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Il centrismo

(maggio 1947 - febbraio 1962)

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Le elezioni del 1948

Il quarto governo De Gasperi segna la fine dell’unità resistenziale e l’avvio di una fase nuova nella vita politica italiana, quella del centrismo. I socialisti e i comunisti inizialmente non si oppongono con particolare veemenza alla estromissione dalla coalizione di governo, perché sono convinti che l'avventura degasperiana sia destinata al fallimento. Il successo della politica economica ed il conseguente rafforzamento della Dc, però, spingono Togliatti e Nenni a passare al contrattacco, con una serie di manifestazioni di piazza, che spesso si concludono con gravi disordini, sui temi caldi della riduzione dei posti di lavoro e della produzione.

Sul finire del 1947 inizia la rigida contrapposizione tra Pci e Dc, tra comunismo e anticomunismo, anche in conseguenza di quanto sta accadendo a livello internazionale, con l’inizio della guerra fredda. In settembre si tiene la prima riunione del Cominform che formula la cosiddetta "teoria dei due campi", quello "imperialista antidemocratico" contro quello "antimperialista democratico". Ai partiti comunisti di Francia e Italia - fortemente criticati per la collaborazione coi conservatori - viene ordinato di mettere a soqquadro i rispettivi paesi; tutti i partiti comunisti, inoltre, devono rinsaldare il loro legame con l’URSS, guida del comunismo mondiale.

Sul fronte opposto scende in campo direttamente la chiesa cattolica di Pio XII che ripropone i termini del dibattito politico-ideologico con la formula "con Cristo o senza Cristo". In dicembre, per effetto della forte tensione, i repubblicani e i socialisti di Saragat accettano di entrare nella coalizione che sostiene il governo De Gasperi.

È in questo clima di forte tensione e di rigida contrapposizione che si svolge la campagna elettorale per le elezioni del 1948. Le forze di sinistra, comunisti e socialisti, si uniscono nel Fronte Popolare. Ad esse si contrappone il blocco capeggiato dalla Dc, alleata coi socialdemocratici e i repubblicani, mentre liberali e quel che resta dell’Uomo Qualunque confluiscono nel Blocco Nazionale. All’estrema destra, si collocano i monarchici ed il neonato Movimento Sociale Italiano.

L'esito elettorale decreta la netta affermazione della coalizione guidata dalla Dc, mentre nel Fronte Popolare sconfitto, il Pci ottiene più consensi dell’alleato socialista (inizia così il periodo dell’egemonia del Pci sulla sinistra italiana). Questo risultato mette in evidenza una delle tendenze elettorali costanti della storia repubblicana italiana, e cioè che quando il voto si svolge in un clima di netta contrapposizione politico-ideologica l’elettorato preferisce far confluire i voti sui due partiti maggiori (Dc e Pci) dei blocchi contrapposti, piuttosto che disperderli sulle liste minori alleate; non appena la tensione si allenta questi suffragi ritornano verso la collocazione originaria.

Sul risultato elettorale del 1948 pesa anche l’influenza delle vicende internazionali. Il colpo di stato in Cecoslovacchia, ad opera di un partito comunista minoritario, spaventa l’opinione pubblica. Così come fa paura la più o meno velata minaccia americana di escludere l’Italia dagli aiuti del piano Marschall qualora le urne avessero sancito la vittoria del fronte di sinistra. Gli Alleati, inoltre, offrono a De Gasperi la promessa del ritorno di Trieste all’Italia, mentre dagli USA arrivano lettere di italo-americani che esortano i propri connazionali a non votare per i comunisti, esaltando la ricchezza ed il benessere che regnano negli Stati Uniti. A ciò va aggiunto il diretto impegno in favore della Dc da parte della chiesa cattolica.

