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Campagna di Russia

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Il 22 giugno 1941 scattò l’operazione Barbarossa, l’attacco tedesco contro l’Urss. I vertici militari sottovalutarono l’Armata Rossa ed erano convinti di sconfiggerla in cinque settimane, prima del rigido inverno russo (che già era costato caro a Napoleone). I sovietici attuarono la tattica della terra bruciata, indietreggiando verso l’interno, mentre Stalin si appellava al nazionalismo russo per spingere la popolazione civile alla resistenza contro l’invasore e ad atti di sabotaggio nelle retrovie. Mussolini, che era stato tenuto all'oscuro dei piani hitleriani, si associava e inviava un corpo di spedizione di circa 60.000 uomini, il Csir - Corpo di spedizione italiano in Russia - poi Armir - armata italiana in Russia, composto dalle divisioni Pasubio, Torino e Celere, al comando del generale Giovanni Messe.

L'avanzata tedesca

L‘ invasione della Russia da parte di Hitler mutò radicalmente tutte le prospettive della guerra. Hitler, ma anche i suoi generali, si erano lasciati fuorviare dalla cattiva prova data dai russi contro i finlandesi. Ciò nonostante furono i russi ad esser colti di sorpresa e a subire inizialmente enormi perdite. Il fronte tedesco di combattimento correva lungo tutta la frontiera dal Baltico al Mar Nero. Il gruppo d’armate settentrionale, agli ordini di von Leeb, forte di 29 divisioni, di cui 3 corazzate e 3 motorizzate doveva avanzare dalla Prussia orientale su Leningrado. Il gruppo d’armate centrale, agli ordini di von Bock, composto di 50 divisioni, di cui 9 corazzate e 6 motorizzate, doveva dalla Polonia settentrionale puntare su Smolensk. Il gruppo d’armate meridionale di von Rundstedt, con 41 divisioni, di cui 5 corazzate e 3 motorizzate, doveva muovere dalla Polonia meridionale in direzione del basso Dneper. Altre 26 divisioni furono tenute a disposizione, o sarebbero state disponibili di là a poco, come riserva generale. Appoggiavano l’attacco più di 2700 apparecchi. Inoltre, nel nord, 12 divisioni finniche dovevano avanzare su Leningrado appoggiando l’attacco principale. Nel sud, 11 divisioni dell’esercito romeno dovevano rimanere sulla difensiva lungo il Prut, mentre altre 6 avrebbero partecipato all’avanzata del gruppo d’armate meridionale. In complesso, 164 divisioni si misero in marcia verso oriente. Gli invasori, secondo i migliori resoconti disponibili, si trovarono di fronte a 119 divisioni russe e ad almeno 5000 apparecchi. Altre 67 divisioni erano disponibili in Finlandia, nel Caucaso e nella Russia centrale.

Il contributo italiano

Nell'estate del '41, unito alla 11a armata tedesca, il Corpo di Spedizione Italiano, fu incaricato di forzare il fiume Dnestr in più punti, dove i tedeschi avevano scarsi rinforzi, e tentare di chiudere in una sacca, tra il Dnestr e il fiume Bug, alcuni contingenti sovietici. In agosto scoppiarono i primi veri e propri combattimenti che impegnarono in particolar modo la divisione Pasubio che dette ottima prova di sé, anche se il problema dell'impreparazione si manifestava in modo sempre più insistente. Il Csir dimostrò immediatamente di non essere all'altezza della situazione sia come qualità che come quantità di armamenti e mezzi trasporto: i carri armati erano inadeguati alle caratteristiche delle rotabili, l'artiglieria, come riferisce la Storia Ufficiale del Corpo di spedizione, era preda bellica austro-ungarica e i cannoni erano già veterani della guerra italo-turca e della prima guerra mondiale. A volte si arrivava a livelli paradossali. A causa dello scarsissimo numero di autocarri infatti, le divisioni erano costrette a fare a turno per utilizzarli, così che tra un reparto e l'altro si formavano centinaia di chilometri di distanza, provocando il fenomeno della dispersione delle truppe e rendendo i collegamenti tra le stesse estremamente difficoltosi. Nel primo mese, i tedeschi invasero e devastarono la Russia per una profondità di 500 chilometri. Smolensk fu occupata dopo aspri combattimenti, nel corso dei quali i russi avevano lanciato potenti contrattacchi. Fino a quando l'altrettanto impreparato esercito russo adottò la tattica della difesa ad oltranza, le vittorie si susseguirono con relativa facilità ed in poche settimane l'esercito tedesco insieme ai suoi alleati, attaccando sul Dnepr, obbligò alla resa la città di Kiev e fece seicentomila prigionieri.

