testatarepubblica.gif (18392 byte)

www.storiaXXIsecolo.it 

   

Il miracolo economico

4. Il boom economico e il Centro-Sinistra

Nella Democrazia Cristiana una delle prime personalità politiche ad essersi reso conto che il boom economico aveva prodotto e stava producendo delle trasformazioni nella società italiana fu il successore di Degasperi, Amintore Fanfani (che a capo della corrente di sinistra della DC “iniziativa democratica” aveva favorito un rinnovamento dei quadri del partito)[1]. L’ipostesi di una possibile apertura a sinistra si manifestò già nel 1956 con la salita alla presidenza del consiglio dello stesso Fanfani, ma prima che i progetti e programmi si traducessero in pratica sarebbero dovuti passare sette anni di travagli e crisi non solo politiche[2]. Sino al 1962 l’opposizione a questa formula di governo provenne da più parti: dagli ambienti ecclesiastici, ed in particolare dalla Chiesa, dagli Stati Uniti anche dopo l’elezione del presidente J. F. Kennedy e anche da parte delle forze italiane più conservatrici[3] (nelle campagne come nell’imprenditoria industriale) che avevano come principale referente politico proprio la DC oltre al PLI e che temevano l’eventualità di un governo troppo riformista.

Le discussioni e i fermenti attorno al Centro–Sinistra si fecero più intensi con l’arrivo degli anni sessanta, quando ormai ci si sarebbe aspettati uno spostamento a sinistra della politica nazionale si assistette ad uno sbandamento a destra con il governo Tambroni. In realtà, il Fernando Tambroni (scelto dal presidente della repubblica Gronchi quale uomo adatto per traghettare il traballante governo centrista ad una apertura verso i socialisti di Nenni) venne presentato come un uomo di sinistra benché avesse compiuto nel passato alcune dubbie iniziative di ordine pubblico. L’orientamento del nuovo capo del governo lo si comprese chiaramente dopo il suo discorso al parlamento che gli valse i favori della destra del Movimento Sociale Italiano. Ma i veri problemi nacquero all’indomani del voto alla Camera, dove l’appoggio decisivo a Tambroni venne dai neofascisti. Dopo le sue dimissioni ed un tentativo di governo di Fanfani, Tambroni, sostenuto dalla stessa maggioranza, tornò ad occupare la carica di capo del governo e, dopo aver avuto conferma della buona accoglienza degli ambienti finanziari e industriali, decise di tagliare tutti i canali di comunicazione con la sinistra[4]. Sarà il suo consenso dato al partito neofascista per un congresso che si sarebbe dovuto tenere a Genova a far scatenare nel Paese una serie di agitazioni e proteste che lo indurranno a dimettersi nel luglio dello stesso anno. La scintilla che fece precipitare al situazione fu proprio il congresso del MSI nella città ligure, medaglia d’oro della Resistenza (già alla fine di giugno Sandro Pertini ad un incontro pubblico dichiarerà che quel congresso non si sarebbe dovuto fare). Malgrado al presidente del Consiglio fossero giunte numerose richieste di spostamento le sue intenzioni sembravano essere quelle di voler ricercare uno scontro frontale. A Genova il 30 giugno durante una manifestazione di ex-partigiani, giovani e operai ci fu uno scontro tra la Celere, che aveva caricato la folla, ed i dimostranti che riuscirono ad avere la meglio. In successione, si ebbero scontri sempre più violenti a Roma a porta San Paolo e poi, dopo la disposizione dello stesso Tambroni che aveva autorizzato le forze dell’ordine a sparare sui dimostranti, si registrarono scontri a Reggio Emilia con cinque morti, a Catania e Licata con altri tre manifestanti morti[5]. Gli appelli alla calma giunsero da più parti politiche mentre Tambroni continuò a parlare di un ipotetico pericolo di un “complotto comunista” sino a che trovatosi solo senza possibilità di poter contare su nessun tipo di alleanza si dimise. Questa crisi interna giovò alla sinistra che seppe percepire queste spinte nuove che venivano da giovani e operai e andavano in direzione di una forte richiesta di cambiamento.

Tranfaglia ha fatto notare che il caso Tambroni fu un tentativo fallito di “destabilizzazione” inteso a generare un’esigenza di ritorno all’ordine, di qualsiasi ordine e a qualunque costo.[6] Ma questo momento difficile per la storia e l’esistenza della nostra democrazia spinse le forze di governo, ed in particolare la DC, ad un impegno più deciso nei confronti del Centro-Sinistra: “Come nel 1901 il gabinetto Zanardelli-Giolitti era nato in seguito allo sciopero generale di Genova, così il centro-sinistra nacque in seguito alle manifestazioni, anche violente, del popolo genovese contro il MSI, autorizzato proditoriamente da Tambroni a tenere il suo congresso nella città ligure…. e come nel 1901, le manifestazioni popolari furono decisive perché si incontrarono con una tendenza nel Parlamento favorevole ad aprire un nuovo corso politico orientato a sinistra”[7] (G. Carocci).

