Biografie della Resistenza Italiana          

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pallanimred.gif (323 byte) Paolo Emilio Taviani

Nato a Genova il 6 novembre 1912. Nell'università del capoluogo ligure studiò e poi insegnò dalla cattedra di storia delle dottrine economiche (aveva altre tre lauree, oltre a quella di economia: Legge, Scienze sociali e Filosofia).
Dal 1931 al 1934 era stato presidente della Fuci, l'organizzazione degli universitari cattolici. Per le sue posizioni antifasciste, nel '43 fu posto al confino di polizia. Nell'estate di quell'anno, Taviani organizzò a Genova la fusione tra i Cristiano Sociali e i superstiti del Partito Popolare. Fu tra i fondatori del Cnl di Genova, durante l'occupazione tedesca, e rappresentò le formazioni cattoliche nella resistenza. Taviani fu uno dei tre dirigenti dell'insurrezione della città che costrinse alla resa un intero corpo d'armata nazista, prima dell'arrivo degli alleati. Il racconto di quelle giornate dell'aprile del '45 è contenuto nel suo libro «Breve storia dell' insurrezione di Genova». Alla fine della guerra Taviani fu tra i fondatori della Domocrazia Cristiana.
Fu eletto alla Costituente e da allora è sempre stato in Parlamento. Della Dc Taviani è stato prima vice segretario (dal '46 al '48) e poi segretario nazionale (dal '48 al '50). Dal giugno del 1950 rappresentò l'Italia ai lavori per la stipula del Piano Schuman; al governo arrivò nel luglio del 1951, come diretto collaboratore di Alcide De Gasperi (fu nominato suo sottosegretario agli Esteri): per cinque anni, dal '53 al '58, ebbe la responsabilità continua del dicastero della Difesa. Fu poi ministro delle Finanze (dal '59 al '60), del Tesoro (dal '60 al '62), dell'Interno (dal '62 al '68), del Mezzogiorno (dal '68 al '72), del Bilancio (dal '72 al '73) e, infine, di nuovo dell'Interno (dal '73 al '74).
Taviani ha vissuto dal centro della stanza dei bottoni tutta la storia dell'Italia dei governi centristi, prima, e di centrosinistra, poi. Nel partito della Dc, Taviani, di formazione moderata, si collocò sempre in un ruolo centrale, di mediazione. Quanto la Dc affrontò la svolta del centrosinistra, uscì dal gruppo doroteo e promosse la componente dei cosiddetti «pontieri», che aveva l'obiettivo di gettare un ponte fra il centro del partito e le sue componenti di sinistra. I suoi anni al ministero dell'Interno (dal '62 al '68), lo trovarono a dover fronteggiare le emergenze dell'ordine pubblico legate all'esplodere della contestazione. L'istituzione delle Regioni, nel '68, fu uno dei suoi successi politici. Finita l'esperienza ministeriale, Taviani fu mandato dal partito al Senato nel 1976. Vice presidente dell' Assemblea, nel '91 fu nominato da Cossiga senatore a vita. L'ultima apparizione pubblica di Taviani risale al 30 aprile 2001, quando presiedette la prima seduta dell' Assemblea di Palazzo Madama della nuova legislatura.

 