Dopo il voto la tensione non si smorza, anzi si arriva sull’orlo della guerra civile vera e propria quando, in luglio, il leader comunista Togliatti subisce un attentato. Viene proclamato lo sciopero generale e in tutte le piazze italiane i dimostranti si scontrano con le forze dell’ordine. Il buonsenso dei dirigenti comunisti e l’invito alla calma dello stesso Togliatti evitano il peggio, ma da questo momento in poi il Pci accetta in pieno la logica della guerra fredda, incentrando la propria politica sulla opposizione durissima su temi quali la partecipazione al Patto Atlantico (che nasce nel 1949) e il dislocamento in Italia delle basi Nato.

 

La "linea Einaudi" e la riforma agraria

Esclusi PCI e PSI dal Governo, De Gasperi si affida alla politica economica di Einaudi per rimettere in moto la macchina produttiva del Paese e avviare la ricostruzione. I punti cardine della "linea Einaudi" sono due: da un lato restringere il credito bancario per salvare lo Stato dalla bancarotta frenando le speculazioni e per riorientare i capitali verso i titoli di Stato piuttosto che verso gli investimenti borsistici; dall’altro immettere sul mercato generi alimentari a basso costo, acquistati all’estero, per frenare l’inflazione e salvare il potere d’acquisto della lira.

La politica economica di Einaudi mette un freno all’inflazione, genera un miglioramento nella bilancia dei pagamenti e garantisce più stabilità alla lira consentendo all'Italia di inserirsi nel mercato internazionale. Al tempo stesso, però, provoca una caduta della domanda e la conseguente riduzione degli investimenti e della produzione industriale, con riflessi negativi sull'occupazione e sulla crescita del reddito nazionale. Ma in soccorso della finanza pubblica arrivano gli ingenti aiuti americani del Piano Marschall (1.470 milioni di dollari dal 1948 al 1952).

Sul piano politico, invece, i provvedimenti adottati da Einaudi hanno l'effetto di orientare verso la Dc il consenso dei ceti medi urbani con stipendio fisso, il cui tenore di vita viene salvaguardato. L’estromissione delle sinistre dal governo, inoltre, contribuisce ad arrestare l’emorragia di voti verso destra, specie verso l’Uomo Qualunque.

L’esigenza più pressante con la quale la politica economica del governo De Gasperi deve confrontarsi è la riforma agraria. Nelle campagne meridionali le rivolte contadine e l’occupazione delle terre sono all’ordine del giorno e, per la DC, è forte il rischio che i contadini meridionali aderiscano ai partiti di sinistra. De Gasperi deve fare i conti con le richieste divergenti delle diverse anime del partito: il gruppo che fa capo agli industriali (col benestare americano) e la sinistra dossettiana sono favorevoli alla riforma agraria, mentre i proprietari terrieri meridionali sono fermamente contrari. Schiacciato fra questi interessi antitetici, il governo centrista non attua una vera e propria riforma organica, ma si limita ad alcuni interventi legislativi, sia pure di vasta portata come la legge per la Sila (maggio 1950) e la legge stralcio (luglio 1950), relativi alla espropriazione e alla distribuzione della terra. I provvedimenti colpiscono le proprietà fondiarie superiori ad una certa estensione (legge per la Sila) o ad un certo valore (legge Stralcio) per un totale di 700 mila ettari espropriati e divisi fra 120 mila famiglie, sotto forma di "poderi" per chi non possedeva altra terra e "quote" aggiunte alle piccolissime proprietà. Gli ex-proprietari vengono indennizzati con buoni del tesoro, mentre i contadini devono pagare una piccolo affitto per 30 anni prima di acquistare definitivamente la proprietà dell’appezzamento. A livello locale vengono fondati Enti di riforma, col compito di fornire crediti, aiuti tecnici ed informazioni ai coltivatori.

