|  | Il miracolo
        economico 2. Segni e squilibri del sistema Uno sviluppo così repentino in un paese ricco di ritardi e
        contraddizioni di vecchia data non poté non generare (ed ereditare) una serie di distorsioni:
        innanzi tutto la diffusione del benessere per i cittadini era in netto ritardo rispetto
        alla velocità del progresso tecnologico. Il miracolo economico si affermò in
        un sistema dove dominavano le libere forze del mercato e le cui peculiarità sembravano
        essere il già menzionato mutamento merceologico dellofferta dei mezzi di trasporto
        e degli elettrodomestici, la progressione costante dei salari, lintensificazione
        della combattività operaia, unimpennata dei consumi privati
        e le migrazioni interne. Ciascuno di questi fenomeni da un lato generò forti scompensi e
        rotture, dallaltro produsse bisogni a cui il sistema non era in grado di sopperire
        (ad esempio per ciò che riguardava la domanda aggiuntiva di abitazioni, scuole,
        ospedali).
         Questi fenomeni di distorsione, secondo le tesi di
        Sapelli e Salvati, sono riconducibili ad alcuni problemi strutturali dellItalia a
        partire dal dopoguerra: il dualismo della struttura produttiva industriale ed il permanere
        della questione meridionale.
        Secondo Sapelli, in Italia cera una situazione di netta differenziazione (appunto
        dualistica) dello sviluppo economico tra i settori dinamici ad alto tasso di innovazione
        orientati quasi esclusivamente allesportazione (industrie automobilistiche, chimiche
        e siderurgiche) e settori arretrati e tradizionali destinati a soddisfare la domanda
        interna (settore tessile, alimentare ed edile). I vari settori produttivi avevano
        beneficiato in modo del tutto diverso dellinflusso dei vantaggi offerti dalla
        favorevole congiuntura economica: laumento della produttività, lallargamento
        delle economie di scala, la redistribuzione delle risorse e lapertura verso i
        circuiti di scambio internazionale. Così aumentò in modo sensibile la distanza tra
        grande e media industria (principali beneficiari degli aiuti statali e delle varie
        economie esterne) e la piccola impresa espulsa dai settori chiave della produzione   e gravata di maggiori   costi di finanziamento del ciclo produttivo e
        di inserimento nei commerci extralocali. Le conseguenze di questo dualismo si resero
        evidenti sia nel regime doccupazione che nelle forme di lavoro   e nella distribuzione del reddito. Nel mercato del lavoro si assisteva ad un notevole aumento di
        produttività unitamente a bassi incrementi occupazionali nei settori più avanzati e
        dinamici, mentre quelli più arretrati assorbivano gran parte della disoccupazione,
        promuovendo bassi incrementi di produttività e rilevanti incrementi occupazionali.
        Una delle principali attrattive dei rami più sviluppati fu sicuramente la possibilità di
        offrire un monte salari superiore a quello delle altre industrie e a volte anche una serie
        di facilitazioni per i suoi addetti.
        Ma Graziani fa notare come, seppure i salari nellindustria trainante crescessero
        più di ogni altro, uno dei segreti del boom economico fu il fatto che in rapporto allaccumulazione
        di capitale ottenuta con laumento della produzione e della produttività operaia
        (aumentata di oltre un terzo), i salari reali nellindustria diminuirono.
        Il boom economico aveva permesso un elevato tasso dei profitti, questi, a loro volta,
        favorirono un incremento degli   investimenti
        pubblici e privati. Tale incremento produsse in Italia accese discussioni, anche a livello
        politico, sullutilizzo di questi investimenti: vi era chi sosteneva che gli
        imprenditori ne avessero fatto un uso principalmente qualitativo, ossia finalizzato alla
        modernizzazione degli impianti ed allaumento della produttività. Altri, in
        particolare la sinistra, ritenevano che gli imprenditori non avessero usato tali
