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Italia in guerra

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L'ingresso in guerra

Di fronte alle crescenti e sempre più violente manifestazioni interventiste, il re decise di richiamare il Salandra che riuscì nell’intento di ottenere, da un parlamento scosso dai tumulti e timoroso di contrastare le decisioni del re, poteri straordinari e, di fatto, l’autorizzazione all’entrata in guerra.

La partecipazione al conflitto fu, quindi, di fatto, decisa, senza il consenso parlamentare e per volontà di due sole persone, il re e il presidente del consiglio.

Il 24 maggio 1915, dopo la dichiarazione di guerra all’Austria-Ungheria del giorno precedente, il nostro esercito era già in marcia verso il confine.

Allo scoppio della guerra il capo di stato maggiore dell’esercito, Luigi Cadorna, si diceva certo di una rapida conclusione delle ostilità, attraverso una serie di "spallate" che avrebbero travolto le truppe austro-ungariche, ma fin dall’inizio la realtà fu ben diversa: infatti il confine tracciato nel 1866, al termine della III guerra d’indipendenza, non era stato studiato, dal governo di Vienna, in modo superficiale, ma aveva lasciato all’Austria il controllo dei passi e delle vette, fortificati con un complesso apparato di trincee e camminamenti difensivi.

Gli italiani si trovarono così a combattere in condizioni di svantaggio, anche perché la superiorità numerica delle forze regie era vanificata da armamenti antiquati e non all’altezza.

Di contro le armate asburgiche, pur inferiori quantitativamente, erano di gran lunga superiori qualitativamente e meglio organizzate, sia pure con tutte le difficoltà derivanti dalla loro natura multietnica.

Per tutti questi motivi e per l’insensata tattica di Cadorna, disposto a qualsiasi sacrificio di uomini, per raggiungere i fini sperati, l’esercito italiano, lanciato dal comando supremo all’assalto frontale del nemico, in ben undici battaglie sul fiume Isonzo, ebbe a lamentare un numero di perdite spaventoso, con l’unico risultato concreto della conquista di Gorizia, cui fece seguito, un vano e sanguinoso tentativo di avanzata verso Trieste, bloccato dalle imperforabili linee difensive austriache.

Le già dure sofferenze della guerra di posizione furono accentuate dalla natura impervia del fronte, che determinò combattimenti in condizioni ai limiti della follia, tra neve, ghiaccio e passi alpini inaccessibili; i problemi logistici che ne seguirono obbligarono i reparti del genio a ricorrere ad espedienti di ogni genere per consentire lo spostamento di truppe e mezzi a quelle quote.

I propositi del comando supremo, di una conclusione della guerra prima dell’inverno, si rivelarono, tragicamente, infondati ed anzi furono gli austriaci a prendere l’iniziativa, lanciando, nel 1916, la "Strafexpedition", la spedizione punitiva contro l’alleato traditore, ideata dal feldmaresciallo Conrad, che fece breccia tra le linee italiane ad Asiago; la strenua resistenza e il coraggio dei reparti italiani riuscirono, miracolosamente, a contenere il nemico e a respingerlo, a prezzo del solito, tremendo, numero di caduti.

Nonostante il coraggio dimostrato, il pesante tributo di sangue, le inutili perdite, le drammatiche condizioni di vita, determinarono, tra le truppe regie, non pochi episodi di insubordinazione , stroncati, con il consueto cinismo, dai vertici militari capeggiati da Cadorna, con centinaia di fucilazioni e con la tattica delle decimazioni; nel Carso, tra i monti dell’Adamello dunque, si continuava, con spietata perseveranza, a morire, vanamente, a fiumi, non solo per mano nemica, ma anche per volontà dei tribunali militari e per opera dei plotoni di esecuzione, in un indicibile clima di terrore e violenza, tale da minare ogni resistenza psico-fisica.

 

 

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