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Usa, pronti a usare armi nucleari
Rumsfeld: ‘Contro i terroristi non escludiamo l'atomica'

di Vittorio Zucconi

WASHINGTON - Nel fumo della pira funebre che si è levato su Manhattan, si è rialzato anche il genio malvagio del conflitto nucleare. Lo sapevamo tutti, ma ancora molti non osavano dirlo. «Gli Stati Uniti non hanno mai escluso l'uso di armi nucleari» avverte il ministro della Difesa in un'affermazione non richiesta, dunque terrificante. Nella guerra totale che il terrore ha lanciato contro l'America nessun colpo è proibito, neppure le armi atomiche che Bush, e soltanto Bush, ha l'autorità di lanciare, in una «campagna che è ormai pronta per essere lanciata», «ready to go», come dice Colin Powell. La prima domenica di apparente, stordita normalità dopo l'olocausto di Manhattan, tornando negli stadi di football e sui prati degli ultimi pic nic autunnali, porta dentro di sé la conferma che questa è una parentesi, tra un orrore che abbiamo vissuto e gli orrori che potremmo presto vivere.
Erano ormai giorni che a Washington si rincorreva la voce che "l'Opzione A" fosse «sul tavolo» e che tra i piani che Bush studia e rivede con il ristrettissimo team di consiglieri, Rumsfeld, Powell, la Rice, il padre collegato in quotidiana
videoconferenza da Houston e soprattutto il suo vice, Dick Cheney ci fosse anche l'uso di testate atomiche tattiche, di piccola - piccola essendo un concetto molto relativo - potenza. Giornali e agenzie giapponesi, come il Japan Times e
l'agenzia nazionale Kyodo, avevano riferito da fonti diplomatiche di discussioni sempre più intense attorno alla "Opzione A", l'ipotesi nucleare, perché nessun altra nazione ha le antenne tese e sintonizzate quando il Giappone, sul
nucleare. E le parole di Bush, che aveva promesso alla nazione di utilizzare «ogni arma necessaria» nella Nuova Guerra, erano state il sigillo di conferma, per chi lo avesse voluto ascoltare.
L'atomica contro il terrorismo. Un'ipotesi forse più politica che militare, perché un impiego che non «è escluso», come ha detto ieri Rumsfeld, il segretario alla Difesa, non significa naturalmente un impiego certo o deciso. Significa soltanto
che i bombardieri B52 e i B1 che stanno convergendo insieme con i jet d'attacco al ritmo di 40 al giorno nelle basi attorno ad Afghanistan, Pakistan, Iraq e Iran, trasportano anche missili Cruise dotati di testata atomica. Che i
sottomarini classe "Los Angeles" che sono «in stazione» tra il Mediterraneo Orientale, il Golfo d'Arabia e l'Oceano Indiano sono, anche loro, armati di missili nucleari. E che saranno utilizzati, se sarà necessario. La Raytheon, la Lockheed, la
Boeing, le società che producono missili da crociera, Harpoon e Cruise, hanno già ricevuto da Washington l'ordine di rimettere in funzione le loro linee di produzione. In tutto, le forze armate Usa hanno a disposizione circa mille missile
Cruise, con testate di esplosivo convenzionale o a fissione nucleare.
E se l'utilità tattica o strategica di far esplodere bombe atomiche nelle valli spopolate dell'Afghanistan è nulla, come ha ripetuto ieri sera il senatore McCain, già pilota in Vietnam e avversario di Bush nelle presidenziali, il messaggio
dell'«impiego non escluso» non è diretto al principe nero, ai
fanatici con il Kalashnikov, alle cellule maligne del terrorismo sparpagliate nel mondo. E' diretto ai governi di quelle nazioni che ancora fossero tentate di fare il doppio gioco, e fingere di stare con l'America in pubblico, proteggendo i terroristi in segreto. Ancora una volta secondo le schema adottato per
Desert Storm Part 1, anche questa sequela dieci anni dopo, ripete uno dei passi fondamentali di quel conflitto. Le parole di Bush giovedì e di Rumsfeld ieri sono un avvertimento, come quello che Jim Baker diede a Tareq Aziz alla vigilia
della guerra: se voi oserete usare armi batteriologiche, chimiche o nucleari, armi da strage, la nostra risposta sarà atomica.
Mancano, dicono a Pentagono dove ogni mattina e ogni sera, 20 mila soldati passano davanti allo squarcio nero aperto dalla bomba umana come davanti a un giuramento tangibile di vendetta, ancora due giorni, fino mercoledì, perché il
dispositivo militare sia completato, nel circolo di 600 aerei da guerra, 60 navi di superficie, 4 portaerei, sei sottomarini, 5 mila uomini e un numero indefinito di commando che gli americani stanno tracciando attorno alla regione (Vladimir
Putin si è già impegnato a concedere lo spazio aereo russo agli Usa). La scadenza non va letta come l'ora zero, come il momento d'inizio delle prime operazioni militari, che sono di fatto già cominciate, con l'attacco lanciato dai ribelli anti
talibani del Nord finanziati e armati dai russi, con l'infiltrazione di squadre di Special Forces inglesi, i Sas, e Delta americani alla caccia di fantasmi nelle valli di montagna
e con il sorvolo di piccoli aerei robot da ricognizione, i "drones", uno dei quali è caduto, o è stato abbattuto. La presenza di queste "spie volanti", con modesta autonomia di volo, è la prova che le basi di lancio per la Cia e le forze
armate sono ormai vicinissime al territorio afgano, probabilmente in Pakistan, o nel Tagikistan.  La data del completamento, mercoledì, è soltanto il primo
giorno nel quale, se le notizie non sono false e diffuse per ingannare chi legge e guarda, l'America e i suoi alleati saranno pronti a fare la prima mossa di una campagna a 360 gradi, di una guerra che sarà la prima «multi dimensionale»,
come dicono i suoi strateghi. Non soltanto combattuta con le armi dei soldati e dei bombardieri, ma con le agenzie anti droga, visto che i Taliban puri e duri si finanziano con il commercio dell'eroina che passa per il 47% del traffico
mondiale dall'Afghanistan, con i contabili che dovranno tracciare i movimenti dei fondi immensi usati per finanziati la guerra, con i diplomatici che dovranno convincere i governi tentennanti che questa è davvero una guerra mondiale, dalle
quale nessuno può chiamarsi fuori, dagli editorialisti e commentatori da tv che dovranno convincere una nazione impaziente come questa a non attendersi la grande battaglia decisiva seguita dal tutti a casa.
E se la minaccia dell'arma atomica è comprensibile, nella fase della preparazione propagandistica, della guerra psicologica che è parte di questa "new war" a molte
dimensioni, è ancora difficile immaginare che Bush sia davvero pronto a infrangere quel tabù nucleare che il mondo si è imposto dopo Hiroshima. Ma era anche difficile immaginare che un giorno avremmo dovuto raccontare il
funerale di Manhattan, attorno alla bara di sé stessa.

(la repubblica, 24 settembre 2001)

 

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