pallanimred.gif (323 byte) Umberto Terracini

Nato a Genova nel 1895. Nel 1919 a Torino, ventiseienne, aderì al partito socialista (ala dei comunisti puri) e fu tra i fondatoie dell'"Ordine Nuovo insieme al sardo Gramsci (1891-1937) e al conterraneo Togliatti (1893-1964).
Il 28 settembre del 1920 la direzione del PSI si divide tra quanti, come Terracini, sono favorevoli all'espulsione dell'ala riformista del partito, e quanti, come Baratonoe Serrati, proclamano l'esigenza di mantenere unito il partito pur accettando alcuni punti proposti dall'internazionale comunista.
Il 28 novembre  l'"ala" comunista in un convegno a Imola propone di mutare il nome del PSI in PCI (Partito Comunista d'Italia) affermando l'incompatibilità tra l'adesione all'internazionale comunista e la presenza del partito della frazione riformista "di concentrazione".
Ma la vera svolta avviene a Livorno il 15-21 gennaio del 1921 durante il XVII congresso nazionale del PSI. Dopo le proposte di Imola, la corrente massimalista di Gramsci, Bordiga e Terracini si scinde da quella riformista, guidata da Filippo Turati e da quella massimalisti dei comunisti unitari di Giacinto Menotti Serrati, e continua il congresso in altra sede.
Altre incomprensioni nascono subito dopo la partecipazione  delle due delegazioni PSI e PCd'I al II congresso dell'Internazionale comunista a Mosca. Il relatori al congresso sovietico constatano che i tempi non sono maturi per una rivoluzione mondiale e invita il PSI a espellere la corrente riformista.
La prima importante riunione dei comunisti (anche se si chiama II Congresso) avviene il 1° marzo 1922. Le conclusioni di questa assise, sono note come le "Tesi di Roma", e negano qualsiasi ipotesi di collaborazione in funzione antifascista con altre forze socialiste o di democrazia borghese. Obiettivo principale del PC.d'I. resta la prospettiva di uno sbocco rivoluzionario.
Il 26 di maggio, mentre  si sta estendendo il fascismo con grande adunate a Milano, Bologna, Ferrara, Rovigo, partono per Mosca per una sessione dell'internazionale i leader   comunisti Graziadei, Bordiga e Gramsci. Quest'ultimo resterà a Mosca dentro l'esecutivo dell'Internazionale. (Farà ritorno solo nel maggio del 1924).
1922- Mentre sta già mettendosi in moto la Marcia su Roma  dei fascisti, il 1° ottobre al congresso socialista di Roma scoppiano violenti polemiche tra massimalisti che espellono i riformisti nella cui corrente c'è Turati,Treves, Matteotti che danno vita al PSU. I contrasti sono sulla funzione antifascista di patto tra popolari e socialisti.
Il 22 ottobre Mussolini è al governo, inizia ad agire contro tutti i promotori di turbamenti, il PSI e il PC.d'I riuniti a Mosca decidono di fare una fusione per contrastare più efficacemente il fascismo. Sull'Avanti è pubblicato il Manifesto, ma i firmatari il 29 dicembre sono tutti denunciati. Gli altri iniziano a operare in clandestinità.
Il 3 febbraio è arrestato Bordiga, il 1° marzo Serrati, , il 31 tocca a Grieco, resta alla direzione del PC.d'I, solo più Terracini. I due partiti di sinistra vorrebbero fare blocco la restano le incompresioni a impedirlo.
Il 21 settembre del 1923, il comitato esecutivo del PC.d'I (ricostituitosi) è falcidiato da una massiccia ondata di arresti per complotto contro lo stato, fra cui Togliatti, Vota, Montagnana, Leonetti. Mentre Bombacci sostiene che tra le due rivoluzioni ci siano affinità. Ma viene sconfessato e invitato a dare le dimissioni.
Nel 1924 a maggio rientra in Italia Gramsci,  e a giugno dopo l'esplosione del caso Matteotti, propone uno sciopero nazionale che  la Cgil rifiuta perché rischioso. Intanto a Mosca viene bocciata una fusione dei comunisti con il PSI ritenuto controrivoluzionario. Il 27 giugno c'è l'episodio dell'Aventino, che i comunisti di Terracini abbandonano e riprendono a partecipare ai lavori della Camera.
L'8 novembre 1925 i due organi dei socialisti e comunisti, l'Avanti e l'Unità sono sospesi.
L'8 novembre 1926, Antonio Gramsci è arrestato con l'intero gruppo comunista. Terracini già  in agosto. Al processo che si conclude il 28 maggio 1928 sono condannati il primo a 20 anni e 4 mesi di carcere, il secondo a 22 anni e 9 mesi. Terracini scontatini 11, nel '37 fu confinato a Ponza poi a Ventotene dove fu liberato nel 1943. Gramsci morirà invece in carcere il 27 aprile 1937.
Tornato libero, all'Assemblea costituente del 25 giugno 1946, Umberto Terracini viene eletto vicepresidente. 
13 GENNAIO 1947 L'On. Saragat si dimette da presidente dell'Assemblea. L'8 febbraio con una votazione viene eletto Umberto Terracini. La causa è la scissione del PSIUP con   protagonista Saragat -che accusa la direzione di essere troppo vicini ai comunisti. Si stacca e fonda il nuovo PSLI,
Nenni con quelli che restano  fonda il suo partito riportando alla luce il logo PSI.
Il 22 dicembre 1947 l'approvazione della Costituzione  viene firmata da De Nicola presidente della Repubblica provvisorio, da De Gasperi capo del governo e da Terracini presidente dell'Assemblea.
Dopo l'attentato a Togliatti nel '48, con il Paese in altissima tensione con gli scioperi proclamati dalla Cgil (che Scelba afferma essere pretestuosi, proclamati  per scatenare una violenza antidemocratica e favorire una insurrezione) Terracini presenta una mozione di sfiducia nei confronti del governo, indicato come responsabile politico e morale dell'attentato, ma la sua mozione viene respinta con 173 voti contro 83.