La riforma per certi versi si rivela un fallimento. Innanzitutto perché l’agricoltura moderna si sta orientando verso le grandi e medie aziende capaci di dotarsi di mezzi, tecnologie e tecniche all’avanguardia, e non su piccole proprietà condotte con criteri arcaici e inserite in un contesto del tutto privo di infrastrutture e di industrie di trasformazione dei prodotti agricoli. La terra espropriata, inoltre, non basta per tutti ed è per lo più impervia, difficile da lavorare e poco fertile, soprattutto perché i proprietari eludono la confisca degli appezzamenti migliori dividendoli tra i famigliari o realizzando piccole migliorie. Molti di loro riescono anche a piazzarsi in posizioni di potere negli Enti di riforma che ben presto si tramutano in nicchie di potere democristiano. Temi come i patti agrari, il piano nazionale di bonifica, il miglioramento dei salari e delle condizioni di vita e di lavoro dei braccianti non vengono neppure sfiorati dalle leggi di riforma. Anche sul piano politico non vengono raggiunti i risultati sperati: il malcontento di quanti sono esclusi dalla redistribuzione o ricevono terre poco fertili e poverissime diventa immediatamente un cavallo di battaglia del Pci che amplia così il suo bacino elettorale nel mezzogiorno.

Il 1950 è anche l’anno della istituzione della Cassa per le opere straordinarie di pubblica utilità nel Mezzogiorno (Cassa per il Mezzogiorno). Fino al 1984 la Cassa gestirà circa 100 mila miliardi per infrastrutture agricole e industriali e provvedimenti per l’occupazione. Ma la gigantesca attività della Cassa si disperde su di un area troppo vasta, spesso senza aver preventivamente acquisito informazioni sulle aree in cui realizzare gli investimenti e sugli effetti nel medio e lungo periodo. A ciò si aggiunge la piaga della corruzione, che spinge ad utilizzare il denaro pubblico al fine di creare ed alimentare le clientele dei partiti e interessi particolari.

Altra riforma attuata negli anni del centrismo (nel 1952) è quella fiscale, la riforma Vanoni. Essa rappresenta un primo passo verso la creazione di un moderno sistema fiscale grazie alla introduzione della dichiarazione dei redditi il cui principale scopo è essenzialmente quello di contrastare l’evasione.

 

La legge truffa e la crisi del centrismo

L’esperienza del quadripartito centrista guidato da De Gasperi è legata a filo doppio alla realtà in cui si svolge, caratterizzata dalla tensione internazionale ideologica e militare della guerra fredda, che si ripercuote anche sul dibattito politico interno, esasperando la contrapposizione comunismo-anticomunismo e garantendo alla coalizione di centro il consenso massiccio dell’elettorato piccolo e medio borghese. Altro elemento distintivo di questa esperienza di governo è la grande abilità politica di De Gasperi, capace di mediare continuamente tra forze diverse e portatrici di interessi e aspirazioni anche contrapposte che coabitano in quel grande contenitore che è il partito della Democrazia Cristiana. Le differenze sono lampanti anche tra i partiti della coalizione, basti pensare che la Dc è un partito confessionale, mentre i partiti minori suoi alleati sono profondamente laici.

La grande eterogeneità interna del partito di maggioranza relativa, nonché della coalizione che sostiene il governo, è un elemento di profonda debolezza che, sommandosi al radicale mutamento della situazione interna ed internazionale (il cambiamento di rotta politica da parte del Psi; l’equilibrio raggiunto tra le superpotenze, l’allentarsi, a tratti, della tensione internazionale e, in seguito, la morte dello stesso De Gasperi) provoca la crisi del centrismo. Il centrismo, infatti, non si era realizzato tanto per la grande forza aggregatrice della DC, quanto piuttosto per grazie alle difficoltà di coalizzarsi, per le fratture interne, degli schieramenti antagonisti di sinistra e di destra.

La crisi del Centrismo inizia nei primi anni Cinquanta, quando riprende l’emorragia di voti democristiani, sia verso destra che verso sinistra, perché le condizioni che hanno permesso il successo schiacciante del 1948 non esistono più. Per fare fronte all’emergenza De Gasperi – non potendo estendere l’alleanza ai partiti di destra - gioca la carta della riforma elettorale, con un sistema che prevede un premio di maggiorana pari a 2/3 dei seggi per il partito o la coalizione che ottiene la maggioranza assoluta dei voti. Il sistema, in pratica, è tale da consentire alla Dc di ottenere la maggioranza assoluta, a patto che scatti il premio di maggioranza per la coalizione di centro.