        investimenti per ampliare la base del sistema bensì per aumentare i loro stessi profitti. Negli anni di questo inusitato sviluppo lagricoltura
        e la piccola industria, insieme alledilizia e al piccolo commercio, svolsero un
        ruolo di polmone della disoccupazione:
        furono cioè un serbatoio di manodopera sottoccupata e sottoremunerata, caratterizzata
        dagli elevati indici di occupazione precaria e bassi livelli salariali e sindacali. E
        possibile affermare che allespansione di settori trainanti corrispose una continua
        proliferazione dei settori più o meno arretrati, si creò così una frammentazione
        sociale ed economica del paese destinata ad aggravarsi.
        Il problema della distorsione dei consumi derivò in parte dallo stesso dualismo delleconomia
        italiana di quel periodo: i settori più dinamici e forti (come il petrolchimico che
        nacque tra gli anni Cinquanta e Sessanta e che ebbe tra i suoi principali esponenti la
        Montecatini, la Sir e la Edison) tendevano a modellare la propria produzione sulla falsa
        riga di quella estera. Questo aspetto spiega, secondo G. Crainz, perché in un paese
        caratterizzato da un incremento assai modesto del consumo interno e del reddito procapite
        fossero diffusi modelli e strutture di beni di consumo tipici di un economia più moderna.
        Inoltre vi fu anche un aspetto legato al fatto che lintervento pubblico fu spesso
        limitato alla costruzione di infrastrutture funzionali sopratutto alle esigenze di
        espansione dei nuovi mercati e del padronato imprenditoriale più forte: ciò fu una delle
        cause della diffusa arretratezza dei servizi pubblici essenziali come la sanità e la
        scuola.
        Sapelli ha fatto notare come il problema non risiedesse nella grande diffusione dei
        consumi (comunque favorita da un incremento generalizzato dei redditi in una condizione di
        assenza dellinflazione), ma nella composizione e nella tipologia dellofferta
        che escludeva i beni fondamentali ed i sevizi.  Inoltre,
        i prezzi svolsero un ruolo discriminate: i prodotti di consumo meno cari erano proprio
        quelli superflui, mentre quelli economicamente più dispendiosi erano quelli ritenuti
        basilari come i trasporti pubblici o i libri.  Parlando degli squilibri del sistema Italia non si può
        dimenticare una grande disfunzione costituita dallarretratezza del Mezzogiorno. Il
        meridione italiano era arrivato allappuntamento con il boom avendo uneconomia
        ancora prevalentemente agricola dove gli occupati in questo settore rappresentavano il 40%
        del totale dei lavoratori contro il 30% della media nazionale nel 1960 (se si escludono
        alcune limitate zone, la maggior parte della superficie agricola era ancora occupata da
        una cultura di tipo estensivo). Il latifondo era la forma di gestione predominante e la
        pressione demografica continuava a mantenersi elevata; lo sviluppo industriale era
        completamente insufficiente e basato soprattutto sulle piccole imprese a carattere
        semiartigianale.
        Con il miracolo nel paese si ampliò maggiormente la differenza di sviluppo
        delle diverse zone. Le strategie dellimprenditoria nazionale, tentando unintegrazione
        nel tessuto economico dei paesi più avanzati, contribuirono ad ampliare questa forbice;
        infatti le esigenze di competitività e di agganciamento agli standard produttivi
        internazionali avevano portato ad una concentrazione degli investimenti verso i distretti
        industriali del Nord, che già presentavano uno sviluppo piuttosto avanzato. In questottica
        uno spostamento di capitali verso il Sud avrebbe significato disperdere tecnologie e
        risorse.
        Il Meridione, nel boom economico, era destinato ad avere una funzione subordinata e
        funzionale agli interessi delleconomia del Nord.
        Nonostante la condizione di diffusa e radicata arretratezza
           nelle terre del Mezzogiorno costituisse per leconomia italiana
        un ostacolo difficilmente integrabile dal sistema consumista-fordita,