Lui memore della ventennale dittatura fascista (fu Terracini a coniare l' espressione “Complesso del tiranno”) con disappunto vide creare dopo le elezioni del '48, un sistema che preferiva fotografare le forze in campo piuttosto che incoronare dei vincitori. Lui pensava che chi avrebbe avuto l’onere e l’onore di governare sarebbe stato deciso dalla mediazione parlamentare e mai nessuno avrebbe mai comandato del tutto, come nessuno sarebbe mai stato escluso del tutto da una parte del processo decisionale o da quello di controllo. Ne rimase deluso.

Altro intervento indignato alla Camera nel '54, quando nel periodo in cui furono negate le autorizzazioni ai comunisti per fare le "Feste dell'Unità", Terracini sprezzante  rivolse dure parole a "questo Governo che ha permesso le orge a Capocotta e ha vietato la festa dell' Unità".
(Capocotta fu lo scandalo politico della vicenda di "Wilma Montesi"; una donna abbandonata morta sulla spiaggia di Torvaianica dopo un festino a base di stupefacenti in una altolocata residenza frequentata da importanti politici e noti facoltosi dell'epoca, poi (e questo fu lo "scandalo") chiamati  in causa).
Il 2 maggio 1962, alle elezioni del presidente della Repubblica, Terracini è il secondo con 200 preferenze, dopo Mario Segni con 333 voti.
In quelle del 16 maggio del 1964 è ancora secondo con 250 preferenze, rispetto a   Giovanni Leone che ne prende 319.
Muore a Roma il 6 dicembre 1983 all'età di 88 anni.

(notizie tratte da cronologia.it)

 

pallanimred.gif (323 byte) Giorgio Tosi

Nato a Rimini nel 1925 . Risiede a Padova, dove si è laureato in filosofia e in legge. Ha esercitato la professione di avvocato per 40 anni. Ha partecipato alla Resistenza in Trentino. E’ stato arrestato dalle SS nel giugno 1944: processato e condannato dal Tribunale speciale tedesco di Bolzano, è stato liberato alla fine della guerra. E’ stato riconosciuto partigiano combattente con 16 mesi di anzianità. Ha ricevuto dal distretto militare di Trento 2 croci al merito di guerra per attività partigiana.

 

