9 degli uzbeki e all'8 degli hazara) e che ora, come già alla nascita
dello Stato afgano moderno (creato dai Durrani di Kandahar nel 1761), rivendica la guida
del paese.
Le tribù. Sono pashtun i quattro clan che si sono affrontati nell'ex roccaforte del
mullah Omar: i Popalzai, cui sono appartenuti tutti re afgani dal primo Durrani
all'attuale sovrano in esilio a Roma, Zahir Shah; gli Alikpzai del mullah Naqib Ullah, che
nel '94 spianò la strada di Kandahar ai Taliban; gli Sherazai del comandante Gul Agha,
che governava la città santa prima dell'avvento degli studenti coranici, i Nurzai di Haji
Bashar, in buoni rapporti con il regime sconfitto. «Un conflitto esemplare dei rischi che
corre l'intero Afghanistan», avverte Ahmed Rashid, il giornalista pachistano che da più
di venti anni segue le vicende del paese. «Definire questo scontro solo etnico sarebbe
però un errore sottolinea Non si può parlare strettamente di un confronto
tra tribù le complesse relazioni di potere costruite nel corso dei secoli sono crollate.
La struttura tribale pashtun è stata distrutta dalla perdita dell'identità comune e dei
terreni di pascolo, dalla guerra e dai combattimenti. La propria sopravvivenza viene
identificata ormai con singoli leader guerrieri e con la valle in cui si è nati».
La storia. A polverizzare la leadership delle tribù ha contribuito soprattutto la
dominazione sovietica. Dopo il '79, gran parte delle élite pashtun scelsero la via
dell'esilio, lasciando i clan privi dei capi storici. Una situazione che a Kandahar
dove i legami dei ceti alti con la monarchia erano più forti che altrove assunse
proporzioni particolarmente significative. La decapitazione dell'aristocrazia non
indebolì i leader guerrieri che riuscirono a cacciare i sovietici, come già era accaduto
un secolo prima ai loro antenati in lotta contro i britannici. Una delle caratteristiche
dei pashtun infatti è trovare l'accordo solo quando si tratta di combattere un invasore.
Non a caso un proverbio locale recita: «Io contro mio fratello, mio fratello e me contro
i nostri cugini, noi e i nostri cugini contro il nemico».
Il codice "pashtunwali". Della insofferenza dei pashtun verso le dominazioni
straniere fecero le spese i britannici che non riuscirono mai a controllare davvero questa
parte d'Asia. La invasero due volte, nel 1839 e nel 1878, e tutte e due le volte furono
sconfitti. Nel 1893 si rassegnarono a farne semplicemente un "cuscinetto" tra
l'India e la Russia. Quando, per conto di Londra, Mortimer Durand cercò di tracciare i
confini dell'area, divise i pashtun nella speranza che almeno un po' di quella popolazione
indomabile si sarebbe fatta assorbire nell'Impero. Attesa che fu smentita. Fu così che si
decise di consentire una sorta di "autogoverno" pashtun su una larga fetta di
territorio, in cui le leggi statali e coloniali lasciavano il passo al
"pashtunwali", il codice tradizionale dei pashtun. Una extraterritorialità
tribale che ancora oggi sopravvive a cavallo tra Afghanistan e Pakistan.
Religione e legge. I pilastri del "pashtunwali" sono ospitalità, vendetta,
religione islamica. I pashtun si ritengono diretti discendenti di Qais: la leggenda
racconta che il Profeta incontrò Qais a Medina, gli dette l'appellativo di
"pashtun", letteralmente "chiglia della nave", dandogli l'incarico di
diffondere il credo islamico nella sua terra d'origine, l'Afghanistan. Il codice tribale
impone una lettura del Corano molto particolare. Un esempio è il trattamento riservato
alle donne: per l'Islam possono ereditare, mentre per il pashtunwali una donna non può
possedere proprio niente, è solo posseduta. Avere donne, oro e terra (zan, zar e zamin)
è la chiave della considerazione nella società tribale. Chiunque violi una di queste tre
proprietà si deve aspettare una vendetta sanguinosa. I Taliban anche loro pashtun
hanno di fatto radicalizzato il codice pashtun, nella velleità di ritornare
all'ipotetica purezza del VII secolo, l'età di Maometto.
La violenza. «La violenza nella società pashtun si impara fin dall'infanzia, in
famiglia», scrive The New Yorker, ricordando gli studi di un'antropologa americana,
Cherry Lindholm, che ha trascorso nove mesi tra le pashtun del Pakistan del nord. Per le
mogli è normale ricevere percosse dal coniuge, tanto è vero ricorda la rivista
Usa che i mariti non violenti vengono visti come poco virili.
Il futuro. Nella sua scommessa di pacificare l'Afghanistan, Hamid Karzai sta giocando
tutte le sue carte: l'identità pashtun, l'appartenenza al clan Durrani, il coraggio di
leader (due mesi fa ha portato a termine una delicata missione a Kandahar alla testa di
altri sette mujahiddin); ma anche le sue capacità diplomatiche e politiche che oggi fanno
sperare all'Afghanistan e al mondo che la lunga stagione delle vendette possa chiudersi. |
(repubblica.it)
|