Biografie della Resistenza Italiana          

A B C D E F GI J K L M N O P Q R S T U V Z

 

   

pallanimred.gif (323 byte) Randolfo Pacciardi

Nasce nel 1899 a Giuncarico, vicino a Grosseto. Fin da ragazzo, da vero mazziniano quale era, si distinse per la fede democratica e repubblicana. Animato da questi sentimenti, a sedici anni, falsifica i suoi documenti e combatte, come volontario nella prima guerra mondiale; questo conflitto, nelle speranze di molti democratici, avrebbe dovuto essere l'ultima lotta del Risorgimento. Sul campo, conquista varie decorazioni, e tuttavia, a motivo delle sue idee politiche, non ottiene la medaglia d'oro. Finita la guerra, "l'insulso avvocatino di Grosseto", come lo definisce Mussolini, fonda, insieme a Raffaele Rossetti, "Italia Libera" il movimento degli ex-combattenti antifascisti. Fino al '22 si impegnò nella lotta su due fronti, al fascismo ed al socialismo massimalista, in favore della Repubblica Democratica; ma dopo la marcia su Roma, la lotta al fascismo divenne prioritaria. Con i suoi compagni sfilerà anche sotto il balcone di Mussolini; dopo questo atto di coraggio fu invitato ad un incontro con Gramsci; la proposta del leader comunista era di unire le forze antifasciste. Poco dopo Gramsci fu arrestato e Pacciardi venne espulso dall'Italia ('26), così il progetto cadde e non fu più ripreso. Aderì, come indicava il partito repubblicano, a "Giustizia e Libertà". Da allora rimase sempre un convinto fautore del fronte comune antifascista. Durante il suo esilio si adoperò per "esportare" l'antifascismo nell'opinione pubblica estera e per dimostrare agli italiani che gli antifascisti continuavano ad esistere e a combattere, nonostante la stampa fascistizzata li considerasse ormai completamente annientati. Fu lui, ad esempio, a scrivere i manifesti antifascisti lanciati da Bassanesi su Milano. Allo scoppio della guerra di Spagna ('36), fu tra i primi militanti antifascisti a recarsi a combattere contro Franco. Quando si formarono le brigate internazionali, Pacciardi, grazie alla sua grande abilità militare, divenne il comandante del battaglione Garibaldi, alla cui guida, nel marzo del '37, sconfisse le truppe fasciste a Guadalajara. Fu la prima sconfitta del fascismo. 
In Spagna conobbe e strinse amicizia con Hemingway e Malraux, oltre che con molti giornalisti. Il personaggio Pacciardi, grazie agli scritti di questi giornalisti e scrittori, fece il giro del mondo; fioriscono gli aneddoti su quel periodo, e non tutti di natura militare: pare, ad esempio, che il film Casablanca sia stato ispirato a Curtiz proprio dal "Leone di Guadalajara", come venne soprannominato. Il suo impegno sul fronte spagnolo si interruppe quando Stalin ordinò la repressione degli anarchici e dei comunisti dissidenti del POUM. Pacciardi si oppose a questa decisione e dovette abbandonare le brigate internazionali e, di conseguenza, la lotta in Spagna. Non si esaurì, tuttavia, la sua azione di antifascista. In Francia ('38/'39) fu il direttore di un settimanale, "Giovane Europa", di ispirazione mazziniana, che propugnava la lotta antifascista ed antinazista unitamente ad un forte europeismo. Nel '41 giunse negli Stati Uniti, dopo un viaggio avventuroso, iniziato a Casablanca, a bordo del piroscafo Serpa Pinto. Qui propose la formazione di una legione di volontari italiani da impiegare poi sul fronte tedesco contro Hitler -ma non contro gli italiani di Mussolini- a fianco degli U.S.A. Il progetto fallì -nonostante adesioni importanti, tra cui Sforza, Sturzo, Salvemini, Toscanini e, in generale, tutta la Mazzini Society- per l'opposizione del governo statunitense. Dopo lo sbarco in Sicilia, non accettò alcun compromesso con Badoglio e con la Monarchia; per la sua intransigenza fu osteggiato da Churchill, e non poté rientrare in Italia. Terminata la guerra Pacciardi, finalmente in patria, divenne dirigente del partito repubblicano e dal '48 al '53 ricoprì la carica di segretario politico; fu eletto alla costituente e più volte in parlamento. Fu nominato vicepresidente del consiglio ('47/'48) e ministro della difesa (dal '48 al '53), con De Gasperi.  In quegli anni si vennero radicalizzando le sue posizioni anticomuniste e atlantiste; risalgono a quel periodo le prime polemiche con i socialisti, i comunisti e persino con alcuni esponenti del suo stesso partito: non venivano tollerati i suoi metodi autoritari, generalmente a danno di scioperanti o manifestanti. In seguito ('60/'64), si oppose fortemente alla formazione dei governi di centrosinistra. All'interno del suo stesso partito si delineò così un violento contrasto con Ugo La Malfa, che del centrosinistra fu tra i più convinti fautori. Lo scontro giunse al suo massimo nel '61 quando Pacciardi malmenò La Malfa. Con la vittoria della formula di centrosinistra Pacciardi venne, di fatto, cancellato dal panorama politico italiano. Tutta la classe dirigente italiana era ormai su posizioni lontanissime dalle sue. Nel '63 fu espulso dal P.R.I. Da allora, le sue lotte non furono mai condivise dai partiti di governo e il rapporto coi repubblicani, nel periodo successivo, venne ulteriormente deteriorandosi. Pacciardi ('64), ormai su posizioni apertamente di destra, chiese al capo dello stato di sciogliere le camere e di nominare un governo di salute nazionale, per scongiurare una supposta minaccia comunista. Questo governo sarebbe dovuto essere composto da militari e tecnici. Dopo questa proposta, discutibilissima e certamente ai limiti della Costituzione, lo strappo con gli organi di potere divenne insanabile e la sua esclusione dal mondo politico fu pressochè totale. 
Nello stesso anno, aveva fondato un movimento, denominato "Unione popolare Democratica per una Nuova Repubblica", che si proponeva di modificare l'ordinamento istituzionale italiano in favore di una repubblica presidenziale -proposta che portava avanti coerentemente fin dal '22- secondo l'insegnamento mazziniano e l'esempio americano; il nuovo movimento era nettamente orientato a destra, e nelle sue fila si inserirono parecchi neofascisti. La sua idea politica era quella di rendere il governo più indipendente dal parlamento, guardando anche al modello presidenziale applicato da De Gaulle in Francia, e, per conseguenza, di limitare i poteri del parlamento stesso, ossia delle segreterie dei partiti e delle clientele. E inoltre sosteneva che nelle repubbliche presidenziali "la sovranità popolare è effettiva, non è finzione, come nella nostra repubblica", infatti, tutte le cariche istituzionali più importanti, eccetto quelle giudiziarie, vengono elette direttamente dal popolo. Le sue critiche alla Costituzione, che pure aveva contribuito a scrivere, si fecero sempre più ampie: oggetto dei suoi attacchi, quindi, fu il numero esagerato di parlamentari, come pure eccessiva gli appariva la maggioranza del 75% necessaria per modificare la Costituzione. Le sue proposte, assai radicali e formulate quando, forse, non erano ancora maturi i tempi, gli provocarono una sostanziale esclusione dalla vita politica. Fu anche accusato di aver cospirato contro la repubblica per eliminare i comunisti, e, in particolare, di aver partecipato al tentativo di colpo di stato ideato da Edgardo Sogno ('74). Secondo il progetto di Sogno, Pacciardi sarebbe diventato il futuro presidente forte della Repubblica "riformata".
Molto tempo dopo fu riaccolto nel partito repubblicano, che aveva ormai fatto proprie molte delle battaglie di Pacciardi, a partire dal presidenzialismo. A novantadue anni, nel '91, è morto a Roma.