pallanimred.gif (323 byte) Silvio Trentin

Nacque l'11 novembre 1885 a S. Donà di Piave, da una agiata famiglia borghese di proprietari terrieri. Dal 1896 al 1903 frequentò il liceo-ginnasio Canova di Treviso, poi si trasferì al liceo «Marco Foscarini» di Venezia. Di quel periodo la sua più grande passione fu il volo. Prima dei 25 anni aveva già all'attivo parecchie ore trascorse sui primi fragili biplani apparsi sui cieli italiani.Arrivò quindi il tempo degli studi di legge. La sua iscrizione all'università di giurisprudenza di Pisa data al 9 dicembre 1904. Si laureò nell'autunno 1908 e la sua tesi fu giudicata meritevole di stampa. Ottenne la libera docenza in diritto amministrativo e scienza dell'amministrazione a Pisa il 10 giugno 1910, a 24 anni. Era allora il più giovane insegnante di diritto in Italia.
Dall'autunno del 1911 Trentin insegnò all'università di Camerino. Questa felice esperienza di studio e di vita fu bruscamente interrotta dallo scoppio del primo conflitto mondiale.  Dalla fine del 1915 agli ultimi mesi del 1917, fu occupato con funzioni amministrative presso la Croce Rossa. Si era offerto volontario appena iniziate le ostilità. Tutt'altro che nazionalista, Trentin era interventista come lo erano i gruppi radicali, democratici e socialisti riformisti con cui da tempo si identificava. La guerra, per Trentin, doveva essere compimento del Risorgimento, con la restituzione di Trento e Trieste all'Italia, ma anche doveva provocare la distruzione dell'autocrazia austro-tedesca e riaffermare il diritto all'autodeterminazione dei popoli.
Nell'ultimo anno di guerra Trentin fu trasferito dalla Croce Rossa al I° Gruppo Speciale Informazioni della III Armata, e compì diverse azioni militari aeree. Nel novembre 1919 si candidò alle elezioni politiche nella lista della Democrazia sociale veneziana. Si trattava di un cartello elettorale che comprendeva raggruppamenti della sinistra democratica riformista. Trentin fu l'unico eletto della lista e il suo fu quindi soprattutto un successo personale. L'esperienza parlamentare di Trentin si chiuse nel maggio del 1921. Non fu rieletto in quelle elezioni anticipate che segnarono la sconfitta di tutte le forze politiche intermedie. Nel frattempo decise di tornare all'insegnamento. Il 24 ottobre 1921 vinse il concorso per la cattedra di diritto amministrativo a Macerata, dove insegnò due anni. Dopo l'avvento del fascismo, Trentin reagì da par suo. Aumentò anzichè diminuire la sua attività di oppositore, partecipò sistematicamente a tutti i tentativi di formare un grande partito liberaldemocratico antitetico negli uomini e negli ideali al nuovo regime. Così quando il regime emanò il 24 dicembre 1925 un decreto che privava tutti gli impiegati dello Stato della loro libertà politica ed intellettuale Trentin decise di dimettersi. Lo fece il 7 gennaio 1926.
La sua scelta nelle università italiane fu seguita solo da Salvemini e Nitti, mentre altri due docenti furono allontanati dall'incarico.
Insieme alle dimissioni, Trentin maturò l'idea dell'esilio. Attraversò il confine con la Francia il 2 febbraio 1926, insieme alla famiglia.  Sebbene in disparte nella provincia francese, lontano da Parigi dove risiedeva il nucleo centrale dell'antifascismo italiano, Trentin fu sempre considerato e ascoltato come un leader, talvolta come guida di un'organizzazione, più spesso come guida morale. Lo fu dapprima nel partito repubblicano e nella Lega italiana dei diritti dell'uomo; lo fu quindi nella cosiddetta Concentrazione antifascista e nel movimento Giustizia e Libertà; lo fu infine nella resistenza francese e in quella italiana, sino - possiamo dirlo - agli ultimi giorni della sua vita. Suoi interlocutori furono uomini altrettanto eccezionali come Carlo Rosselli, Emilio Lussu, Gaetano Salvemini e poi, via via, altri fuoriusciti come Francesco Volterra, Ruggero Grieco, Alberto Tarchiani e altri. Se poi dovessimo indicare un solo elemento distintivo nell'azione politica di Trentin in quegli anni, segnaleremmo il tenace perseguimento del fronte unico antifascista. Fu quasi naturale perciò che proprio a Trentin toccasse il compito di sottoscrivere per Giustizia e Libertà il cosiddetto patto di Tolosa del 1941 che ripristinava, con il partito comunista., l'unità d'azione perduta con lo sciagurato accordo Molotov-Ribbentrop del 1939.
Ogni movimento di Trentin che veniva minuziosamente controllato dall'OVRA, la polizia segreta fascista. In Francia acquistò una piccola, ma nota libreria di Tolosa, la Librairie du Languedoc. La libreria, con Trentin proprietario, divenne un vero salon, dove si scambiavano idee e si lanciavano nuove imprese intellettuali, e anche centro di azione politica al punto che, durante la guerra civile spagnola, fu - secondo Emilio Lussu - "una specie di ambasciata, la sede dei collegamenti irregolari fra la Francia e Barcellona". Più tardi, dopo la caduta della Francia e l'avvento del regime di Vichy, divenne - per dirla con Jean Cassou - "le centre principal pour l'intelligentsia (antifasciste) de Toulouse". La piccola bottega aveva anche un qualcosa che non tutti conoscevano: uno scantinato segreto, dove, durante la resistenza, trovarono nascondiglio cospiratori antifascisti e agenti inglesi e francesi per lunghi periodi di tempo. Inoltre la cave si prestava benissimo alle riunioni clandestine.
Il 9 giugno 1937 Trentin provò ancora una volta il dolore e lo sgomento per la perdita di una persona cara, una perdita che apparve subito una terribile tragedia per G. L. e l'intero movimento antifascista. Quel giorno, a Bagnoles de l'Orne, sicari armati da Roma assassinarono Carlo Rosselli e il fratello Nello.
Il 24 giugno a Tolosa, davanti a 20.000 persone, Trentin lanciò il suo atto d'accusa contro le alte gerarchie fasciste. La risposta minacciosa del regime non si fece attendere. Roberto Farinacci, il ras di Cremona, disse che, se Trentin non avesse desistito da questa violenta propaganda contro il regime fascista, avrebbe subito la stessa sorte dei Rosselli. Una telefonata anonima, proveniente dal consolato di Tolosa, avvertì che c'era in atto un complotto contro Trentin. Quella notte un amico armato vegliò in casa Trentin, ma fortunatamente non accadde nulla.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, chiese di arruolarsi nell'esercito francese nel settembre 1939. Restò deluso quando il governo Daladier respinse la sua domanda, assieme a quella di altri esiliati italiani, per non inimicarsi Mussolini.

