Biografie della Resistenza Romana          

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Tigrino Sabatini

Operaio, di 43 anni. Nato ad Abbadia San Salvatore (Siena) l’8 marzo 1900 da Enrico e Filomena Baiocchi. Lavorava alla Snia Viscosa di Roma. Fra i fondatori del gruppo "Scintilla", che avrebbe dato vita al movimento partigiano di "Bandiera Rossa", l'8 settembre del ’43 fu impegnato nella difesa di Roma contro i tedeschi nella formazione "Pepe", che per dodici ore riuscì a tenere impegnati alcuni nuclei di paracadutisti di Hitler alle porte della città. Diventò in seguito operaio alla Breda, e poi si fece assumere, con altri compagni di lotta, dalla ditta Cidonio, che lavorava per i tedeschi nella ricostruzione delle linee ferroviarie, per boicottare queste opere. Il suo nome di battaglia era "Badengo". In Bandiera Rossa aveva il compito di caposettore della seconda zona, che comprendeva il quartiere di Torpignattara. Fu catturato il 23 gennaio del '44, in seguito alla delazione di due compagni di lavoro, e condotto in via Tasso e in seguito a Regina Coeli. Fu processato una prima volta dal Tribunale militare di guerra tedesco, che lo condannò a cinque anni di reclusione. Il 14 aprile fu sottoposto a un secondo processo e condannato a morte. La condanna fu eseguita il 3 maggio a Forte Bravetta.

 

Giuseppe Saragat

Nasce il 19 settembre 1898 a Torino da una famiglia di origine sarda e ben presto aderisce al neonato partito socialista. Fin dalla gioventù è su posizioni riformiste, la stessa corrente dei padri storici del socialismo nazionale come Filippo Turati, Claudio Treves, Andrea Modigliani, Camillo Prampolini e Ludovico D’Aragona.

L’avvento del fascismo e della dittatura mussoliniana vedono il quasi trentenne Saragat collocarsi all’opposizione del nuovo regime ed imboccare la via dell’esilio: prima l’Austria e poi la Francia dove incontrerà e collaborerà con tutti i massimi esponenti dell’antifascismo in esilio: da Giorgio Amendola a Pietro Nenni. È in questo clima e alla luce di molte corrispondenze che gli giungono dalla Spagna, dove è in corso la guerra civile, che matura una profonda avversione per il comunismo sovietico e per ogni sua “propaggine” occidentale. Di converso comincia ad abbracciare il filone socialdemocratico nordeuropeo figlio della II Internazionale. 

La posizione saragattiana antisovietica fu assai lungimirante e poi confermata, nell’ultimo decennio del ‘900, dagli stessi avvenimenti storici, ma non altrettanto lungimirante fu l’accettazione acritica delle posizioni secondointernazionaliste che erano state travolte dalla Prima Guerra Mondiale e dal lungo primo dopoguerra che aveva visto, anche a causa della debolezza della sinistra fortemente divisa tra massimalisti leninisti e riformisti socialdemocratici, la genesi e l’instaurarsi in Europa delle dittature fasciste e nazista. 

Dopo la caduta di Mussolini, Giuseppe Saragat ritorna in Italia e, con Pietro Nenni e Lelio Basso, riunifica tutte le correnti socialiste dando origine al Partito Socialista di Unità Proletaria (Psiup) in cui, come in tutta la tradizione socialista, conviveranno sia le istanze riformiste, sia quelle massimaliste senza trovare, e anche questo fa parte della tradizione del socialismo italiano, un punto di sintesi e di accordo. 

Nel II Governo guidato dal demolaburista Ivanoe Bonomi, Saragat è Ministro senza portafoglio. 
Nelle elezioni per l’Assemblea Costituente i socialisti sono, con oltre il 20 % dei suffragi, il secondo partito italiano alle spalle della Democrazia Cristiana e superano per pochi voti i comunisti del Pci di Palmiro Togliatti. In quanto seconda forza politica della penisola, al partito del sol dell’avvenire va la presidenza dell’Assemblea Costituente, e Nenni, entrato nel frattempo nel Governo guidato dal democristiano Alcide De Gasperi (Dc), indica Giuseppe Saragat come candidato socialista per ricoprire tale carica e il leader riformista viene eletto con la convergenza di tutti i partiti antifascisti (Dc, Pci, Psiup, Pri, Pd’A, Udn, Pli) che costituivano i governi di unità nazionale. 