Il Centro-Sinistra, l’incontro storico tra cattolici e socialisti, nacque grazie al prevalere nella DC della corrente guidata dal giovane professore A. Moro che si era dimostrato intenzionato ad affrontare i problemi posti dallo sviluppo utilizzando la piena disponibilità offerta dal PSI.  Gli anni che vanno dal 1962 al 1968 furono connotati in modo sensibile da questo esperimento politico e rappresentarono una grande occasione per far seguire alla prima fase della trasformazione economico-sociale del paese, compiuta negli anni cinquanta, un ulteriore passo in avanti. In questi anni vennero consolidati da una parte i progressi raggiunti sul piano economico e di modernizzazione e dall’altra lo Stato stesso nelle sue strutture istituzionali e nella pubblica amministrazione[8]. In realtà, soltanto il governo Fanfani (che del PSI avrà l’appoggio esterno) dal 1962 al 1963 si dimostrò veramente intenzionato a mantenere fede ai programmi[9] e a realizzare alcuni importanti successi, mentre già nel 1963 il secondo governo di Centro-Sinistra, presieduto da Aldo Moro e definito “governo organico di centro-sinistra” (poiché prevedeva la partecipazione diretta dei socialisti), seguì un programma riformatore molto annacquato. Tra i principali e importanti successi che il governo Fanfani riuscì ad ottenere possono essere ricordati l’istituzione della scuola media unica, con l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 14 anni, la nazionalizzazione dell’energia elettrica e l’istituzione di una Commissione Parlamentare Anti-mafia[10]. Malgrado queste riforme che intaccarono alcuni degli aspetti più vecchi e consolidati della società italiana, il governo del Centro-Sinistra è stato definito come “il governo delle occasioni mancate” a causa della pochezza della sua politica, evidenziata dalle forti aspettative, dalle speranze e dagli ambiziosi programmi che lo avevano accompagnato. Come disse in seguito Franco Gaeta “la politica di centro-sinistra doveva essere la politica delle riforme ma le riforme furono per la maggior parte pensate, programmate, furono minacciate, furono tutto meno che realizzate”[11].

Le ragioni del fallimento del Centro-Sinistra risiedevano in gran parte nelle corpose resistenze e opposizioni alla sua politica che avevano accomunato settori ampi del corpo sociale e apparati dello Stato; tali resistenze nascevano da interessi consolidati di gruppi e ceti e al tempo stesso da culture e orizzonti mentali radicati[12]. Secondo Crainz, per capire l’efficacia e la lunga durata di queste resistenze bisogna richiamarsi alla natura e ai connotati del blocco sociale che si era consolidato attorno alla DC (ed ai collanti ideologici di quel blocco): solo in questo modo si possono capire il grande ritardo con cui l’esperienza riformatrice prese il via e l’immediato innesco di controtendenze che rapidamente portarono al suo svuotamento[13]. Inoltre, il Centro-Sinistra ebbe la “sfortuna”[14] di giungere in un momento di crisi economica per il paese e di questo venne incolpata la politica definita “avventuriera” del governo da parte degli ambienti più conservatori della società come la Confindustria. Le prime riforme, quali quella sulla nazionalizzazione dell’energia elettrica e “l’imposta cedolare” sui redditi dei titoli azionari, generarono nel paese timori e paure che portarono nell’ambiente finanziario ad una massiccia esportazione dei capitali all’estero. Tale comportamento andò ad acuire la crisi del ’63 giustificando così una politica di restrizione della produzione interna[15].