(sintesi della biografia a cura di Martino Bianchi)

 

pallanimred.gif (323 byte) Giuliano Paietta

Nato a Torino nel 1915. Aderì nel 1930 alla gioventù comunista. Espatriò nel 1932 in Francia dove frequentò una scuola di partito. Partecipò alla guerra civile spagnola quale collaboratore di Luigi Longo al comando delle Brigate internazionali. Membro del comando generale delle brigate "Garibaldi", nel novembre 1943, venne arrestato nel 1944 e deportato a Mauthausen. Nel dopoguerra divenne segretario della federazione comunista di Como e deputato alla Costituente. Componente della Camera dei deputati dal 1953 al 1958. E' poi stato senatore e membro del Comitato centrale del PCI.

 

pallanimred.gif (323 byte) Giancarlo Pajetta

Nato a Torino il 24 giugno del 1911 da Carlo, avvocato, e da Elvira Berrini, maestra elementare. Dirigente e parlamentare comunista. Un suo libro autobiografico è intitolato "Il ragazzo rosso". Proprio da ragazzo, aveva cominciato l’attività politica che gli valse, a 14 anni, mentre frequentava il Liceo-ginnasio Massimo D’Azeglio di Torino, l’espulsione "da tutte le scuole del Regno" per tre anni. Era il febbraio del 1927. Come non bastasse, Giancarlo Pajetta venne arrestato e rinchiuso, quando non aveva ancora 17 anni, nella sezione minorile delle carceri giudiziarie di Torino. Il 25 settembre del 1928, il Tribunale Speciale lo condanna a due anni di reclusione, che sconta nelle carceri di Torino, Roma e Forlì.
Nel 1931 l’espatrio clandestino in Francia, dove il "ragazzo rosso" assume lo pseudonimo di "Nullo", diventa segretario della Federazione giovanile comunista, direttore di "Avanguardia" e rappresentante italiano nell’organizzazione comunista internazionale. In quel periodo Giancarlo Pajetta compie numerose missioni clandestine in Italia, fino a quando, il 17 febbraio del 1933, viene arrestato a Parma. Un anno dopo il Tribunale Speciale fascista lo condanna a 21 anni di reclusione; Pajetta ne sconterà 11 nei carceri di Civitavecchia e di Sulmona e verrà scarcerato il 23 agosto del 1943, dopo la caduta del fascismo.
Poi venne l’8 settembre e la guerra partigiana (nella quale cadde suo fratello Gaspare), che vede "Nullo" Capo di Stato Maggiore (ma di fatto vice comandante generale) delle Brigate Garibaldi e membro del Comando generale del Corpo volontari della libertà. È in questa veste che, tra il novembre e il dicembre del 1944, Pajetta è a Roma, come membro del CLNAI, per trattare con gli Alleati e con il governo Bonomi l’accordo politico-militare che porta al riconoscimento delle formazioni partigiane come formazioni regolari e all’attribuzione delle funzioni di governo al Comitato di Liberazione dell’Alta Italia.
Dopo la Liberazione Pajetta diventa direttore dell’edizione milanese dell’"Unità" e membro della Direzione del Pci. Nel 1945 viene eletto alla Consulta (non era potuto diventare senatore perché troppo giovane), poi, nel 1946, all’Assemblea costituente, nel 1948 alla Camera dei deputati (dove è stato riconfermato ben dodici volte). Dal 1984 è stato anche parlamentare europeo. Il giorno prima di morire d’infarto aveva rilasciato al Messaggero un’intervista nella quale, con riferimento alla "svolta della Bolognina" che avrebbe portato allo scioglimento del PCI, , dichiarava di stare vivendo i giorni più brutti della sua vita. Morto a Roma il 13 settembre del 1990.