Ma è proprio in questi mesi che l’ennesima e insanabile rottura tra i due tronconi del socialismo italiano: da un lato il sanguigno e “popolare” Pietro Nenni si batte per una stretta collaborazione con i comunisti (fino a ipotizzare una unificazione dei due partiti della sinistra) e per una scelta neutralista sul piano internazionale, dall’altra parte il colto e raffinato Giuseppe Saragat, che si ispira ai modelli scandinavi, si oppone strenuamente a tale ipotesi. 

Le fratture in casa socialista, seguendo la peggiore tradizione, sono sempre insanabili e nel gennaio 1947 Giuseppe Saragat abbandona il Psiup con gli uomini a lui fedeli e dà vita ad un partito socialista moderato e riformista (che sarà per anni l’unico referente italiano del rinato Internazionale Socialista), il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (Psli). Tale partito pochi anni dopo, con l’unificazione con la piccola pattuglia dei membri del Partito Socialista Unificato (Psu) dell’ex ministro Giuseppe Romita, assumerà definitivamente il nome di Partito Socialista Democratico Italiano (Psdi) di cui Giuseppe Saragat sarà unico leader. 

Il partito socialdemocratico assumerà ben presto posizioni molto moderate e filoatlantiche in contrasto con tutti gli altri partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti d’Europa. Su 115 deputati socialisti eletti nel 1946 ben 52 se ne vanno con Saragat che, pur non riuscendo mai a conquistare il cuore della “base” socialista riuscirà a portare nella sua orbita sindacalisti, giornalisti e intellettuali che ritorneranno nel Psi solo nella seconda metà degli anni ’60: in questa fase di fine anni ’40 il movimento socialista si trovava in una peculiare e paradossale situazione per cui Nenni e il Psi avevano i voti e i militanti, Saragat e il Psdi la classe dirigente e i quadri intermedi. 

Simultaneamente all’assunzione della guida della nuova creatura politica, Saragat abbandona la guida di Montecitorio alla cui presidenza viene eletto il comunista Umberto Terracini a cui spetterà l’onore di tenere a battesimo, insieme al Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, al Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi (Dc) ed al Guardasigilli Giuseppe Grassi (Pli), la nostra Costituzione repubblicana. 

Nella primavera del 1947 De Gasperi si reca negli Usa ed al rientro estromette comunisti e socialisti dal governo varando una formula di governo quadripartito centrista composta, oltre che dalla Dc, dai repubblicani di Pacciardi (Pri), dai liberali di Einaudi (Pli) e dai socialdemocratici di Saragat (Psli) che assumerà la Vicepresidenza del Consiglio dei Ministri. 

È la svolta moderata nella politica italiana che verrà confermata dalle urne il 18 aprile 1948 quando al Democrazia Cristiana sconfiggerà duramente con il 48,8 % dei voti, il Fronte Democratico Popolare, la lista unitaria della sinistra composta, per volontà di Nenni, dal Pci, dal Psi e da alcuni ex esponenti del Partito d’Azione, che si fermerà ad uno scarso 32% dei consensi. In questa competizione elettorale Giuseppe Saragat si presenterà alla guida di una lista, composta dal suo Psli e da alcuni ex membri del Partito d’Azione che non avevano aderito al tandem Togliatti-Nenni, con il nome di Unità Socialista conquistando un eccellente 7 % di voti: è questo il più alto risultato mai conseguito dai socialisti riformisti. 

Durante la prima legislatura i saragattiani, contro i quali si scateneranno l’ira e le accuse di tradimento della classe operaia dei comunisti, parteciperanno ai governi egemonizzati dalla Dc, ricoprendo, al pari delle altre forze laiche (Pli e Pri) un ruolo di comprimari, tanto che nel nuovo governo (De Gasperi 1948) Saragat sarà solo Ministro della Marina Mercantile.

Le elezioni del 1953 vedono la sconfitta del quadripartito centrista che, pur conservando la maggioranza numerica in Parlamento, non la mantenne nel Paese e, soprattutto, non riuscirono a far scattare il meccanismo elettorale pseudomaggioritario (la cosiddetta “legge truffa”). Saragat ed il Psdi furono duramente sconfitto (“cinismo cinico e baro” come disse lo stesso leader socialdemocratico) e il partito entrò in ruolo secondario nel panorama politico e partitico nazionale da cui non è mai più uscito. 