Alle elezioni del 1953 però l’operazione fallisce, anche a causa della opposizione durissima contro quella che viene definita la "legge truffa". La coalizione guidata da De Gasperi, accusata dagli avversari di voler conservare il potere in modo antidemocratico, non raggiunge la maggioranza assoluta per soli 57 mila voti e il premio non scatta. Il voto di molti elettori si sposta vero gli estremi dello schieramento politico, il Pci a sinistra e i monarchici e missini a destra. Il risultato elettorale, perciò, suona come una netta bocciatura della linea politica di De Gasperi. Quest’ultimo, non potendo ricostituire il quadripartito centrista per le resistenze di repubblicani e socialdemocratici, da vita ad un governo monocolore democristiano, il cui fallimento segna di fatto la fine della sua carriera politica.

Con le elezioni del 1953 inizia un periodo di forte instabilità politica. Nella coalizione di centro i piccoli partiti acquistano una maggiore forza contrattuale e di ricatto, poiché senza il loro apporto la Dc non potrebbe governare. Prende piedi la prassi del cosiddetto "governo ai margini", in base alla quale la principale preoccupazione di tutti i partiti politici (opposizione compresa) è quella di rafforzarsi in termini elettorali piazzando i propri uomini di fiducia nei punti chiave della pubblica amministrazione, della burocrazia e di ogni struttura organizzata in seno alla società civile. In seno alla Dc, intanto, si diffonde la consapevolezza che il Centrismo è in crisi e che perciò è indispensabile ideare un nuovo blocco di potere anticomunista, sempre incentrato sulla Dc: inizia così la fase di transizione al Centrosinistra, con l’apertura al Partito Socialista.

 

Il miracolo economico

Gli anni ‘50 sono il decennio del grande sviluppo economico, il "miracolo", che trasforma radicalmente la società italiana. Inizia l’era del consumismo e della società di massa, con la diffusione dell’automobile, della televisione e degli elettrodomestici. Il vasto piano di costruzioni stradali fa da traino all’intera economia nazionale e fra il 1951 e il 1962 l’industrializzazione del paese cresce ad un ritmo senza precedenti, con un saggio di incremento fra i più alti d’Europa.

I motivi del miracolo vanno ricercati nel recupero e nell’ammodernamento degli impianti industriali fino ad allora non totalmente utilizzati, nell’impiego di fonti di energia più a basso costo (derivati del petrolio e i giacimenti di metano e idrocarburi in Val Padana, Abruzzo e Basilicata), nell’intervento statale attraverso l’IRI e l’ENI, nella crescita graduale di un mercato nazionale di base e soprattutto nella disponibilità di un serbatoio di mano d’opera a basso costo a causa della disoccupazione dilagante specie al sud. A ciò si aggiunge, sul versante internazionale, una congiuntura positiva di grande crescita pressoché generalizzata, i primi passi dell’integrazione europea, gli aiuti americani e gli investimenti degli stranieri in Italia.

La storiografia economica ha individuato due fasi distinte nel processo di crescita degli anni Cinquanta: dal 1951 al 1958 il miracolo è dovuto essenzialmente alla domanda interna; dal 1958 al 1963 invece il fattore trainante è l’esportazione, anche grazie ai primi effetti del Mercato Comune. Le modalità stesse di questo sviluppo, però, accentuano il divario fra nord e sud della penisola. Il mezzogiorno è interessato da un nuova ondata migratoria verso le regioni industriali settentrionali che sottrae alla già povera agricoltura locale buona parte della mano d’opera più giovane e quindi migliore. La strategia dei poli di sviluppo inoltre segna anche l’acuirsi dei dualismi interni alle stesse aree del sud.