I russi arretrano

Caduta Kiev, l'Alto comando sovietico decise per la strategia del ripiegamento di fronte all'avanzata nemica: da questo momento iniziò la lenta ma inesorabile disfatta dei due eserciti invasori, incalzati dagli assalti inaspettati della disperata resistenza dei siberiani, assediati dai terribili inverni russi e completamente disorientati di fronte alle aperte e sterminate pianure sovietiche. Altri paesi erano stati colti di sorpresa e completamente occupati dalla Germania. Solo l’immensa Russia aveva il supremo vantaggio della profondità; e questo vantaggio doveva ancora una volta costituire la sua salvezza. Si era ormai ad autunno inoltrato.

Mosca assediata

Il 2 ottobre, il gruppo di armate centrale di von Bock riprese ad avanzare su Mosca; le sue due armate puntarono direttamente sulla capitale da sud-ovest mentre un gruppo corazzato svolgeva una manovra di aggiramento a largo raggio contro i due fianchi del nemico. L'8 ottobre veniva occupata Orel, e una settimana dopo Kalinin sulla strada di Mosca-Leningrado. Con i fianchi così gravemente minacciati e sotto la potente pressione tedesca contro il centro del suo schieramento, il maresciallo Timosenko ritirò le sue truppe su di una linea a 65 chilometri ad occidente di Mosca, dove si attestò per riprendere i combattimenti. La situazione russa in questo momento era estremamente grave. Il Governo sovietico, il corpo diplomatico e tutte le industrie che potevano essere trasferite, abbandonarono la città per riparare a Kujbysev, oltre 800 chilometri più ad oriente. Il 19 ottobre Stalin proclamò lo stato d’assedio nella capitale ed emanò un ordine del giorno: «Mosca sarà difesa sino all’ultimo». I suoi ordini furono fedelmente obbediti. In autunno furono assegnati al Csir gli obiettivi del bacino industriale del Donetz e la zona di Rostov e alla fine di ottobre, dopo alcuni aspri combattimenti come quello di Nikitovka, le nostre truppe entrarono a Stalino.
Sebbene il gruppo corazzato di Guderian avanzasse da Orel sino a Tula, sebbene Mosca fosse ormai circondata da tre lati e ripetutamente bombardata dall’aria, la fine di ottobre registrò un netto irrigidimento della resistenza russa e un arresto evidente dell’avanzata tedesca. Il generale Messe, nel frattempo faceva continui rapporti a Roma sulla situazione disastrosa delle truppe che non avevano più viveri, mancavano di scarpe adeguate ed erano logorati completamente nel fisico e sosteneva che nessun'altra azione era possibile fintanto che non si fosse risolto il problema logistico. Ma la principale preoccupazione di Mussolini continuava ad essere il doveroso aiuto da offrire all'alleato e fremeva per spedire altri contingenti in Russia. All'inizio di dicembre il gelo insopportabile impose la sosta di tutte le truppe e i reparti tedeschi abbandonarono l'idea di conquistare Mosca entro la fine dell'anno.

La conquista della Crimea

Nel febbraio 1942 viene deciso l'invio al fronte russo di nuovi contingenti italiani. Hitler riteneva che la conquista di Mosca avrebbe comportato una grande perdita di tempo e impose di procedere sulle due ali del fronte, verso nord, per mettere fuori gioco Leningrado e a sud, per conquistare la Crimea ed occupare Stalingrado e il Caucaso fino al confine turco. In primavera e in estate riprende l'offensiva tedesca, concentrata sui territori sovietici sud-orientali. In maggio la Crimea era conquistata, eccetto Sebastopoli e l'esercito tedesco marciava, oltre il Don, verso il Volga, alla volta del Caucaso. I russi, che dal primo luglio avevano sostituito la strategia dello spazio aperto con quella della strenua difesa di ogni palmo di terreno, subivano continue sconfitte. Ma attingendo ad un serbatoio umano che sembrava inesauribile, riuscendo ad organizzare la produzione industriale e ricevendo aiuti americani, riuscivano incredibilmente a compensare lo spaventoso numero di perdite.