        essa comunque presentava una serie di indiscutibili vantaggi. Tra questi vantaggi possiamo annoverare il ruolo di riserva di
        manodopera rappresentato dalle campagne meridionali per un Nord che, tendendo verso la
        piena occupazione, esigeva nuove risorse di manodopera;
        inoltre, lassenza effettiva di unindustrializzazione nel meridione costituiva
        una garanzia per i grandi gruppi economici del Nord, contro ogni possibile concorrenza
        interna. Ma, come detto, la situazione meridionale per altri aspetti costituiva anche un
        ostacolo allo sviluppo dellindustria settentrionale che, proprio per il modello
        economico che aveva deciso di seguire, doveva necessariamente espandere il proprio mercato
        interno anche in quelle zone in cui persistevano forme di autoconsumo  e bassissimi redditi. Lo stesso settore agricolo, a
        causa dei suoi bassi livelli di produttività e incapacità di potere rispondere alle
        nuove richieste di uneconomia sempre più internazionale, non permetteva a molti
        prodotti italiani di essere competitivi. Come visto, il governo italiano, decidendo di
        avvallare un modello di sviluppo consumista-fordista, si fece promotore di una
        politica di intervento al fine di porre rimedio ai problemi del Sud. Il
        governo agì attraverso due vie principali: la Riforma agraria e la Cassa per il
        Mezzogiorno.
        In particolar modo, le aspettative di industrializzazione del Sud furono legate alle
        iniziative della Cassa (creata nel 1950): lIstituto aveva il compito di promuovere e
        sviluppare, attraverso agevolazioni fiscali e incentivi economici, la crescita di un
        settore industriale efficiente e autopropulsivo. I primi tentativi di creare unoccupazione
        diffusa puntavano da un lato al coinvolgimento delle piccole-medie imprese e dallaltro
        alla creazione di quelle opere infrastrutturali che avrebbero dovuto funzionare da volano
        per leconomia.
        Con larrivo del boom economico il governo decise di cambiare rotta e di porre
        rimedio ai limiti della sua azione relativa alla prima metà del decennio (come ad esempio
        leccessiva dispersione dei fondi, leccesso di centralizzazione nella gestione
        della Cassa e leccessivo privilegio dato allo sviluppo della agricoltura rispetto a
        quello dellindustria).
        Graziani sottolinea come fosse ormai palese che questa forma di intervento, basata su
        criteri più umanitari che propulsivi, rappresentasse uno spreco e non servisse per un
        effettivo decollo dellindustria; come avrebbe avuto a dire la famosa economista
        inglese Vera Lutz: le strade costruite dalla Cassa per il Mezzogiorno servivano
        oramai agli abitanti
 soltanto per abbandonare per sempre i loro paesi di origine.  Il governo considerò ragionevole porre termine
        alla politica di carattere umanitario per avviarne una nuova più aderente alla situazione
        reale, quella del miracolo economico. Due furono i criteri ispiratori di tale
        politica:  ·
                sotto il profilo
        settoriale si decise di realizzare una svolta in favore dellindustrializzazione.
        Tale scelta comportò non solo uno spostamento di fondi verso quel settore, ma anche un
        nuovo orientamento nella politica delle opere pubbliche fatte in modo che risultassero
        completamente funzionali allo sviluppo dei nuovi insediamenti industriali. Tuttavia la
        nuova politica industriale venne concepita nel quadro dellipotesi in base alla quale
        la crisi endemica della disoccupazione del Sud potesse trovare una risoluzione solo al di
        fuori dai suoi confini. Si pensò infatti che lo sviluppo industriale avrebbe dovuto
        svolgere anzitutto la funzione di accrescere lefficienza del sistema produttivo
        meridionale, attraverso laumento del reddito e della produttività del lavoro.
        Non sembrò essenziale che lindustrializzazione dovesse risolvere anche il problema
        della disoccupazione.  Inoltre, come ha