Saragat fu uno dei sostenitori dell’apertura ai socialisti di Nenni che dopo i fatti d’Ungheria del 1956, avevano abbandonato l’opzione frontista con i comunisti di Togliatti. Prima Fanfani e poi Moro guideranno governi di centrosinistra a partire dai primi anni ’60. Nel periodo 1966-69 si assisterà alla temporanea riunificazione dei due partiti socialisti, il Psu (Psi-Psdi Partito Socialista Unificati) con due cosegretari (Francesco De Martino e Mario Tanassi), ma con scarsi risultati elettorali (alle elezioni politiche del 1968 il Psu ebbe molti meno voti di quelli che avevano avuto 5 anni prima Psi e Psdi presentatisi separatamente).

Dopo essere stato Vicepresidente del Consiglio dei Ministri nei Governi Scelba (1954) e Segni (1955), Saragat fu Ministro degli Esteri nel I e II Governo Moro (1963, 1964) di centrosinistra. Nel 1964, dopo le dimissioni anticipate de Presidente della Repubblica Antonio Segni (Dc), una vasta coalizione di parlamentari di sinistra su indicazione di Giorgio Amendola (Pci) e di Ugo La Malfa (Pri) votava per Giuseppe Saragat come nuovo Capo dello Stato che, con i voti dei Grandi elettori di Pci, Psi, Psdi, Pri e buona parte della Dc (che aveva visto “bruciarsi” sia il suo candidato ufficiale Giovanni Leone) era il primo socialista a insediarsi al Quirinale. 

Leit-motiv della sua presidenza fu la Resistenza e la volontà di attivarsi sempre per la costituzione di governi di centro-sinistra. Gli anni della presidenza Saragat furono caratterizzati dall’inizio del terrorismo e dalla contestazione del ’68. Nel 1971 il democristiano Giovani Leone succede a Giuseppe Saragat (al quale sarebbe piaciuta una rielezione) nella carica di Presidente della Repubblica. Pochi altri uomini politici (Togliatti e Spadolini) seppero coniugare l’azione politica con l’impegno culturale come Saragat. L’anziano leader socialdemocratico si spegne a Roma nel 1988 e toccanti furono le parole dedicategli sull’organo ufficiale del Pci, l’Unità, da uno dei suoi grandi avversari comunisti, Giancarlo Pajetta, che tirò un rigo sulle polemiche di quasi un cinquantennio prima, affermando: “Oggi è morto un compagno!”.

 

Guerrino Sbardella

Operaio tipografo, di 28 anni. Nato a Colonna (Roma) il 4 gennaio 1916 da Pietro e da Augusta Luzi. Sposato con Francesca Nazio, ebbe due figli (Sandro e Roberta). Dopo l’occupazione di Roma da parte delle truppe tedesche, partecipò ad azioni di sabotaggio organizzate dalle bande di Bandiera Rossa, di cui era caposettore per la zona di Torpignattara. Combattè nel gruppo comandato da Romolo Iacopini, nel quartiere Trionfale. Organizzò un deposito d'armi a Villa Certosa, dove nascondeva pistole, mitra, fucili, cartucce e bombe. Il 6 dicembre del ’43 fu catturato dai fascisti mentre lanciava manifestini sovversivi dal loggione del cinema Principe. Riuscì a fuggire con l’aiuto di alcuni compagni, ma quella stessa notte fu arrestato dalle SS nella propria abitazione, su segnalazione di alcuni delatori. Rinchiuso nel carcere di via Tasso e seviziato, fu poi trasferito a Regina Coeli. Condannato a morte il 28 gennaio del ’44 dal Tribunale militare di guerra tedesco, il 2 febbraio fu fucilato sugli spalti di Forte Bravetta, insieme a Romolo Iacopini, Enzio Malatesta, Ettore Arena e altri sette partigiani.