Nel modello di sviluppo italiano degli anni Cinquanta, secondo una parte della storiografia, sono insiti i germi della successiva fase di recessione. Oltre al divario nord-sud, infatti, il miracolo accentua anche gli squilibri tra diversi settori industriali e fra industria e agricoltura, visto che alla riduzione degli addetti nel settore agricolo non corrisponde un adeguato ammodernamento del settore. Il grosso degli investimenti, inoltre, è finalizzato ad accrescere la produttività e non l’occupazione, e perciò parallelamente allo sviluppo dei settori trainanti, crescono a dismisura anche piccole imprese e terziario col compito di assorbire mano d’opera. Il sistema delle partecipazioni statali, infine, in assenza di una guida politica univoca e omogenea, si trasforma in mera supplenza e integrazione dell’industria pubblica nei confronti di quella privata, con l’industria pubblica che si accolla l’onere di realizzare le infrastrutture, giudicate troppo costose e rischiose dal capitale privato il quale si limita a sfruttare tutti i vantaggi offerti dalla spesa pubblica.

Il 1963 segna una battuta d’arresto nella crescita economica e la fine del miracolo. Il rapporto produttività-salario, fino ad allora favorevole, inverte la tendenza e ciò, sommato alla crescita eccessiva e rapida dei prezzi e alla perdita di competitività delle esportazioni, fa esplodere le tensioni sociali latenti.

 

Verso il centrosinistra

Negli anni del miracolo economico, i partiti politici creano un articolato sistema di conservazione e rafforzamento del proprio potere. I partiti, specie la democrazia cristiana e gli alleati di governo, si assicurano un vasto controllo sociale, soprattutto sulla massa dei contadini poveri del Mezzogiorno, creando una pluralità di enti statali autonomi che allestiscono una gran quantità di programmi per la realizzazione di opere pubbliche nelle aree depresse. Questi enti si trasformano ben presto in centri di potere, funzionali anche al soddisfacimento degli interessi delle diverse correnti. Il controllo di tali enti, infatti, consente di gestire discrezionalmente l’erogazione a livello locale delle risorse pubbliche stanziate in favore del sud, oltre che di controllare poteri minori (come concessioni di licenze, assunzioni, ecc.) utilissimi in termini elettorali e clientelari.

Per quanto riguarda le coalizioni di governo, nella seconda metà degli anni Cinquanta, entrato in crisi il Centrismo, inizia la lunga fase di transizione verso il Centrosinistra, cioè l’alleanza tra Dc e Psi. Il 1956 è un anno denso di avvenimenti a livello internazionale che si ripercuotono sulla politica interna italiana: al XX congresso del Pcus Krusev rivela i crimini di Stalin dando così il via ad un processo di smantellamento del culto della sua persona, e in autunno scoppia la rivoluzione ungherese duramente repressa dai sovietici. In questo nuovo quadro, mentre il Pci avverte l’esigenza di ritagliarsi un ruolo più autonomo rispetto agli altri partiti comunisti europei e al ruolo-guida dell’URSS, nel Psi si fa strada la convinzione che l’alleanza coi comunisti non giova alla propria causa, specie in termini elettorali. Inizia così un lento processo di distacco dall’estrema sinistra e di avvicinamento alla Dc.

Al Congresso di Torino del 1955 il leader socialista Nenni lancia esplicitamente l’invito alla Dc di "aprire a sinistra". I tempi però non sono ancora maturi, perché il Psi è ancora troppo legato ai comunisti, coi quali la sua ala di sinistra è intenzionata a proseguire l’alleanza, mentre con la Dc esistono ancora nette divergenze di vedute specie sulla politica estera.

Le elezioni del 1958 decretano una forte crescita del Psi contro la sostanziale stabilità dei comunisti, mentre nella Dc prende il sopravvento l’ala sinistra di Fanfani. Quest’ultimo però non riesce ad allestire un esecutivo capace di ottenere la fiducia parlamentare. E così, passando attraverso l’esperienza del monocolore democristiano guidato da Segni col sostegno delle destre (Pli, Monarchici e Msi), si approda all’esperimento Tambroni che segna un momento decisivo nel processo che spiana la strada all’alleanza Dc-Psi.