        sottolineato E. Scalfari nel libro Razza padrona, nella nuova campagna di
        industrializzazione del Sud le imprese a capitale pubblico (come ad esempio lENI di
        Enrico Mattei) ebbero un ruolo dominante  e
        rappresentarono lo strumento favorito dalla Stato. ·
                Sotto il profilo
        territoriale, gli interventi prevedevano la creazione di un insieme di aree e di
        nuclei di sviluppo industriale che avrebbe dovuto porre fine agli sprechi e alle
        dispersioni del primo periodo.  Levento
        che sanzionò e tradusse in pratica questa svolta fu lemanazione della legge 643 del
        luglio 1957 che intendeva disciplinare listituzione delle aree e dei nuclei di
        sviluppo industriale. Allobbligo
per le amministrazioni dello stato di
        riservare a imprese meridionali il 30% delle forniture e lavorazioni loro occorrenti
.si
        aggiunse lobbligo per le amministrazioni statali di riservare al Mezzogiorno il 40%
        dei propri investimenti. Si stabilì inoltre che le imprese a partecipazione statale
        dovessero ubicare nel Mezzogiorno una quota minima, pari al 60%, dei nuovi impianti che
        comunque dovevano essere ubicati nel Mezzogiorno non meno del 40% del totale degli
        investimenti eseguiti.
         Limpegno profuso e le somme investite nelliniziativa
        furono elevatissime ma non riuscirono ad intaccare la cause dellarretratezza della
        società. Uno dei limiti degli obbiettivi delle politiche di intervento statale nel Sud fu
        quello di voler ottenere un elevamento appena sopra la soglia di sussistenza della
        popolazione meridionale ma le esigenze della nuova moderna società dei consumi erano
        molto superiori e tale condizione non avrebbe certo potuto fermare lemorragia di
        popolazione.
        Inoltre il governo, nella gestione della Cassa, si era dimostrato troppo subalterno alle
        esigenze dei grandi monopoli privati; infatti, i finanziamenti concessi al Sud per la
        costruzione di infrastrutture ed altri edifici, che giungevano in gran parte dal Nord del
        paese, spesso finivano alle ditte fornitrici e alle imprese di costruzioni settentrionali
        che svolgevano i lavori, inoltre la maggior parte dei prodotti delle nuove industrie
        meridionali non erano destinati al mercato interno ma a quello del Nord o a quello
        europeo.
        Il fallimento dellintervento straordinario coincise con quello delle sue principali
        istituzioni: la Riforma agraria e la Cassa per il Mezzogiorno. Per quello che riguarda in
        modo particolare linsuccesso della Cassa, si può affermare che questa non fu capace
        di tradurre in pratica uno dei suoi compiti più importanti, ossia quello di riuscire ad
        essere uno strumento capace di spezzare limmobilismo delleconomia meridionale
        finendo spesso per sostituirsi semplicemente alla gestione ordinaria anziché aggiungersi
        ad essa. Inoltre, gli investimenti realizzati nel settore industriale non riuscirono a
        dare i risultati sperati a causa di scelte strategiche errate, per di più, spesso, alle
        grandi aziende locali, per diverse motivazioni, non interessava promuovere lo sviluppo
        locale.  torna all'indice generale
 
        
 
 
           
           
          
           
           
           
           
           
           
           
           
           
           
           
           
           
          Ivi.  Il ciclo consumista-fordista, in cui
          Italia era entrata, si basava su due pilastri principali 
          costituiti dagli alti consumi e dalla larga diffusione di tutti quei prodotti
          propri di una  società opulenta. La presenza
          di questa società opulenta, sul falsa riga del modello americano, era necessaria perché
          proprio per le sue caratteristiche era  in
          grado di sorreggere e rigenerare questo tipo di mercato.  
           
           
           
           
           
           
           
           
          
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