 

pallanimred.gif (323 byte) Arrigo Paladini

Sottotenente di artiglieria. Nato a Roma il 10 aprile 1921 da Eugenio e da Elsa Czech. Frequentò il liceo classico romano Umberto I, dove fu allievo del professore antifascista Pilo Albertelli. Allo scoppio della guerra fu chiamato alle armi, nel 5° Reggimento artiglieria "Superga" di Torino. Nel '41 partì volontario per la Russia con il corpo di spedizione del Csir. In seguito al congelamento di un piede, nel '42 fu rimpatriato in Italia. Lo stesso anno frequentò il corso per allievi ufficiali a Sabaudia. Nominato sottotenente, fu destinato a Padova. L’8 settembre del ‘43 fuggì dalla caserma di Padova, occupata dai tedeschi, e si unì alle prime bande partigiane in Abruzzo, con il nome di battaglia di "Eugenio". Da lì decise di passare le linee nemiche e si presentò al Comando Alleato, che lo impiegò come ufficiale del Sim, il servizio segreto militare italiano, presso l'Oss americano (la futura Cia). Gli fu affidato il collegamento con le forze partigiane dell’Italia centrale. Il 4 dicembre sbarcò con il sommergibile Axum a Pesaro e si recò a Roma con le radio clandestine, assieme a una seconda missione guidata da Enrico Sorrentino. Dopo la fucilazione di Maurizio Giglio divenne il responsabile delle trasmissioni radio con il governo del Sud e il comando Alleato, in contatto con la spia americana Peter Tompkins. Arrestato il 4 maggio insieme a Sorrentino, in seguito a delazione, fu rinchiuso nel carcere di via Tasso, nella cella n. 2. Qui fu torturato a sangue. Per farlo parlare, i nazisti minacciarono di uccidere il padre e poi gli comunicarono l’avvenuta esecuzione (in realtà il padre era morto da alcuni mesi in campo di concentramento). Minacciarono anche di arrestare la madre e la fidanzata. Ma lui non cedette. Condannato a morte, la notte tra il 3 e il 4 giugno si salvò insieme a trenta compagni, mentre i tedeschi in fuga lo stavano conducendo al luogo della fucilazione. Fu provvidenziale un guasto al camion, che ritardò la partenza quel tanto che bastò per l’arrivo degli anglo-americani. Laureato in lettere, nel 1985 divenne il direttore e il principale animatore del Museo Storico della Liberazione Nazionale che sorge proprio nello stabile di via Tasso dov’era stato rinchiuso. Morì a Roma il 24 luglio del ‘91.

 

pallanimred.gif (323 byte) Giovanni Palatucci

Nato a Montella (Avellino) il 31 maggio del 1909. Avvocato, funzionario di Pubblica sicurezza. Il padre lo avrebbe voluto avvocato in Irpinia, ma lui, dopo il Liceo a Benevento, era partito, era il 1930, per il servizio militare in Piemonte. Di stanza a Moncalieri, aveva sì completato gli studi di Giurisprudenza a Torino, laureandosi a 23 anni con una tesi in Diritto penale, ed aveva anche superato gli esami per procuratore legale, ma l’avvocatura non lo entusiasmava. Nel 1936 era a Genova, come vice commissario aggiunto di PS. Ci rimase poco. Non era, infatti, per nulla incline al conformismo, così ai primi del 1938 venne "esiliato" alla Questura di Fiume. Qui divenne commissario e poi questore reggente, con la responsabilità dell’Ufficio stranieri. Grazie a questo ruolo, con le leggi razziali in vigore, svolse con gran rischio personale un’intelligente attività a favore di ebrei italiani e stranieri. È stato calcolato che, distruggendo archivi e procurando documenti falsi, abbia, nel giro di sei anni, salvato dalla deportazione (anche con la collaborazione di uno zio, vescovo della Diocesi di Campagna) almeno cinquemila persone. Palatucci continuò la sua generosa attività anche durante l’occupazione nazista di Fiume. Ad un certo momento il CLN fiumano, nel quale Palatucci era entrato con il nome di dott. Danieli, fu informato che i nazifascisti avevano cominciato a sospettare della sua attività; a Palatucci fu consigliato di mettersi in salvo, ma lui rifiutò: una sua fuga, disse, avrebbe messo in difficoltà i sottoposti che lo avevano aiutato. Arrestato nella sua casa, il 13 settembre del 1944, dalla polizia di sicurezza germanica, il questore di Fiume – che non aveva fatto nomi nonostante le torture - fu condannato a morte per "cospirazione e intelligenza con il nemico". La pena fu poi commutata nella deportazione e, quaranta giorni dopo l’arresto, Giovanni Palatucci entrava nel campo di Dachau con il numero di matricola 117826. Vi sarebbe morto, in seguito agli stenti e alle sevizie patite, due mesi prima della liberazione del campo, il 10 febbraio del 1945. Per lungo tempo in Italia, fuori della ristretta cerchia degli specialisti e dei compaesani, il nome di Giovanni Palatucci è stato quello di uno sconosciuto, anche se già dal 1952 in Israele gli avevano attribuito il titolo di "Giusto tra le nazioni". E’ stato merito di Goffredo Raimo, con il suo libro "A Dachau, per amore", del 1989, se il nome di Palatucci è tornato nella memoria storica del nostro Paese, tanto che nel 1995, in occasione della festa della Polizia, l’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, conferì a Palatucci la Medaglia d’Oro al merito civile alla memoria.