L’allarmismo che si diffuse tra i ceti medi e l’approssimarsi delle elezioni politiche previste per la primavera politica del 1963 spinsero la DC a ridimensionare gli obbiettivi ed ad operare dei “colpi di freno” nella politica riformatrice del Centro-Sinistra: l’istituzione delle Regioni, la riforma tributaria e la  riforma urbanistica.[16]

G. Tamburano ha definito l’“affossamento” della proposta di riforma urbanistica, del democristiano Fiorentino Sullo una delle pagine più tristi della storia del Centro-Sinistra: questa legge sarebbe andata a colpire interessi consolidati e speculativi che avevano potuto trarre ingenti profitti e dilagare nelle più grandi città della penisola con il boom delle costruzioni che si era manifestato negli anni del “Miracolo”[17].  La DC, nella paura di perder voti a favore dell’opposizione e nella foga di recuperane parte, in polemica con il PSI, giunse divisa alle elezioni che si svolsero il 28 aprile ’63. I risultati delle elezioni decretarono un buon aumento dei favori per il PCI[18] e per la prima volta un calo per la Democrazia Cristiana che scese sotto il 40% delle preferenze; anche al PSI l’essersi presentato solo all’appuntamento elettorale non portò fortuna. La DC ed il suo leader Moro credettero che la cosa migliore fosse quella di dare continuità al Centro-Sinistra ma la carica riformatrice nel nuovo governo era pressoché sparita, i colpi di freno e le frequenti opposizioni in seno al più grande partito del Pese avevano finito con lo svuotare dall’interno gli interventi del governo. Alcuni storici concordano nel ritenere che il Centro-Sinistra aveva smosso in Italia vecchi equilibri politici e sociali, aveva attuato, almeno parzialmente, la parte più innovatrice della Costituzione repubblicana, riguardante i diritti dei cittadini, riformato alcuni aspetti della vecchia arretratezza ma non era riuscito a realizzare le riforme fondamentali sulla struttura dello Stato, sul funzionamento dei servizi assistenziali, sulla giustizia fiscale e sul divario tra Nord e Sud[19]. Il fallimento dell’esperienza del Centro-Sinistra giunse, dopo il 1963, in concomitanza con un altro momento oscuro della storia della Repubblica che fu il tentativo di golpe, nel 1964, del generale dei Carabinieri De Lorenzo. Nicola Tranfaglia ha formulato un’ipotesi secondo la quale il centro-sinistra avrebbe messo in crisi, nei suoi primi anni di vita, un vecchio assetto di potere politico-militare-poliziesco ereditato immutato dal regime fascista e dalla guerra ed un’arretrata struttura economico-sociale, senza però avere avuto poi la forza di portarne a termine la distruzione sostituendovi un nuovo equilibrio di forze e poteri ma, nello stesso tempo, suscitando la paura e la volontà di reazione di apparati statali e parti del ceto politico di governo gravemente minacciati dal progetto riformatore[20]. Il “tentato golpe” del 1964 avrebbe quindi rappresentato un primo tentativo delle forze più conservatrici della politica italiana (che avevano appunto nel Generale De Lorenzo il proprio braccio armato) di “normalizzare” l’attività riformatrice del governo[21].

 pallanimred.gif (323 byte) torna all'indice generale

 

 

[1] N. Tranfaglia, L’Italia democratica. Profilo del primo cinquantennio 1943-1994, p. 34-35: tra gli obbiettivi di Fanfani  vi era anche la necessità di coresponsabilizzare il movimento operaio nella gestione riformista e  dividere la preoccupante opposizione di sinistra.

[2] N. Tranfaglia,   Dalla crisi del centrismo al “compromesso storico”; In  La trasformazione dell’Italia. Sviluppi e squilibri in  Storia dell’Italia repubblicana,  vol. II, Torino, Einaudi, 1995, pp. 8-50.

[3] J. LaPalombara e G. Pizio Ammassari,  L’intervento elettorale della Confindustria,  in  (a cura di) M. Dogan e O. Maria Petracca, Partiti politici e  strutture sociali in Italia, Milano, Edizioni Comunità, 1968, pp. 247- 275.

[4]G. Tamburano, Storia e critica del centro sinistra, Milano, Feltrinelli, 1971, pp. 50-60. Tambroni  decise inoltre di aumentare la sua popolarità adottando misure demagocihe come il ribasso del prezzo della benzina.

[5] N. Tranfaglia, Dalla crisi del centrismo al “compromesso storico”, cit. pp. 40-45.

[6] N. Tranfaglia, Dalla crisi del centrismo al “compromesso storico”, p. 46. Nenni giudicò questo evento come il tentativo di creare uno scontro  Stato-piazza  che generasse disordine e il conseguente mito dell’ordine da salvare.

[7] G. Carocci, Storia d’Italia dall’Unità ad oggi, Milano, Feltrinelli, 1975, p 353.

[8] N. Tranfaglia,   Dalla crisi del centrismo al “compromesso storico”, p. 50.

[9] G. Tamburano, Storia e critica del centro sinistra, Milano, Feltrinelli, 1971.