Passarono così altri due anni colmi di pericoli e sacrifici, ma anche di passione civile e di impegno umano nella resistenza francese. E finalmente, con la caduta del fascismo il 25 luglio 1943, venne il tempo di tornare in patria.
In agosto il governo Badoglio tolse le restrizioni alla frontiera e Trentin potè rientrare legalmente in patria. Dal 9 settembre al momento dell'arresto, la sera del 19 novembre, Trentin lavorò in prima linea all'organizzazione politica e militare della resistenza nel Veneto.
A Treviso e Feltre tentò invano di far distribuire dai comandi militari le armi alle nascenti forze della resistenza. A Padova partecipò alle prime riunioni organizzative del Comitato di liberazione nazionale per il Veneto. Si spostò poi a Mira, dove la casa della famiglia Fortuni, per le successive quattro o cinque settimane, divenne il suo quartier generale.
Fra il 15 e 25 settembre il professor Ferrari - questa era la sua falsa identità - intervenne a tutta una serie di incontri in Bavaria, un piccolo centro sulla strada tra Bassano e Treviso. Qui si posero le basi per costituire nel Veneto un comando militare unificato delle forze della resistenza. Il 23 ottobre Trentin scrisse una lunga lettera a Lussu, in cui declinava l'invito ad entrare nella direzione centrale del CLN perchè il suo posto di battaglia era qui nel Veneto e non nella capitale.
Tessari, forse il principale storico militare della resistenza veneta, riconosce a Trentin il merito di aver dato l'impulso decisivo al movimento partigiano e soprattutto quello di aver fatto valere la superiorità del comando politico su quello militare.
Il comando politico, fino al dicembre 1943, aveva la sua centrale a Padova; Trentin ne era membro, insieme ad Egidio Meneghetti, per il Partito d'azione. Il 1 novembre 1943, dalle pagine di «GL», il giornale degli azionisti di Padova, Trentin lanciò il suo "Appello ai Veneti guardia avanzata della nazione italiana".  Verso la fine di ottobre si trasferì da Mira a Padova per impegnarsi più intensamente sul fronte politico e della propaganda. Lo ospitarono i coniugi Monaci, in un appartamento nel cuore della città, e lì lo raggiunse il figlio sedicenne Bruno.
La sera del 19 novembre agenti fascisti irruppero nell'appartamento dei Monaci, arrestando tutti i presenti. Silvio e Bruno furono sottoposti a interrogatori per due giorni nella sede centrale della polizia e quindi trasferiti al carcere dei Paolotti. Fortunatamente al momento dell'arresto erano riusciti ad ingoiare le carte più compromettenti. Così la polizia fascista, ancora disorganizzata, si ritrovò ad avere in mano, come prigionieri, un uomo malato e suo figlio con l'unica imputazione di possesso di documenti falsi e li rilasciò.
Trentin uscì di prigione, ai primi di dicembre, debilitato dai suoi disturbi cardiaci. Morì nella clinica Carisi di Monastier, il 12 marzo del 44. Fu sepolto a S. Donà di Piave.