(dal sito dell'Anpi nazionale)

 

pallanimred.gif (323 byte) Filippo Palieri

Il Commissario Filippo Palieri, medaglia d’oro al merito civile, è nato a Cerignola il 22 maggio 1911 ed è morto il 13 aprile nel Lager di Wietzendorf, a seguito dei patimenti inflitti ai deportati che rifiutavano l’adesione alla RSI. Si era laureato a Roma in Giurisprudenza a 22 anni ed aveva sposato la poetessa e scrittrice Giuliana Annesi.

Filippo Palieri, responsabile della Questura di Rieti nella sua qualità di Capo Gabinetto del Questore, (quest’ultimo assente per malattia), aveva salvato centinaia di artigiani reatini dalla deportazione in Germania, ove sarebbero stati destinati al lavoro obbligatorio.

Il funzionario disse il suo ultimo “NO” alla categorica ingiunzione di aderire alla Repubblica di Salò il 19 marzo 1945, solo 27 giorni prima di morire di sofferenze e di stenti. Dopo il suo rifiuto di  aderire al nazifascismo (espulso dall’infermeria del Campo di Wietzendorf con diciassette giorni di anticipo sulla prognosi) disse al suo collega e compagno di prigionia Salvatore Poti “confermo il “no”, ma non rivedrò più la mia famiglia”.  

Le indicibili persecuzioni cui erano sottoposti i prigionieri si spiegano con l’ordine di Hitler di eliminare tutti i superstiti che non avessero aderito al nazifascismo. Morirono così 26.000 (ventiseimila) internati civili cui non fu riconosciuta la condizione di prigionieri di guerra per consentire alle SS di eludere il rispetto della Convenzione di Ginevra.

Quando la disfatta apparve certa un primo contingente di internati partì per il “Campo della morte” ove poi il Cappellano militare Don Luigi Pasa si recò a visitare le tombe. I sopravvissuti di Wietzendorf (molti morirono dopo poco tempo od ebbero un’esistenza grama) ebbero salva la vita solo perché le truppe alleate decisero di accelerare l’offensiva per tagliare la strada ai russi.

Filippo Palieri, deceduto prima di compiere trentaquattro anni, non rivide più sua moglie, i tre figli e gli amati genitori, da quando, a 32 anni, era stato deportato.

Rieti ha intitolato a Filippo Palieri la locale sezione ANPS (Associazione Nazionale Polizia di Stato), il Salone di rappresentanza della Questura ed una strada cittadina. Il nome del funzionario è pure ricordato in Allumiere da un cippo al Santuario Diocesano della Madonna delle Grazie e da un Largo a lui intitolato. Una cerimonia con la presentazione dei libri “Oltre il Lager” ed “Eredità d’affetti”, dedicati a Filippo Palieri dai suoi figli, si svolgerà a Cerignola il prossimo 22 maggio nell’anniversario della nascita. La vicenda del Commissario “un eroe cristiano nell’inferno di Wietzendorf”  è stata ricordata da vari organi di stampa fra i quali l’ANSA, L’AGI, l’ADN kronos, l’ASCA,. “Il Messaggero”, “Avvenire” “Famiglia cristiana”, “poliziamoderna”, Civonline e il Cescat (www.cescat.it).

 

pallanimred.gif (323 byte) Norma Parenti

 

pallanimred.gif (323 byte) Ferruccio Parri

Nato a Pinerolo (TO) nel 1890, professore di lettere, giornalista. Durante il conflitto 1915-18 è ferito quattro volte al fronte; merita due promozioni sul campo e tre decorazioni; è associato all. ufficio operativo del comando supremo dell'esercito. Insegnante al Liceo Parini di Milano, redattore del "Corriere della sera". Nel '26 con Carlo Rosselli organizza l'espatrio clandestino del leader socialista Filippo Turati. Più volte arrestato e confinato a Ustica e Lipari, rifiuta la domanda di grazia. Nel 1930 è nuovamente assegnato al confino per 5 anni unitamente ad altri esponenti del movimento antifascista Giustizia e Libertà. Promotore del Partito d'Azione (PdA), suo rappresentante nel Comitato militare del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (CLNAI), poi Vice comandante del corpo volontari della libertà (CVL). Arrestato casualmente a Milano e affidato ai tedeschi viene trasportato in Svizzera nel quadro di uno scambio concordato di prigionieri con ufficiali germanici nelle mani dei partigiani. Partecipa attivamente alla fase conclusiva della Resistenza e all'insurrezione di Milano. Nel 1945 presidente del Consiglio dei ministri a Roma; successivamente eletto senatore, poi nominato senatore a vita. Presidente della Federazione italiana associazioni partigiane (FIAP), autore di importanti saggi sulla storia della Resistenza.

