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Breve storia della deportazione in Italia

Fino all'8 settembre del 1943, l’Italia fascista e la Germania nazista erano alleate (Asse Roma-Berlino), ma, dopo l’armistizio firmato da Badoglio con gli anglo-americani e dopo la costituzione, nel nord della penisola, della Repubblica di Salò guidata da Mussolini, per i nazisti l’Italia era un paese nemico e, in più, traditore.

Iniziò allora, dal territorio della Repubblica di Salò, la deportazione degli italiani, favorita dalla collaborazione fra la Milizia fascista e le SS.

A oltre sessanta anni dalla fine della guerra, ancora non è possibile stabilire con certezza l’identità ed il numero degli italiani che furono deportati nei campi di sterminio e di annientamento nazisti. La stima più accreditata fissa in circa 44.000 il numero di italiani che furono rinchiusi nelle centinaia di lager, di cui il regime hitleriano aveva costellato l’Europa invasa.

Dei deportati italiani, almeno 8.600 furono gli ebrei e circa 30.000 i partigiani, gli antifascisti e i lavoratori (questi ultimi arrestati in gran parte dopo gli scioperi del marzo 1944), a cui si aggiungono circa 5.000 IMI o carcerati militari o ufficiali antifascisti. Circa il 90% di loro persero la vita nei campi. Tutti gli altri, ebrei e politici, furono gasati, annientati dalle privazioni, dalle punizioni disumane, dal lavoro estenuante e massacrante.

Tra i primi deportati a conoscere la tragedia dei KZ nazisti, gli ebrei, gli antifascisti condannati al carcere o al confino, i militari arrestati sui diversi fronti di guerra. Militari detenuti presso le carceri di Peschiera del Garda furono i primi deportati italiani, giunti a Dachau il 22 settembre 1943. La maggioranza delle vittime dei nazisti trovò la morte nei lager di Auschwitz, Birkenau, Dachau, Flossenbuerg, Dora, Neuengamme, Ravensbrueck, Mauthausen.

Nell'Italia del Nord furono creati dei campi di concentramento, dove gli arrestati (partigiani, antifascisti, ebrei) sostavano per un breve periodo, in attesa dei convogli che li avrebbero trasportati nei grandi lager del Reich e dei territori occupati.. Erano, cioè, dei "campi di transito".

Uno era situato a Fossoli di Carpi, presso Modena: fu smantellato nell’estate del 1944 e sostituito da un altro campo di transito situato più a nord, a Bolzano. Un altro si trovava a Borgo S. Dalmazzo, in provincia di Cuneo

Anche in Italia venne istituito un campo di sterminio: la Risiera di San Sabba, a Trieste, dal 20 ottobre 1943 fino al 29 aprile 1945. Vi furono internati: italiani (ebrei e non), sloveni, croati e le vittime non furono meno di 5.000. Tutti gli altri prigionieri vennero inviati nei lager della Polonia e del Reich. Alla Risiera venne fatto funzionare un forno crematorio, per fare scomparire ogni traccia delle persone assassinate. L’edificio che lo ospitava venne fatto saltare in aria dai nazisti, al momento della loro fuga, nel tentativo di cancellare ogni traccia dei loro crimini.

Da Roma, dopo il trasporto degli ebrei rastrellati nel Ghetto e in altri quartieri della città, un trasporto di oltre 300 prigionieri di Regina Coeli, partì il 4 gennaio 1944 alla volta dapprima di Dachau, poi di Mauthausen. Un altro trasporto prese la via di Dachau, subito dopo l’eccidio delle Ardeatine.

Molti politici italiani furono deportati in seguito agli scioperi del marzo 1944. Circa 700 dal Piemonte, 200 da Torino (dalla Fiat, in particolare). Oltre 100 da Savona e molte centinaia dalla Lombardia, Toscana, Emilia-Romagna. Nell’area di Milano ben 98 furono le aziende che videro i lavoratori scendere in sciopero, tra cui l’Alfa Romeo, il Corriere della Sera, la Falk. L’Edison, la Montecatini, la Magneti Marelli, la Franco Tosi, la Pirelli, la Borletti. A Prato si registrò lo sciopero totale delle industrie del tessile e da questa città, nonché dalla provincia, gli operai vennero deportati a Ebensee. A Bologna, praticamente, tutte le aziende scioperarono, per arrivare nella giornata del 13 aprile al quasi totale blocco di ogni attività produttiva. Anche a Roma molte aziende registrarono scioperi e sospensioni del lavoro, nonostante la presenza di truppe di occupazione tedesche particolarmente agguerrite e delle SS, quotidianamente a caccia degli oppositori, dei partigiani e degli ebrei. Nonché pronte a feroci azioni di rappresaglia e di intimidazione preventiva della popolazione.

Migliaia furono i patrioti ed i partigiani, catturati soprattutto durante i grandi e pesanti rastrellamenti nazifascisti  - molto attivo l’operato dei militi della Repubblica Sociale Italiana, esercito fantoccio e servo dei nazisti – che ebbero luogo dal gennaio – marzo 1944 fino al febbraio 1945, nel nord Italia. La maggior parte fu deportata a Mauthausen e suoi sottocampi, a Neuengamme, a Flossenbuerg, a Dachau, a Buchenwald.

Nei lager nazisti gli italiani, arrestati e deportati come antinazisti, dovevano portare sulle spalle anche la “colpa di essere traditori”, “badogliani” e quindi venivano considerati doppiamente colpevoli e tali da essere destinati ai lavori più pesanti, più avvilenti, più massacranti, al pari degli ebrei e dei prigionieri di guerra sovietici. Erano sicuramente i più esposti alle efferate punizioni ed alla privazione del già miserrimo cibo. Il loro ritorno a casa, ancor più che per altri prigionieri, era assolutamente non prevedibile, “non desiderato”.

Tutti gli strati del nostro paese furono colpiti dalla tragedia della deportazione, del terrore dei lager. Dall’intellettuale all’operaio, all’artigiano, dal più povero al ricco, dal giovane al vecchio stanco e malato, donne, bambini, uomini.

Le donne, in particolare, furono deportate a Ravensbrueck, lager di eccezionale durezza, in cui i nazisti vollero doppiamente umiliare, sfruttare e colpire a morte il mondo femminile.

 

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