 

Emilio Scaglia

Guardia di Pubblica sicurezza, di 20 anni. Nato ad Antrona Piana (Novara) il 14 ottobre 1923 da Giovanni e da Filomena Brari. Il 10 ottobre del '43, dopo l’occupazione tedesca di Roma, si unì alla banda "Napoli" che operava nella capitale, al comando del colonnello Salinari, svolgendo compiti di collegamento. Fu arrestato dalle SS il 28 marzo del '44 a Piazza Esedra mentre era in attesa di un incontro con altri partigiani. Il 9 maggio fu processato a Palazzo Braschi da elementi della banda "Pollastrini". Fu fucilato il 3 giugno, vigilia della Liberazione, sugli spalti del Forte Bravetta da un plotone della Polizia Africa Italiana (Pai), insieme a Mario De Martis e altri quattro partigiani. Medaglia d'argento al valor militare.

 

Umberto Scattoni

Impiegato, di 43 anni. Nato a Roma il 20 agosto 1901 da Giuseppe e da Rosa Nori. Sposato con Vittoria Tarantini, padre di tre figli (Lea, Ugo e Mario). Nel '23 s'iscrisse alla Federazione giovanile socialista, e intanto frequentava ambienti anarchici e i comunisti. Assunto nel '37 come magazziniere alla Generalcine, fu licenziato l’anno dopo per "motivi politici". Per sfamare la famiglia lavorava di notte ai Mercati Generali; poi si mise in proprio come pittore edile. Allo scoppio della guerra, inveì per strada contro il fascismo e divenne un sorvegliato speciale: durante le adunate fasciste era convocato e trattenuto in questura. Il 10 settembre del ‘43 accorse a Porta S. Paolo per difendere Roma, insieme ad alcuni compagni del gruppo comunista di Campo dei Fiori, armati con pochi fucili. Il 22 settembre passò le linee da Cassino e si collegò alla V armata americana, allora attestata sul Garigliano. Rientrato nella capitale, entrò a far parte delle formazioni di Bandiera Rossa, compiendo atti di sabotaggio, trasportando armi, tenendo i contatti con i partigiani della provincia. Si recò anche al Comando alleato di Caserta, per conto del Gruppo Malatesta. Nei mesi successivi si avvicinò al Pci, fu nominato "capo-servizio" dei Gap di zona e divenne amico inseparabile di Guido Rattoppatore. Il 28 gennaio del '44, mentre si recava con Rattoppatore all'albergo Aquila d'Oro, sostituendo un altro partigiano per un’azione contro i tedeschi, fu arrestato su delazione di una spia all’altezza di Ponte Vittorio, dopo uno scontro a fuoco e un inseguimento. Rinchiuso nel carcere di via Tasso, fu torturato, ma non rivelò nulla sui compagni di lotta. Ai primi di marzo fu trasferito a Regina Coeli, nel terzo braccio. Qui, anche se era in cattive condizioni di salute, si distinse per gli incoraggiamenti agli altri detenuti. Fu fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine.

 

Giovanni Senesi

Impiegato, di 18 anni. Nato a Roma il 20 ottobre 1924 da Flaminio e da Maria Cappelletti. Esattore di un istituto di assicurazioni, dopo l'8 settembre del ‘43 entrò nella Resistenza, nelle file di Bandiera Rossa. Arrestato, fu rinchiuso nel carcere di Regina Coeli insieme all’amico Alberto Giacchini, e fucilato il 24 marzo del ‘44 alle Fosse Ardeatine.

 

Gerardo Sergi

Sottotenente dei carabinieri, di 25 anni. Nato a Portoscuso (Cagliari) il 25 maggio 1918 da Salvatore e da Antonia Puddu. Completato nel '37 il servizio di leva a Cagliari, l’anno seguente si arruolò nei carabinieri e fu destinato alla Legione di Palermo. Nel '40 frequentò la Scuola Centrale dei Carabinieri di Firenze per il corso accelerato per allievi sottufficiali, dal quale uscì con il grado di brigadiere. Nel giugno dello stesso anno prese servizio presso la stazione di Palma di Montechiaro (Agrigento), per poi rientrare a Palermo. All'inizio del '41 partì per l'Albania con la 4^ brigata carabinieri. Dopo l’armistizio, entrò nelle file del Fronte militare clandestino della Resistenza guidato da Montezemolo, collaborando attivamente con la Banda "Caruso". Arrestato dai tedeschi, fu fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del ‘44. Medaglia d’oro al valor militare.