(dal sito dell'Anpi nazionale)

 

pallanimred.gif (323 byte) Ondina Peteani

Nata a Trieste il 26 aprile del 1925. Prima staffetta partigiana d'Italia. Entrò diciottenne nel Movimento di liberazione, diventando staffetta partigiana fra le bande del monfalconese e di Trieste. Arrestata due volte, la Peteani riuscì a eludere la sorveglianza con rocambolesche fughe, ma fu ripresa l’11 febbraio 1944 a Vermegliano (Ronchi dei Legionari), e segregata nel Comando delle SS di piazza Oberdan (Trieste), da dove venne poi trasferita al carcere del Coroneo, e quindi deportata  a mezzo carro bestiame, dapprima ad Auschwitz (numero di matricola 81672), a fine marzo e, successivamente, nel campo di Rawensbruck. Del lager Ondina conobbe tutti gli orrori.  Il pensiero rivolto alla famiglia - anche l'ingenua constatazione che la luna che scorgeva dalla soglia della sua baracca «è la stessa che vedono a casa mia», la tormentava  - l'aiutò a sopravvivere. La forte fibra, la sua giovinezza, la salvarono dalla camera a gas.L'ottobre dello stesso anno fu trasferita in una fabbrica di produzione bellica ad Eberswalde, presso Berlino, dove attuò un insospettabile programma di sabotaggio,  rallentando sensibilmente il ciclo produttivo, grazie a continui e ripetuti, pignoli, controlli, con la scusa della verifica dei torni e delle parti prodotte.  A metà aprile 1945, nel corso di una marcia forzata di cinque giorni che doveva riportarla a Rawensbruck, riuscì a fuggire dalla colonna di prigionieri, rientrando in Italia in luglio. Nel dopoguerra la Peteani esercitò la professione di ostetrica, continuando a militare nel Pci. Poi, nel 1962, insieme al suo compagno Gian Luigi Brusadin, diede vita alla prima agenzia libraria degli Editori riuniti per il Triveneto, che ben presto, nella sua prima sede di Viale XX Settembre, divenne centro d’incontro di intellettuali, artisti e attori. In seguito costituì il centro di aggregazione per i giovanissimi della sinistra denominato «Circolo Ho Chi Min» e gestì diverse colonie estive ed invernali in Italia e all' estero. 
Morì il 3 gennaio del 2003, all'età di 77 anni.

per approfondire: http://www.geocities.com/ondinapeteani/Ondina-Peteani.html

 

pallanimred.gif (323 byte) Raffaele Persichetti

Tenente dei granatieri, di 28 anni. Nato a Roma il 12 maggio 1915 da Giulio, famoso chirurgo, e da Amalia Alliata. Frequentò il ginnasio all’istituto Visconti e il liceo al S. Apollinare. Ottenne la licenza liceale da privatista, nel '33, al liceo Mamiani. Dopo la laurea in Lettere nel '37, seguì il corso allievi ufficiali di complemento e diventò ufficiale del I reggimento dei Granatieri di Sardegna, partecipando all'addestramento delle reclute. Dal ‘39 insegnò storia dell'arte all'istituto "De Merode" e al liceo Visconti di Roma, dove rimase fino al '43. Nella primavera del '40 un gruppo di fascisti irruppe nell'istituto per costringere docenti e studenti a una dimostrazione in favore della guerra. Persichetti si oppose al sopruso con la forza, difendendo uno dei colleghi, il sacerdote Giorgi. Uno degli squadristi lo colpì al capo con un bastone, provocandogli una seria ferita. Chiamato alle armi, fu inviato prima sul Fronte Occidentale, poi nel ‘41 partecipò alla spedizione in Grecia, combattendo sulla frontiera con l'Albania come tenente di complemento dei Granatieri di Sardegna. Rimasto invalido, nel '42 fu collocato in congedo assoluto. Iscrittosi al Partito d'Azione, dopo l'armistizio, il 10 settembre, in abito civile e sommariamente armato accorse a Porta S. Paolo, sulla linea di fuoco dei granatieri, schierati in battaglia contro i tedeschi. Qui incitò con le parole e con l'impegno i commilitoni all'estrema resistenza, soccorse i feriti, partecipò al combattimento con il moschetto e la mitragliatrice, fino alla morte, per un colpo alla testa. Medaglia d'oro al valor militare.

