| Prigioniere già del burqa, una veste nera che le copre
            completamente, e vittime di unoppressione perpetrata in nome di una fede, le donne
            afgane, dal 1996 hanno perso la dignità di essere umani. Con lavvento al potere dei
            talebani, gli integralisti islamici che proteggono Osama Bin Laden, il Paese ripiomba in una condizione che
            ricorda gli anni bui del medioevo. Le donne, private di tutti i diritti civili e di ogni
            forma di libertà, non possono più frequentare le scuole, né le università. Il maschio
            diventa lunica loro fonte di sostentamento. Le vedove sono costrette a mendicare.
            Aumentano prostituzione e suicidi femminili. Molte donne ingeriscono soda caustica che
            corrode la gola e causa unagonia di tre giorni. Alcune fingono di essere malate di
            cuore in modo da avere dosi letali di Digoxin per suicidarsi in maniera meno dolorosa.
            Altre si gettano dai tetti degli edifici. Secondo linterpretazione che i talebani
            danno della legge islamica, alle donne non è concesso camminare per strada, se non
            accompagnate da un uomo, che sia il marito o un altro parente. Le donne, che un tempo
            rappresentavano il 70% degli insegnanti e il 40% del personale medico, ora non possono
            più lavorare. La casa diventa il luogo della loro prigionia. Private anche delle cure
            mediche, gli uomini hanno potere di vita e di morte sulle donne loro parenti, specialmente
            sulle loro mogli, ma, anche un gruppo di persone ha tutto il diritto di lapidare o
            picchiare una donna, spesso a morte, se osa far fuoriuscire dal burqa un centimetro di
            pelle. 
 Ripubblichiamo un'intervista a tre voci, oggi
            densa di funesti presagi, che raccolsi nello scorso febbraio, incontrando tre donne
            afghane, esuli in altri Paesi. Le loro denunce avrebbero dovuto metterci sull'avviso...
 I giornali italiani sembrano essersi accorti solo in questi giorni della tragica vicenda
            dellAfghanistan.
 Per una sorta di cinico paradosso, ci sono situazioni che pur permanendo terribili,
            disumane, ciclicamente, a distanza persino di anni, ricompaiono sulle pagine dei
            quotidiani a richiamare lattenzione di distratti e benestanti lettori sulla fame, i
            patimenti, la tortura, la morte che sono la regola in certe parti del mondo. Una regola di
            tutti i giorni. Ma i nostri pensieri si soffermano su questi fatti terribili giusto
            qualche minuto.
 
 Quattro anni fa le donne di Kabul, velate ipso iure, discriminate, annullate,
            segregate  come disse Giovanni Paolo II  furono al centro
            dellattenzione dellopinione pubblica italiana (e, più allacqua di rose,
            mondiale) perché quel trapano umano che è Emma Bonino sinventò la campagna
            europea Un fiore per le donne di Kabul, di cui fu capofila in Italia la
            Commissione Nazionale per le Pari Opportunità.
 La situazione non cambiò di molto, le Nazioni Unite cercarono di fare pressioni,
            si raccolsero firme, ci si indignò. E le donne di Kabul continuarono a rimanere
            segregate, discriminate, torturate, con le dita mozzate perché avevano osato smaltarsi le
            unghie.
 
 Ora torna alla ribalta lAfghanistan: guerra e carestia stanno falcidiando la sua
            gente.
 Giulietto Chiesa sulla Stampa parla di bambini senza sorriso che
            muoiono come mosche nei campi profughi, vittime di un regime fondato sul terrore; fame e
            freddo condannano a morte un milione di persone: la fuga dalla guerra e dalla carestia si
            ferma nei campi profughi in territorio afghano o prosegue, per i più fortunati, al di là
            delle frontiere di Pakistan ed Iran. Una tragedia senza fine.
 I-am.it ha incontrato alcune donne afghane. Sono profughe ma da tanti anni; ora
            sono inserite nelle società dei Paesi che le hanno accolte, come Germania e Stati Uniti.
 A Roma sono venute insieme ad una trentina di uomini per un incontro con lex
            re Zaher Shah, anziano ed in esilio in Italia dal 73.
 Il sovrano vuole trovare una soluzione di riappacificazione nazionale, non
            imperniata sul suo ritorno al potere, bensì sullautodeterminazione popolare
            rispetto alla scelta della propria forma di governo.
 
 Le nostre interlocutrici naturalmente non si sono recate negli ultimi tempi in
            Afghanistan; per loro sono sbarrate le frontiere. Ma hanno notizie di prima mano, perché
            fanno parte attiva di questo movimento di rinascita politica, presente allestero.
 
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