 

Simone Simoni

Generale di divisione, di 63 anni. Nato a Patrica (Frosinone) il 24 dicembre 1880 da Antonio e da Rosa. Sposato con Mercedes Biscossi, aveva quattro figli (Gastone, Piera, MariaPia, Vera). Ufficiale di carriera, prestò servizio per 35 anni nell'esercito, partecipando a tutte le campagne militari italiane dalla Libia in poi, conseguendo numerose decorazioni e scalando tutti i gradini della scala gerarchica, fino al grado di generale. Durante la Prima Guerra Mondiale, si distinse alla battaglia di Caporetto, dove riuscì a tenere testa per due giorni all'avanzata nemica, al comando di un piccolo gruppo di uomini. In quell’occasione fu catturato dai tedeschi e relegato in un campo di prigionia in Germania per due anni. Nel '32 fu collocato nella riserva per un'infermità dovuta a una ferita riportata in guerra. Grande invalido di guerra, l'8 settembre del '43 fu fra i più convinti sostenitori della necessità di difendere la capitale dai tedeschi, e per questo motivo subì un attentato da parte dei fascisti. Entrato a far parte del Fronte militare clandestino di Montezemolo, fece del proprio ufficio e della propria casa centri di azione cospirativa ai quali facevano capo, oltre ai generali Fenulli e Cadorna, numerosi ufficiali dell'esercito e uomini politici quali Lussu, Bonomi e Siglienti. Nascose ed aiutò ufficiali e soldati e svolse numerose missioni. Arrestato dalle SS il 22 gennaio del '44, nella sua abitazione, fu rinchiuso nel carcere di via Tasso, nella cella n. 12. Torturato più volte, per estorcergli una confessione fu anche condotto davanti al plotone d'esecuzione. Senza risultato. Fu fucilato il 24 marzo alle Fosse Ardeatine. Medaglia d'oro al valor militare.

 

Leonardo Sinisgalli

Nacque il 3 marzo del 1908 a Montemurro in provincia di Potenza, da Vitoe da Carmela Lacorazza. Il padre, tornato dall'America, era diventato agricoltore e vignaiuolo negli anni maturi. Alla fine della grande guerra, si iscrisse al Collegio dei Salesiani di Caserta e poi si trasferì in quello di Benevento dei Fratelli delle Scuole Cristiane (De La Salle). Frequentò come esterno l'Istituto Tecnico della città con eccezionale profitto. Dati gli "exploits" (10 in matematica, 10 in disegno e 10 nelle altre materia) si iscrive alla fine del 1925 alla facoltà di matematica di Roma. Ma poi si laurea in Ingegneria. Stava per unirsi anche allo sparuto gruppo reclutato tra gli allievi da Fermi, che all'epoca operava nel laboratorio di fisica di via Panisperna, ma Sinisgalli preferì la poesia all'atomica. Risalgono a quei tempi l'amicizia con Arnaldo Beccaria e Libero De Libero. Nel 1934 su suggerimento di Zavattini concorre ai Littoriali per la gioventù e una giuria della quale fanno parte Ungaretti, Bacchelli, Palazzeschi, lo proclama a Firenze primo littore per la poesia. Tornato a Milano viene assunto come art director nell'ufficio tecnico di pubblicità della Olivetti ad Ivrea. Nel '40 è richiamato alle armi e assegnato ad un reparto in Sardegna e poi a Roma con il grado di tenente, aggregato allo Stato Maggiore dell'Esercito-ufficio propaganda. Nel '43 pubblica con la Mondadori "Vidi le Muse", volume che segna il suo ingresso tra i poeti dello "Specchio". Dopo l'8 settembre, aderisce al movimento partigiano romano. Il 13 maggio del '44 viene arrestato in casa dalle SS che hanno trovato il suo indirizzo nel taccuino di un ricercato. Portato nella famigerata via Tasso, vi passa solo 24 ore. Dopo la liberazione di Roma, torna a casa a Montemurro dove la madre è morta 9 mesi prima. Nel dopoguerra pubblica numerosi saggi, libri di poesie, collabora a riviste prestigiose, vince numerosi premi letterari (premio Viareggio, premio Vallombrosa) e prosegue la carriera di art director, diventando anche consulente dell'Agip chiamato da Enrico Mattei. Muore il 31 gennaio del 1981.

 

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