Il governo Tambroni è il classico governo di transizione, con un programma limitato e senza una maggioranza precostituita. Ottiene la fiducia grazie al voto missino e, vista la piega presa dagli eventi, la direzione della Dc obbliga Tambroni a dimettersi. Fanfani però non riesce ad allestire un governo con Pri e Psdi e con l’astensione del Psi e il Presidente della Repubblica Gronchi è costretto a rigettare le dimissioni di Tambroni che anche al Senato ottiene la fiducia col voto, sia pure non determinante, del Msi. Nel paese la tensione sale alle stelle, con gravissimi scontri di piazza, soprattutto a Genova dove è in programma il congresso del partito neofascista. In luglio il vertice della Dc dichiara conclusa la funzione del governo di transizione e costringe Tambroni a dimettersi. Il nuovo incarico viene affidato a Fanfani che presenta al Parlamento l’ultimo governo di transizione al centrosinistra. Il caso Tambroni infatti dimostra che la Dc non può svoltare a destra senza provocare fortissime tensioni nel Paese e che la formula centrista non è più praticabile per l’opposizione di repubblicani e socialdemocratici: la via obbligata da seguire è l’apertura a sinistra, resa possibile anche dalla mutata situazione internazionale (la linea politica di Kennedy, presidente USA; il maggiore distacco dalle cose politiche da parte della chiesa di papa Giovanni XXIII).

pallanimred.gif (323 byte) La Nato e le origini della scelta atlantica dell'Italia di Pietro Scoppola

pallanimred.gif (323 byte) Quando l'Italia voleva l'atomica (1956)

pallanimred.gif (323 byte) L’ultimo governo della seconda legislatura (1957-58) di Domenico Novacco, in Patria Indipendente, n. 2, febbraio 2003

pallanimred.gif (323 byte) Il governo Tambroni e i morti di Reggio Emilia 7 luglio 1960

pallanimred.gif (323 byte) Il boom economico (1958-1963) a cura di Lorenzo Calandri

 

CRONOLOGIA

13 maggio 1947. De Gasperi si dimette.

32 maggio 1947 - 12 maggio 1948. Governo De Gasperi (IV) (PLI, DC; in dicembre, con un rimpasto, entrano PRI e PSLI).

22 dicembre 1947. L’Assemblea Costituente approva la costituzione a larghissima maggioranza.

1 gennaio 1948. Entra in vigore la Costituzione

18 aprile 1948. Elezioni Camera dei Deputati (DC 48,5% - Fronte Popolare (PSI, PCI) 31% - PSLI 7,1% - PLI 3,8% - Monarchici 2,8% - PRI 2,5% - MSI 2,0% - ALTRI 2,3%)

Elezioni Senato della Repubbl. (DC 48,1% - Fronte popolare (PSI, PCI) 30,8% - PLI 5,4% - PSLI 4,2% - PRI 2,6% - Mon. 1,7% - MSI 0,8% - ALTRI 6,4%)

11 maggio 1948. Luigi Einaudi eletto Presidente della Repubblica.

23 maggio 1948 - 12 gennaio 1950. Governo De Gasperi (V) (PLI, DC, PRI, PSLI)

14 luglio 1948. Attentato a Palmiro Togliatti.

27 gennaio 1950 - 16 luglio 1951. Governo De Gasperi (VI) (DC, PSLI, PRI).

26 luglio 1950 - 29 giugno 1953. Governo De Gasperi (VII) (DC, PRI).

7 giugno 1953. Elezioni Camera dei Deputati (DC 40,1% - PCI 22,6% - PSI 12,7% - Mon. 6,9% - MSI 5,8% - PSDI 4,5% - PLI 3% - PRI 1,6% - ALTRI 2,8%).

Elezioni Senato della Repubb. (DC 39,9% - PCI 20,2% - PSI 11,9% - Mon. 7,1% - MSI 6,1% - PSDI 4,3% - PLI 2,9% - PRI 1,1% - ALTRI 5,7%).