 

pallanimred.gif (323 byte) Sandro Pertini

Nato a Stella (Savona) il 25 settembre del 1896. Laureato in giurisprudenza e in scienze politiche e sociali. Partecipò alla prima guerra mondiale, poi intraprese la professione forense. Socialista, dopo una prima condanna ad otto mesi di carcere per la sua attività antifascista, fu condannato nel '26 a cinque anni di confino. Si sottrasse alla cattura e si rifugiò prima a Milano e poi in Francia, dove ottenne asilo politico. Ma pure nel paese che lo ospitava e dove lavorava anche da muratore, subì due processi per la sua attività politica. Tornato in Italia nel '29, Pertini venne arrestato e il Tribunale speciale per la difesa dello Stato lo condannò a 11 anni di reclusione. Ne scontò sette e poi venne assegnato per otto anni al confino: rifiutò di chiedere la grazia, anche quando la domanda fu firmata dalla madre. Tornato libero nell’agosto del '43, entrò nel primo Esecutivo del Partito socialista italiano. La libertà per Pertini dura poco: catturato dalle SS a Roma, fu condannato a morte e incarcerato a Regina Coeli nell’attesa dell’esecuzione. Evase dal carcere con Giuseppe Saragat e raggiunse Milano. Qui - siamo nel '44 - assunse la carica di segretario del Partito socialista nei territori occupati dai tedeschi e diresse, in rappresentanza dei socialisti, la lotta partigiana. Conclusa la lotta armata, per cui fu insignito di medaglia d’oro al valor militare, si dedicò al giornalismo e alla vita politica. Fu direttore dell’"Avanti!" dal '45 al '46, del quotidiano genovese "Il Lavoro" nel '47, di nuovo direttore dell’"Avanti!" dal '50 al '52. Nel '45, diventò segretario del Partito socialista italiano di unità proletaria e deputato all’Assemblea costituente; nel '48 senatore; fu eletto deputato dal '53 al '76; vice Presidente della Camera dei deputati nel '63; fu nominato presidente della stessa Assemblea nel '68 e nel '72. Fu eletto Presidente della Repubblica il 9 luglio del '78, con 832 voti su 995, al sedicesimo scrutinio. Rimase al Quirnale fino al 23 giugno dell'85. Da quell'anno è stato senatore a vita, quale ex Presidente della Repubblica. E' deceduto il 24 febbraio del '90.

 

pallanimred.gif (323 byte) Giovanni Pesce

Nato a Visone d'Acqui (Alessandria) nel 1918. Era ancora un bambino quando la sua famiglia dovette emigrare in Francia. A 13 anni era già al lavoro in una miniera della Grand’Combe, la zona mineraria delle Cevennes in cui vivevano i suoi. Aderì nel '35 al Partito comunista e divenne anche segretario della Sezione giovanile. Fu uno dei discorsi a Parigi di Dolores Ibarruri, la "Pasionaria", a convincerlo della necessità di arruolarsi nelle Brigate Internazionali, che nella Guerra civile spagnola sostenevano il regime democratico contro i fascisti di Franco. Nel '36 fu tra i più giovani combattenti italiani inquadrati nella Brigata Garibaldi. Ferito tre volte, sul fronte di Saragozza, nella battaglia di Brunete e al passaggio dell’Ebro, porta ancora nel corpo le schegge della ferita più grave. Rientrato in Italia nel 1940, Pesce viene arrestato ed inviato al confino a Ventotene. Liberato nell'agosto del '43, nel settembre del 1943 è tra gli organizzatori dei G.A.P. a Torino; dal maggio del 1944 assume a Milano, sino alla Liberazione il comando del 3° G.A.P. "Rubini". Proclamato "eroe nazionale" dal comando delle brigate "Garibaldi", nel dopoguerra venne decorato di medaglia d'oro al valor partigiano.
Nella motivazione della Medaglia d’oro al valor militare concessa a "Visone" (questo il nome di battaglia di Giovanni Pesce), si legge tra l’altro "Ferito ad una gamba in un’audace e rischiosa impresa contro la radio trasmittente di Torino fortemente guardata da reparti tedeschi e fascisti, riusciva miracolosamente a sfuggire alla cattura portando in salvo un compagno gravemente ferito…In pieno giorno nel cuore della città di Torino affrontava da solo due ufficiali tedeschi e dopo averli abbattuti a colpi di pistola, ne uccideva altri due accorsi in aiuto dei primi e sopraffatto e caduto a terra fronteggiava coraggiosamente un gruppo di nazifascisti che apriva intenso fuoco contro di lui, riuscendo a porsi in salvo incolume…".   Dal 1951 al 1964 ha rappresentato il PCI nel Consiglio comunale di Milano.
Giovanni Pesce è, dalla costituzione dell’A.N.P.I., membro del suo Consiglio nazionale. Tra la numerosa memorialistica sulla Resistenza, basti ricordare i suoi "Un garibaldino in Spagna" del 1955 e "Senza tregua – La guerra dei G.A.P." del 1967.  