[10] G.Crainz, Storia del miracolo italiano,Culture, identità, trasformazioni fra anni cinquanta e sessanta. Inoltre, non possono essere dimenticate alcune misure che iniziarono ad eliminare sperequazioni e pregiudizi arcaici come ad esempio la possibilità data alle donne di poter accedere a tutte le professioni e impieghi pubblici, la legge contro la censura (la legislazione vigente era diventata il simbolo di una cultura che univa moralismo cattolico a discriminazioni ideologiche) che abolì quella teatrale e ridimensionò quella del cinema che pochi anni prima aveva colpito anche un film importante come “La dolce vita” di Fellini.

[11] Citazione presente in  N.Tranfaglia, L’Italia democratica. Profilo del primo cinquantennio 1943-1994, p. 38.

[12] Inoltre le pressioni giunte dagli Stati Uniti e dalla Chiesa avevano avuto un ruolo importante.

[13] G.Crainz, Storia del miracolo italiano, Culture, identità, trasformazioni fra anni cinquanta e sessanta, pp. 201-203.

[14] N. Tranfaglia, Dalla crisi del centrismo al “compromesso storico”, cit. p. 36.

Sempre secondo Tranfaglia, “l’anno che si era aperto con grande speranze di cambiamento suscitate dal primo governo Fanfani, raffreddate poi dall’elezione di Segni alla presidenza della Repubblica, che nell’estate aveva registrato la ripresa degli scioperi degli operai alla Fiat fino all’episodio di piazza Statuto… , si chiu(se) in un clima avvelenato di polemiche e incertezze all’interno della coalizione di centro sinistra che ora mai (era) costretta a prepararsi a un nuovo e difficile scontro elettorale”.

[15] A. Graziani, L’economia Italiana dal 1945 ad oggi, p. 85. Le esportazioni di valuta all’estero avvenivano nei  modi più vari ma secondo Graziani  le autorità competenti come la Banca d’Italia di Carli non vigilarono attentamente  sul sistema bancario comportandosi in modo eccessivamente permissivo nei confronti degli spostamenti di denaro all’estero.

[16] G. Crainz, Storia del miracolo italiano, Culture, identità, trasformazioni fra anni cinquanta e sessanta. Il “Miracolo” aveva reso l’evasione fiscale un problema enorme e insopportabile come ha notato S. Lanaro nel suo libro L’Italia nuova, Torino, Einaudi, 1988, ma la vicinanza delle elezioni spinse la parte conservatrice della DC a manifestare forti opposizioni tanto da ottenere che la temuta riforma venisse rimandata.

[17] G. Tamburano, Storia e critica del centro sinistra, Milano, Feltrinelli, 1971; in G. Crainz, Storia del miracolo italiano, Culture, identità, trasformazioni fra anni cinquanta e sessanta.

[18] Come ha notato G. F. Ciuarro, Movimenti migratori e scelte politiche, in  M. Dogan e O. Maria Petracca, Partiti politici e  strutture sociali in Italia, Milano, Edizioni Comunità, 1968, pp. 275-353 il  PCI ottenne il suo successo in tutto il Paese  ma in modo particolarmente consistente nei quartieri degli immigrati delle città industriali del Nord e tra gli operai immigrati in Europa. In generale, il successo del PCI era dovuto ai mutamenti delle classi sociali e alle trasformazioni degli anni del “boom”.

[19]N. Tranfaglia, L’Italia democratica. Profilo del primo cinquantennio 1943-1994, p. 39. Il Centro-Sinistra non solo non riuscì a correggere alcune sperequazioni tipiche della società ma in alcuni casi, come ha ricordato Crainz, a vecchie forme di degenerazione se ne sommavano di nuove come accadde per il PSI nenniano, ritenuto il più convinto assertore delle riforme, che iniziò con l’isolare le sue personalità più riformiste e forse utopiste come R. Lombardi, per poi cedere su alcune posizioni fondamentali del proprio programma riformatore al fine di conservare la posizione di potere. Quindi, l’ingresso del PSI nel governo non corresse ma accolse alcune storture del funzionamento delle istituzioni come per la nomina dei sottosegretari che sino ad allora  era stata connessa a pratiche clientelari e che il PSI accettò. Inoltre, il PSI non riuscì, come aveva programmato, a rinnovare i metodi di funzionamento degli enti pubblici e questo fu un suo grave limite che inficiò alla base ogni teoria di programmazione, così il permanere di questo limite ostacolò non solo le grosse trasformazioni ma anche le piccole.

[20] N. Tranfaglia, Dalla crisi del centrismo al “compromesso storico”, cit. p.90.

[21] Ivi. pp. 73-75.

 

 

 

 

 

 

   

home         la repubblica        

anpi

        

ricerca

        scrivici