L'Italia manda altre truppe: nasce l'Armir

Il 2 giugno 1942 Messe, ricevuto a colloquio da Mussolini, aveva ribadito per l'ennesima volta i suoi cattivi presagi sulle sorti della guerra e aveva dichiarato espressamente che l'invio di altri contingenti poteva costare un alto prezzo all'Italia. "Caro Messe" - replicò Mussolini - "al tavolo della pace peseranno assai più i 200 mila dell'Armata che i 60 mila del Csir. Così il 9 luglio del 1942 arrivarono in Russia altre unità italiane: Cosseria, Ravenna e Sforzesca, la divisione d'occupazione Vicenza e tre divisioni del Corpo d'Armata Alpino, la Tridentina, la Julia e la Cuneense, che insieme alle prime presero il nome di ARMIR, la 8a Armata Italiana in Russia, al comando del generale Italo Gariboldi. In totale 229 mila uomini male attrezzati e quasi privi di mezzi. Inizialmente l'ARMIR fu inquadrata nella 17a armata tedesca e da essa riceveva gli ordini. Stanziata alla destra del Don, le fu assegnato il compito di lanciarsi alla conquista di Stalingrado, mentre altre divisioni tedesche sarebbero avanzate verso il Caucaso. I comandi tedeschi avevano l'ordine di non svelare tutti gli obiettivi e i piani militari agli alleati, mentre invece Berlino esigeva rapporti dettagliati sulla situazione degli italiani sul campo. Nonostante le vive lamentele di Gariboldi per la posizione di netta inferiorità in cui veniva tenuto dagli alleati, Roma eseguiva alla lettera le direttive del Führer e ripeteva di attenersi scrupolosamente agli ordini impartiti dall'esercito tedesco. La notte del 24 agosto 1942 avvenne il celebre assalto del Savoia Cavalleria nella steppa di Isbuscenskij. Alcune truppe sovietiche si erano portate pericolosamente vicine agli acquartieramenti del Savoia. Avvistate da un reparto in perlustrazione, fu dato l'allarme e il colonnello Bettoni, comandante del reggimento, ordinò al 2° squadrone di andare all'assalto. Seicentocinquanta cavalieri italiani si erano scontrati contro duemila siberiani, respingendoli, si seppe in seguito.

La Battaglia di Stalingrado

Nel settembre 1942 comincia la lunga battaglia di Stalingrado: i tedeschi stringono d'assedio la città, ma alla metà di novembre si trovano accerchiati dalla controffensiva sovietica. Lo schieramento italiano si estendeva lungo il Don per ben trecento chilometri; proseguiva, alla sua sinistra, una sottile linea ungherese lunga duecento chilometri e a destra un'armata romena, quindi c'erano armate tedesche fino a Stalingrado. L'incredibile lunghezza dello schieramento andava a scapito della sua robustezza: esso era infatti troppo sottile e totalmente sfornito di rincalzi.
Le truppe sovietiche invece, numerose e imponenti, erano tutte ammassate contro i punti deboli del fronte, cioè contro il settore rumeno e contro le divisioni Ravenna e Cosseria. Il 16 dicembre, dopo alcuni giorni di intensi bombardamenti di logoramento, i russi sferrarono l'attacco decisivo. Le due divisioni italiane di fanteria, con 47 carri armati, 132 pezzi d'artiglieria, 114 cannoni controcarro, resistettero per quattro giorni ai colpi di dieci divisioni di fanteria motorizzata e di due reggimenti corazzati forniti di 754 carri armati, 810 pezzi d'artiglieria, 300 cannoni controcarro e le terribili Katiuscie, razzi multipli piazzati su autocarri. Inoltre i MIG, i famosi caccia sovietici, attaccavano di continuo dall'alto ed in tutto effettuarono 4177 sortite a volo radente: di aerei italiani neanche l'ombra. Si aggiunga la disperata condizione fisica in cui versavano i singoli soldati italiani, che non avevano un equipaggiamento adatto a quel clima. Il secondo corpo d'Armata era completamente annientato e altre divisioni, arretrando precipitosamente, riuscirono a creare una linea di difesa alcuni chilometri più a sud. Gli obiettivi dei sovietici erano la città di Karkov, il bacino industriale del Donetz e l'accerchiamento da nord dei tedeschi sul Don che supportavano la 6a armata che assediava Stalingrado.