 

pallanimred.gif (323 byte) Paolo Petrucci

Professore, di 26 anni. Nato a Trieste l’1 agosto 1917 da Carlo e da Emilia Predolin. Nel ’39 si laureò in lettere antiche all’Università di Roma. Nel ‘41 fu chiamato alle armi e combattè in Africa come ufficiale di complemento dei Granatieri di Sardegna. Rimpatriato per malattia, nelle ore successive all’armistizio partecipò ai combattimenti contro i tedeschi a Palidoro. Dopo l’occupazione di Roma, entrò in clandestinità con il nome di Pietro Paolucci. Il 10 settembre partì per il Sud, insieme agli amici Paolo Buffa e Aldo Sanna, con lo scopo di partecipare alla formazione di un corpo di "Volontari per la libertà". L’impresa fallì. Sanna decise di rimanere e collaborò con gli inglesi. Lui, Buffa e Giaime Pintor si misero in viaggio verso Roma, per organizzare nel Lazio gruppi di resistenza partigiana. Ma l’1 dicembre del ’43, nel tentativo di passare il fronte, lungo il Garigliano, Pintor perse la vita a causa dello scoppio di una mina. Rientrati nell’Italia libera, Petrucci e Buffa si unirono agli Alleati che li addestrarono a lanciarsi con il paracadute. Due settimane dopo, il 16 gennaio del ’44, con un aviolancio furono paracadutati su Monte Rotondo, da dove raggiunsero la capitale, ospiti di Enrica Filippini, che collaborava con il partito comunista. Qui svolsero intensa azione di propaganda antinazista, partecipando alle manifestazioni studentesche. Ma il 14 febbraio le SS tedesche irruppero nell’abitazione della Filippini, arrestandoli insieme alla padrona di casa e a Vera e Cornelio Michelin-Salomon. Petrucci fu condotto prima in via Tasso e poi trasferito nel terzo braccio di Regina Coeli. Nonostante fosse stato assolto dalle accuse, fu trattenuto in carcere e fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo.

 

pallanimred.gif (323 byte) Antonio Pignedoli

Nato a Correggio (R.E.) nel 1918, si laureò in fisica e matematica all’Università di Bologna. Ottenne poi l’insegnamento di chimica e fisica, meccanica razionale e fisica matematica all’Università di Modena. Sottotenente del genio Aeronautico ingegneri, dopo l’8 settembre ‘43 entra a far parte della Resistenza (brigata Italia -SIM). Dopo la guerra di Liberazione fu preside della Facoltà di Scienze di Modena. Nel 1951 fu chiamato all’Università di Bologna e da allora la sua carriera accademica è stata brillante e costellata di moltissimi impegni e responsabilità. Socio nazionale della Accademia dei Lincei, Decano Docente dell’Accademia Militare di Modena, Medaglia d’oro città di Reggio Emilia (destinato ai cittadini che abbiano particolarmente onorato la città per attività scientifiche), ha ricevuto inoltre dal Presidente della Repubblica la medaglia d’oro per i Benemeriti della Scuola e dall’Accademia Militare due medaglie d’oro e un diploma di benemerenza per le attività culturali svolte per oltre vent’anni. è autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche e di altrettanti articoli su giornali e riviste di cultura e di divulgazione. Negli ultimi anni ‘40 e nei primi anni ‘50 è consigliere comunale e provinciale, nel ‘46 viene eletto all’Assemblea Costituente nelle liste della DC. La sua attività politica è brevissima poiché già con l’inizio del decennio 1950 si ritira volontariamente per dedicarsi alla ricerca scientifica e all’insegnamento. Costante è stato il suo impegno per mettere in contatto il mondo della scuola e della cultura con il mondo del lavoro, come pure i suoi richiami a che la neonata Repubblica si sobbarcasse l’onere di sostenere e promuovere la cultura in tutti i suoi aspetti, dall’arte alla scienza.

pallanimred.gif (323 byte) Giaime Pintor

Scrittore, di 24 anni. Nato a Roma il 30 ottobre del 1919 da Giuseppe e da Adelaide Dore. Trascorse la sua fanciullezza a Cagliari, tornò a Roma a sedici anni, nel '35, per proseguire gli studi al Liceo "Mamiani". Iscritto ai GUF, si avvicinò presto al movimento antifascista clandestino. Dal '38 collaborò a vari settimanali e a riviste culturali, tra cui "Oggi", "Letteratura", "Campo di Marte", "Primato", sotto gli pseudonimi di "Mercurio" e poi di "Ugo Stille". Nel '39 partì per il servizio militare, al corso allievi ufficiali di Salerno, dove aiutò Lucio Lombardo Radice a costituire una cellula comunista. Si laureò in giurisprudenza all'Università di Roma nel giugno del '40. Richiamato alle armi, venne inviato come sottotenente sul fronte occidentale, al seguito del 51° Fanteria. Poi, dopo un breve periodo a Perugia con il suo reggimento, fu assegnato a Torino, presso la commissione di armistizio con la Francia. In questa veste ebbe la possibilità di fare da tramite fra l'antifascismo in via di riorganizzazione e i "dissidenti" dell'esercito. A Torino cominciò anche la sua collaborazione con Giulio Einaudi e la sua casa editrice, dove aveva come amici e compagni di lavoro Felice Balbo, Cesare Pavese, Leone Ginzburg e Massimo Mila. L'8 settembre del '43 si trovava a Roma e fu tra i giovani che chiamarono il popolo ad appoggiare la resistenza di reparti armati a Porta San Paolo. Fallita la difesa della capitale, l'11 settembre superò le linee tedesche e si recò a Brindisi e poi a Napoli, sotto il falso nome di Ugo Stille. Ottenne dal quartier generale inglese di formare un gruppo di patrioti. Insieme a Paolo Buffa e a Paolo Petrucci si mise in viaggio verso Roma, per organizzare nel Lazio gruppi di resistenza partigiana. Ma il 1° dicembre del ’43, nel tentativo di passare il fronte, lungo il Garigliano, davanti a Castelnuovo al Volturno, perse la vita a causa dello scoppio di una mina. Presso l'Einaudi sono state pubblicate alcune sue opere postume: "Il sangue d'Europa" (1950), "Il colpo di Stato del 25 luglio e alcune pagine e documenti inediti" (1974) e "Doppio diario 1936-1943" (1978). Tra le numerose traduzioni, uscite sempre presso Einaudi, si può ricordare quella di Rilke, "Poesie" (1942).