16 luglio 1953 - 28 luglio 1953 Governo De Gasperi (VIII) (DC).

17 agosto 1953 - 5 gennaio 1954. Governo Pella (DC). Nasce come un governo di affari, cioè un governo dichiaratamente di transizione, con un programma limitato. Ben presto, però, si guadagna l’appoggio della destra soprattutto grazie all’atteggiamento duro ed intransigente assunto per ottenere l’annessione di Trieste (la zona A); addirittura mobilità due divisioni al confine orientale. Cade per iniziativa dell’ala sinistra della DC.

18 gennaio 1954 - 30 gennaio 1954. Governo Fanfani (I) (DC). Dopo il ritiro di Dossetti dalla vita politica, Fanfani è il principale esponente della sinistra democristiana; ma il suo esecutivo non ottiene la fiducia.

10 febbraio 1954 - 22 giugno 1955. Governo Scelba (PLI, DC, PSDI). E’ un tentativo di ritornare al quadripartito centrista (il PRI garantisce l’appoggio esterno pur senza entrare direttamente nel governo). Cade, però, sulla spinosa questione dell’elezione del capo dello Stato. La sinistra DC candida Gronchi; l’ala destra del partito deve votarlo, a malincuore, per evitare che sia eletto col voto determinante dei comunisti. Gronchi è tra i più accesi fautori dell’apertura a sinistra, idea lanciata da Nenni al congresso socialista di Torino in marzo-aprile 1955.

29 aprile 1955. Giovanni Gronchi viene eletto Presidente della Repubblica.

6 luglio 1955 - 6 maggio 1957. Governo Segni (I) (PLI, DC, PSDI). Governo di transizione.

19 maggio 1957 - 10 giugno 1958. Governo Zoli (DC).

Luglio 1958. Elezioni Camera dei Deputati (DC 42,3% - PCI 22,7% - PSI 14,2% - Mon, 4,8% - MSI 4,8% - PSDI 4,6% - PLI 3,5% - Part. Monarchico Pop. 2,6% - PRI e radicale 1,4% - ALTRI 1,7%).

Elezioni Senato della Repub. (DC 41,2% - PCI 21,8% - PSI 14,1% - Mon. 4,9% - MSI 4,4% - PSDI 4,5% - PLI 3,9% - PRI 1,4% - ALTRI 3,9%).

1 luglio 1958 - 26 gennaio 1959. Governo Fanfani (II) (DC, PSDI).

15 febbraio 1959 - 24 febbraio 1960. Governo Segni (II) (DC).

25 marzo 1960 - 19 luglio 1960. Governo Tambroni (II) (DC).

26 luglio 1960 - 2 febbraio 1962. Governo Fanfani (III). (DC)

 

info.gif (232 byte) per saperne di più:

pallanimred.gif (323 byte) Le elezioni parlamentari italiane del 1948 Saggio a cura di Simone Pelizza.

pallanimred.gif (323 byte) Il sindacalismo cattolico dall'unità sindacale alla nascita della Cisl (a cura di Simone Galgano)

pallanimred.gif (323 byte) Il miracolo economico (link al sito Storia del '900)

pallanimred.gif (323 byte) 1949: l'Italia aderisce al Patto Atlantico Saggio di Carmelo Caruso

pallanimred.gif (323 byte) La cortina di ferro (Nato e Patto di Varsavia)

pallanimred.gif (323 byte) 25 dicembre 1951 Pio XII sulla guerra fredda (documento video, real player)

pallanimred.gif (323 byte) L'Italia repubblicana Analisi e sintesi della storia dell'Italia repubblicana: elezioni politiche, governi, parlamento, corte costituzionale, presidente della repubblica, costituzione e partiti.

pallanimred.gif (323 byte) Storia della Repubblica Italiana Link al dossier del sito "La Buvette" dedicato alla Storia della Repubblica italiana, con sezioni su: i Governi delle legislature repubblicane; i Presidenti della Camera e del Senato; i Presidenti della Repubblica; il Governo Prodi

 

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