Biografia Silvio Trentin (a cura Centro studi Silvio Trentin)

 

pallanimred.gif (323 byte) Antonello Trombadori

Nato a Roma nel 1917, figlio del pittore Francesco. Trascorre la giovinezza nella casa-studio di Villa Strohl-fern, entrando in contatto con molti artisti e letterati. Inizia molto presto a occuparsi di critica d'arte. Tra le riviste alle quali collabora, "La Ruota", "Primato", "Città", "Corrente", "Cinema". Antifascista, da' vita a un gruppo clandestino che organizza la fronda al regime dall'interno dei suoi giornali culturali e delle sue organizzazioni, come i Guf, dialogando con il movimento liberalsocialista e approdando poi al Pci. Ne fanno parte Pietro Amendola, Mario Alicata, Pietro Ingrao, Aldo Natoli, Paolo e Cesare Bufalini, Renato Guttuso, Carlo Salinari, Antonio Giolitti. Per questo motivo partecipa ai Littoriali nel 1937 e 1940. Nel 1941, scoperto, viene arrestato per cospirazione antifascista, deferito al Tribunale Speciale, e proposto per il confino, insieme ad altri venti studenti, tra i quali Paolo Bufalini, Antonio Giolitti, Gerardo Pampiglione. Mussolini, per ragioni di opportunità data la notorietà di alcune delle loro famiglie, decide di proscioglierli con atto di clemenza anche dalla pena del confino, "ad eccezione - comse si legge in una relazione della Direzione Generale della Pubblica Sicurezza  - di Bufalini Paolo e Trombadori Antonello, non avendo questi ultimi dimostrato di essere pentiti del gesto insano commesso". Dopo il 25 luglio del '43, da' vita alla formazione "Gli Arditi del Popolo" insieme ad altri compagni, tra cui Mario Fiorentini, Fernando Norma, Antonio Cicalini e Lucia Ottobrini. La sera dell'8 settembre   Trombadori, insieme con Luigi Longo, prende in consegna un piccolo carico d'armi messo a disposizione dal generale Carboni  e lo distribuisce tra la popolazione. E' tra i pochi tentativi di dare una mano allai resistenza che i reparti dell'esercito rimasti in piedi e qualche gruppo di civili stavano opponendo ai tedeschi, soprattutto nel combattimento di Porta San Paolo. Collaboratore di Giorgio Amendola, nell'ottobre del '43 è uno degli organizzatori della Resistenza romana e,  insieme ad Alfio Marchini, dei gruppi di azione partigiana, diventando comandante dei Gap Centrali romani. Arrestato dai tedeschi, il 2 febbraio del '44,  viene rinchiuso nel carcere di via Tasso. Dovrà la vita ai compagni arrestati che, seviziati, non ne riveleranno l' identità. Trasferito nel braccio tedesco di Regina Coeli, si trova lì detenuto il 24 marzo del '44, la mattina in cui i nazisti irrompono nel carcere per prelevare quelli che sarebbero stati massacrati nel pomeriggio alle Fosse Ardeatine. Si salva solo perché il giorno prima ha avuto una forte febbre ed è ricoverato in infermeria. Nell'agosto del 1944, dopo la Liberazione di Roma, organizza la mostra "L’Arte contro la barbarie". Nel 1945 presenta l’album di disegni di Guttuso "Gott mit uns". Amico di Rossellini e di Lizzani (è lui a presentarlo a Rossellini), li aiuta a realizzare il film "Roma Città Aperta". Dal 1945 al 1964 dirige il settimanale "Il Contemporaneo", curando la rubrica di critica d'arte. Membro del comitato centrale del Pci, è poi inviato dell'Unità nel Vietnam in guerra e viene eletto quattro volte deputato. Comunista togliattiano, a partire dal Sessantotto comincia un percorso che lo avvicina ai riformisti e lo porta a prendere le distanze dagli estremismi. Aderisce così alla corrente "migliorista" del Pci (insieme agli amici Paolo Bufalini, Maurizio Ferrara, Rosario Villari, Edoardo Perna), che dopo la morte di Giorgio Amendola ha come punto di riferimento politico Giorgio Napolitano. Quando Craxi diventa segretario del Psi,  non apprezza il suo atteggiamento al tempo del rapimento di Aldo Moro, ma ne condivide poi la critica radicale al "comunismo reale" e la scelta occidentalizzante e riformista. Si avvicina perciò ai socialisti, ed è tra quelli che nel Pci avversa la campagna per la difesa della scala mobile. Muore nel '93, a Roma.

 

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