 

pallanimred.gif (323 byte) Luigi Pintor

Giornalista. Nato a Roma il 18 settembre del 1925 da Giuseppe e da Adelaide Dore. Trascorse la sua fanciullezza a Cagliari, poi tornò a Roma, dove si avvicinò al movimento antifascista clandestino. Fratello di Giaime, partecipò alla guerra di liberazione nelle file dei GAP. Arrestato dalla banda Koch, sfuggì alla condanna a morte. Nel dopoguerra è stato membro del Comitato centrale del PCI, redattore e poi condirettore de "l'Unità", deputato alla Camera dal 1968 al 1972. Nel '69 fu radiato dalle file del PCI con il gruppo del "Manifesto", insieme ad Aldo Natoli, Rossana Rossanda, Lucio Magri e Massimo Caprara. E' stato più volte direttore del "Manifesto".

 

pallanimred.gif (323 byte) Alfredo Pizzoni (Pietro Longhi)

Nato a Cremona nel 1894, laureato in giurisprudenza, direttore di banca. Come sottotenente dei bersaglieri partecipa al conflitto ‘15-’18 e viene decorato con medaglia d’argento; preso prigioniero, viene liberato con uno scambio e si aggrega all’esercito inglese in Palestina. Avverso al regime fin dal primo momento, così come suo padre Paolo generale d’artiglieria, frequenta gruppi antifascisti di Giustizia e Libertà. Nel ’41, volontario, parte per la guerra come maggiore dei bersaglieri. Il 23 gennaio ’42, durante la traversata verso la Libia, la m/n Victoria viene affondata: per il comportamento nel predisporre l’evacuazione dei suoi soldati è decorato con medaglia di bronzo. Contribuisce, come membro apolitico, all’organizzazione del CLNAI di cui viene eletto Presidente dal settembre ’43 fino al 27 aprile ’45. Dal gennaio ’44 assume anche il compito di procacciare i finanziamenti necessari al movimento della Resistenza. Il 7 dicembre ’44, insieme a Parri Paietta e Sogno, firma con gli Alleati gli accordi di Roma e il giorno successivo a Caserta è l’unico firmatario dell’accordo finanziario. Si occupa quindi del trasferimento al nord degli ingenti finanziamenti concessi e della loro distribuzione. Per la partecipazione alla Lotta di Liberazione viene nominato Cavaliere di Gran Croce dalla Repubblica Italiana e Cavaliere della Legion d’Onore dalla Repubblica Francese e decorato con la Freedom Medal del Congresso degli Stati Uniti e con la Bronze Star. E’ membro della Consulta Nazionale.

 

pallanimred.gif (323 byte) Giancarlo Puecher Passavalli

Nacque a Milano il 23 agosto 1923 da Giorgio e Annamaria Giannelli. Primo di tre fratelli, condusse i suoi studi liceali presso l’Istituto dei padri gesuiti Leone XIII. Successivamente si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza con l’intento di seguire le orme del padre che esercitava la professione notarile. Grande sportivo e deciso credente, prima dell’8 settembre non si era mai occupato di politica. Dopo l’armistizio costituì una piccola banda partigiana con l’obbiettivo di assistere i militari sbandati e di compiere atti di sabotaggio e propaganda evitando, però, ogni inutile spargimento di sangue. La sera del 12 novembre, mentre si stava recando a Erba con un compagno per compiere un’azione dimostrativa contro l’abitazione del prefetto, fu fermato a un posto di blocco e arrestato. La sua situazione fu aggravata dal ferimento del giovane che era con lui, Franco Fucci, che aveva invano cercato di aprire il fuoco sui militi che li stavano conducendo in caserma. Dopo un breve periodo passato nel carcere di San Donnino, fu detenuto presso la caserma locale dei Carabinieri; gli si presentò anche la possibilità di una fuga, da lui rifiutata per evitare ritorsioni sul padre che, nel frattempo, era stato anch’egli arrestato. L’uccisione di un noto squadrista di Erba, avvenuta il 20 dicembre, scatenò le ire dei fascisti locali e i loro propositi di vendetta. Assieme ad altre sette persone fu processato da un Tribunale militare straordinario e, unico fra gli imputati, fu condannato alla pena di morte per la sua attività partigiana che, in ogni caso, non era affatto collegata ai fatti di sangue che avevano coinvolto la cittadina di Erba in quei mesi. L’esecuzione ebbe luogo nella notte fra il 21 e il 22 dicembre 1943. Prima dell’esecuzione volle conoscere i nomi di coloro che erano incaricati di eseguire la sentenza e li abbracciò, perdonandoli per ciò che stavano per compiere, ad uno ad uno. A Giancarlo Puecher è stata assegnata la prima medaglia d’oro della Resistenza in Lombardia.

(a cura di Massimiliano Tenconi)

 

 

 

 

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