La ritirata dalla Russia

Già il 18 dicembre, in un incontro al vertice in Germania, Ciano prospetta l'eventualità di un armistizio con l'Urss, ma Hitler rifiuta. Il 19 dicembre del '43, nella valle del Don, viene dato alle truppe italiane l'ordine di ripiegamento: inizia la drammatica ritirata dell'Armir. A metà gennaio avvenne sul Don lo sfondamento definitivo e anche il corpo d'armata alpino e la divisione Vicenza, ultimi baluardi italiani ancora praticamente intatti, si sfasciarono. Ma dovettero aspettare a lungo fermi nelle loro posizioni perché l'ordine di ripiegamento, che doveva provenire direttamente dagli alti comandi tedeschi, tardava. Il 26 gennaio, in piena ritirata, a Nikolajewka ci fu una sanguinosa battaglia per lo sfondamento dell'ultimo sbarramento sovietico: morirono dai quattro ai seimila soldati. Il ruolo maggiore lo svolse la Tridentina con non pochi aiuti da parte della Julia, Cuneense e Vicenza. Riuscì a penetrare attraverso le difese russe, dopodiché, fino alla metà di marzo, momento della partenza per l'Italia, fu un'unica tirata verso la libertà.

Perdite dell'Armir

Di 229.000 soldati italiani inviati in Russia, 29.690 furono rimpatriati perché feriti o congelati. Dei rimanenti, i superstiti furono solo 114.485. Mancarono all'appello 84.830 uomini di cui 10.030 furono restituiti dall'Urss. Il totale delle perdite ammontò a 74.800 uomini. Molti di loro, in base ai documenti scoperti di recente negli archivi del Pcus, morirono di stenti nei campi di prigionia russi.

 

pallanimred.gif (323 byte) Quando i tedeschi giunsero alle porte di Mosca (di Fabrizio Dragosei, Corriere della Sera 25 settembre 2001)

Documenti

pallanimred.gif (323 byte) Campagna di Russia: Relazione del generale Gariboldi, comandante dell'Armir, sul comportamento dei tedeschi e brano del diario di Galeazzo Ciano

pallanimred.gif (323 byte) Foto della Campagna in Russia del fotocineoperatore dell'Armir Giampiero Broncoli

 

Approfondimenti

pallanimred.gif (323 byte) Dalla Russia con orrore Saggio di Paola Mocchi (cronologia.it)

pallanimred.gif (323 byte) La Battaglia di Stalingrado (dal sito dell'Anpi nazionale)

pallanimred.gif (323 byte) La ritirata di Russia 1942-1943 Documenti e immagini

pallanimred.gif (323 byte) La Resistenza in Russia

pallanimred.gif (323 byte) Il XXVI battaglione carabinieri durante la campagna di Russia 1942-43

pallanimred.gif (323 byte) La storia del reduce Giovanni Riba a cura di Giovanna Giannini

 

Testimonianze

pallanimred.gif (323 byte) La guerra degli ignoranti La campagna di Russia raccontata da Nuto Revelli (ilmanifesto.it)

pallanimred.gif (323 byte) Luigi Scarpel, Un fante sul Don Un libro di memorie sulla campagna di Russia, scritto da un ex combattente

pallanimred.gif (323 byte) Ugo Magnani, La campagna di Russia 1942-1943 La testimonianza di un protagonista

 

Il dopoguerra

pallanimred.gif (323 byte) Tornano mille dell’Armir. Il segreto dei nomi nascosti nelle bottiglie (di Fabrizio Dragosei, Corriere della Sera 25 ottobre 2001)

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